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Autore: the_scream_of_silence    22/08/2016    3 recensioni
Sono innumerevoli i cambiamenti che Talia deve affrontare negli ultimi tempi: la fuga d'amore della sorella Giulia, il fidanzamento del padre con un'altra donna dopo la scomparsa della mamma anni prima, il trasloco per vivere insieme a lei e suo figlio Alessandro e - quindi - l'abbandono della vecchia casa in cui Talia ha trascorso momenti fondamentali della propria infanzia. E poi, come se non bastasse, ritorna a casa Giulia in compagnia del fidanzato Jacopo, ospiti del suo fratellastro.
Talia non vuole più avere nulla a che fare con lei, la persona più importante della sua vita che l'ha abbandonata all'improvviso, tantomeno con il ragazzo, ideatore della fuga, che disprezza al punto tale da ritenerlo l'unico responsabile di ogni suo problema. Ma tutto cambia quando una sera, per puro caso, i due si incontrano in giardino, sul vecchio dondolo, sfidando le stelle...
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 2

Non sarei mai più riuscita a dormire.

E purtroppo non era una battuta.

Perfino le pareti della stanza che mi era toccata mi creavano disagio, come se avvertissi l'incessante bisogno di tornare alla mia vecchia mediocrità. Strano, no? Un povero, anche se sentimentalista, non dovrebbe avere l'intenzione di rimanere tale, anzi, sarebbe felicissimo di poter finalmente emergere dal cumulo di polvere che era la sua vita precedente. Mio padre ne era un esempio: saltellava da un posto all'altro come un coniglio impazzito e ripeteva di continuo, tra sé e sé: "Non è stupenda? Non è meravigliosa?", pretendendo che anche gli altri condividessero il suo immenso entusiasmo.

Se fosse stato qualcun altro a comportarsi in quel modo, e non lui, figura genitoriale cui ero costretta a riservare il massimo rispetto (talvolta a scapito dei miei nervi)... Ecco, non volevo sapere come sarebbe andato a finire. Perché quella vita stupenda, meravigliosa, agiata, da signori che purtroppo fino ad allora non eravamo mai stati, non faceva per me o, meglio, non mi sembrava autentica, quasi che in realtà si trattasse di uno spettacolo da quattro soldi in cui eravamo sfortunatamente capitati e ogni nostra mossa fosse controllata da qualcuno di assai superiore.

La perfezione può risultare insopportabile a tal punto?

Be', a quanto pare sì.

Claudia, dal canto suo, non era minimamente turbata dal trasloco, al contrario, si muoveva in quella casa con la stessa disinvoltura di chi non ha mai conosciuto realtà diversa. Prevedibile: i suoi genitori navigavano nell'oro grazie all'eccellente intuito nel campo dell'imprenditoria, e i genitori dei suoi genitori, e i genitori dei genitori dei suoi genitori... Una famiglia ricca da diverse generazioni, insomma.

Aveva addirittura il coraggio di definire "casetta" la villa in cui eravamo capitati.

No, giusto, in effetti non si trattava di una villa.

Ma di un castello.

Balconate lunghe quanto interi corridoi allineavano le stanze del primo e del secondo piano, delimitate da ringhiere di metallo e protette da tettoie in legno chiaro, mentre quelle che sembravano due piccole torri, rivestite all'esterno da cemento misto a pagliuzze d'ardesia, dominavano i due lati della struttura, di un color bianco acceso che le conferiva un tocco di modernità. Il piano terra, dove si trovavano la cucina, la sala da pranzo, il soggiorno e il bagno più grande, era quasi interamente invaso dalla luce solare grazie alle ampie vetrate, semplici o in mattoni, da cui si aveva una visione parziale della strada sterrata, diramazione della principale, e delle colline poco distanti. E percorrendo le rampe di scale, fino a raggiungere la soffitta tramite una scala retrattile, era possibile accedere ad una spaziosa terrazza che consentiva di assistere al meraviglioso spettacolo di luci dell'alba e del tramonto. Per non parlare della bellezza surreale del giardino, un vasto prato costellato da aiuole in cui si ergevano alberi dalle foglie rossastre, gialle e verde smeraldo, o anche piccoli arbusti e fiori di campagna che lo rendevano a tutti gli effetti un paradiso terreno, uno di quelli descritti dai libri e dalle storie popolari. Lo percorreva un sentiero ciottoloso che zigzagava dolcemente da un angolo all'altro, sbucando da un elegante patio di legno sul quale dava la porta-finestra della cucina.

E lì, proprio lì, era sistemata la sola cosa che fosse valsa la pena di trasportare dal nostro vecchio giardino: un dondolo arrugginito, dai cuscini logori e sporchi, che una persona normale avrebbe gettato via senza pensarci due volte, ma non io, perché quella ferraglia, che minacciava di cadere sotto il peso di un uccellino e cigolava in maniera fastidiosa, era forse l'unico punto di riferimento di cui disponessi. Parecchio stupido legarsi ad un oggetto che in poco tempo si ridurrà ad un mucchio di sbarre di metallo e bulloni, giusto? Ne ero consapevole, ma non mi importava. Non mi importava e basta.

Se quello era il prezzo da pagare per preservare un po' di me stessa che ormai non riuscivo più a riconoscere... Be', lo avrei pagato.

Nonostante Claudia, come al solito, avesse da ridire e si lamentasse con i suoi continui: "Ne compreremo un altro sicuramente migliore, non c'è bisogno di rovinare l'estetica del giardino con questo... coso". Sul serio, qualche volta avrei voluto davvero aprirle gli occhi sulla realtà e farle capire che i suoi sudatissimi e amatissimi soldi non possono comprare qualsiasi cosa e che prima o poi avrebbe dovuto rassegnarsi all'idea che, sì, la nostra vecchia vita non era delle migliori, ma non aveva il diritto di mostrare il suo disgusto in ogni occasione, visto che la nuova non sembrava presentarsi meglio. Almeno dal punto di vista umano.

Eppure, in maniera quasi paradossale, mi ritrovavo a giustificarla. In fondo, al posto suo, chi avrebbe visto qualcosa di diverso al posto di un aggeggio ormai inutile che minacciava l'incolumità delle persone che lo usavano?

Nessuno avrebbe mai capito, e non potevo di certo aspettarmi che lei rappresentasse un'eccezione.

O fargliene una colpa, perché ne aveva molte altre, prima tra tutte la grandissima crisi di nervi che ormai la convivenza con lei mi stava provocando.

Peggio di come la immaginassi già, cazzo.

Cos'aveva quella donna che non andava?

Avrei dovuto trascorrere davvero l'ultimo anno della mia adolescenza in quelle condizioni?

Finché un ragazzo allampanato e capellone, con un borsone pieno di vestiti e una custodia per violino ben fissati alle spalle, come un principe azzurro giunto a salvarmi, non bussò un pomeriggio al portone d'ingresso dopo aver parcheggiato in gran fretta la sua Porsche metallizzata davanti al maestoso cancello, urlando con un fischio di approvazione:

-Gran bell'acquisto, mamma!-

Al suono della sua voce, Claudia si bloccò sul divano accanto a me, la tazza di tè che aveva preparato poco prima accostata appena alle labbra, e rivelò uno dei suoi rari (e inquietanti) sorrisi. Ebbi più o meno la stessa reazione, a parte il tè e il sorriso inquietante.

-Ne sapevi qualcosa?- mi chiese, avviandosi verso la porta.-Assolutamente no-. E nel momento stesso in cui pronunciai quelle parole, avvertii un fremito d'eccitazione alla consapevolezza che ogni cosa sarebbe cominciata ad andare per il verso giusto una volta per tutte.

-Alessandro-. Mio padre lo accolse confuso in casa con una pacca sulla spalla. –Sbaglio, o dovevi tornare a casa tra due settimane?-

Intanto, Claudia si era già avvicinata al figlio per controllare che il suo corpo non avesse perso peso in quei sei mesi.

-È successo qualcosa, Alessandro?- La preoccupazione e l'apprensione che riempivano le sue parole e deformavano il suo volto mi davano uno strano effetto, come se non le appartenessero davvero ma le avesse prese in prestito da qualcun altro. Questa rimaneva comunque un'ipotesi plausibile, certo, ma era molto più probabile che in presenza del figlio la modalità "Imprenditrice spietata" andasse in stand-by per lasciare il posto a quella "Mamma normale" che la rendeva finalmente una persona reale, accantonando il robot che era in lei almeno per un po'.

-Perché dovete per forza essere così pessimisti?- rispose lui ridendo, alla ricerca di un posto in cui sistemare il violino e il borsone. Alla fine optò per la poltroncina vicino all'ingresso. –Il professore che avrebbe dovuto tenere l'ultimo corso si è dato malato e l'ha spostato a settembre, così ho deciso di tornare prima e farvi una sorpresa-. Inarcò le sopracciglia, fingendosi vagamente offeso.

-Non siete felici?-

Mi sfuggì una risatina, la prima dopo... be', sei mesi, a partire dall'esatto momento in cui era entrato in auto e aveva gridato dal finestrino aperto, impegnato a compiere una manovra in retromarcia: -Tornerò. Più morto che vivo, ma tornerò-.

Alessandro sembrò accorgersi di me soltanto adesso, e sul suo volto si fece largo un gran sorriso.

–Musona!-

-Quante volte ti ho detto di non chiamarmi così?- protestai scocciata, nonostante avessi sentito in realtà la mancanza di quel soprannome che mi mandava sempre in escandescenze.

-Non abbastanza, a quanto pare-. E si allontanò dalla mamma per circondare e sollevare il mio corpo minuto con le sue possenti braccia.

-Mettimi giù!- Continuavo a ridere e, anche se non l'avrei ammesso ad anima viva, quel tipo di contatto fisico non mi infastidiva come gli tutti gli altri.

Anzi.

Un cambiamento drastico, quasi incredibile, rispetto all'estate di due anni prima, quando non eravamo che una sedicenne e un diciottenne costretti dai rispettivi genitori ad incontrarsi e comportarsi come veri fratelli, e lui, alla fine di quella noiosa cena, aveva detto: -Bene, sorellina, è stato proprio un vero piacere conoscerti!- e mi aveva abbracciata nonostante i miei continui: "Smettila di stritolarmi!"

Da quella sera non ci eravamo più separati.

E aveva deciso di chiamarmi "Musona".

Se qualcuno mi avesse detto che il figlio di Claudia sarebbe diventato il mio migliore amico, gli avrei riso in faccia. Chi avrebbe mai immaginato che fossero l'esatto opposto sia nell'aspetto che nel carattere? O, molto probabilmente, c'era stato uno scambio di culle nell'ospedale in cui era nato e adesso suo figlio naturale stava facendo impazzire una famiglia innocente. Poveri genitori.

Non avrei voluto trovarmi nei loro panni per nulla al mondo.

Dopo essere stato costretto a riportarmi a terra con un piccolo calcio sulla pancia, in segno di avvertimento, si sedette sul divano accanto a me mentre sua mamma poggiava un vassoio con biscotti e succo di frutta sul tavolino al centro. Non proprio il massimo per un ventenne, ma lui non lo diede a vedere.

-Com'è andato il viaggio?- gli chiese lei, sistemandosi sull'altro divano insieme a mio padre. -Hai avuto difficoltà a trovare la casa?-

-No, è praticamente l'unica a raggi di chilometri!-

Solo per dare un'idea di quanto fossimo lontani dalla civiltà.

-E...- Iniziò a lisciarsi pieghe inesistenti della gonna, segno che stava per dare inizio ad una discussione molto seria. –Sei stato già contattato da qualche orchestra?-

Alessandro studiava Violino in un prestigioso conservatorio di Milano da quasi due anni, ormai, ed era bravo. Davvero. Non mi sarei stupita se qualche musicista di alto livello si fosse messo in contatto con lui, anche se continuava a ripetere che, semmai avesse ricevuto un'email o una telefonata, si sarebbe rifiutato di presentarsi perché preferiva proseguire gli studi con serenità, senza stress o pressioni.

Ma Claudia sembrava pensarla in maniera diversa.

Come al solito.

-Non ancora, mamma-. Il tono di voce tradiva il fastidio.

-Hai controllato?-

-No, mamma-.

-E allora fallo, no? Cosa stai aspettando?-

-Un po' di pace, mamma-. Le rivolse un sorriso sarcastico che mi costrinse a coprire la bocca con una mano per soffocare una risata maleducata.

Claudia assunse un'espressione offesa che sostituì a breve con la sua solita freddezza. –Se non pensi più seriamente al tuo futuro, ti ritroverai a suonare il violino per elemosina in mezzo alla strada-.

-Di sicuro sarà più eccitante che controllare di continuo i risultati della Borsa sul cellulare-.

-Come ti...- si trattenne a stento lei. Mio padre le poggiò una mano sulla sua schiena che scrollò di dosso con un movimento eloquente delle spalle. –Dovresti soltanto ringraziarmi per aver assecondato la tua scelta, invece che costringerti ad entrare nell'attività di famiglia come i tuoi nonni hanno fatto con me-. Si alzò furibonda, la maschera di impassibilità che tremava insieme al labbro inferiore, e riprese:

-Come farai quando non ci sarò più? Chi ti darà i soldi per vivere?-

Se non la conoscessi, avrei detto che fosse sul punto di piangere. Perché lei era Claudia, e le sue non potevano essere lacrime.

Forse gocce di veleno.

O anche olio di motore.

Papà aveva un'aria preoccupata e continuava a lanciare occhiate significative ad Alessandro, anche lui consapevole di aver esagerato. Quanto a me, l'istinto mi intimava di agire ed intervenire come sempre, con la stessa prudenza e accortezza di un elefante in una cristalleria, ma il buon senso mi suggeriva di evitare discussioni non strettamente legate a me o alla mia famiglia e, per una volta, decisi di ascoltare l'ultimo.

-Ne abbiamo già parlato- sospirò lui. –Non andrà a finire così. In futuro troverò qualcosa, te lo prometto-.

-Non mi interessano le tue promesse. Voglio delle certezze. E se non sarai capace di darmele, chiamerò tuo padre e ti farò iscrivere all'università di Economia più vicina. L'hai sempre saputo, no?-

-Non pensi che...- fece per protestare mio padre.

-Non ti immischiare, Pietro-.

Okay, se adesso non reagisce lui, ci penso io al posto suo.

-D'accordo, come vuoi- alzò le mani lui.

Come non detto.

Stavo riscaldando le corde vocali, pronta alla battaglia che di lì a poco si sarebbe consumata nel soggiorno, quando Claudia si voltò di scatto e iniziò a procedere impettita verso la rampa di scale senza spiegarne il motivo, probabilmente diretta allo studio che si trovava al primo piano. E mio padre non esitò a correrle dietro con uno sconsolato: -Non dirmi che ora ce l'hai anche con me!-

Rimanemmo così soltanto noi due, Alessandro ed io, a dover sopportare quel silenzio consapevole in cui continuavano ad aleggiare le parole crude, spietate, dannatamente razionali di Claudia che, per la prima volta, non avvertii il bisogno di celare con altre parole.

Poi, quasi in un sussurro: -Bello schifo, eh?-

Puoi ben dirlo.

–Purtroppo sì-. Lo guardai con sincero dispiacere.

-Non è la prima volta che me lo dice, ma mi ripeto sempre: "Ehi, sei in gamba, le dimostrerai di valere almeno in questo"- Sorridendo amaramente, prese un respiro profondo. –Sono passati due anni e non ci sono ancora riuscito-.

-Stai dicendo una grandissima stronzata-.

-E allora perché continuiamo a parlare dell'università di Economia?-

-Perché tua madre vuole il meglio per te-. Gli poggiai istintivamente una mano sulla spalla e quasi non mi accorsi del sussulto che la sua schiena ebbe al mio tocco. –Ma non riesce a capire che quello che stai facendo è il meglio per te, perché hai talento e farai strada, credimi. E anche lei se ne accorgerà presto -.

E dal sorriso che mi rivolse, capii che mi stava ringraziando in silenzio; io non potei fare a meno di aggiungere con una smorfia: -Anche se a volte quella donna mi spaventa un po'-.

-Spaventa anche me. E sono suo figlio!-

La sua risata gutturale si perse nell'aria mentre calava di nuovo il silenzio tra di noi, ed io mi ritrovai a pensare a come ci fossimo trovati senza qualcosa da dire per portare avanti la conversazione. In genere era così semplice divagare, scherzare, ridere, ma in quel momento no, sembrava quasi inappropriato.

Perché quel tipo di silenzio non aveva lo stampo dell'indifferenza reciproca, nelle situazioni in cui non si ha nulla a che vedere con un determinato interlocutore e l'unica cosa che esiste è l'enorme vuoto da riempire con qualche domanda a caso.

No, anzi, era fin troppo intimo, forse anche imbarazzato, come di due persone che non hanno bisogno di parole per parlarsi. Quasi... fuori luogo.

E quelle persone erano di solito unite da un legame molto più forte dell'amicizia.

Sto davvero pensando ad Alessandro, Alessandro, in quel modo?

Stavo per scoppiare a ridere: ed eccomi qui in compagnia dei miei film mentali, una coppia che difficilmente qualcuno sarebbe riuscito a sciogliere.

Eppure c'era qualcosa di sbagliato in quella situazione, me lo sentivo.

Come sentivo che i suoi occhi color verde slavato continuavano a scrutarmi il viso, nonostante il mio sguardo fosse rivolto altrove e i capelli formassero un lungo sipario rosso, e il cuore prese a battere all'impazzata senza motivo.

Non mi era mai capitato.

Ed era... strano. Forse anche piacevole.

-E tu?- sussurrò improvvisamente lui con voce flebile.

-Io cosa?- Iniziavo ad essere consapevole di ogni suo gesto (le dita che si muovevano sinuose mentre gesticolava, la bocca che si arricciava leggermente quando parlava, le piccole rughe intorno alle palpebre che si formavano insieme ai suoi sorrisi) e questa cosa non mi piaceva affatto perché...

Al diavolo, non lo sapevo nemmeno io il perché.

-Tu come stai?-

Quella domanda non me la sarei proprio aspettata da lui, che era l'unico ad essere a conoscenza di quanto detestassi parlarne; probabilmente quel giorno doveva essersi sentito fortunato e aveva deciso di sfidare il destino e il mio umore oscillante dal picco della felicità a quello della rabbia.

Qual era il mio problema con il "Come stai?"?

Non di certo le parole in sé, visto che erano soltanto un'accozzaglia di suoni che le persone rivolgevano ad altre per pura cortesia.

Era la risposta.

Perché dovresti dire come ti senti a qualcuno cui magari non interessa affatto?

E se anche fosse interessato, tu saresti in grado di rivelare la verità?

No, ovviamente.

Nessuno ha il coraggio di affrontare se stesso.

E forse il problema, nel mio caso, era che nemmeno io conoscevo quella verità.

Esiste qualcosa di peggio?

Successe così, senza che me ne accorgessi o potessi fermarlo in tempo.

In un attimo rimossi dalla mente qualsiasi pensiero fuori luogo, tornando a considerare Alessandro semplicemente "Alessandro", il ragazzo dalla personalità stravagante e imprevedibile che mi faceva ridere, zittii la vocina che mi ricordava del fastidio che le dimostrazioni d'affetto mi provocavano e poggiai la testa sulla sua spalla, gli occhi chiusi e le spalle rilassate, insolitamente confortata dalla familiarità del suo corpo.

Il torpore del sonno mi avvolse all'improvviso e notai a malapena che mi stava accarezzando dolcemente i capelli.

 

Salve a tutti!

Non sono riuscita a scrivere l'Angolo Autrice nell'altro capitolo per mancanza di tempo, ma cercherò di rimediare a partire dall'ultimo aggiornamento.

Che ne dite? Vi sta incuriosendo la storia?

C'è ancora molto da scoprire, anche se, personalmente, già inizio a shippare i miei personaggi come se non ci fosse un domani (le fangirls capiranno).

Al prossimo capitolo (che spero di pubblicare il prima possibile),

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