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Autore: Megara_Umbreon    25/08/2016    0 recensioni
Apri gli occhi.
Tre parole spuntate senza un vero motivo. Era difficile capire chi stesse parlando e pure con quale tono. Era una minaccia? Era disperazione? Un semplice comando? E per cosa? Come se non avessi già aperto— no, non erano aperti. Sembravano serrati in una morsa misteriosa di cui l'origine era sconosciuta. Ma poi capii una cosa: ero io che dicevo di aprire gli occhi. Ero io.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quelle ore di ginnastica, le dovevo passare meglio. Non dovevo leggere, non dovevo isolarmi da tutti. Dovevo sfidare i miei compagni a chi correva più forte, per potermi allenare con loro, attraverso l'adrenalina della competitività. E invece non l'avevo fatto, trovandomi così a correre in una maniera che mi sembrava spaventosamente lenta.

Corsi, non pensai a quel ragazzo che mi aveva salvato: egoisticamente pensavo se la sarebbe cavata. I dubbi erano più sulle mie capacità. Ma ormai ero lontana, i suoi dei loro lamenti, non li sentivo più.

Ero salva. Ero viva.

Ero sporca di sangue.

Caddi a terra, come un sacco di patate. L'eleganza ora, era sicuramente in secondo piano.

La mia guancia si arrossò subito, a causa del contatto con l'asfalto ruvido e pungente come il male che percepivo al livello della schiena. Volevo alzarmi, riprendere a correre e far finta che non era nulla, un coltello che, a giudicare dall'epicentro della sofferenza, era il mio fianco sinistro. Nel film la protagonista riusciva pure a resistere a più pallottole, perché lei no? Dove stava la differenza tra ciò che si fa nella finzione e quello che si fa nella realtà?

La mente stava viaggiando troppo, questo sicuro. Stava sprecando delle energie che mi sarebbero ben servite per provare ad almeno ad alzarmi, ma ormai, l'unica cosa che riuscivo a fare a malapena, era tenere gli occhi aperti.

Apri gli occhi.

Ripetei tra me, come per sollecitarmi a compiere quel comando, se mi fossi arrabbiata con me stessa. Non potevo finire così, la mia vita. Non potevo permettermi di aver avuto una banalissima conversazione con mia mamma come ultimo discorso e non qualcosa di più profondo.

Non potevo morire per un pugnale, ma soprattutto non potevo morire così ingiustamente. Dove stava l'ingiustizia di non potersi ribellare a qualcuno? A dover subire senza reagire e accettare quello che un estraneo aveva deciso per te? Perché la mia vita è diventato un divertente giocattolo nelle mani di quello psicopatico?

Troppe domande e troppo poco tempo.

Non riuscivo più a pensare ormai, vedevo tutto grigio o almeno percepisco quel colore. Forse è meglio finirla qua.

« Ehi, ragazzina! » Mi svegliai da quel sonno che mi stava tanto chiamando, ma ancora non mi sentii capace di aprire gli occhi. « Abbiamo fatto fatica a trovarti, Cancer e davvero— non puoi morire qua senza provare a combattere. Ne va della reputazione tua e degli altri undici. Vuoi davvero rovinare pure la mia credibilità? »

« Clarice— mi chiamo Clarice. Non Cancer. »

« — Capisco. La memoria non ti è tornata. Forse— forse è meglio così. Meglio morire come un essere umano. »

« E' troppo tardi, vero? » E non servì una risposta orale del ragazzo, avevo già capito. « E' stato un piacere, morire tra le tue braccia— »

« Libra, chiamami libra. »

« Suona come libertà. »

« La Bilancia cerca sempre la libertà. »

E non so se quest'ultima frase l'ho immaginata io o se l'ha detta Libra, sta di fatto che fu l'ultima che sentii.

   
 
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