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Autore: Ksanral    28/04/2009    1 recensioni
Tutto cominciò quel giorno, il 19 gennaio. Lo ricordo precisamente. Se quel dannato giorno fosse stato completamente cancellato dal calendario e gli avvenimenti fossero eliminati con lui, tutto questo altrimenti non sarebbe successo.
~ Jasper Hale ~
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jasper Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 ~ Vergogna

Tutto cominciò quel giorno, il 19 gennaio. Lo ricordo precisamente. Se quel dannato giorno fosse stato completamente cancellato dal calendario e gli avvenimenti fossero eliminati con lui, tutto questo altrimenti non sarebbe successo.
Dopo una lunga e noiosa mattinata in quella prigione per adolescenti chiamata scuola, era arrivato il momento peggiore: l’ora di pranzo. Odiavo con tutte le mie forze l’ora di pranzo. Nella pausa pranzo eravamo costretti a fingere più del resto della giornata, a star a guardare i nostri vassoi pieni di cibo che non avremmo mai toccato; cibo che, per dirla tutta, ci dava la nausea. Ma non era solo per quello che la pausa pranzo era il momento peggiore. In quella misera ora, si radunavano tutti gli studenti. Tutti. I loro odori pungevano le nostre narici, bruciavano le nostre gole, facevano contrarre i nostri muscoli.
I miei fratelli, seduti accanto a me, mia sorella e la mia compagna, sedute di fronte riuscivano a resistere a quelle sensazioni, traendone solo un leggero fastidio, ma per me era diverso. Io sentivo i loro odori, si mischiavano tra loro creando una fragranza irresistibile, ma li sentivo anche separati l’uno dall’altro, ad ondate raggiungevano i miei sensi e mi stravolgevano.
Io non ero forte come gli altri membri della mia famiglia. Non ero abituato quanto loro a resistere. Ero abituato a gratificazioni immediate. Ero abituato al pulsare delle vene sotto le labbra, al sapore del sangue sulla lingua. E la mensa era il mio inferno. Soffrivo. E il peggio era che Alice lo sapeva. Non potevo nasconderglielo, non potevo fingere con lei. Bastava che la guardassi per un istante e lei capiva.
In quel momento una studentessa, si fermò al tavolo più vicino al nostro, a parlare con un’amica. Nel gesto più naturale possibile si ravvivò i capelli ed un’ondata del suo odore, impetuosa quanto una tempesta, mi investì completamente. Mi fu impossibile non abbandonarmi alle fantasie. Mi vedevo alzarmi, con gesti misurati, lenti, umani. Vedevo i miei fratelli scambiarsi occhiate allarmate, ma le ignoravo e mi allontanavo dal tavolo per raggiungere la ragazzina. Le arrivavo alle spalle, pregustando la vittoria. Sorridevo all’amica che mi guardava stupita e mi chinavo su quella ragazzina, come per sussurrarle qualcosa all’orecchio. Un fiotto di veleno mi invase la bocca, un incentivo in più ad agire. Mi vedevo posare le labbra sul suo collo, sentire il flusso del sangue che scorreva per l’ultima volta nelle sue vene e poi… Poi Edward scalciò la mia sedia. Incrociai il suo sguardo per un attimo. Spesso non facevo caso al fatto che lui poteva sentire ogni mia fantasia, ma le volte come quella non riuscivo a non odiare me stesso.
«Scusa» mormorai e lui si strinse nelle spalle.
«Non ci saresti riuscito» mormorò Alice, non alzai lo sguardo ad incrociare il suo «Cercare di vederli come persone aiuta» continuò, troppo veloce perché altri, oltre noi potessero sentirla «Si chiama Whitney. Ha una sorellina appena nata che adora. Sua madre ha invitato Esme a quella festa in giardino, ricordi?»
«So chi è.» le risposi secco, mio malgrado. Non riuscivo a sopportare quando cercava di consolarmi in quel modo, per quanto non mi piacesse risponderle male. Presi a guardare fuori, attraverso le strette finestrelle quasi all’incrocio tra la parete e il soffitto. Sapevo di aver bisogno di cacciare, ma sapevo anche che se non mi fossi messo alla prova in quel modo, non sarei mai riuscito a resistere.
Sentii Alice alzarsi e allontanarsi, aveva capito che non volevo quella consolazione. Cercai di ritrovare la concentrazione, di evitare di pensare a tutte quelle presenze umane in quella piccola mensa.
Mancava poco, in fondo, alla fine della pausa pranzo.
Fu Rosalie a mettere interrompere la mia dose di tortura giornaliera. «Andiamo?»
«Allora, la nuova ha già paura di noi?» domandò Emmett ad Edward, ma non ci diedi troppo peso.
Ci alzammo tutti insieme, svuotammo i vassoi e tornammo alle nostre lezioni. Lì era più facile resistere. C’erano meno persone, ma soprattutto tutti intorno a me provavano una certa noia. Io sentivo, subivo, le loro sensazioni e, in qualche modo, la loro noia mi frenava. In mensa invece esplodevano sollievo, eccitazione, allegria. Passai distratto la prima ora e mi stavo per dirigere nell’aula della successiva, ma Alice mi aspettava in corridoio. Incrociai il suo sguardo, sorrideva. Aveva già dimenticato il piccolo diverbio di poco prima. Le sorrisi, non potei farne a meno, era la luce dei miei occhi. Percorremmo il corridoio insieme, uno affianco all’altra. La salutai con uno sguardo ed entrai in classe per l’ultima ora. Passò in fretta quell’ora. Non appena suonò la campana, sgattaiolai via e raggiunsi la macchina.
Ci sedemmo tutti, ad aspettare Edward.
«Stasera voglio la rivincita.» irruppe Emmett, interrompendo il silenzio. La sera prima l’avevo battuto in un incontro di wrestling ed ora voleva la rivincita, ma non ero dell’umore.
«No, Em, stasera no.» mi limitai a dirgli.
In quel momento Edward aprì la portiera ed entrò tossendo.
«Edward?» Alice si era allarmata, avevo sentito sorgere la sua preoccupazione nello stesso istante in cui avevo percepito il tormento di Edward.
«Che diamine è successo?» anche Emmett si preoccupò, anche se molto meno di Alice. Edward ignorò entrambi e si allontanò in fretta dalla scuola.
Guardai Alice, per cercare di capire cosa avesse scatenato il tormento di Edward. Anche Rose ed Emmett guardavano lei, che come noi ignorava la causa. La vidi perdersi per qualche istante, il suo sguardo si fece vacuo e si allontanò miglia e miglia nel tempo e nello spazio: stava scavando nel futuro di Edward. Sentii la sorpresa di Alice per quello che scorse e la vidi tornare in sé ed osservare il fratello.
«Te ne vai?» gli sussurrò.
Tutti spostammo lo sguardo su di lui.
«Me ne vado?» rispose lui altrettanto sorpreso.
Alice vide qualcos’altro. Edward doveva aver cambiato idea.
«Ah» mormorò poi vide qualcos’altro ancora.
«Ah» ripeté. Mi infastidivano queste conversazioni private, non riuscivo a capire cosa stesse succedendo e sentivo l’apprensione crescere.
«Basta!» ringhiò Edward, che ovviamente aveva seguito l’evolversi del suo futuro nella mente di Alice.
«Scusa» le rispose lei, sgranando gli occhi. Tornò ad osservare il futuro e quello che vide la calmò un po’.
«Mi mancherai» sussurrò Alice, con un sorriso mesto «Anche se torni presto.»
Emmett e Rosalie si scambiarono un’occhiata, erano preoccupati, lo sentivo.
Eravamo vicini alla svolta del viale che conduceva a casa.
«Lasciaci qui,» ordinò Alice «meglio che parli tu stesso con Carlisle.»
Edward frenò di colpo. Emmett, Rosalie ed io scendemmo in silenzio. Non avevamo fretta, Alice ci avrebbe spiegato con calma.
Lei si attardò, sfiorò la spalla di Edward e gli sussurrò poche parole.
«Farai la scelta giusta. E’ l’unica parente di Charlie Swan. Sarebbe come uccidere anche lui.»
Alice ci raggiunse e noi corremmo, in silenzio, verso casa. Sentivo la preoccupazione di Rosalie ed Emmett, non sapevano cosa stesse succedendo, come me, e sentivo l’ansia di Alice, che malgrado conoscesse tutto era preoccupata per il fratello.
Quando entrammo nella grande casa bianca, tutti gli sguardi erano puntati su Alice. Esme, che ci aveva sentito entrare, ci raggiunse in salotto e capì subito che qualcosa non andava.
«Cos’hai visto?» chiesi calmo ad Alice.
«Prima ho visto che voleva lasciarci, andare via. C’erano alberi, strade, non era molto chiaro» lo sguardo di Alice era perso nel vuoto, ma non stava guardando nel futuro, ricordava. Era scossa, l’avrei capito anche senza le mie capacità. Le cinsi le spalle.
«Poi però ho visto perché voleva andar via» sospirò e un brivido la percorse, quando continuò la preoccupazione riempiva la sua voce musicale «L’ho visto… uccidere… la figlia del capo Swan. Lui è attratto dal suo profumo… ma più del solito.» scosse il capo, cercando di cancellare quel ricordo. Vedere il fratello diventare un assassino la faceva inorridire, faceva inorridire tutti noi.
«Poi però ha deciso di andarsene, non vuole essere un mostro. Andrà a Denali dopo aver parlato con Carlisle.» continuò, ritrovando lucidità.
Esme stava già singhiozzando, non era stato necessario nominare Edward per capire di chi stessimo parlando, era l’unico assente. Alice le si avvicinò e l’abbracciò cercando di confortarla. «Tornerà presto, l’ho visto.»
Emmett e Rosalie rimasero in silenzio, ma potevo sentire che lui si era tranquillizzato, sapendo che Edward aveva preso la decisione più ragionevole e Rose invece era irritata. Mi domandai perché, ma non glielo chiesi.
Quand’anche Carlisle fece ritornò dall’ospedale, la tensione dentro la casa era troppa. Esme era preoccupata, aveva passato tutto il tempo in camera sua. L’espressione di Carlisle, quando varcò la soglia, era afflitta, dispiaceva anche a lui che Edward si fosse allontanato. Alice era rimasta silenziosa, ci eravamo seduti tutti sul divano, lei aveva appoggiato la testa sulle mie gambe e aveva preso a fissare il vuoto. Ma sentivo la sua nostalgia. Il rapporto tra lei ed Edward era molto profondo. Rosalie era rimasta irritata ed Emmett era la mia isola di tranquillità. Tutta quella tensione mi dava fastidio. Sapevo che avrei potuto calmarli, ma sapevo anche che sarebbe stato temporaneo e praticamente inutile. Avevano bisogno di accettare la scelta di Edward autonomamente, attraversando – purtroppo per me – quei momenti di dolore.
Alice vide cos’avevo deciso di fare e si spostò lasciandomi alzare.
«Vuoi venire?» le domandai, abbozzando un sorriso. Lei scosse il capo, seria.
Sospirai ed uscii. Stare in casa mi avrebbe torturato, così avevo deciso di andare a caccia. Presi a correre, lasciando che ciò che mi circondava mi penetrasse nella mente e lavasse via tutti gli altri pensieri. Saltai il fiume, senza neanche accorgermene e mi diressi a nord, dove la foresta aveva il suo cuore. Respirai a fondo, cercando le tracce di qualcosa.

***


Per un’intera settimana, l’atmosfera nella casa rimase tesa. Sotto gli sguardi supplichevoli di Alice, fui costretto ad usare le mie doti per alleggerire la tensione. L’unico momento in cui la ansia calava era a scuola, dove la nostra messinscena aveva il suo massimo apice.
Nel cuore della notte di sabato, eravamo tutti riuniti in salotto.
Carlisle e Rosalie stavano giocando una partita a scacchi. Alice – che era appoggiata a me – ed io leggevamo un libro, mentre Emmett ed Esme guardavano la tv. Ad un certo punto, mentre stava per girare pagina, Alice si blocco tra le mie braccia, divenne immobile come una roccia ed anche senza guardarla, sapevo che i suoi occhi non vedevano più il salotto. Quando tornò tra noi, prima ancora di dirci cos’aveva visto, sentii la gioia che sprizzava e sorrisi.
«Sta tornando!» annunciò a tutti alzandosi di scatto in piedi e battendo le mani.
La casa si trasformò; dalla tensione e tristezza si passò in un istante all’impazienza e l’allegria. Alice prese a camminare avanti e indietro per tutto il salotto. Esme la seguiva con lo sguardo. Emmett aveva smesso di guardare la tv, soltanto Rosalie e Carlisle continuarono la partita. Io chiusi il libro e seguii Alice con lo sguardo.
«Alice, ha appena deciso di tornare, non vorrai continuare così finché non arriva… ci vorranno delle ore…» le dissi senza convinzione dopo un quarto d’ora che si muoveva a velocità inumana.
«Perché no?! Puoi anche non guardarmi se vuoi Jazz…» fu la sua unica risposta.
Per tutta la notte le cose non cambiarono. Appena il sole sorse, però, tutti ci fermammo e puntammo lo sguardo verso la porta d’ingresso in un unico gesto. Avevamo sentito tutti il rumore del motore della Mercedes di Carlisle, che svoltava dalla statale per imboccare il viale sterrato che portava a casa.
Poco dopo, Edward parcheggiò davanti all’entrata, salì lentamente le scale ed aprì la porta. Appena entrò, sentii la sua vergogna e il suo senso di colpa. Erano le emozioni più forti in tutta la stanza, persino maggiori dell’allegria e sollievo che provavamo noi. Feci arrivare a lui un’ondata di serenità, calmando forzatamente le sue emozioni.
Un regalo di bentornato. Pensai, mentre lui accennò un sorriso, che fu subito oscurato da Alice, che gli saltò addosso e lo abbracciò. «Bentornato!!» strillò «Oh, mi sei mancato così tanto Edward! Anche se sapevo che saresti tornato… ma… insomma… Bentornato…!»
«Grazie, Alice.» gli rispose sommessamente, facendola tornare a terra.
   
 
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