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Autore: voiceOFsoul    24/08/2016    1 recensioni
Ram aveva ormai raggiunto un equilibrio ma adesso si ritrova senza lavoro, convive con Diego in una situazione imbarazzante e non vede Alex e Vale da troppo tempo. Da qui deve ricominciare da capo. Il suo percorso la porterà a incrociare nuove vite, tra cui quella di Tommaso che ha appena imparato a sue spese che la perfezione a cui tanto Ram aspirava non esiste.
Si può essere felici anche se si è imperfetti?
[Seguito di "Volevo fossi tu" e "Ancora Tu", viene integrata e proseguita l'opera incompleta "Open your wings and fly"].
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Quando Diego si sveglia, sono ancora seduta sul divano, i capelli umidi, il telecomando in mano, la TV sintonizzata su un canale che trasmette programmi basati su personaggi dal quoziente intellettivo che rasenta lo zero. Arriva in salotto trascinando rovinosamente i piedi senza riuscire a sollevarli dal pavimento e tenendosi la testa con entrambe le mani. Suppongo che la sbronza di ieri fosse parecchio più pesante di quanto avessi intuito. Mi rendo conto di aver fatto bene a resistere all’istinto di svegliarlo non appena arrivata a casa nonostante sentissi il bisogno disperato di parlare con qualcuno di ciò che era successo. Ho optato per entrare nella vasca a fare un bagno caldo finché il sonno non mi avesse intorpidito. Non appena uscita dall’acqua, però, la sonnolenza mi ha abbandonato di nuovo costringendomi a passare il resto del tempo in compagnia della TV-spazzatura.
Nonostante sia quasi ora di pranzo, Diego prende una ciotola, la riempie fino all’orlo di cereali e inizia a mangiarli senza aiuto di posate. Poi si lascia cadere rovinosamente sul divano.
«Spw qwei if e ove?»
Ha la bocca impastata di sonno, post-sbornia e cereali, perciò non capisco una sola parola di quello che mi chiede.
«Che hai detto?»
Manda giù i cereali.
«Spegni questo schifo per favore?» domanda trascinando le parole in maniera che risulta un po’ più comprensibile.
«Come? Credevo fossi innamorato di Jersika.» rido spegnendo la TV.
Farfuglia qualcosa in risposta mentre si mette in bocca altri cereali.
«Fai proprio schifo quando ti ubriachi, lo sai?»
Mi guarda con gli occhi appena socchiusi, le palpebre gonfie e grigiastre.
«Da quale pulpito viene la predica! Ti sei vista allo specchio stamattina? Sembri uno zombie che ha avuto un incidente.»
Immergo la mano nella sua ciotola, rubandogli un pugno di cereali.
«Diciamo che per me è ancora ieri sera.»
Si blocca e mi guarda serio.
«Non credo di essere abbastanza sveglio per sorbirmi il racconto della tua serata brava.» risponde acido.
«Invece dovresti.» gli rubo la ciotola di cereali e lo costringo a sentire la mia storia.
Filtro accuratamente ogni riferimento alla prima parte della storia in cui io e Tommaso parliamo piacevolmente senza freno. Passando direttamente alla terribile entrata in scena di Daniele.
Al suo nome, Diego sembra improvvisamente risvegliarsi. Salta su dal divano rischiando di rovesciare i restanti cereali sul pavimento.
«Ram, questa storia mi piace sempre meno.»
«Figurati a me. Per fortuna nel locale c’era ancora gente. Hanno capito quanto era ubriaco e si sono messi in mezzo.» Gli racconto a sommi capi come il barista biondo è intervenuto a suon di pugni e calci per mandarlo via. «E poi mi hanno scortato a casa.»
Anche qui impongo un buco di trama, oscurando la storia dell’eroe che bacia la donzella in difficoltà dopo averla portata sana e salva al castello. Non mi sento a mio agio a raccontargli quest’ultima parte. E raccontargli di quanto mi sia piaciuto, non si prende neanche in considerazione.
«Sei stata fortunata ieri sera. La prossima volta potresti non esserlo.» Si passa nervosamente una mano dietro la nuca, sospira. «Non avrei dovuto perdere il controllo, sarei dovuto restare vigile insieme a te e proteggerti. Scusa, ho fallito.»
«Diego, come ti viene in mente una cosa del genere? Avevi tutto il diritto di divertirti, avevi passato una giornata di merda tanto quanto me. Non sei la mia guardia del corpo, sei mio amico. Non avevi un lavoro da svolgere.»
«Proprio perché sono tuo amico avrei dovuto proteggerti.»
Mi alzo, sorridendogli. Lungo la fronte corre quella linea orizzontale che negli anni ho imparato a conoscere tanto bene e che compare quando i pensieri stanno iniziando a rosicchiargli le ossa. Mi avvicino a lui e gli fermo le mani che piano gli graffiano la parte posteriore del collo. Le prendo tra le mie e lo guardo negli enormi occhi quasi neri.
«Tu proteggi me, io proteggo te. E io ti proteggo pretendendo che ti diverta dopo una giornata di merda.»
Gli sorrido ancora ma lui rimane serissimo. Lo abbraccio, stringendolo forte. Lui mi poggia solo un palmo sui capelli ancora umidi, accarezzandoli piano, mentre lascia l’altro braccio caduto lungo il fianco.
«Passeremo anche questa.» gli sussurro.

Rose sta ancora dormendo. Le guance lievemente arrossate, i capelli un po’ arruffati, le ciglia lunghe si sfiorano tra loro, le labbra sporte in avanti e leggermente aperte, sembra una delle bambole di porcellana che mia nonna custodiva gelosamente. La mia bambola, sì. Forse mi ha appena letto nel pensiero, perché con un movimento morbido le sue labbra si stendono in un piccolo sorriso, alzando le guance. Porta la mano alla bocca mentre la apre in uno sbadiglio. Si gira sulla schiena e stropiccia il viso con i pugnetti chiusi facendo una serie di smorfie tanto buffe che non riesco ad impedirmi di ridere. Uno alla volta apre gli occhietti e mi guarda. Sporge le mani ad afferrarmi il viso e posso sentire distintamente il rumore del mio cuore che si scioglie del tutto.
La prendo in braccio e la porto con me in cucina.
«La principessa si è svegliata!» annuncio a mia madre che l’ha tenuta con sè per tutta la notte.
Lei si ferma dal mescolare la pasta e ci osserva. Un raggio di luce bianca filtra dalla finestra illuminandone il viso ormai segnato dal tempo e dai tanti colpi che le ha dato la vita. Eppure non ricordo mai un giorno intero senza il suo sorriso. Anche nei momenti peggiori, ha sempre trovato la forza di guardarci regalandoci un sorriso, per quanta tristezza potesse contenere.
«Buon giorno dormigliona della nonna.» si avvicina a posarle un bacio sulla mano.
Rose le sorride ma si stringe a me. Una fiamma d’orgoglio mi riempie.
«Non preoccuparti, non voglio rubarti al tuo papà!» torna a badare ai fornelli.
«Non ha dormito un po’ troppo?»
Alza lo sguardo all’orologio. «Sono le dodici e mezza. Ieri la piccola peste mi ha fatto un po’ disperare, non voleva proprio dormire. Si è addormentata definitivamente alle quattro, puoi immaginare la mia gioia! Per cui ha dormito circa otto ore.»
«Ha pianto così tanto? Le hai misurato la temperatura?»
Mi guarda di nuovo, portando le mani ai fianchi in segno di sfida.
«Devo ricordarti forse che ho cresciuto due figli in perfetta salute? So riconoscere un bambino che sta male da uno che non vuole dormire perché è fuori dal suo ambiente.»

«Ma dovrebbe essere abituata a dormire da te. Non è la prima volta.»
«Voleva suo papà, che vuoi farci?» alza le spalle e si volta di nuovo verso la pasta.
Guardo la mia bimba abbracciare il suo orsetto. Scatto riempendola di baci, godendo della sua risata così cristallina da riuscire a purificare tutto. Quando mi fermo lei mi da un ultimo bacio sulla guancia e mi fa capire che vuole essere lasciata libera di gattonare. La poggio per terra e la osservo sgattaiolare veloce ad afferrare il gioco che ha attirato la sua attenzione.
«Credi che dovrei smettere di suonare?»
«Perché dovresti fare una cosa simile?»
«Non lo so, non voglio che Rose non dorma mentre io sono con i miei amici a fare il giovincello. Lei ha bisogno di me.»
«Lei ha bisogno di qualcuno che le faccia la cena, la coccoli e riesca a farla addormentare. Io sono perfetta. Vorresti dirmi che non posso più passare una sera con mia nipote?»
«Sai che non sto dicendo questo, ma tra l’asilo e le serate sento di...»
«Alt! Ti fermo prima che tu dica la cosa più stupida della tua vita dopo il giorno in cui mi hai detto che volevi sposare Simona.»
«Mamma ti prego, non ricominciare!»
«E invece ricomincio. E tu, signorino, dovresti anche ascoltarmi bene. Ti fai in quattro, anzi in otto, per tua figlia e a lei non manca nulla. Guardala! Su, guardala!»
La guardo, rovistando nella cesta lasciata per lei in cucina ha trovato uno dei libri tattili che mia madre usa per farla calmare prima della nanna. Lo sta esaminando con il faccino concentrato e le manine curiose. Sorrido vedendola già così grande.
«Ti sembra una bambina infelice?»
«No, non ancora» con l’amaro in bocca mi correggo.
«Sai quali sono i bambini infelici? Quelli che non hanno nessuno, quelli che anche vivendo in casa con entrambi i genitori sono sempre da soli, quelli che non ricevono attenzioni, tempo e carezze. E a Rose questo non mancherà mai.»
Continuo a osservarla giocare, sperando che mia madre abbia ragione.

Frugo tra frigo e dispensa alla ricerca di qualcosa che possa fare da pranzo con il minimo sforzo. Nessuno dei due ha voglia di mettersi ai fornelli oggi. Purtroppo tutte le nostre risorse si sono esaurite: appena in tempo per la domenica da “desperate housewife”, unico giorno al mese in cui di comune accordo ci dedichiamo completamente alla casa. Diego è ancora in pigiama stiracchiato sul divano con la ciotola ormai vuota tra le mani.
«Ti andrebbe un sushi per pranzo?» gli chiedo chiudendo l’ultimo sportello, totalmente svuotato.
«Se avessi voluto mangiare pesce crudo avrei imparato a pescare e l’avrei mangiato sulla mia barca alla luce dell’alba dopo aver passato la notte a cercarlo.» Il solito esagerato.
«E se io avessi voluto un trattato filosofico ti avrei fatto una domanda più complessa! Un semplice no sarebbe bastato.»
«Sai che odio quella robaccia moderna.»
«Allora facciamo un salto in centro ed entriamo nella prima osteria che ci ispira fiducia. Se restiamo in casa rischiamo di morire di fame e in più devo ancora offrirti il pranzo che ti avevo promesso per festeggiare il nuovo lavoro… che ormai tanto nuovo non è più!»
«Parli come se lavorassi lì dentro da anni! Comunque accetto volentieri, sia perché ho fame sia perché finalmente potrò dire di averti visto offrire qualcosa, piccola spilorcia che non sei altro!»
Gli faccio la linguaccia e vado in camera a cambiarmi. Decido di mettermi roba comoda. Tiro fuori un paio di jeans non fascianti, un maglioncino leggero che mi calza un po’ largo lungo fin sui fianchi e, fiduciosa grazie al sole che sembra esserci in cielo, infilo le converse rosse.  
Il sabato, fin dalle sette del mattino, sembra che tutti tirino fuori i vestiti eleganti anche per andare a comprare il pane al panificio sotto casa. Così, senza nessun motivo apparente, solo perché è sabato e si vuole apparire ribelli, liberi, belli e felici. Non ho mai capito né seguito questa abitudine, ma so già che ovunque sceglieremo di mangiare sarò l’unico essere femminile non minuto di tacco e/o minigonna ascellare.
Apro la porta della stanza contemporaneamente a Diego. Devo ammettere che quando si infila nel giubbotto di pelle e si passa la mano tra i capelli per sistemarli, un po’ alla Fonzie, è davvero bello. La ragazza che riuscirà ad accalappiarlo sarà una ragazza felice, ne sono sempre più convinta. Solitamente adesso arriverebbero i pensieri del tormento, le domande e i dubbi sul perché non posso accettare il fatto che lui mi ami ed imparare a ricambiare il suo sentimento. Ma oggi non succede.
Il suo giubbotto di pelle mi fa venire in mente solo Tommaso. Ho una voglia terribile di vederlo ancora, di parlare ancora con lui… e sì, anche di baciarlo! Non sono una grande esperta di baci, ma il suo ha avuto il giusto equilibrio, la giusta dose di passione e il pizzico di dolcezza che rende tutto ancora più eccitante. Devo ammetterlo, l’ultimo ad avermi baciato così è stato… beh, lui, l’innominabile, il ragazzo che incolpo della mia vita distrutta, quello che si è preso gioco di me e del mio primo amore. Il solo averlo associato a Tommaso mi provoca un lungo e spiacevole brivido lungo la schiena.
Diego prende le chiavi del suo motorino, molto più comodo per scendere in centro. Io afferro una sciarpa e la arrotolo attorno al collo, indosso il Parka e lo seguo fuori dalla porta.
L’idea di andare a pranzare fuori sembrava averci messo entrambi di buon umore, ma usciti dal portone di casa tutto finisce improvvisamente.
«Signorina Centini, buongiorno.»
«Buongiorno a lei, signor Maresciallo. Cosa la porta da queste parti?»
Non è in uniforme ma non ho avuto il minimo dubbio che fosse lui dal primo istante. Ho il cuore già a mille, istintivamente mi stringo al fianco di Diego.
«Posso parlare da sola?» Né io né Diego ci spostiamo di un millimetro, nessuno dei due risponde. «Suppongo di poter parlare anche qui, con il suo amico. Dopo tutto anche lui sa tutto, mi sembra giusto informarvi entrambi. Si tratta, come avrà capito, di ciò di cui abbiamo parlato ieri.»
«Anche io ho delle novità.» rispondo fredda.
«Purtroppo credo di conoscerle già.»
«Signor Maresciallo, mi scusi.» ci interrompe Diego. «Se lei è qui dopo ciò che ci ha detto ieri, suppongo, mi corregga se sbaglio, che la conversazione non sia proprio quello che si chiama un breve colloquio. Noi stavamo andando a pranzo. Vuole unirsi a noi così possiamo continuare a parlare evitando di sostare qui sul portone?»
Il Maresciallo Bortone si guarda per un attimo intorno. «Non sono in servizio, in effetti, quindi accetterei volentieri l’invito.»

La fame mi era passata quasi del tutto ed è stato un vero peccato non potersi gustare fino in fondo queste linguine ai frutti di mare. Tutti e tre, come una vecchia famigliola, abbiamo pranzato in religioso silenzio, senza toccare argomenti che avrebbero potuto guastare ancor di più l’appetito, perciò aspetto che il Maresciallo abbia inghiottito l’ultima forchettata di pasta e bevuto l’ultimo sorso del suo calice di rosso.
«Possiamo riprendere la nostra conversazione, se è d’accordo» sono impaziente di sapere cosa lo ha spinto a venire da me.
Il Maresciallo posa il calice, in volto il suo sorriso da nonno lascia di nuovo il posto alla massima serietà.
«Vedi Ramona, posso chiamarti così, no? Dicevo… Ieri mattina ti ho detto tutto quello che era giusto dirti, specialmente davanti ad altri ufficiali.» Si riferisce alla tizia impegnata a scrivere ogni nostro respiro? Sicuramente sì. «Come ti avevo detto anche prima di sapere di chi si stava parlando, una denuncia per stalking non è mai semplice. Purtroppo la legge non è tanto forte come si pensa e spesso si interviene quando ormai è troppo tardi. Ma mettere in mezzo un carabiniere, sto per esagerare ma è per farti capire il punto, è come accusare un politico o un prete.»
«Inutile.» commento.
«Oserei dire anche pericoloso, se pesti i piedi alla gente sbagliata.»
«Non c’è niente di nuovo in quello che ci sta dicendo.» aggiunge Diego, acido e visibilmente nervoso.
«Da ora in poi vi dirò cose che potrebbero rovinare me, perciò mi sto fidando di voi ad occhi chiusi come spero voi farete con me. Daniele è nella nostra caserma solo da pochi mesi, è stato mandato qui per una sorta di punizione. Ha avuto diversi richiami di tipo comportamentale, pare che il ragazzo non sappia controllare la rabbia. Hanno giustificato tutto con uno stress post-traumatico dovuto a uno scontro a fuoco durante un’azione sotto copertura in cui ha perso il collega con cui faceva coppia. La psicologa ha detto che gli avrebbe fatto bene cambiare aria. A quanto pare, invece, la sua situazione è solo peggiorata.»
«E la sua punizione è diventata la nostra. Mi diceva di conoscere le mie novità. A cosa si riferisce e come fa a saperle?»
«Mi riferisco a ciò che è successo stanotte al pub dove lavora mia nipote, Emma. Stamattina me lo ha raccontato perché conosce Daniele, anche se non sa niente di quello che ci siamo detti. Non ho avuto dubbi che la ragazza di cui mi parlava fossi tu.»
Ho la bocca improvvisamente secca e farinosa. Afferro il bicchiere, lo riempio e lo butto giù come fosse uno shot di vodka liscia.
«Mi ha raccontato tutto, anche che è dovuto intervenire un altro ragazzo a bloccarlo fisicamente e stavano per sfociare in una rissa, se quello che c’è stato non si può già definire tale. Questo, ovviamente, cambia le cose. Per quanto io ti credessi, ciò che avevamo in mano fino a ieri mattina era davvero poco, più simile a una serie di sospetti che non a vere prove.»
«E oggi, cosa abbiamo?»
«Oggi abbiamo il modo di agire.»
«Come? Potrò andare avanti con la mia denuncia? I presenti di ieri hanno detto che sono disposti anche a testimoniare se fosse il caso.»
«Non sarà necessario perché agiremo per un’altra via, una più semplice e meno invasiva per te. Questo eviterà di metterti in pericolo in un qualsiasi modo e risolverà comunque il problema.»
«Si diverte a tenerci sulle spine o non sa ancora cosa fare e cerca di prendere tempo?» Diego lo spinge al punto.
«Date le circostanze del suo trasferimento, ci era stato indicato che se avessimo notato segni di cedimento a livello psicologico, sarebbe dovuto tornare a casa e iniziare il vero e proprio percorso riabilitativo, eliminando la possibilità di una reintegrazione diretta.»
«Lo manderanno in un centro psichiatrico?»
«Circa. So che non è quello che volevi, forse. Ma da lì lavoreranno sulla sua psiche. Nel rapporto annoterò ogni dettaglio e posso assicurarti che non sarà riabilitato finché non tornerà normale.»
«Se lo è mai stato.» commenta ancora poco rassicurato Diego.
«Non vi vedo molto contenti. Forse perché non vi ho detto la cosa migliore. Ho già inviato la richiesta.» Guarda l’orologio. «Daniele sta partendo in questo momento per tornare a casa sua, scortato da due fidati dei nostri. Ve ne siete appena liberati.»
Avete presente quella sensazione strana di quando vedevate un pacco regalo sul vostro letto ma non volevate fare i salti di gioia perché avevate appena litigato con la mamma? Quel momento in cui cercavate di reprimere una gioia che si faceva sempre più forte nonostante vi continuaste a ripetere che non c’era niente di cui essere felice? Io in questo momento sto esattamente così. So che non è quello che desideravo, che ancora una volta la giustizia italiana ha fatto schifo, ma Daniele è sparito dalla mia vita! Può essere partito per la riabilitazione o perché gli è morto il sarto, ma è partito! Il motivo non mi interessa.
Finalmente una buona notizia.
   
 
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