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Autore: Aerith26    29/04/2009    3 recensioni
Una piccola one shot sulle note dei Beatles, Hinata, il suo passato e la sua situazione attuale con Sasuke. << Ricordo che da piccola, ogni qualvolta non avevo nulla da fare, non facevo altro che starmene in giardino a canticchiare questa canzoncina. Mamma diceva che si chiamavano Beatles. Che nome buffo, pensai ridacchiando, si chiamano " scarafaggi ". >>
Genere: Romantico, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sasuke Uchiha
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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“ One, two, three, four, can I have a little more? ”

 

Ricordo che da piccola, ogni qualvolta non avevo nulla da fare, non facevo altro che starmene in giardino a canticchiare quella canzoncina.

L’avevo sentita per caso, una volta alla radio con mia madre, e da allora quel motivetto non aveva più smesso di continuare incessantemente a ripetersi nella mia mente.

 

 All together now  ”...

 

Mamma diceva che si chiamavano Beatles.

 

Che nome buffo, pensai ridacchiando, si chiamano scarafaggi. 

 

 

“ Five, six, seven, eight, nine, ten…I love you! ”

 

Mia madre ci lasciò poco tempo dopo, in una piovosa nottata estiva .

Non ricordo molto…quando ripresi conoscenza lei non c’era già più.

 

Da allora, niente è stato più lo stesso.

Neanche papà.

Neanche Neji il mio cuginetto, e lo zio Hizashi.

La mia grande casa, la gente che la frequentava, e tutto ciò che ci circondava, cominciò ad apparire in una prospettiva diversa. Spenta.

Come se mamma, col suo volare via, si fosse portata via quel poco che di buono il clan possedesse.

Troppo piccola per capire, troppo piccola per farmene una ragione.

Abbastanza grande da soffrirne.

 

Mamma non avrebbe più sorriso.

Non avrebbe più parlato, non si sarebbe più arrabbiata, non mi avrebbe più acconciato i capelli, nè lasciato i dolcetti sotto il cuscino in modo che io li trovassi ogni sera.

Questo ero in grado di capirlo anch’io.

 

Ricordo che  indossavo abiti neri persino per dormire.

E il lento via vai di gente triste e sconsolata, che faceva la fila in attesa di stringersi doverosamente attorno alla famiglia in cui era avvenuto il triste evento.

Una donna dai capelli biondi pianse abbracciando mio padre.

E la maggior parte degli ospiti non faceva che lanciare degli sguardi di pietà mista a  compassione a me o a mia sorella. Non ci volle molto tempo affinchè questa situazione cominciasse ad asfissiarmi, letteralmente.

 

Fu così, che decisi di cercarmi un piccolo spazio personale.

Un posto solo per me.

Promettendomi di non rivelarlo mai a nessuno.

 

Lo stesso che un tempo… era stato anche quello di Hanako Hyuga, nella sua breve permanenza in questo mondo.

 

Tutto ciò che volevo, era solo che mi lasciassero in pace.

E piano piano sarei guarita da sola.

 

Niente urla in quel giardino profumato, niente schiamazzi, niente voce di papà che mi dice che non sarò mai ciò che il clan desidera. Ciò che lui desidera.

Solo il mio silenzio.

Il mio tanto agognato silenzio privo di interferenza umana.

Persino il cinguettio degli uccelli era appena percettibile.

Mi sentivo bene.

Protetta nel mio anfratto, dove sapevo non sarebbero mai penetrati ospiti indesiderati.

E lì mi abbandonavo a gesti che altrimenti, non avrei mai osato anche solo pensare.

Potevo essere libera, spensierata…come una qualunque altra bambina.

Potevo permettermi di sorridere e giocare.

E persino di cantare una canzone.

 

“ A,B,C,D, Can I bring my friend to tea? ”

 

Quanto ridevo…non riuscivo a capacitarmi di quanto un semplice motivetto potesse trasmettermi una tale allegria. Saltavo, correvo, inseguendo con gli occhi un compagno di giochi che non c’era.

Chi se ne importava se il kimono di un bianco immacolato si sporcava di terra o di erba e poi mi avrebbero sgridato?

Non c’era punizione che reggesse, niente e nessuno mi avrebbe impedito di essere padrona delle mie sensazioni felici.

A pensarci bene quello fu il mio primo atto di ribellione contro le imposizioni di mio padre e del clan.

 

Personalmente poi, non capivo perché il clan trovasse ragione di esistere.

 

 Che cosa complicata, pensavo, cogliendo dei fiori da intrecciare in una ghirlanda.

Perché alcune persone dicono ad altre cosa fare della propria vita?

Perché a mio cugino è stato messo in fronte quel sigillo così brutto e sgradevole?

Non gli sta per niente bene secondo me…

 

E riprendevo a giocare…

Lanciavo un sassolino, avanzavo di tre passi.

Ma mancava qualcosa…

 

“ E, F, J, H, I, J
I love you! ”

 

Chiesi a mio padre dei gessetti colorati, un pomeriggio d’estate, dopo aver preso il coraggio a quattro mani.

Mi guardò con noncuranza, come se nessuno avesse parlato.

Il giorno dopo Neji mi offrì gentilmente i suoi.

Gli fui grata come non mai.

 

Estrassi il primo gessetto dalla custodia, chinandomi sulle ginocchia.

Sorrisi nel vedere il grigio sentiero, fatto apposta quasi, per quello che mi stavo apprestando a compiere.


 
Sail the ship bom-pa bom

   Chop the tree bom-pa bom

   Skip the rope bom-pa bom

       Look at me!!!  

 

Scrissi una scala numerica in ordine crescente dall’uno al dieci, cercando di essere più chiara possibile nella calligrafia.

Poi  ci aggiunsi una barca  e la cerchiai.

Avanzando in alto disegnai un albero e cerchiai anche quello.

Ed ancora più in alto piazzai una corda per saltare, accerchiando anche quest’ultima.

Adesso soddisfatta, avevo persino una tavola come quelle stampate su cui saltare.

 

 Black, white, green, red,

Can I take my friend to bed?

Pink, brown, yellow, orange, and blue,

I love you!  

 

Li usai tutti quei miei bei colori.

 

Per far sì che il mondo colorato che progettavo diventasse reale.

Era il mio sogno, vivere in un mondo tutto colorato.

Un mondo spensierato dove poter ridere e  giocare tutto il giorno.

 

Presi il sassolino e lo lanciai.

E ricominciai a saltare nella sequenza del disegno.

 

All together now, All together now,

All together now, All together now,

All together now!

 

 All together now!!! All together now!  ” gridavo in preda all’estasi, avanzando per tutte le caselle con un piede solo all’andata e al ritorno.

Come se quel semplice gesto racchiudesse dentro di sé, la soluzione di tutti i miei mali.

 

Purtroppo, qualche tempo dopo, mio padre lo scoprì, il mio  posto segreto.

E lo distrusse con ogni mezzo.

Mi spiace solo di non essere stata grande abbastanza per impedirglielo.

 

***********

 

 

 

 

Sono passati più di dieci anni da allora.

Ho vent’anni adesso.

E di cose, da quegli afosi pomeriggi passati in giardino, ne sono successe.

Ma non mi lamento.

Sto bene, ora.

 

Da qualche giorno, sono ospite a casa del mio ragazzo.

Sì, per strano che possa sembrare, anche una ragazza introversa, timida e insicura come me, ha il ragazzo.

E oltretutto, ne sono estremamente innamorata.

Si chiama Sasuke.

Sasuke Uchiha.

Non c’è persona nel villaggio che non conosca il suo nome, insieme a quello del Byakugan del mio clan.

Ci hanno detto indifferentemente che lui è troppo per me, o io troppo per lui.

A noi non importa, stiamo insieme e basta.

 

Ho dormito nel suo letto tutte le notti.

In maniera estremamente dolce, con il viso appoggiato sul suo petto muscoloso, il suo braccio che mi cinge le spalle, stringendomi lievemente.

E ogni volta che mi sveglio al mattino…spero tanto che tutto ciò che si è verificato la notte passata, si ripeta ogni notte della mia vita.

Una di quelle notti però, mentre dormivo placidamente assieme a lui, accompagnata dal suo respiro regolare, feci uno strano sogno.

Sognai la mamma.

Era tanto che non mi succedeva.

Ricordo che  eravamo entrambe nel giardino, vicino alle caselle che avevo disegnato io, tanto tempo fa.

Mamma sorrideva…con quel suo sorriso limpido e dolce che riservava solo a me, ciò che di più prezioso, allora, possedeva al mondo. Quando la mamma sorride a quel modo vuol dire che quello che sto facendo per lei va bene. E ne fui molto felice.

 

E forse fu la felicità accumulata improvvisamente, a farmi svegliare presto quella mattina soleggiata.

Ma anche la sete, fu una costante non trascurabile, a onor del vero.

Mi scosto pian piano da lui, cercando di non svegliarlo con qualche movimento brusco.

Lo osservo dormire per qualche istante. Con quelle sue lunghe ciglia nere, il viso dai lineamenti delicati, i capelli corvini leggermente scompigliati sul guanciale. E un respiro leggermente più profondo per qualche attimo.

Poco dopo sono in piedi, scendendo senza fare rumore le scale che conducono al piano giorno della Villa degli Uchiha.

Un luogo che per i miei gusti, era troppo grande per una persona sola.

 

In cucina riempio il bicchiere di thè freddo.

Muovo qualche passo in avanti, verso la porta scorrevole che dà sulla veranda e sul giardino, il bicchiere vuoto a metà fra le mie mani.

Oggi è davvero una splendida giornata.

<< Uhmmm…. >> mi stiracchio lievemente le braccia con uno sbadiglio, vuotando il bicchiere con un’ultima sorsata. Reduce da quel sogno, non posso fare a meno di essere attratta dal giardino, più verde che mai, di cui colgo qualche stralcio attraverso le finestre, alzando gli occhi.

Ho voglia di uscire.

 

Scosto di poco la porta scorrevole della cucina che dà sul giardino in modo da poterci passare, e una volta fuori passeggio tranquillamente, inspirando a pieni polmoni l’aria fresca e salutare del mattino. Era stata proprio una buona idea.

Il mio sguardo però, cade su un punto a caso, un comunissimo punto, che  tanti altri provvisti di fiori avrebbero potuto sostituire in effetti, forse leggermente più ombreggiato, e magari per questo privo di piante da fiore.

Sorrisi.

Anni fa, avevo faticato per ricrearne uno simile nel mio di giardino.

E venne naturale, spontaneo, gioioso, tradurre di nuovo in note i miei pensieri.

Di nuovo. Come se tutti quegli anni non fossero mai passati.

Con un sassolino nella mano, avanzando di qualche passo ripresi a canticchiare…

“ One, two, three, four, Can I have a little more?

A,B,C,D, Can I bring my friend to tea? ”

 

Salto in avanti. Ancora.

E ancora. Senza neanche accorgermene.

Ripeto la sequenza di gesti fino a che non sento la porta scorrevole aprirsi di nuovo sotto il tocco di un’altra mano.

<< Ma che diavolo stai cantando? >>
La voce ancora mezza addormentata di Sasuke interrompe l’andazzo del mio motivetto.

Mi volto di scatto verso di lui.

I capelli scompigliati, gli occhi ancora impastati di sonno, un mozzicone di sigaretta fumante fra le dita, mi osserva stranito, sbadigliando poco dopo.

<<  Una…una canzone dei Beatles… >> gli rivelo punta sul vivo a mezza voce, portando le mani dietro la schiena in modo da nascondere alla sua vista il sassolino con cui stavo giocando poco prima.

<<  Ah certo, tu e  i tuoi amici scarafaggi… >> risponde con aria di sufficienza, prendendo l’ultima boccata dalla sigaretta ormai finita, per poi spegnerla con un colpo secco.

<<  Ma il nome Beatles non significa scarafaggi… >> gli faccio notare piano piano.

 Me ne pento subito dopo.

<< Ah no? >> risponde inarcando un sopraciglio.

<< No…  >> continuo tranquillamente a mia volta. << John Lennon scelse questo nome perché una notte sognò un uomo che sopra una torta fiammeggiante gli diceva: " Voi sarete i Beatles, conla A!!! " .Infatti a  sentirlo sembra scarafaggi, ma a leggerlo fa pensare alla musica Beat… >> completo timidamente, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, con la sgradevole sensazione di essere arrossita ancora. Ma non c’era nulla di male nel non aver colto il significato bilaterale del nome del gruppo: è come la parola cricket, che sta a significare sia il gioco del cricket, che l’animale grillo.

E poi anche io avevo dovuto aspettare di saperne un pò di più su di loro prima di scoprire il mistero.

<<  Bene, grazie mille per la lezione di storia della musica… >> mi liquida in fretta, entrando pochi istanti in casa per poggiare il posacenere e uscire di nuovo per avvicinarsi a me.

Non volevo mica fare la saputella, ci mancherebbe…penso sperando che non abbia equivocato.

<<  Che canzone era? >> riprende osservandomi con una punta di curiosità.

<< All together now… >> rivelo con un sorriso lieve.

Era più forte di me. Quella canzoncina non faceva che mettermi allegria.

Lui però sembra pensare al titolo della canzone con abbastanza attenzione.

Credo che stia mentalmente cercando di ricordarsi il motivo.

Rimane in silenzio per qualche attimo, portandosi una mano sotto il mento in atto cogitativo.

<<  One, two… three…four, Can I have a little… more… >>

Annuisco colpita. Ma tu guarda se la ricorda anche lui!

<< Si, proprio quella lì!!! >> sorrido contenta.

Mi guarda soddisfatto.

<< La conoscevo anche io, ma adesso non la ricordo più tutta… >> aggiunge lui pensieroso.

Lo osservo sorridendogli con dolcezza.

Questa è la sue personalissima premura nei miei confronti.

Il suo modo educato di interpretare i miei gesti solo osservandomi, traendo le sue discrete conclusioni subito dopo.

Nessuno si prende mai la briga di farlo.

Perché cercare di andare oltre le apparenze, è molto difficile…e la gente troppo pigra o cieca per farlo…

 

E’ qualcosa di impagabile.

Impareggiabile, oserei aggiungere.

 

 E’ per questo che lo so.

So che con lui…posso parlarne ormai, dopo tanto tempo.

 

<< Quand’ero piccola, ci facevo un gioco con questa canzone… >> gli rivelo con nostalgia, abbassando la voce di qualche tono, come se in quell’ambiente pressocchè disabitato ci potesse sentire qualcuno.

<< Anche io… >> rivela a sua volta come se nulla fosse.

Lo osservo sbigottita, quasi mi sembra di non aver sentito bene.

Non me lo sarei mai aspettato da lui!

<< Assurdo!!! >> commento sorpresa, accennando ad una risata. << Io lanciavo un sasso e mi muovevo ad ogni strofa con un salto! >>

<< Idem..>> rispose con tranquillità.

 

Incredibile…assolutamente incredibile.

Io e lui, così diametralmente opposti… che avevamo in comune le migliori bizzarre abitudini dell’infanzia!

 

 

<< Si ma come continuava? >> chiede poi nello stesso tono curioso di poco prima.

<< “ A,B,C,D, Can I bring my friend to tea?  ” ma questa era la seconda strofa… >> lo informo accennando lievemente alla melodia.

Naturalmente so tutte le strofe a memoria, ma mi vergogno un po’ a rivelarle, non vorrei che trovasse un altro pretesto per considerarmi ulteriormente una bambina, più di quanto già non faccia.

<< Si…ma la prima poi continuava coi numeri… >> riflette lui <<  Five, Six, seven…eight…nine, ten… >> elenca fermandosi poi per carenza di memoria.

<<  e la seconda con le lettere E, F, J, H, I, J…  >>

 

<<  I LOVE YOU! >>

 

Lo diciamo all’unisono nello stesso preciso istante.

Alzo lo sguardo, lui fa la stessa cosa.

Arrossisco, gli occhi che si dilatano di poco.

Lui ha la stessa reazione.

E poco dopo ridiamo insieme come due bambini.

 

<< E pensare che non me l’avevi mai detto prima…. Ti ci volevano i Beatles?? >> mi lascio sfuggire ridendo piano.

 

Touchè Sas’ke, colpito e affondato.

 

 Sorride lievemente, prima di prendere il mio viso fra le mani e chinarsi a baciarmi.

 

<< All together now…>>

 

Si, credo che lo resteremo ancora per molto tempo...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Aerith’s Corner*

 

§*Dedicato alla mia sorellina Ellie, con tutto l’amore di questo mondo…§*

 

Ciò che avete appena terminato di leggere è uno di quei testi contenuti nello scrigno dei miei ricordi: un piccolo scorcio della mia personale visione della SasuHina. Amo questa coppia, considerata da tutti un improbabile “ crack  “ , anzi, è addirittura il mio pairing preferito in Naruto.

A ognuno il suo, come si suol dire.

Questa fic è nata in maniera del tutto casuale, un caldo pomeriggio dell’estate appena passata sul far del tramonto, accompagnata da un dissetante thè alla pesca, un gattaccio sulle ginocchia, le cuffie dell’ipod nelle orecchie, e l’ombra del giardino della mia casa al mare. E lì resterà per sempre, fra il frinire dei grilli nel periodo dell’anno che preferisco.

Se questa fic, pubblicata esattamente come è nata,  (semplicemente, senza nessuna pretesa) riuscisse a portarvi un sorriso, ne sarei immensamente felice.

 

 

Peace&Love to everyone…<3

 

*AERITH*

 

  
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