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Autore: Follow The Sun    24/08/2016    2 recensioni
Sono sopraffatta... Il corpo ridotto al limite, la mente vuota e le mie emozioni sparse al vento. Allunga una mano dietro di sé, toglie l'umido lenzuolo dal fondo del letto e me lo avvolge intorno al corpo. 
La stoffa fredda ed estranea mi fa rabbrividire.
Lui mi circonda con le braccia, tenendomi stretta, cullandomi possessivamente avanti ed indietro.
«Perdonami» mormora vicino al mio orecchio, la voce sciolta e desolata.
Mi bacia i capelli, un bacio, e un altro.
«Scusa, davvero»
Gli affondo la faccia nel collo e continuo a piangere, uno sfogo liberatorio.
Uso un angolo del lenzuolo per asciugarmi la punta del naso e a poco a poco mi rendo conto che quella visione non è poi tanto male.
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Questo è il remake della storia "she's a good girl", quella vecchia è stata cancellata, dati gli scarsi progressi.
Spero che questa versione sia meglio di quella vecchia :)
Se vi va fatemi sapere come vi sembra.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"She's a good girl." 
Capitolo 26.
 
Spostai la posizione delle mie gambe, seduta per terra sullo stipite piatto del balconcino in soggiorno. Era una giornata molto soleggiata, una di quelle più belle della stagione, e avevo deciso di rilassarmi un po' al sole.
La tenda verde sopra di me svolazzava leggermente andandosi a scontrare contro la ringhiera del balcone, così la fermai con un paio di mollette colorate poste al mio fianco.
Mio padre, in giardino, cercava disperatamente di accendere un tagliaerba centenario, senza alcun successo. Alzai una mano e gli accennai un saluto molto rapido.
 
Il sole infastidiva i miei occhi, ma non mi importava. Era un calore piacevole, tranquillo, mi piaceva trascorrere le giornate in quel modo, nonostante non lo facessi da tempo.
Afferrai il mio cellulare e guardai l'ora sul display.
 
14:53
 
Lo riposi di nuovo per terra, ignorando completamente i messaggi sul gruppo della band. Non mi sentivo affatto in colpa.
 
Quando alzai, per la seconda volta, la testa in direzione di mio padre, lo trovai in compagnia di Nicholas. Entrambi in difficoltà nell'accensione di quell'aggeggio.
Mi morsi l'interno di una guancia e mi alzai, sostenendomi sulla ringhiera del balcone.
-Hey Nicholas! Lascia perdere quel brontolone, vieni qui a prendere un po' di sole- esclamai, stando attenta a non alzare troppo la voce.
Notai mia madre sorridere con la coda dell'occhio, mentre era occupata a spolverare i mobili del soggiorno come una principessa dei fiori.
Nicholas annuì, scusandosi probabilmente, si grattò il retro della nuca e sparì all'interno della casa.
 
Quando mi raggiunse, con un'espressione confusa in volto, piegai le gambe e le incrociai facendogli spazio.
-Sai…- iniziai. Sospirai e feci finta di guardare all'orizzonte. In una manciata di secondi, in cui il mio sguardo cadde sull'altra sponda del marciapiede, mi venne in mente quando Dylan mi portò a fare un giro, quella notte lontana. Spontaneamente sorrisi, e mi domandai come stesse e cosa sarebbe successo se non ci fossimo allontanati così tanto.
 
Ritornai alla realtà, notando che avevo lasciato il discorso a metà; in realtà non avevo neanche iniziato. Dettagli.
 
-Giornate come queste sono davvero rare. L'aria è umida, ma fa fresco. Il sole riscalda i cuori di chi sa sopportarlo- feci una lieve pausa, nella quale Nicholas si sedette il più possibile lontano da me; non lo diede però molto a vedere.
-Però, nonostante io ami queste piccole cose, i miei sono sempre così distanti-.
Approfittai del fatto che mia madre se ne fosse andata al piano di sopra per sparlare a più non posso.
Non capitava spesso che io parlassi della mia famiglia con gli altri, nessuno avrebbe capito. Ma, in quel momento, Nicholas era l'unico che poteva realmente capire come stavano le cose.
-Sei appena arrivato, è tutto nuovo per te, per me; anche per loro. Ora ti può sembrare tutto molto semplice, felice, ma non sarà così fra un paio di mesi-.
Nicholas socchiuse la bocca mentre giocherellava con il bordo della sua maglietta nuova. Sospirai, di nuovo.
-Partiranno per qualche “impegno di lavoro”, staranno via qualche settimana, torneranno e saranno assenti per quasi tutta la giornata. Scommetto che saranno entusiasti dei tuoi primi bei voti a scuola, tralasciando i miei sforzi. Inizialmente saranno senza dubbio molto contenti, poi ci faranno l'abitudine e molleranno, come hanno sempre fatto-.
Ridacchiai un po', smettendo però subito. Forse stavo iniziando ad esagerare.
-Inoltre, non pensare che riceverai sempre tutti questi gentili servigi…-.
Decise di reagire, finalmente. Con uno scatto veloce si sistemò il ciuffo di capelli e prese in mano la situazione.
-Okay, posso accettare il fatto di non esserti proprio molto simpatico, o di farti pena da poter essere facilmente calpestato dalle tue parole, ma non posso continuare a ricevere accuse e prese in giro da parte tua. Davvero, dimmi cosa devo fare per non essere più accusato. Non ne posso più-.
Si prese una pausa per prendere un respiro profondo, completamente rosso in volto.
-Scusa se ti sembro inutile e infantile. Scusa se ho invaso i tuoi spazi. Non ho obbligato nessuno, alla casa comune, a essere adottato. I miei progetti per il futuro erano quelli di ritrovare mia madre e andare a vivere con lei senza avere il peso di una famiglia che mi volesse bene. Non tutto va sempre come si spera, lo sai?-. 
 
Per i primi minuti rimasi completamente spiazzata dalle sue parole. La mia bocca si era quasi completamente spalancata all'improvviso impulso di coraggio.
Non lo notai subito, ma una lacrima andò a formare una macchiolina sul piano di cemento del balconcino. Non era mia.
Non volevo piangesse, da una parte perché non volevo e basta, dall'altra perché i miei genitori, se lo avessero visto, avrebbero fatto non poche domande.
 
-Ascoltami. Io non ti odio, va bene?-.
-Certo-.
Gonfiai le guance e rilasciai un sonoro sbuffo.
-Non posso, ovviamente, sapere come ci si sente ad essere adottato o cose del genere, ma non devi sentirti discriminato se ti sto solo dando dei consigli o degli avvertimenti sulla mia famiglia. Sto… iniziando a volerti davvero bene dopo infiniti e intensi momenti di riflessione con me stessa. Quindi, sto solo dicendo che se un giorno dovessi sentirti solo o, che ne so, trascurato, io sono sempre qui. Non mi muovo-.
All'ennesima lacrima caduta, Nicholas si alzò da terra, provocando un leggero schiocco quando la sua mano sudaticcia si staccò dallo stipite del balcone.
Lo osservai per intero, davanti a me, le sue gambe lunghe e sottili, le mani chiuse in pugno e un paio di gocce d'acqua sul tessuto chiaro della maglietta.
Istintivamente mi alzai, allargai le braccia e in modo inaspettato lo strinsi a me.
 
[…]
 
-Non sono pronta- ammisi, più a me stessa che alla rossa accanto a me.
Iris, dal canto suo, sembrava completamente tranquilla e a suo agio.
Un paio di segretarie apparvero con dei tabelloni sotto braccio, camminando come degli agenti dell'Fbi.
Alcuni ragazzi mi spinsero da dietro e finii compressa tra ascelle puzzolenti alla mia destra e schiene brufolose davanti a me.
-Non spingete!- mi lamentai, mentre con le mani cercavo di allontanare l'essere dalla schiena più vomitevole dell'intero universo da me.
-Emma, guarda-.
L'ansia si impossessò del mio corpo, brividi di freddo mi attraversarono. Avevo paura, nonostante sapessi di aver studiato duramente, e anche più degli altri, per gli esami finali. Alcuni esultarono, molti cominciavano ad andarsene soddisfatti. Pochi rimanevano delusi.
 
Come se non bastasse, proprio mentre stavo esaminando con gli occhi, da lontano, l'intero tabellone, le forze mi abbandonarono e caddi sulle gambe.
Venni letteralmente trascinata via da Iris.
-Sei passata! Emma, ce l'hai fatta! Grazie a Dio, mi hai stressata per tutta la mattina-.
Mi diede una coppia di baci sulle guance, fece cenno a Calum di avvicinarsi e se ne andò a controllare i suoi voti.
Mi coprii il volto con le mani, seduta a terra, mentre le mie gambe tremavano e trepidavano.
-Congratulazioni, hai quasi tutte A- si grattò il mento, un sorrisetto furbo stampato sul volto. -Io sono passato, certo, ma mi aspettavo molto di più di qualche B o C forzate-.
Avevo bisogno di un vero abbraccio, così allargai le braccia e aspettai che mi raggiungesse. Non ci mise molto.
 
 
Quella notte, rotolando nelle lenzuola, piansi come mai avevo fatto in tutta la mia vita. 
Non erano solo lacrime di gioia, stavo terribilmente male a causa dell'ennesima assenza dei miei genitori.
Li avevo chiamati, quel pomeriggio stesso, il penultimo giorno di lezione, e loro non avevano fatto altro che complimentarsi con un “brava, studia sempre, mi raccomando”, per poi attaccare e non farsi vivi per ore. Tenevo a quei risultati più di ogni altra cosa, sapevo che quella era una scuola con dei livelli distintamente alti, che avrei dovuto dare il meglio. Sapevo che mia madre ci teneva davvero tanto, era stata lei a iscrivermi a quell'istituto, sperando di incrementare il mio genio.
Erano sempre stati al mio fianco, ogni anno, in ogni paese in cui frequentai le scuole. 
 
Scesi in cucina per bere un bicchiere d'acqua e per togliere lo sguardo da tutti quei libri che non facevano altro che ricordarmi quello spiacevole evento.
Un singhiozzo più rumoroso degli altri scivolò dalle mie labbra, mi affrettai a portarci una mano davanti.
-Non devo piangere- ripetei a me stessa, sussurrando.
Afferrai successivamente un fazzoletto da uno dei cassetti della cucina e mi asciugai i contorni degli occhi.
Grazie alla luce fioca della lampada da soggiorno, potei notare come le lacrime avessero distrutto il mio capolavoro con il trucco, eseguito quel pomeriggio.
Buttai il pezzo di carta e andai a sedermi davanti alla finestra del balconcino, osservando le stelle e la strada al di fuori di essa.
I miei piedi nudi cominciavano a patire il freddo pavimento, ma cercai di non pensarci e mi concentrai sulla vita spenta oltre quelle mura.
Nonostante tutto non smisi di piangere.
 
-Va tutto bene?-.
Aprii gli occhi con uno scatto improvviso, alzando la testa dalle ginocchia. 
Mi ero addormentata di fronte alla finestra, sul pavimento, nel bel mezzo della notte.
-Spero di non averti spaventata-.
Si chinò e, senza preavviso, allungò le maniche del suo pigiama-felpa per pulirmi la faccia dalle lacrime e dal trucco colato.
-Niente che non si possa risolvere con del detersivo, comunque- affermò, speranzoso, osservando la grossa macchia nera sul tessuto evidentemente più chiaro.
 
Passarono minuti per me infiniti, io e Nicholas uno accanto all'altra, stanchi e moralmente deboli e indifesi. Fragili.
 
-Quando ero all'orfanotrofio, mi prendevo sempre cura dei bambini più piccoli. Gli insegnavo la matematica, la grammatica e addirittura storia e geografia…- sorrise amaramente, ma lo nascose subito con una smorfia. -Solitamente dopo un paio di giorni si stancavano e si dimenticavano di me e delle lezioni-.
Lo vidi stringersi nelle spalle. Alzò il volto e diede una rapida occhiata alla lampada accesa.
-Oggi sono usciti i risultati degli ultimi test, i quali avrebbero compromesso la promozione o la bocciatura-. Raccolsi un'altra lacrima fuggitiva. -Sono stata promossa, quasi tutte A, solo una B in educazione fisica-.
Tirai su col naso, aspettando una reazione da parte del ragazzo.
-È fantastico. Congratulazioni!- una delle sua mani calde andò ad appoggiarsi sulla mia spalla, coperta in qualche modo dal leggero tessuto del pigiama.
Solo quando notò che non accennavo né a sorridere, né ad aggiungere un “grazie” o una qualsiasi affermazione di gratitudine, mi fece la tragica domanda.
-Allora cosa c'è che non va?-.
 
 
Quando mi svegliai, il mattino dopo, sdraiata sul tappeto del salotto con una gamba di Nicholas sulle spalle, non pensai a quanto la mia giornata stesse cambiando di male in peggio. Un suono lontano e ovattato raggiunse a fatica le mie orecchie, mentre cercavo di togliermi un piede dai capelli.
-Nick, Nick, svegliati- mormorai, ancora completamente assonnata.
-Mmh-.
Mi misi seduta, guardandomi in giro.
Ero stata svegliata, probabilmente, dal rumore di un autobus passato davanti alla mia abitazione, o forse dalla forte luce solare che passava dalla finestra.
Nicholas se ne stava sdraiato come un orso in letargo, sul tappeto. Distolsi lo sguardo quando notai che parte della sua maglietta si era alzata, mostrando l'elastico dei boxer e parte della pancia fino all'ombelico.
 
-Che ore sono?- chiesi quando ritornai alla realtà.
Nicholas si alzò con uno scatto repentino, stropicciandosi gli occhi e puntando lo sguardo sull'orologio da parete che fino a quel momento non avevo ancora esaminato.
-Non credo ti piacerà saperlo-.
 
[…]
 
-Non è possibile! In ritardo l'ultimo giorno di scuola. Non arriverò mai in tempo, mai!- urlai, disperata.
Nicholas, senza alcun motivo esistente, continuava a fare avanti e indietro per il salotto, con le dita affusolate incastrate tra i suoi capelli scuri.
Mi infilai l'ultima calza, la tirai fino al ginocchio e mi misi in qualche modo le scarpe. 
Ero un completo disastro: i capelli non erano pettinati, non mi ero truccata e l'uniforme era piena di pieghe. 
-Cosa faccio? Gli autobus sono troppo lenti, fanno troppe fermate, non ce la farò mai!- ribadii.
Afferrai in fretta il mio zaino, togliendo da esso i libri inutili e inserendoci alcuni fogli bianchi. I foglietti volarono ovunque per la stanza, i libri caddero a terra rovinosamente ed i fogli nello zaino, probabilmente, avevano preso davvero delle brutte pieghe.
 
-Chiamo Ashton. Avrà sicuramente la macchina, non può già essere al lavoro. No, certo che no-.
Con le mani tremanti afferrai il cellulare e feci partire la chiamata, ansiosa.
Dopo una manciata di squilli, un Ashton assonnato e con la voce impastata rispose alla mia chiamata.
-Uhm, pronto? Emma?-.
-Ashton, ho bisogno del tuo aiuto. Ti prego, accompagnami a scuola. Il più veloce che puoi-.
 
 
Dopo appena sette minuti il riccio apparve sotto casa mia, i capelli spettinati, peggio dei miei, ed una maglietta stropicciata messa al contrario.
Salutai Nicholas velocemente, ringraziandolo per il quasi inesistente, ma comunque significativo, supporto morale dato nei minuti in cui mi stavo preparando e corsi verso la macchina del biondo.
-Parti, devo essere a scuola tra… Quattro minu…-. Smisi di parlare quando notai che Ashton non portava i pantaloni, ma solo dei boxer. Verdi con le tartarughe ninja.
-Non fare domande, mi hai svegliato nel bel mezzo di un sogno fantastico. Ripeto, non fare domande- disse, mentre passava ad un semaforo giallo più veloce che poteva.
-Potevi metterti almeno dei pantaloncini-.
-Potevi svegliarti prima, questa mattina-.
Sbuffai, aveva vinto lui.
 
Cinque minuti e ventisette secondi più tardi eravamo davanti al Norwest Christian College.
Ashton mise il freno a mano e si rivolse a me, tenendo strette le mani sul volante.
-Quindi, sono perdonato?-.
Sorrisi, scuotendo la testa come per prenderlo in giro. 
 
“Ovvio che sì”.
 
Gli lasciai un abbraccio veloce e uscii dalla macchina, correndo verso l'entrata.
Per mia fortuna le lezioni non erano ancora cominciate, così appena Allison comparve sul mio campo visivo, in compagnia di Michael, mi sedetti a terra accanto a loro.
 
Nessuno dei due fiatò, si limitarono a guardarmi imbarazzati. Allison si piegò al mio fianco, accarezzandomi una spalla.
-Mi sono confessata a Michael, il problema è che domani devo uscire con Calum. Ha insistito così tanto!-.







Ehilà! Sono qui innanzitutto per presentare questo capitolo come uno dei miei preferiti in assoluto. Il motivo è che mi rappresenta particolarmente, e spero che voi possiate apprezzarlo tanto quanto me :)
Inoltre, vorrei che non vi allarmaste troppo per l'ultima frase, non è niente di grave lol
Torna in gioco il #TeamAshton. Chi avrà la meglio?

Grazie per aver letto,
-Follow The Sun xx
  
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