Capitolo VI
Protetti dal buio
Senza ulteriori indugi da parte nostra, il viaggio di ritorno verso casa era iniziato. Eravamo stanchi, ma non abbastanza da avvertire il bisogno di fermarci o riposare, che ignoravamo con coraggio e prodezza al solo scopo di tornare indietro e rivedere la nostra amata figlia. Il mio pensiero continuava ad andare a lei, e l’immagine del suo viso angelico mi balenava in mente. La immaginavo felice e contenta di rivederci, mentre correva a piedi nudi per casa al fine di raggiungerci e abbracciarci entrambi. “Sto arrivando, piccola mia.” Mi dissi, continuando a camminare e ignorando stavolta anche il freddo vento che la sera aveva portato con sé. Il tempo passava, e nell’aria si spandeva l’odore della pioggia. A quanto sembrava, un temporale non avrebbe tardato ad arrivare, e con il cuore colmo d’ansia, mi stringevo nei miei abiti, avvicinandomi a Stefan con la precisa intenzione di lasciarmi abbracciare e guadagnare il calore che perdevo costantemente. In quel momento, non avevo desiderio dissimile dal tornare a casa, e tremando per il freddo e la paura di non farcela, fissavo il mio sguardo sulla mia piccola bussola. Piccola, certo, ma profondamente affidabile. La guardavo con insistenza, mentre Stefan era impegnato a leggere la mappa che ci avrebbe condotto a destinazione. Per pura fortuna, Basil lo aveva istruito a dovere su come fare, e fra un passo e l’altro, mi sentivo sempre più sicura. Ce l’avremmo fatta, e con il passare del tempo, ne fui completamente certa. Non accennavo a fermarmi, ma lo sforzo eccessivo mi stava privando della forza d’animo che era solita caratterizzarmi. Trascinavo quindi i passi, ed ero così stanca da faticare perfino a parlare. Biascicando il nome del mio amato, andai alla disperata ricerca di conforto, e sentendo una strana stretta al cuore, mi accasciai fra le sue braccia. “Siamo quasi arrivati, resisti.” Mi pregò, guardandomi negli occhi semichiusi e ora privi del loro naturale splendore. “Stefan, mi dispiace, ma non ce la faccio. Devo riposare.” Frasi strascicate e difficilmente comprensibili, che il mio amato ascoltò senza proferire parola. “Ce l’abbiamo quasi fatta, ti prego, rialzati.” Una seconda preghiera che raggiunse le mie orecchie infondendomi il coraggio che avevo perso assieme alle mie energie, e che parve tornare solo in quel momento. Stringendogli la mano, mi rimisi faticosamente in piedi, ma perdendo nuovamente l’equilibrio, caddi in terra. “Rain!” mi chiamò, con la voce rotta da un misto di dolore e preoccupazione. Avrei davvero voluto rispondere, ma da parte mia neanche un anelito di vita. Ero ancora viva, ma troppo stanca per muovermi. Ferma, inerme e incosciente, ma comunque in grado di sentire lo scrosciare della pioggia bagnarmi inesorabilmente il corpo. Ero terrorizzata. Mi sentivo sul punto di morire e lasciarmi andare, ma fu aprendo gli occhi che li vidi. Due loschi individui dal volto coperto e incappucciato. Contrariamente a me, Stefan era ancora in piedi, e utilizzando il piccolo pugnale trovato nel mio zaino e regalatomi da mia madre, cercava di difendermi. “Lasciatela stare!” gridò, agitando quella daga al solo scopo di spaventarli e provocare la loro fuga. Tentativo eroico, ma sfortunatamente vano. Difatti, quei due bruti si impadronirono della sua arma, e un fendente raggiunse il suo stomaco. Paralizzata dalla paura, chiusi gli occhi di fronte a quell’orribile spettacolo, e fingendomi sapientemente morta, temetti il peggio. Erano loro, i Ladri. Ci avevano trovati, e forse ci avrebbero torturati o perfino uccisi. Non ero sicura di quanto sarebbe potuto accadere quella notte, ma una certezza si faceva largo nel mio inconscio. Avrebbero potuto agire indisturbati, poiché protetti dal buio e dall’oscurità di un giorno che aveva ormai raggiunto il suo culmine.