Terzo capitolo: Divise
“Oh,
tesoro, cosa stai dicendo?” Root aveva lacrime di
felicità agli occhi e un sorriso dolce sulle labbra, si tirò su anche lei
cercando di avvicinarsi.
“Non
ti muovere o ti sparo.”
“Shaw…”
Disse allora lei, sbattendo le palpebre perplessa.
“Non…
non lo fare!”
“Fare
cosa?”
“Non
essere così dannatamente simile a lei.”
“Ma
io sono lei!” Root si stese sul letto incurante della
pistola che la minacciava.
“No.
Guardati, non hai neppure una cicatrice.” Root
abbassò lo sguardo sul suo corpo mentre la mano le andava all’orecchio in un
gesto spontaneo. Sapeva che lì doveva esserci una lunga cicatrice causata da
Controllo nel torturarla. Alzò le sopracciglia quando non la trovò. “Ecco
appunto. Chi sei?”
“Andiamo
Sameen, la Macchina mi avrà sottoposto a qualche
intervento di chirurgia, non è così strano.”
“Invece
è strano e sai cos’è ancora più strano? Lionel ha visto con i suoi propri occhi
il tuo corpo morto.”
“Tesoro,
devo ricordarti che anche tu sei stata presunta morta?” Shaw strinse gli occhi
davanti a quella verità, però poi scosse la testa.
“Io
non sono stata in sala operatoria, non sono stata ferita da un proiettile da
6,5 mm, non sono stata aperta da un medico legale che mi ha estratto e pesato
gli organi.” Shaw sentì gli occhi riempirsi di lacrime, era stata così cieca, aveva
desiderato così ardentemente che Root fosse viva da
cascare in quel diabolico piano.
“Sarà
stato un inganno… io sono qua!” Root si indicò,
frastornata nel vedere quell’espressione sul volto di Shaw. Non l’aveva mai
vista così sconvolta.
“Tu
sì. Root, la mia Root, no.”
Shaw fece un passo indietro e poi un secondo. Bear fissava prima una e poi
l’altra confuso dalla tensione che sentiva nell’aria.
“Shaw.”
Tentò ancora una volta per richiamarla, ma lei la ignorò. Raccolse velocemente
i suoi abiti dal pavimento iniziando ad infilarli mentre teneva sempre sotto
tiro quella che si spacciava per Root.
“Andiamo,
abbassa quell’arma, tanto non mi sparerai.”
“L’ho
già fatto.” Le ricordò lei.
“Sì.
Ma era prima, prima di noi, prima di scoprire che ti appartenevo come tu
appartieni a me.”
“Smettila,
taci.” Shaw infilò le scarpe e raggiunse la porta. “Bear, vieni.” Il cane
guardò verso di lei e poi verso Root. Per qualche
istante esitò. “Bear!” Lo richiamò lei e obbediente lui la seguì.
“Non
ti libererai di me tanto facilmente.” Le assicurò la falsa Root
e lei le puntò di nuovo la pistola che aveva abbassato.
“Fatti
vedere di nuovo e ti sparo, senza esitare.” Aprì la porta e se ne andò, senza
vedere le lacrime che scendevano lungo il viso di Root.
Scese
le scale ignorando l’ascensore, era troppo tesa e arrabbiata per poter stare
ferma dentro una scatola di ferro. Uscì nella fredda aria notturna dell’inverno
di New York e si pentì di non aver afferrato anche una giacca, ma non
importava, la sua rabbia l’avrebbe tenuta al caldo.
Accanto
a lei il telefono squillò e lei lo ignorò, che andasse al diavolo quella
maledetta Macchina 3.0! L’aveva ingannata, anche se ancora non sapeva come.
Oltrepassato il primo telefono iniziò a squillarne un altro. Quando ne ignorò
tre a suonare fu il suo cellulare. Shaw aveva tolto l’auricolare e la Macchina
non poteva parlarle liberamente, ora prese il cellulare e lo gettò per terra
per poi schiacciarlo con lo stivale.
“Messaggio
ricevuto?” Urlò nella strada semi deserta. Bear guaì piano accanto a lei,
preoccupato dalla sua rabbia e Shaw si abbassò per fargli qualche carezza. “Ha
ingannato anche te non è vero?” Sospirando si tirò in piedi. Doveva trovare un
posto dove dormire, un posto ben lontano da lì.
Root
osservò il proprio volto allo specchio, le lacrime si erano seccate, ma il
dolore per la reazione di Shaw era ancora lì a pesarle sul cuore. Con la mano
andò a cercare la cicatrice dietro l’orecchio poi si specchiò cercando di
trovarla, ma non c’era. Allora si toccò il braccio sinistro, Shaw le aveva
sparato in quel punto e a lei piaceva quella piccola cicatrice, le piaceva
anche quella dall’altro lato del corpo cinque centimetri più in basso della
clavicola procurata da un proiettile di un agente di Decima, ma curata dalle
mani di Sameen. Vi erano i proiettili di Martine e
infine avrebbe dovuto esserci quello da 6,5 mm del cecchino, Jeffrey Blackwell. Eppure il suo corpo era perfetto, immacolato,
come se tutto ciò non le fosse mai successo.
Si
rivestì lentamente, cercando di non cancellare da sé stessa l’odore di Shaw,
poi, per la prima volta da quando vi era uscita tra le braccia di Sameen, rientrò nella stanza in cui si era svegliata priva
i memoria e semi congelata.
I
computer erano spenti, ma non appena lei si avvicinò si riavviarono. Root si sedette guardandosi attorno, analizzando ogni
dettaglio poi si mise al lavoro sui dati registrati negli hardware.
Qualche
ora dopo si lasciò ricadere contro lo schienale della sedia. Ora sapeva, per
quanto fosse impossibile, per quanto lo credesse assurdo, sapeva. I dati dei
computer non potevano essere falsi.
Doveva
parlare con Finch e a lui quella storia non sarebbe
piaciuta per niente.
Prima
che chiedesse, nell’orecchio sentì la voce assonnata di Harold.
“Sì?”
“Ciao,
Harold, scusa l’ora, ma… abbiamo un problema.”
“Root?” Chiese confuso l’uomo.
“Sì
e no. Ho recuperato la memoria, ma devo parlarti, subito.”
“Va
bene…” Finch sembrava ancora un po’ confuso. “Tra
mezzora alla tavola calda tra la nona e la sesta, va bene?”
“Sì.
A dopo Harry. Saluta Grace da parte mia.” Sentì l’uomo mugugnare ancora
qualcosa poi la linea fu interrotta. Root sospirò
voltandosi a guardare l’appartamento in cui aveva vissuto con Shaw nell’ultima
settimana.
Con
la consapevolezza che aveva adesso sorrise nel pensare a Shaw che si spogliava
per scaldarla, ci sarebbe stato spazio per così tanto flirt, poco importa se
era ad un passo dalla morte per congelamento. Era persino venuta a fare
shopping con lei, chi lo avrebbe mai detto. Di nuovo sorrise poi i ricordi
della serata le cancellarono quell’espressione dalla faccia. Shaw era davvero
arrabbiata, dopo le torture che aveva subito quando era nelle mani di Samaritan aveva bisogno di certezze, di stabilità, di
verità ed era ovvio che lei non aveva potuto dargliele, non ancora almeno. Ma
una volta che avesse saputo la verità, cosa avrebbe fatto? L’avrebbe respinta?
Non poteva escluderlo, ma di certo non era pronta a lasciarla andare, si
sarebbe battuta per Sameen. Sempre.
Con
quella nuova consapevolezza prese una giacca e uscì per incontrare Finch.
“Aspetta,
cosa ha fatto?” Finch la guardava ad occhi sgranati.
Malgrado fosse stato svegliato in piena notte aveva indossato i suoi soliti
abiti eleganti e appariva estremamente vigile. Root
si strinse nelle spalle alla sua domanda retorica. Gli aveva spiegato ogni cosa
e l’uomo sapeva perfettamente cosa la Macchina avesse fatto. “Non è possibile…”
“Ho
sempre detto che la tua creatura era piena di potenziale inespresso.”
“Ma
questo… questo va contro tutto quello che…”
“Proteggere
la vita umana. È questo quello che le hai insegnato.” Finch scosse la testa sconcertato. “Io ora sono qui grazie
a lei.” Le ricordò allora Root e lui sospirò.
“Come
si sente, signorina Groves, con questa nuova
consapevolezza?”
“Non
mi sento diversa.” Affermò Root stringendosi di nuovo
nelle spalle. “Non so come abbia potuto funzionare, ma io sono io.”
“E
la signorina Shaw?” Root abbassò la testa fissando il
bicchiere di caffè che aveva davanti. “Oh.” Mormorò Finch
dispiaciuto. “Capirà.” Le disse poi, cercando di consolarla.
“Non
ne sono sicura, non so neanche se vorrà ascoltare.” Affermò però lei, girando
il cucchiaino.
“Quello
che c’è tra voi non può essere ignorato, la signorina Shaw lo capirà.” Ribatté
allora lui, posandole una mano sulla sua.
“È testarda.” Ricordò Root.
“Se
non ricordo male anche lei lo è, signorina Groves.” Root alzò gli occhi e incontrò il sorriso di Finch, sorrise a sua volta cercando di trarre confronto
dalla gentilezza dell’uomo.
“Non
posso perderla di nuovo.”
“Lo
so, lo so.” Mormorò lui comprensivo. Rimasero in silenzio per alcuni istanti
poi Root gli fece un sorriso.
“Cosa
le dirai?”
“Credo
che la Machina sappia già cosa penso… ma voglio che mi spieghi perché ha fatto
una cosa simile, devo capire e spiegarle perché è…” Si interruppe e Root fece un sorriso amaro.
“Sbagliato?
Eppure Harold sono qui e a me non sembra sbagliato.”
“Sì,
temo che la Macchina abbia preso molto di lei.” Finch
storse la bocca scontento. “Ma credo di sapere perché lo ha fatto. Lei
signorina Groves è la sua voce, la sua paladina, lei
crede profondamente nella Macchina e la Macchina ha sviluppato un amore
particolare nei suoi confronti, non voleva perderla e così ha agito come ha
agito.” Root piegò la testa di lato sorridendo.
“Vuoi
dirmi che ha agito come un essere umano? Lasciandosi andare ai sentimenti?” Il
suo sorriso ironico si allargò. “E tu Harry che temevi diventasse come Samaritan! Un dio vuoto e spietato.”
Un
telefono appeso alla parete suonò ed entrambi si voltarono a guardarlo.
“Credo
sia per te Finch, a me mormora nell’orec…” Si bloccò perché la Macchina le stava parlando. “Sameen.” Disse soltanto alzandosi dal tavolo gli occhi
spalancati. Finch con l’orecchio contro la cornetta
batté le palpebre sorpreso a sua volta dal messaggio.
“Il
detective Fusco.”
Shaw
si guardò attorno, era già stata un paio di volte nell’appartamento di Fusco, la
seconda volta aveva dovuto sparare a uno dell’HR, era stato divertente. Certo,
meno divertente sapere che Lionel era praticamente morto visto che lei aveva
scelto di salvare il bambino.
Ora
invece era seduta al tavolo di cucina con una birra davanti.
“Vuoi
parlarne?” Le chiese Fusco che le aveva aperto la porta in mutande e
canottiera, pronto ad andare a dormire.
“No.”
“Capisco.”
Fusco bevve un sorso dalla sua bottiglia di birra, prima di aggiungere: “Sembrava
andasse tutto bene tra te e miss Pazzerella. Anzi, direi molto bene vista la
fretta con cui ci avete sbattuto fuori casa…”
“Lionel,
stai zitto.” L’uomo annuì, rimanendo in silenzio, capendo che Shaw era davvero
turbata da qualcosa e doveva essere qualcosa di grosso se si era messo tra
quelle due.
“Tuo
figlio sta bene?” Chiese dopo un po’ Shaw sorseggiando la birra.
“Sì,
è dalla madre adesso, io lo vedo solo per i week end e i giovedì lo porto a
giocare a hockey.”
“Posso
dormire da te?” Fusco rimase un secondo spiazzato, poi sul volto si aprì un
grande sorriso. “Non ci provare.” Tentò di stopparlo Shaw.
“Finalmente
ti sei resa conto del mio fascino?” Gli occhi di Shaw si assottigliarono e il
detective rise. “Non so mai se stai per spararmi per davvero o se la tua è solo
scena.” Affermò finendo la sua birra. “La camera di mio figlio è libera, puoi
dormire lì. Non toccare le sue cose.”
“Ti
sembro una che tocca i giochi di un bambino di undici anni?” Le chiese allora
Shaw.
“Ha
una collezione di carrarmati in miniatura.” Affermò l’uomo alzandosi dal tavolo
e nel vedere lo sguardo di Shaw farsi curioso ripeté: “Non toccare niente.”
“Ok,
ok.”
“E,
Shaw…”
“Sì?”
“Risolvi
i tuoi problemi con Coco Puffs, quella ragazza è
sempre stata pronta a tutto per te.”
“Lo
so. Ma…” Si bloccò, come spiegare qualcosa che non capiva lei stessa? Scosse la
testa e Lionel annuì comprensivo, poi tornò nella sua camera e lei entrò in quella
di Lee.
Si
stese sul letto, la finestra non era perfettamente chiusa e le luci della città
vi entravano, così poté ammirare la collezione del bambino. A Root sarebbero piaciuti i carrarmati, lei amava le armi
grosse e cosa c’era di più grosso… si fermò, quel pensiero era assurdo, non le
importava cosa piaceva a Root. Le sarebbe importato
se fosse stata viva si corresse, ma lei era morta. Allora perché aveva il suo
profumo addosso? E perché se chiudeva gli occhi vedeva il suo sorriso e i suoi
occhi illuminarsi per lei?
In
un gesto oramai divenuto un tic alzò la mano sinistra cercando il chip che non
c’era mai stato. I suoi occhi si chiusero e lei sentì il dolce respiro di Root sulle labbra, le sue mani che la accarezzavano, la sua
voce, cambiata dal piacere, che gemeva. Diavolo! Si alzò mettendosi le mani nei
capelli. Cosa poteva fare per dimenticarla? Aveva lottato con Samaritan per vendicarla, aveva ucciso Blackwell,
perché non poteva lasciarla andare? Forse perché non era morta. Spense quella
vocina nella testa e strinse i pugni, aveva disperatamente bisogno di picchiare
qualcuno.
Si
addormentò tormentata, ma in piena notte si svegliò, improvvisamente allerta.
Qualcuno stava tentando di forzare la porta d’entrata, poteva chiaramente udire
l’attrezzo che sfregava contro il metallo. Shaw sorrise, per una volta il suo
desiderio era esaudito in tempo di record, avrebbe rotto qualche ossa.
Si
alzò e udì un tonfo nella camera di Lionel. Perplessa si voltò e una stilla di
dolore le penetrò nel collo. Aprì la porta, ma non riuscì a varcare la soglia,
Bear era a terra, una freccia piumata attaccata addosso.
“Io
vi amm…” Il buio la avvolse prima che potesse dire
altro.
Note
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, malgrado sia un capitolo di passaggio… nessuna nuova idea su cosa ha combinato la Macchina? La risposta arriverà nel prossimo capitolo!
Le cose sembrano mettersi di nuovo male, chi avrà preso di mira Fusco e Shaw? Root e Finch riusciranno a intervenire in tempo?
Grazie mille per i commenti, sono felice che la storia vi piaccia e che vi intrighi!
A presto, ciao ciao.