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Autore: Nebul_a    20/08/2016    1 recensioni
La donna si asciugò con gesti secchi gli occhi arrossati e sorrise con dolcezza. Con molta semplicità spiegò la sua reazione.
-Il mio nome è Taanipu, ragazzo, e sono tua madre.-
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-S... Sei s...stata... sco... scorretta!- mormorò senza fiato e la voce strozzata.
-E tu, un povero sciocco!- sibilò con l'amaro tono di chi aveva ragione assestandogli un colpo ben mirato.
Dopodiché per Trunks ci fu solo buio.
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E se quel che credono tutti, non fosse vero? E se ci fosse un inaspettato ritorno? I guerrieri torneranno a combattere, ma le loro vite non saranno più le stesse.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Pan, Trunks, Un po' tutti, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ebbene sì, avete letto bene, questo è proprio l'ultimo capitolo di Ritornano. Deve esserlo per forza perché il tema del ritorno dei saiyan è stato sviluppato abbondantemente; il racconto ormai ha preso la strada maestra e altri temi saranno più importanti e non possono essere tratta in questo contesto. si è fatto attendere a lungo ma quest'ultimo anno è stato difficilissimo, scrivere per me è diventato molto difficile, tuttavia mi riprometto di rispettare la scadenza di un mese tra un capitolo e l'altro. 
Infine, un piccolo commento sul capitolo: questo è stato forse il più difficile da scrivere da un punto di vista emotivo, ho affrontato, come vedrete, un tema non facile, spero che comunque il risultato sia di vostro gradimento. E' un capitolo quasi interamente dedicato ad Arani, uno spazio che mi sono presa per farvi conoscere un po' meglio la sfuggente principessa.
Con questi due ultimi capitoli ho cercato di farmi perdonare per la mia lunga assenza, ma potete constatare che la storia non è stata abbandonata, tutt'altro. Spero ne siate felici e ringrazio anticipatamente chi leggerà e chi vorrà farmi sapere la sua, in positivo o in negativo. 
Un abbraccio
Nebula


Ghiriba

Ghiriba, così lo aveva chiamato la feccia che aveva avuto “l’onore” di accompagnarla nel luogo predisposto per il suo lungo e, probabilmente, eterno esilio. In un primo momento aveva contratto la fronte scettica, non capendo per quale ragione i soldati di Sika non facevano altro che ripetere quella parola saiyan, ghiriba. Poi un sorriso appena accennato aveva stirato le sue labbra e aveva compreso. Era il nome che Sika aveva dato alla sua prigione; il pianeta, del resto, era nel suo territorio e aveva tutto il diritto di dare ad esso il nome che più gli sembrava adatto. Un nome preso dalla lingua saiyan, forse per ricordarle casa, ma molto più probabilmente era per non farle dimenticare, in nessun momento, il motivo per cui si trovava lì e per cui vi avrebbe passato il resto della sua vita. Gabbia. Non si poteva di certo negare la raffinatezza di quella scelta: pronunciando quel nome avrebbe udito suoni familiari che sapevano di casa, ma nel contempo avrebbe sentito perennemente il gusto amaro della sconfitta e dell’umiliazione. 
Il modo in cui i soldati di Sika l’avevano lasciata sul pianeta, la faceva sorridere tutt’ora, anche a distanza di tante settimane. Era stata scortata dall’élite dell’esercito del governatore con a seguito una piccola flotta di navicelle che aveva monitorato tutti i suoi spostamenti da una distanza di sicurezza. Tutti quei preparativi solo per lei l’avevano, a dir poco, lusingata; soprattutto se si considerava la paura che aveva visto nei loro occhi, un  cupo terrore che veniva scarsamente celato da quei guizzi d’intelligenza che voleva ricordare loro che lei era una sola contro duecento. Eppure, nemmeno quel numero spropositato e la consapevolezza che l’élite di Sika sapeva il fatto suo in battaglia, era bastato a tranquillizzarli. Per ogni istante che aveva passato con loro, in manette, li aveva visti ritti e all’erta, e quando uno dei dieci, che la controllavano a vista d’occhio, era troppo stanco per assicurare la sua massima attenzione, veniva prontamente sostituito.
Con tutti quegli occhi fissi non si era nemmeno potuta appartare per soddisfare alcuni bisogni fisiologici. Eppure erano loro a tremare. Quello probabilmente sarebbe stato l’ultimo ricordo “glorioso” che avrebbe potuto portarsi dietro.
L’avevano lasciata nel bel mezzo di una pianura per essere bene in vista durante le loro manovre per il rientro, e aveva potuto liberarsi delle catene solo cinque ore dopo quando, presumibilmente, le navicelle erano troppo lontane per poter vedere in lei un pericolo. Da quel momento in poi era rimasta sola.
 
Arani osservava il proprio viso riflesso in una pozzanghera che si era formata ai piedi di un grande albero a causa delle recenti piogge. La sua fronte era corrugata ma il suo sguardo era spento. La noia la stava privando delle forze con più successo di uno scontro all’ultimo sangue; e la noia era diretta conseguenza di quel pianeta come ormai aveva imparato a capire dopo lunghe e interminabili settimane di permanenza. Una delle prime decisioni che aveva preso era stata proprio quella di tenere il conto dei giorni per non rischiare di impazzire, ma man mano che il tempo passava, aveva sempre più l’impressione che fosse qualcosa di assolutamente inutile, probabilmente avrebbe smesso molto presto.
Ghiriba era un luogo orribile, praticamente impossibile da abitare per una saiyan di Leyva. Era un pianeta molto piccolo la cui gravità era sostanzialmente ridicola se paragonata a quella della sua terra natia: i suoi muscoli avevano avvertito immediatamente la differenza e per quando lei tentasse di tenerli attivi con un allenamento continuo, essi perdevano tonicità con una velocità sconvolgente. Era un pianeta verde e ricco di laghi e fiumi e qualche “stagno” un po’ più grande a fungere da mare. La saiyan non aveva mai visto un pianeta così ricco di acqua in vita sua. Alla fin fine quello poteva essere anche un pregio, di fatto l’unico. Era un pianeta assolutamente privo di animali feroci; sia per terra che per mare, non aveva incontrato nessuna creatura degna della sua attenzione. Combattere con qualche bestia feroce come le creature di Leyva sarebbe stato un toccasana per i suoi nervi e il suo corpo. Quel pianeta troppo verde e lussureggiante, per i suoi gusti, non le offriva praticamente nulla per potersi né divertire né allenare. L’unica creatura che aveva incontrato e con cui aveva sperato di iniziare una lotta, era un gigante vegetariano e nomade, troppo lento e stupido per poterlo considerare alla sua altezza. La prima cosa che quell’idiota bonaccione aveva fatto nel vederla era stato sorriderle e offrirle uno di quei frutti enormi di cui si cibava, quasi a darle il benvenuto. La delusione era stata tale da averle annebbiato la mente, accompagnata dall’impulso quasi irrefrenabile di distruggere qualsiasi cosa dinanzi a sé e rendere quel maledetto luogo un deserto di cenere; in quel modo si sarebbe veramente sentita a casa. Non lo aveva fatto, uno spreco di energie e poi quella creatura poteva in qualche modo esserle utile e, di fatto, non si era sbagliata.
Ben presto si era ritrovata a stringere un legame con quel gigante buono, poteva considerarlo suo amico o qualcosa del genere. Le era stato utile perché l’aveva aiutata a scegliere un buon luogo dove costruirsi una dimora e le era stato utile nella costruzione vera e propria.
Aveva scelto un gruppo di alberi che intrecciavano i rami a formare una base solida e regolare. Lì aveva ancorato delle travi che aveva ricavato dai tronchi di alberelli giovani e, dopo non molto tempo, era riuscita a metter su una casetta piuttosto comoda per le sue necessità: aveva ricavato due stanze, in una dormiva e nell’altra mangiava. Proprio sotto gli alberi vi era un rigagnolo, da cui poteva prendere acqua a volontà, e che, poco più sotto, s’immetteva in uno stagno in cui vi era pesce in abbondanza. Eppure non erano la vicinanza all’acqua o al cibo che le avevano fatto scegliere quel luogo: vicino al gruppo di alberi su cui aveva fabbricato la sua dimora, vi era una grotta sotterranea in cui si gettava un fonte di acqua termale. Lì poteva rinnovare la sua antica abitudine e l’unico privilegio che veramente apprezzava dell’essere una principessa; mancavano le cure e le inutili preoccupazioni di Tata, ma almeno aveva l’acqua calda.  
Nel giro di poche settimane aveva costruito una nuova quotidianità che spesso le veniva a noia e, ancora peggio, le lasciava molto tempo per riflettere, pensare, lasciarsi andare ai ricordi, di fatto, soffrire.
Trovare cibo e acqua era molto facile, soprattutto se si considerava il fatto che con il gigante aveva quasi stabilito un accordo: lui le portava frutta e verdure e lui gli procurava le uova di uccelli che vivevano nelle parti più ripide del grande vulcano che sovrastava la terra emersa più grande del pianeta.
Risolto questo problema, oltre a qualche battuta di caccia e l’allenamento mattutino, le rimaneva tanto, troppo tempo libero. Tempo per ricordare per l’appunto.
Il momento peggiore era proprio il bagno: delizia e tortura ad un tempo.  Usava farlo nel pomeriggio inoltrato, poco prima che il sole tramontasse, ma a volte a causa del flusso di quei pensieri rimaneva immersa per molto più tempo.
Arani si tolse gli abiti e scivolò con delicatezza nelle acque della grotta e lasciò che il suo corpo si rilassasse grazie alla carezza calda dell’acqua. Sospirò e chiuse gli occhi, pregando che anche la sua mente sciogliesse la tensione come il corpo e la lasciasse libera da pensieri tristi. Naturalmente non fu così, non lo era mai.
Tuttavia quella volta le immagini che le balzarono in mente furono diverse dal solito; non erano battaglie e lotte, oppure immagini dei membri della sua famiglia o della sua squadra, ma era l’immagine dell’unica persona a cui ancora non aveva rivolto un solo pensiero da quando era arrivata lì. Il suo ex futuro sposo, Zerak. Quel pensiero le strappo un ghigno sardonico: chissà come si sentiva dopo che lei aveva fatto sfumare la sua unica possibilità di diventare Chys.
A volte si chiedeva se lo avesse mai veramente amato: aveva provato desiderio, questo era certo, accecata dalla sua bellezza selvaggia, ma questo non era mai stato sufficiente ad annebbiarla completamente, non aveva dimenticato mai, nemmeno per un momento, quale disegno c’era dietro alla loro unione e questo era sempre stato un ostacolo tra loro. Il desiderio del padre di Zerak e della sua stessa madre era lampante: la loro unione avrebbe potuto interrompere la scia di odio che legava le loro famiglie, dal momento in cui l’ascesa al potere di Kea aveva estromesso Ghebar e gli altri membri dell’élite di Vegeta-sei. Per anni la famiglia di Zerak e suo padre Ghebar era stata sul punto di iniziare una sommossa contro Kea, ma la sovrana s’era sempre dimostrata troppo più forte per poter dar loro qualche speranza di riuscita. Lei era la persona che avrebbe potuto ristabilire la pace interna; adesso, semplicemente, aveva mandato tutto a puttane. Non solo aveva privato Kea della sua erede designata, ma anche di altri tre dei guerrieri più forti di Leyva, tutto per inseguire una vendetta impossibile da ottenere.
Un sorriso triste stirò le sue labbra, tuttavia dal suo riflesso nell’acqua vedeva più un ghigno storto a deformarle i lineamenti: voleva ricacciarlo indietro, nei meandri della sua anima, ma il dolore era insistente e veniva fuori in maniera improvvisa e inaspettata. Era pentita? Non avrebbe saputo dirlo.  Avrebbe rifatto quelle follie? Probabilmente sì. L’unica cosa che avrebbe voluto non accadesse veramente era che anche i suoi compagni fossero implicati in quella follia; per il resto non avrebbe cambiato niente.
Scosse la testa tentando di ritrovare una lucidità che sembrava aver perduto e chiuse gli occhi per ritrovare la calma. Nella sua mente s’impose l’immagine di Zerak, il suo sorriso strafottente e il modo in cui la guardava convinto di possederla. Uno sguardo del genere non lo avrebbe perdonato a nessuno, ma a lui lo consentiva, grazie al fatto che era troppo più forte per poterlo temere veramente. Non poteva chiamare amore il loro rapporto, fatto più di lotte e umiliazioni, ma c’era stato certamente tanto desiderio, malamente nascosto dai baci ardenti che lui era riuscito a strapparle quando ancora pensava di poterlo amare. Se non fosse stato tanto stupido da tradirla, forse ci sarebbe anche riuscita. Eppure quell’idiota, proprio nel momento in cui lei aveva deciso di cedere, di provare a far funzionare le cose, lui aveva preferito sfogare i bassi istinti con un’altra. Scelta poco accorta per tanti punti di vista; ancora oggi a ripensarci si sentiva piccata, non tanto per la gelosia di aver condiviso con un'altra il suo uomo, quanto più per il suo orgoglio ferito: lei, la sharysia, la principessa, la saiyan più potente di Leyva dopo sua madre, era stata abbandonata per una sciacquetta qualsiasi. Questo non aveva proprio potuto perdonarglielo.
Le salì alle labbra una risata quasi folle, a metà tra un gemito e un riso amaro: aveva perso tutto, la patria la famiglia la libertà, e si era trovata a pensare a quel bell’imbusto senza palle; la noia giocava proprio brutti scherzi. Ancor peggiore il pensiero successivo: ricordando i baci che aveva scambiato con Zerak, non poté fare a meno di ricordare l’ultimo, datole alla festa che era stata preludio della fine; legato a quell’evento vi era un’altra sensazione che non era riuscita scrollarsi di dosso: il ricordo di quegli occhi così strani, eppure così magnetici del terrestre, figlio dello shar di Vegeta-sei. Sbuffò, quel giorno il suo cervello aveva proprio voglia di prendersi in giro, era uno spreco di tempo pensare a quei due, che non avrebbe rivisto mai più nella sua vita.
Decise che aveva passato fin troppo tempo in acqua e uscì, rivestendosi velocemente, riprese la strada per casa.
 
Il giorno dopo iniziò presto, prima degli altri, poiché la notte era stata turbata da numerosi incubi e da oscuri presentimenti. Inoltre quando aveva sentito la sua casa tremare a causa di uno dei tanti terremoti che in quel periodo stavano sconquassando la terra, aveva deciso che era inutile continuare a rimanere a letto, a cercare un riposo irraggiungibile. Poco prima dell’alba aveva deciso di lasciare il proprio letto e cominciare ad allenarsi, l’intenzione pareva quella di voler sfinire il corpo per zittire la mente. Una scelta in parte utile, ma l’allenamento non riuscì a calmare completamente il turbamento, che le si annidava nell’addome, a stringerle i visceri in una morsa. Fece una colazione particolarmente leggera per gli standard saiyan e decise di passare il resto della mattinata a esplorare il pianeta; ormai lo conosceva molto bene, ma non rinunciava alla speranza che anche un luogo tanto noioso potesse riservarle delle sorprese.
Mentre si spostava nella fitta boscaglia sentì un rumore molto forte e costante, che andava a diventare sempre più netto nella sua direzione. Raggiunse la punta di uno degli alberi più alti che si trovava ai piedi del vulcano e, ben nascosta dalle sue fronde, volse gli occhi al cielo. Riconobbe le famigliari strie lasciate dal passaggio di un gruppo di navicelle molto numeroso. Ebbe un colpo al cuore: la presenza di navicelle su quel suolo poteva significare due eventualità opposte, vita o morte. Non permise alla speranza che stava per nascerle nella mente di acquisire forza e darle gioia ma, al contrario, s’impose di rimanere calma e lucida, pronta a capire il da farsi e agire di conseguenza. Per sua fortuna prima di muoversi verso il luogo in cui erano probabilmente atterrate le navicelle, si accorse di una ritardataria che stava strinando il cielo proprio in quel momento; questa le permise di osservare il modello e i simboli che decoravano le sue fiancate, entrambi rimandavano all’esercito di Sika. L’eventualità dunque si riduceva a una sola: morte.
-Figlio di puttana doppiogiochista infame, ce ne hai messo di tempo per fare una mossa così banale…- sibilò, fissando caparbiamente il velivolo quasi a volerlo disintegrare con il suo solo sguardo.
Dopo il suo passaggio si ritirò nella boscaglia e iniziò a correre in direzione del luogo dell’atterraggio, doveva capire quale forza doveva affrontare per decidere la strategia migliore.
I soldati avevano scelto una pianura poco distante dalle pendici del vulcano, essa era stata occupata per quasi metà della sua estensione dalle navicelle e dalla soldataglia che stava scendendo; ne contò un centinaio o forse qualcosa di più. Cento uomini per la sua esecuzione, Sika voleva essere assolutamente sicuro della riuscita della missione. Affrontarli di petto avrebbe potuto soltanto dar loro un vantaggio e destinare lei ad una sconfitta sicura, doveva trovare il modo di farne fuori il più possibile senza sprecare eccessive energie. Guardandoli capì anche perché Sika aveva atteso tanto e l’aveva relegata in quel pianeta: la bassa gravità l’aveva pian piano indebolita senza la possibilità di fare nessun allenamento speciale. L’aveva preparata per essere distrutta.
Si sarebbero certamente divisi per cercarla e lei avrebbe approfittato del fatto, eliminando ad uno ad uno tutti i gruppi di ricerca. Il trucco era essere abbastanza rapida da evitare che da loro arrivasse un segnale di allarme alla centrale. Questo le avrebbe fatto guadagnare un po’ di tempo, ma l’assenza di segnalazione dai gruppi avrebbe presto destato i sospetti e questo le avrebbe messo alle calcagna l’intera forza nella sua interezza e a quel punto sarebbe stata sancita la sua fine. Perché, ebbene sì, lei non avrebbe lottato per la sua sopravvivenza, perché non aveva alcuna possibilità contro l’intera élite di Sika, ma almeno non sarebbe morta senza provocargli un ingente danno. Ogni uomo di quella forza scelta era educato fin da piccolo, erano macchine da guerra al pari dei saiyan e per questo non facilmente sostituibili.
Il piano andò come aveva previsto e forse anche meglio, visto che era riuscita a eliminarne ben una trentina prima che uno di loro riuscisse a dare l’allarme. A quel punto la battaglia era inevitabile.
L’alieno che non aveva fatto in tempo a uccidere, prima di spirare, era riuscito a dare indicazioni ai suoi, facendo sì che nel giro di pochi minuti sulla sua testa ronzassero tutte le forze in campo lanciate dal nemico. A quel punto non le era rimasto nulla da fare se non approfittare dell’ambiente circostante: il fatto di essere lei l’unica preda le consentiva il raro privilegio di scegliere il campo di battaglia e la fitta boscaglia che ricopriva quelle terre faceva al caso suo. Rimase a terra, senza mai prendere il volo, e questo costrinse i suoi inseguitori a inoltrarsi tra gli alberi e dividersi di nuovo. Nascondendosi tra le fronde, coglieva ogni occasione per eliminare i più avventati, coloro che avevano scelto di muoversi da soli. Evitava i ki-blast, poiché avrebbero potuto denunciare la sua posizione, usava piuttosto le mani per strangolare e una lama di ossidiana per tranciare arterie pulsanti. Con queste azioni a singhiozzo, riuscì a eliminarne un'altra ventina ma, poi la fortuna le volse le spalle. Mentre affondava la lama nella gola dell’ultimo soldato che aveva scovato a girovagare da solo, un forte ki-blast lanciato alle sue spalle la colpì facendola precipitare a terra. Lì venne bloccata da cinque alieni sulle cui uniformi recavano i sigilli del loro alto grado. Le misero con forza un paio di manette e la trascinarono nella pianura, dove gli uomini che erano riusciti a sopravvivere la circondarono fissandola con odio profondo.  Quello con più alto grado le si piantò innanzi, guardandola con un sorrisetto sardonico. “Farò in modo che l’ultima cosa che vedrai in questa vita sarà me, che ti sorrido allo stesso modo, faccia di culo.” Quel pensiero era assolutamente irrazionale, data la sua attuale posizione, ma non poté proprio trattenersi.
-Dovete proprio essere orgogliosi di servire un tizio che non è capace di mantenere fede alla parola data. Inoltre spero che, anche con le vostre limitate capacità intellettive, riusciate a capire quanto il vostro capo abbia paura di me per aver mandato cento dei suoi uomini migliori a darmi la caccia.-
Il capitano ridacchiò -Vedo muovere le labbra di un cadavere ma i cadaveri non parlano.-
-Io sono ancora piuttosto viva, te lo posso assicurare, e se tu mi togliessi queste manette te lo dimostrerei immediatamente. Ma penso fuggirai come sta facendo il tuo padrone, che ha paura di me.- ripeté ostinatamente, sapeva che quello poteva essere un tasto dolente su cui poteva battere.
-Il mio signore non può avere paura di un cadavere, per quanto chiacchierone esso sia.- fu la sciocca risposta.
-Un cadavere che ha fatto fuori metà dei vostri senza sudare; così per dimostrarvi che un saiyan vale cinquanta di voi mammolette.- Arani ghignò piantando i suoi occhi furiosi in quelli vacui dell’alieno.
-Grazie all’inganno e alla codardia.- ribatté quello prontamente.
-E’ così che te la vuoi raccontare? Si chiama furbizia ma è un concetto troppo sofisticato perché voi, massa di imbecilli, possiate capire e non riuscirete nemmeno a comprendere che il vostro adorato signore vi ha mandato al macello contro di me, perché ci voleva troppo fegato ad alzare il suo troppo caro deretano per venire ad affrontarmi personalmente… -  voleva denigrare quanto più possibile Sika agli occhi dei suoi soldati, non avrebbe ottenuto molto, ma almeno avrebbe potuto togliersi qualche soddisfazione.
Prima che il capitano potesse risponderle fu interrotto dal rumore di una navicella che stava avvicinandosi e preparandosi alle manovre di atterraggio. Fu fatta allontanare per consentire quei movimenti e poi fu portata e fatta inginocchiare ai piedi della scaletta da sui sarebbe sceso forse lo stesso Sika.
Non lo diede a vedere ma cominciò a sudare freddo: se da quella navicella fosse effettivamente sceso il governatore, le sue parole sarebbero diventate fiato sprecato e avrebbe dato l’impressione di una disperata. L’aspetto veramente ironico della situazione stava proprio nel suo interesse a quel che pensavano i suoi nemici piuttosto che alla morte che sarebbe giunta di lì a poco. Questione di priorità.
Eppure sembrava essere il suo giorno “fortunato” dalla scaletta non scese Sika ma suo figlio Zardas.
Fece un respiro profondo, la sua dipartita non sarebbe stata veloce come aveva sperato. Prima che le si avvicinasse troppo tentò di alzarsi, ma il capitano la ricacciò in basso impedendole qualsiasi movimento.
Zardas la fissò in silenzio con i suoi occhi dorati per dei lunghissimi secondi, poi fece segno al capitano di farla alzare. Arani piantò i suoi occhi di tenebra nei suoi e dal giovane fu ricambiata. Voleva fargli vedere che non lo temeva, non aveva mai avuto paura di nessuno di loro. I trucchi di suo padre non l’avevano piegata né spezzata e nemmeno lui ci sarebbe riuscito.
Le afferrò il voltò e la trasse a sé, muoveva i suoi occhi lungo il suo corpo quasi a volerla soppesare. Infine parlò: - Mio padre ti vuole morta, mia sorella vuole la tua testa ed io… be’ io eviterei, a essere sincero, un tale spreco.- il suo volto era così vicino a quello di lei da farle sentire il suo fiato sulle labbra, proprio su quest’ultime l’alieno passò il pollice quasi a volerne saggiare la morbidezza.
Arani a quel punto tremò e il suo volto illividì dalla collera: aveva letto negli occhi di lui un desiderio vergognosamente ostentato. Pregò dèi in cui non credeva perché alla sua morte fosse risparmiata almeno quell’onta. Zardas dovette intuire quell’accenno di debolezza e paura e sogghignò, provando un brivido di piacere.
-Allontanatevi di dieci passi e voltatevi.- ordinò ai suoi uomini che ubbidirono prontamente, poi trasse Arani al proprio petto e avvicinò le labbra al suo orecchio. -Adesso ti darò una scelta: morire qui oggi oppure rimanere viva e diventare mia sposa, assicurandomi la fedeltà dei saiyan. Prima di rispondere ricorda che io oggi avrò quello per cui sono venuto, ti farò urlare il mio nome, sta te decidere se dovrai farlo con tutte le ossa frantumate o integra.-
La saiyan ghignò -Ci provi così con tutte le ragazze? Ci credo bene che sei disperato…-
-No, solo con quelle di cui m’importa.- rispose l’altro con un sorriso sadico.
-Onoratissima…- sibilò quindi Arani sarcastica -Ma mi spiace, passo. Non sei il mio tipo.-
Zardas non si scompose, aveva lo sguardo di chi ancora aveva molte carte da giocare ed era sicuro di arrivare alla vittoria a fine partita. -Ti do un altro aiutino: se scegli la vita, se scegli me, anche i tuoi uomini avranno salva la vita.-
-Non ho mezzi per poterti credere, per quel che ne so i miei potrebbero essere già morti.-
-Io mantengo le mie promesse.-
-Proprio come tuo padre immagino. Ti ricordo che io dovevo rimanere qui in esilio per cinquant’anni…-
Non sapendo cosa rispondere l’alieno l’afferrò per il collo e la scosse, pretendendo al più presto una risposta.
-Mi spiace solo non poter vedere il giorno in cui morirai, bastardo.- disse la ragazza con voce soffocata, tentando di assestargli un calcio in mezzo alle gambe. Zardas schivò facilmente e come fosse un fuscello la gettò una ventina di metri più avanti. -Vediamo se i miei uomini ti faranno passare la voglia di essere così impudente e magari riconsiderare la mia generosa offerta.- poi rivolgendosi ai soldati - Mi spiace avervi fatto aspettare tanto, signori miei, potete riscaldarvi le mani, badate solo di non ucciderla.-
La soldataglia cominciò a ghignare e in massa si volsero contro la saiyan, alla quale non era parso opportuno togliere le manette. Pur essendo impossibilitata a menar pugni e ki-blast, diede prova del proprio valore, riuscendo ad ucciderne più di dieci, ma i ripetuti calci e pugni che aveva ricevuto alla schiena e la basso ventre stavano cominciando a chiedere lo scotto e i suoi riflessi apparivano sempre più offuscati.
I soldati di Zardas evidentemente stavano avendo la meglio su di lei, ma ciò che la faceva arrabbiare era che non colpivano per uccidere, era condannata ad una lunga e vergognosa agonia, solo per il piacere sadico di quel pallone gonfiato che stava a fissarla con sguardo soddisfatto.
Quando ricadde per l’ennesima volta a terra, la forza della disperazione la spinse a urlare contro il suo aguzzino:- Falla finita, animale, salva quel minimo di dignità che ti è rimasto e dammi il colpo di grazia, agisci con giustizia per una buona volta.-
-Mi spiace tu abbia una così poca considerazione per me ma, te l’ho detto, io ti voglio viva; sai già cosa devi dirmi se vuoi che tutto finisca.-
-Vigliacco, facciamo alla vecchia maniera allora, uno contro uno!-
- Idea allettante ma sei troppo mal messa per essere una sfida interessante quindi no, grazie, inoltre ho tutta l’intenzione di godermi lo spettacolo.-
Quelle parole parvero benzina sul fuoco, fecero montare in lei una tale rabbia da infondere nuova energia ai muscoli stanchi, tanto da permetterle di rompere le catene che le legavano i polsi e guardare a quello scontro con nuova determinazione. I soldati smisero di sghignazzare e ammutolirono mentre il loro comandante sollevò un sopracciglio piacevolmente sorpreso. Nello stesso momento in cui senti i polsi liberi, Arani perse completamente interesse nella marmaglia informe che la circondava, aveva un solo obiettivo davanti agli occhi. Lanciò un ki-blast dritto contro Zardas, più per creare un gran polverone che per colpire, era certa infatti che lo avrebbe schivato; tuttavia ella riuscì a tenere conto dei suoi spostamenti e questo le diede la possibilità di apparirgli dinanzi abbastanza velocemente da assestargli un pugno potentissimo proprio al di sotto dello sterno. Gli tolse il respiro ma Zardas era nel pieno delle sue forze e non le permise di gabbarlo una seconda volta, la sua risposta fu violenta quanto dolorosa; le diede un unico colpo e, nelle condizioni in cui la ragazza versava, fu sufficiente a sbatterla a terra e farle perdere i sensi.
Non le concedettero nemmeno i minuti che le sarebbero serviti per riaversi, la portarono a riprendere coscienza con forza e la rimisero in piedi. Lei si stagliava al centro del cerchio che i soldati le avevano formato attorno; si manteneva ritta più che poteva ma sentiva che la partita si sarebbe chiusa di lì a poco. Aveva più di una costa incrinata, una storta le impediva di poggiare bene il piede destro e da un taglio lungo il fianco scivolava sangue caldo.
-Ti conviene arrenderti o di te non rimarrà niente per il nostro incontro galante.- la sfotté Zardas, incrociando le braccia al petto.
-Fottiti, i saiyan non si arrendono, potrai scoparti il mio cadavere.- dalla sua bocca uscì un rivolo di sangue, malgrado ciò si gettò di nuovo contro di lui, ma ormai era diventata troppo lenta per poter sperare di batterlo in velocità. Il figlio di Sika la colpì, più e più volte, finché della sua forza non rimase solo la determinazione dei suoi occhi.
-Te l’ho detto: prima che questo giorno finisca tu urlerai il mio nome.- la afferrò per il bavero della tuta e la trasportò lontano verso il vulcano dalla cui sommità fuoriusciva fumo nero. La lanciò contro un grosso masso di pietra lavica e lì la legò con speciali anelli energetici, bloccandole mani e piedi.
-Schifoso bastardo, vigliacco infame!- le parole erano l’unica arma che le era rimasta.
-Risparmia il fiato per quando sarò dentro di te, te l’ho detto, voglio sentirti urlare il mio nome.- le soffiò a un centimetro dalla sua bocca, prima di avventarsi contro quelle labbra spaccate in vari punti.
Arani non provò disgusto per l’alieno in se, che era bello quanto la sorella, ma tanto più per il fatto di considerarsi alla sua mercé, pasta da modellare secondo la sua volontà, la sua amata libertà schiacciata e oltraggiata nel più turpe dei modi, umiliata nel suo essere guerriera e donna, perché un uomo si sarebbe limitato a ucciderlo velocemente, invece con lei, solo per il fatto di essere femmina, aveva giocato e ora si sarebbe divertito facendo i suoi porci comodi. Le vennero le lacrime agli occhi e cercò di allontanarsi con la mente dal suo corpo, mentre le mani di Zardas si muovevano irrefrenabili sulle sue forme e, a nulla valevano le sue parole, che tentavano di lusingare la sua femminilità che di lì a poco sarebbe stata violentata senza rispetto né ritegno. Una mano si era mossa dal suo fianco al suo seno, mentre l’altra era in procinto di andare a cercare quello che aveva desiderato sin dal principio tra le sue cosce. I suoi baci prima ardenti erano diventati sempre più lenti e si erano spostati sul suo collo, dato che  le labbra di lei erano rimaste serrate per tutto il tempo. Anche la lentezza dei suoi movimenti era un modo per dirle che era completamente in suo possesso, era già sua.
La mente di Arani però era lontana e il dolore che stava provando la spinse a pensare a quei momenti in cui si era sentita veramente al sicuro, accanto a suo padre. Ma ora papà non c’era più e lei era in mano a un mostro. Il suo corpo era scosso da brividi ma, prima di lasciarsi andare all’incoscienza, sentì un urlo disumano e poi ebbe la sensazione che le mani di Zardas si staccassero finalmente dal suo corpo. Quell’impressione, velocemente confermata, fu sufficiente a ridarle lucidità e ad aiutarla a riprendere possesso dei suoi sensi. Vide Zardas contorcersi poco lontano e non si chiese nemmeno perché,  diede fondo alle ultime energie rimaste per liberarsi e avventarsi sul suo aguzzino ma qualcosa, o meglio, qualcuno la bloccò.
 
Quando Trunks arrivò sul luogo in cui si stavano svolgendo quegli eventi per poco non perse la testa, comprendendo fin troppo chiaramente a cosa stava andando incontro la principessa. Aveva lasciato gli altri ad occuparsi degli uomini di Sika, non appena aveva capito che Arani non era più lì con loro. Non aveva avvertito subito la sua aura e questo lo aveva preoccupato enormemente, poi la speranza si era riaccesa nel momento in cui l’aveva percepita, anche se in maniera estremamente debole.
Infine era riuscito a trovarla e senza nemmeno rendersi conto, si era trasformato in super saiyan e aveva attaccato l’alieno per allontanarlo dalla ragazza. Subito dopo aveva afferrato Arani per impedirle di uccidersi, rinnovando una lotta che non avrebbe mai potuto vincere con una energia così bassa.
-Che diavolo stai facendo? Lasciami immediatamente, mezzosangue, devo ucciderlo, deve morire, voglio vederlo morire!- la ragazza cominciò a urlare e a dimenarsi, la sua voce era spezzata da un principio di pianto. Trunks tentò di calmarla, stringendola a sé e per un istante, che non avrebbe mai dimenticato, lei si abbandonò alle sue braccia, liberando il dolore tra i singhiozzi e le lacrime. Avrebbero potuto massacrarla a botte fino al suo ultimo respiro e nulla avrebbe incrinato il suo spirito. Quello era tutta un’altra storia.
-E’ finita, è finita, ci sono io con te, non ti farà più niente.- le sussurrò all’orecchio anche lui fortemente provato da quello che aveva visto.
Arani poteva anche essere spezzata nell’animo e nell’orgoglio ma rimaneva comunque una saiyan e, quando ebbe coscienza di quel che aveva fatto, allontanò da sé il giovane con forza, lanciandogli uno sguardo inviperito. Trunks, conoscendo fin troppo bene quella razza, le sorrise bonariamente.
Non ebbero tempo di scambiarsi due parole che per poco non vennero colpiti da un ki-blast così forte da penetrare in profondità nel fianco del vulcano, originando uno squarcio da cui presto cominciò a fuoriuscire della lava.
-Chi sei lurido bastardo?- chiese Zardas con ancora la mano ritta contro di loro. -Be’ non importa, mi piacerebbe divertirmi ma devo ucciderti velocemente, ho un impegno piuttosto urgente.- e gli lanciò contro un altro ki-blast che Trunks allontanò con una facilità che sconvolse Arani.
-E tu vorresti sconfiggermi con questi patetici trucchi? A sette anni sapevo fare di meglio.- rispose il figlio di Vegeta, mimando uno sguardo annoiato. -Adesso, se non ti dispiace, sarebbe il mio turno.- e senza attendere risposta scomparve per poi riapparire di fronte a Zardas colpendolo con una raffica di colpi al ventre e agli zigomi, sufficienti a rompergli qualche costa e la mascella.
Non voleva dargli un attimo di tregua e voleva riportarlo ad Arani agonizzante perché lei potesse dargli il colpo di grazia; la furia che aveva nel petto stava sfogandosi in quella raffica di pugni e calci ma aveva fatto l’errore di sottovalutare il suo nemico. All’improvviso l’alieno liberò una tale energia da scagliare i due saiyan contro le pareti rocciose, Arani fortemente indebolita perse i sensi mentre Trunks riuscì ad afferrarla prima che un masso le cadesse addosso. L’attacco aveva sollevato un gran polverone che aveva nascosto momentaneamente i due agli occhi del nemico, dando al saiyan il tempo necessario di pensare ad una strategia.
-Ehi Arani, sveglia, riprenditi, ho bisogno che tu sia vigile.- scosse la ragazza che riaprì immediatamente gli occhi. -L’hai ucciso?- fu il suo primo pensiero.
-Ancora no, è stato lui ad attaccarci. Non pensavo fosse così forte.-
-Lo è, stai attento, ma non devi ucciderlo.-
-E’ una grossa limitazione, non credi? Vedrò che posso fare. Tu rimani qui al sicuro, cercherò di tenerlo lontano.-
-Neanche per sogno, devo aiutarti.- berciò quella con un espressione molto simile a quella di una bambina capricciosa.
-Sai  meglio di me che tu mi saresti d’intralcio nelle tue condizioni. Posso farcela da solo.-
La ragazza abbassò gli occhi e annuì. -Sta’ attento.-
Trunks, allora,  si allontanò e affrontò di petto l’avversario. Non iniziarono a combattere seriamente sin da subito, i primi colpi servivano ai due combattenti per capire le rispettive capacità, solo in un secondo momento si sarebbe affrontati al massimo della loro forza.
-Devo ammetterlo sei una sfida interessante, non pensavo esistessero alieni così forti oltre me e i miei uomini, ma ti avverto, non sarà sufficiente per battermi.- confessò Zardas con un sorrisetto spocchioso.
-L’Universo è grande e può riservare mille sorprese.- si limitò a dire Trunks, riprendendo la posizione di difesa.
-Su questo sono d’accordo. Adesso preparati, in un altro momento avrei voluto che il nostro scontro durasse più a lungo, ma ho una certa fretta e devo sbrigarmi.- non attese la risposta dell’avversario e lo attaccò. Il figlio di Vegeta rispose prontamente, evitando un gancio destro e bloccando una ginocchiata. I loro corpi si muovevano così all’unisono, senza che uno dei due potesse veramente prevalere, da sembrare che seguissero un copione ben stabilito.
Arani non poteva negare il suo stupore: credeva di conoscere il modo di lottare di Zardas che anni prima aveva visto lottare e perdere contro suo fratello maggiore, ma era decisamente migliorato e purtroppo, nelle sue condizioni, la surclassava; la vera sorpresa però era il terrestre, era completamente diverso da come lo ricordava: i capelli erano biondi, la sua forza sembrava tre volte superiore a quella che le aveva mostrato durante i loro scontri e non pareva voler smettere di aumentare tanto più continuava e si evolveva lo scontro. Se fosse riuscita a sopravvivere, lo avrebbe costretto a confessare il trucco che gli consentiva un tale cambiamento.
Trunks si accorse con preoccupazione che i loro livelli erano perfettamente alla pari, nessuno dei due riusciva a prevalere sull’altro, tanto che parevano stancarsi allo stesso modo.
“No, non lo accetto, non m’importa se abbiamo lo stesso livello combattivo, io devo distruggerti perché non ti perdonerò mai quello che le hai fatto!” penso Trunks mentre schivava un’ulteriore calcio, decise di dar  fondo a tutte le sue capacità e sentì scorrere nelle sue membra una forza e un vigore che non aveva mai sentito prima d’ora, questo gli permise di guadagnare in velocità riuscendo a mettere finalmente in difficoltà il suo avversario. Lo tempestava di pugni e calcio, mirando con precisione clinica a punti vitali, cercando di spezzargli il collo o magari spezzargli le coste e bucargli un polmone; non godeva di quella lotta, voleva solo tornare da Arani e prestarle le prime cure. Non l’aveva mai vista così mal messa, piena di lividi ed escoriazioni, ma quel che temeva veramente era quel respiro irregolare che le aveva notato fin da subito.
Purtroppo per il nostro saiyan nemmeno Zardas aveva scoperto tutte le sue carte e questa volta la sua potenza superò notevolmente quella di Trunks, dando finalmente un orientamento a quello scontro.
Senza troppe cerimonie lo scaglio contro le rocce ai piedi del vulcano, in maniera così forte da riuscire a tramortirlo, lo raggiunse e preparò nella sua destra un colpo sufficientemente forte da assicurargli il suo annientamento.
-Questa è la fine dei giochi.- sibilò l’alieno, ma un colpo di discreta potenza lo colpì in pieno volto, abbastanza violentemente da intontirlo per alcuni preziosi minuti.
Arani raggiunse Trunks per farlo riprendere e pensò con ironia come i loro ruoli stessero per invertirsi.
-Ehi, terrestre, stai facendo un buon lavoro, cerca di non deludermi alla fine.- lo scosse afferrandolo per le spalle. Il ragazzo si riprese ma non ebbe nemmeno il tempo di ringraziarla che dovette deviare un attacco molto potente dell’alieno che si era ripreso velocemente.
-Adesso mi sono stancato, vi farò fuori entrambi ora, la mia pazienza è finita!- caricò un colpo fissando intensamente Trunks che si era subito messo in posizione di difesa, ma qualche istante prima di scagliarlo lo indirizzò verso Arani che avrebbe facilmente centrato se non fosse stato per il ragazzo che si frappose tra lei e il colpo. Il suo nobile gesto non fu privo di conseguenze, il ki-blast lo colpì alla spalla slogandogliela e mettendogli il braccio fuori uso. La forza del colpo inoltre li spinse all’interno di una grotta che si apriva a poca distanza; Zardas mirò un altro colpo all’interno della grotta ma non ebbe alcuna conferma sulla sua riuscita, tentò di avventurarsi all’interno del canale che si apriva nella grotta, ma la terra cominciò a tremare e alcuni massi rotolarono a chiudere l’ingresso della grotta. Il figlio di Sika li evitò per un soffio, ma vedendo le sue prede in trappola cominciò a bombardare l’area provocando diverse frane e aprendo in più punti la strada alla lava che fuoriusciva con sempre più forza a causa dello stadio avanzato dell’eruzione.
Vedendo le condizioni in cui aveva ridotto quel terreno si fermò e analizzò con il suo rilevatore la possibile presenza dei due. Non vi era alcuna traccia di movimenti sospetti né segni che denunciassero la loro sopravvivenza. Decise che la sua missione era stata compiuta e tornò indietro.
 
-Sono partiti?- chiese Yocar, lanciando uno sguardo veloce alla pianura.
-Si, non sento più le loro auree. Devono aver lasciato il pianeta.- confermò Goten allontanandosi dalle frasche in cui si erano nascosti.
-Tu pensi che Zardas abbia ragione?- chiese Kio, stringendosi le braccia al petto. -Non voglio crederci.-
-Non credo Kio, penso che Trunks e Arani si siano nascosti e abbiano ridotto il loro ki per non farsi intercettare. Appena sentiranno le nostre auree ci raggiungeranno.- rispose di nuovo il figlio di Goku.
-Be’ forse questo sa farlo il tuo amico, ma Arani come noi altri, non abbiamo idea di cosa sia il ki, quindi non so fino a che punto puoi avere ragione.- sbuffò Yocar poco convinto; Kio non aveva un’opinione diversa.
 -Zardas  sembrava molto sicuro di averli uccisi.- 
-Voi avrete anche paura di lui e vi ho dato retta sul fatto di nasconderci, ma io conosco quanto vale Trunks e sono sicuro che è vivo e con lui la principessa.- chiosò seccamente il ragazzo che non voleva pensare nemmeno lontanamente alle parole dell’alieno.
Fino a qualche minuto prima avevano lottato con numerose difficoltà contro i soldati, riuscendone a battere poco meno della metà ma poi avevano visto arrivare Zardas e visto le loro attuali condizioni avevano optato per nascondersi e evitare uno scontro con il figlio di Sika. Erano stati i due saiyan a convincere Goten a quella più saggia ritirata, Zardas era un nemico troppo superiore alle loro capacità per rischiare di morire in quel modo inutile.
Atterrando tra i suoi uomini, l’alieno aveva ordinato loro di ripartire immediatamente poiché lui aveva finito il lavoro per cui erano arrivati fino a lì. Aveva ucciso l’impudente saiyan, per questa ragione non c’era più motivo di rimanere lì. Dovevano riportare la bella notizia al Governatore. E così erano partiti. Per fortuna dei nostri, i soldati di Zardas non avevano parlato del loro scontro, forse per timore di suscitare le ire del loro comandante.
I siayan si sollevarono in volo e si diressero verso il punto da cui era arrivato Zardas, ma le condizioni del luogo erano pessime a causa dell’eruzione del vulcano, la lava stava ricoprendo un’area sempre più grande. Con loro orrore si accorse che i segni dello scontro che doveva essere avvenuto tra Trunks e Zardas si trovavano proprio  nel punto in cui la lava stava divenendo padrona del luogo distruggendo tutto al suo passaggio; se Arani o Trunks erano feriti probabilmente non si erano allontanati molto e quindi erano in pericolo. Cominciarono lunghe ricerche e più il tempo passava più le speranze sembravano divenire vane.
-Maledizione, sono ore che provo ma non sento nulla! Trunks dove diavolo sei finito?!- urlò Goten nel pieno della frustrazione.
Kio e Yocar abbassarono gli occhi,  le parole di Zardas risuonavano nelle loro orecchie e fino a quel momento non avevano ragione di dubitarne.
Cercarono fino a notte inoltrata, insieme a Pan che fino a quel momento era stata con Toma sulla navicella poiché il giovane non aveva ancora ripreso coscienza, ma nemmeno con il suo aiuto ottennero qualche risultato. I due ragazzi sembravano svaniti nel nulla.
Dopo ave esplorato in lungo e in largo il pianeta, all’alba del giorno dopo risultò chiaro che l’unica soluzione era la resa: i loro amici non c’erano più.
-I corpi, se sono morti, avremmo dovuto trovare i corpi!- urlò Goten sbattendo i pugni a terra, le lacrime si erano impossessate dei suoi occhi.
-Hai visto dove hanno combattuto? La lava li avrà distrutti.- suggerì Kio che faceva un notevole sforzo a non lasciarsi andare anche lei alle emozioni; era morto un guerriero coraggioso e soprattutto, era morta la sua sharysia, il suo capitano, la sua migliore amica. Non aveva difficoltà a capire i sentimenti del terrestre.
Yocar si mordeva le labbra e stringeva i pugni fino a farsi sbiancare le nocche ma, in uno strano moto di compassione teneva una mano poggiata sulla spalla della piccola Pan che non aveva resistito al pianto, fortemente commossa da quel che era successo.
Goten si asciugò le lacrime e si diresse verso su nipote, abbracciandola. Non potevano rimanere lì in quelle condizioni a sperare per qualcosa che ormai era perso per sempre. Non restava che tornare a casa e compiere l’atto più doloroso della sua vita: dire a dei genitori che non avrebbero più rivisto il loro figlio. 


P.s Il primo capitolo della nuova long é già pronto. Il "sequel" si intitolerà Aletheia.
Ci vediamo tra un mese. Un bacio.


 
  
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