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Autore: L o t t i e    21/08/2016    1 recensioni
Ci vuole coraggio.
A mettere il piede su quello scalino in cemento che ti separa dal vuoto. Sei piani, circa venti metri dal suolo.
Ci vuole coraggio.
Ad osservare giù, la testa vuota. Pesante e leggera allo stesso tempo. La punta del naso arrossata per il freddo, che se qualcuno ti vedesse penserebbe di certo che hai pianto.

[638 parole]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Deliri Note dell'autrice:
Esattamente non so neanche perché sto scrivendo queste note. Probabilmente per avvertirvi che ho scritto tutto ciò alle tre di notte o mattino, come dir si voglia e quindi nonostante le revisioni all'inizio questa shot era un accozzaglia di idee e frasi per nulla coordinate. Un flusso di pensieri inafferrabile, per così dire. Ho provato a renderla presentabile, leggibile, con un minimo di senso credo - spero.
E siccome non mi piace non dare un'identità ai miei personaggi chiamerò il protagonista September. Non dovrebbe avere un genere, in verità, ma in italiano è abbastanza complicato rendere un testo “neutro” e gli asterischi li trovo antiestetici in un racconto, quindi userò il maschile.
Bando alle ciance, vi lascio al testo: buona lettura!
―L o t t i e.









HEARTACHE
ᴀɴɢᴏsᴄɪᴀ






Senti l'inverno nelle ossa.
Indossi una felpa, ma in realtà è come se fossi nudo come un verme quando il vento gelido ti scompiglia i capelli. Ma è piacevole.
Dopotutto il freddo è il tuo elemento, te lo hanno detto in molti e alla fine lo hai accettato. Sei freddo. Una persona fredda che non sa esternare i propri sentimenti come vorrebbe. Almeno, questo è ciò che dice tua madre - ma lei tende sempre a sconvolgere le situazioni. Al contrario, tu pensi di essere fin troppo sensibile: ti commuovi facilmente ed anche per le cose più futili. Solo che... tra te e gli altri, in mezzo, è come se vi fosse una specie di barriera invisibile che frena con ferocia i sentimenti. Poche persone conoscono questo tuo lato.
Il tuo migliore amico, ad esempio.
Avete parlato di qualcosa di interessante tu e lui, ultimamente.
Stranamente.
Solamente perché uno studente si è suicidato, improvvisamente hai scoperto un lato di lui che non ti aspettavi. Più riflessivo, meno coglione del solito.
Quindi, dicevamo? Suicidio, sì.
Tu sostenevi ci volesse coraggio a togliersi la vita, ma lui ti aveva contraddetto ribattendo con la parola “codardia”.
«Ma quale coraggio e coraggio! Se muori te ne lavi le mani dei problemi, li lasci di prepotenza a chi ti sta vicino.» Ti aveva spiegato il suo punto di vista mentre eravate seduti su una panchina nel parco, ti sembra ancora di sentire il metallo umido. Poi aveva continuato: «È da codardi, non è coraggio. Chi ha coraggio l'affronta la vita.»
Già, avevi annuito con lo sguardo perso in un punto indefinito nello spazio di fronte a te. Aveva ragione, il suo discorso non faceva una piega.
Ma non hai mai abbandonato il tuo punto di vista, continui a pensare che ci vuole coraggio. Che se decidi di fare qualcosa del genere un motivo ci sarà, futile o meno. Alla fine, in ogni caso, non avresti neanche il tempo di pentirtene. Non credi che dopo la morte ci sia qualcosa, solo il buio. Il tuo corpo, la mente smettono di funzionare ed improvvisamente diventi cibo per la natura.
Ci vuole coraggio.
A mettere il piede su quello scalino in cemento che ti separa dal vuoto. Sei piani, circa venti metri dal suolo.
Ci vuole coraggio.
Ad osservare giù, la testa vuota. Pesante e leggera allo stesso tempo. La punta del naso arrossata per il freddo, che se qualcuno ti vedesse penserebbe di certo che hai pianto. Effettivamente vorresti piangere: gli angoli degli occhi pizzicano, bruciano. È una strana sensazione, come se qualcuno ti mescolasse le viscere con degli abili movimenti delle mani. Queste stesse mani immaginarie si divertono a stritolarti, a farti del male dall'interno.
«C-ci... vuole coraggio», balbetti posizionando anche l'altro piede sullo scalino: per un frangente infinito l'equilibrio ti abbandona facendoti ondeggiare. D'istinto allarghi le braccia, il cuore accelera - perde un battito. L'adrenalina si mescola al sangue in un secondo, inspiri voracemente l'ossigeno creando di fronte alla tua figura qualche nuvoletta di condensa. Riporti le braccia lungo i fianchi: sei tutto indolenzito per un motivo o l'altro. Provi a calmarti, a non pensare allo scalino troppo piccolo sotto le tue suole numero trentanove. Lo sguardo di cioccolata, languido si sposta ancora verso il basso a contemplare il nulla. Osservi delle goccioline d'acqua cadere e solo dopo qualche attimo comprendi che no, non sta piovendo, ma sono i tuoi occhi che vanno in frantumi.
Ti chiedi perché accidenti sei finito lì, cosa ti abbia portato a pensare anche solo per un attimo che quella sarebbe stata la soluzione migliore.
Un lampo di lucidità t'illumina la mente: sgrani gli occhi. Forse... forse, in realtà, non hai mai parlato con il tuo migliore amico. Forse non ne hai neanche uno di amico.
E nessun liceale si è suicidato, giusto?

O almeno,
non ancora.


  
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