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Autore: Sainthumangrace    27/08/2016    0 recensioni
Il mondo va avanti anche quando tutti vorremmo che si fermasse, un attimo solo, per darci il tempo di respirare. E' questa la verità contro la quale tutti i giovani sbattono il muso prima di crescere. E Marco, il muso, se l'è quasi spaccato. Il ricordo infantile di una favola, di un peluche, di una coperta, del latte zuccherato. Il ricordo infantile di una mamma e la consapevolezza adolescenziale che ormai la vita sia andata avanti. Saranno queste le premesse per una nuova vita per Marco Calendula, che una mamma non l'ha mai conosciuta e che l'amore lo conosce soltanto per finta. La storia di come l'amore, quello vero, quello degli amici, della famiglia, quello che si trova solanto nella persona giusta, possa aggiustare un cuore rotto sin dalla partenza. Incrinato, mai curato, mai preso in considerazione per davvero.
-Storia precedentemente pubblicata su un altro mio account EFP che purtroppo mi dava problemi. Capitoli revisionati e pronti alla pubblicazione fino al decimo (il resto della storia è ancora 'in cantiere'). Mi scuso per il disagio.-
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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2.


Si erano conosciuti grazie ad amici in comune, Marco e Vanessa, che avevano avuto la brillante idea di unire i due gruppi ed uscire insieme il sabato sera. Non si può dire che fu amore a prima vista, ma stavano insieme da circa un anno e sette mesi, e la loro relazione era in assoluto la più longeva della loro comitiva. Era stata una bella relazione, tutto sommato, e Marco ci teneva a lei; ma lui era sempre stato un ragazzo libero, e i suoi amori erano tutti stati po' come quelli raccontati nei libri: brucianti all'inizio, ma fievoli alla fine. Non si sentiva in colpa per aver lasciato Vanessa. Era meglio non averla più, piuttosto che averla ma non volerla, e lei aveva reagito meglio delle sue aspettative. Se di una cosa era certo Marco, era che ci sarebbe uscita. La conosceva, e le dava massimo una settimana prima di rivederla nuovamente acconciata e senza neanche l'ombra di un'occhiaia sotto le iridi cerulee. Con il cuore più leggero a discapito del brutto presentimento si avvicinò al suo professore di biologia, che l'aveva sempre adorato, e che era colui che lo raccomandava al tirocinio. Era talmente fiducioso in sé stesso che gli bastò un'occhiata per capire che qualcosa non andava. Quando se lo ritrovò a pochi passi di distanza il suo professore non sorrise, teneva una lettera aperta in mano e lo fissava con la faccia un po' tramortita.
- Buongiorno, prof.- disse. L'uomo lo salutò con un cenno del capo appena accennato, e gli diede le spalle entrando nel suo ufficio in un muto invito a seguirlo. Marco, con la sua camminata molleggiante, lo seguì nello studio fresco di aria condizionata.
- Allora... le sono arrivati i risultati?- chiese impaziente. Il professore notò una speranza profonda negli occhi di Marco, e sembrava riluttante a rispondere.
- Sì.- disse con la sua voce da baritono - mi sono arrivati.- si sedette alla poltrona e gli fece segno di sedersi a sua volta con la mano. Marco scosse la testa.
- Quindi? Mi hanno accettato?- 
L'uomo fece segno di no.
- Sei troppo giovane.-
Marco sentì un macigno poggiarsi inevitabilmente sul cuore, e fece un verso strozzato come a dire 'impossibile!'.
- Ma ho frequentato il corso!- strillò.
Il suo professore annuì, desolato: - Lo so, ma a quanto pare non basta, devi essere almeno diplomato.- sembrava realmente dispiaciuto, e Marco sapeva che era così. Non gli importava.
- Ma questo vuol dire che...-
- Dovrai aspettare ancora un anno, sì. Ma non dovrai rifare l'esame, questo è andato bene.- Marco non era soddisfatto. Certo, non avrebbe voluto fare l'infermiere per tutta la vita, ma se lo sarebbe fatto bastare pur di capire come lavorassero i primari, i medici veri. Mise le mani in tasca e strinse forte i pugni... cavolo. - Questa è la lettera che mi hanno mandato. Saresti stato ammesso, a patto che avessi avuto un diploma tra le mani. Sono già stati fin troppo generosi a farti anticipare l'esame. Sei fortunato.-
Marco annuì lentamente: - Sì, fortunato.-
- Davvero. E poi, guarda il lato positivo -  perché c'era un lato positivo- : l'anno prossimo non dovrai aspettare per poter partecipare.- Marco sorrise. Non era contento, né rincuorato dalla sua situazione. Era nella sua natura desiderare tutto e subito, e quella cosa del diploma gli stava dannatamente stretta. Tuttavia non poteva prendersela con il suo insegnante per questo. 
- Grazie mille, professore. A lunedì.- prese il documento dalla scrivania e senza aspettare risposta uscì dalla stanza sbattendo la porta.

***

Giorgio stava provando a mettersi in contatto con lui da ore ormai. Il telefono segnava 24 chiamate perse e 11 messaggi non letti, e alla venticinquesima chiamata Marco fu costretto a rispondergli.
- Sei peggio di una fidanzata.-
- E tu sei uno stronzo.- disse Giorgio con una vocetta nasale - beh?-
Marco sbuffò: - Che vuoi?-
- Sapere com'è andato l'esame, ovvio!-
Marco sentì l'irrefrenabile impulso di chiudergli il telefono in faccia.
- Sono stato preso.-
Giorgio emise un urlo. -E lo dici così?! Insomma dovresti essere felicissimo!- la sua voce era ancora più nasale di prima, ora che urlava, e in sottofondo sentì il suo amico uggiolare un 'ahio'.
- Dobbiamo festeggiare, amico.-
- Non posso partecipare al tirocinio.-
- E perché?-
Marco alzò gli occhi al cielo: - Perché non ho il diploma... e in ogni caso, che fai stasera?-
- Andiamo al Beat, no?-
Marco inarcò le sopracciglia: - Andiamo? Chi?-
- I soliti... chiami Vanessa?-
- Non ce n'è bisogno.- 
Giorgio mugolò: - E perché?-
- Perché non ce n'è più bisogno e basta.- 
In risposta l'altro tossì, e poi si mise ad urlare: - Pezzo di merda! Non dirmi che l'hai lasciata!-
Marco sentì una strana sensazione espanderglisi nel petto, e volle convincersi che fosse rimorso, perché a non provarne sarebbe stato solo un animale.
- Troppo tardi.- abbassò il telefono, e chiuse la chiamata.

***

Ci mise fin troppo poco a lavarsi e vestirsi, visto che in un paio d'ore era già profumato e pulito, vestito di tutto punto, e con tanto di capelli acconciati. Non una cosa fuori ordine, niente lembi della camicia fuori dal pantalone. Se c'era una cosa che Marco odiava quello era senz'altro il disordine, su di lui e intorno a lui. E i ritardi. Dio, come odiava i ritardi! Era sempre stato un ragazzo preciso, metodico, e meticoloso in tutto ciò che lo riguardava. Sostenitore del 'tutto a posto e niente in ordine', o qualcosa così, ed amante del tradizionalismo. Odiava cambiare. Cambiare casa, cambiare marca di biscotti, cambiare idea... Marco assomigliava a sua madre e lui neanche lo sapeva. Lui no, ma suo zio sì; e forse era per questo che non riusciva a guardarlo negli occhi per più di dieci secondi. Perché quando sua madre lo portò loro chiedendogli con le lacrime agli occhi di poterlo adottare, Alberto Gentile non la conosceva, ma ne aveva sentito parlare così tanto che gli sembrava di sapere tutto di lei. Se aveva deciso insieme a sua moglie di adottarlo, era solo per il bambino e perché erano brave persone. Marco doveva tutto ai suoi zii, se lo sentiva sotto la pelle, nel cuore che gli scoppiava quando sua zia piangeva per lui allo stesso modo di come lo faceva per Lucia. Non sapeva niente della sua madre biologica. Quando lo lasciò aveva solo tre anni, ed ora era più abituato al ricordo di aver avuto una madre che al ricordo della madre stessa. Dopotutto sua madre ora era Luana, che aveva assistito a tutte le sue recite, che aveva curato ogni singolo raffreddore ed incerottato le sue ginocchia nodose quando scivolava dall'altalena. Aveva una famiglia, cosa che Maria non era riuscita a dargli, per mancanza di capacità più che di voglia. O almeno, a lui era così che piaceva pensare. Gli piaceva pensare a sua madre come alla donna che aveva pianto quando non aveva potuto più tenerlo tra le braccia, pensare di essere stato amato anche da piccolo. Poi si guardava allo specchio, e riusciva a contare circa dodici segni bianchi a creare un disegno sulla sua pelle lattea, e credere di essere stato amato gli risultava un po' più difficile. Ma Marco era forte. In un modo tutto suo, era forte. Se la dava a gambe dove sapeva di non potercela fare, restava accanto alle persone di cui solo lui era certo di poter essere amico, e soffriva tanto quando ne perdeva uno. Era indifferente alle cose che avrebbero potuto farlo soffrire, e si interessava di ciò che faceva soffrire gli altri. Non era cattivo, solo vendicativo, e, perché no, un po' egoista. Ma era forte quando consolava Giorgio su problemi che lui conosceva da più tempo, quando Lucia piangeva per le punizioni impartite dai suoi genitori e quando pensava che lui, due genitori, non li aveva mai avuti. Quando riusciva a guardarsi allo specchio con orgoglio, nonostante il fisico magro e i muscoli poco pronunciati, le mani lunghe, le cicatrici sul petto e il naso un po' storto. Quando piangeva perché non capiva qualcosa, quando amava. Marco era complesso da capire, ed ancora più complesso da accettare. Stargli vicino era difficile con il carattere volubile che si trovava, e farsi accettare da lui era quasi un eufemismo. Eppure gli amici gli aveva, e lui li adorava. Certo, li adorava un po' meno quando gli mettevano troppe pressioni come quel giorno, che si lamentavano di non sapere cosa fare per colpa sua, ma, hey, chi aveva mai detto che erano facili? Chiese a suo zio di accompagnarlo fino al locale in macchina, vista la sua inettitudine alle passeggiate, e gli fu tremendamente grato quando gli disse di sì. Era pur vero che raramente suo zio gli negava qualcosa, ma ne fu felice lo stesso. Arrivò al Beat circa cinque minuti prima dell'orario prestabilito, e, come aveva previsto, nessuno dei suoi amici era ancora presente. Salutò Alberto con una pacca sulla spalla, e gli fece sapere che sarebbe tornato con Giorgio, poi scese dalla modesta Dacia di famiglia e spalancò le porte del pub. 

***

Alle nove di sera il locale era ancora vuoto, ma sapeva che, con un pizzico di fortuna, verso le dieci e mezza, forse undici, tra quelle mura si sarebbe potuti soffocare. Individuò una ragazza carina seduta al bancone con il cellulare in mano ed un bicchiere mezzo vuoto di fronte, si mise le mani in tasca, e si diresse verso il posto vuoto accanto a lei.

Che il divertimento abbia inizio.



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Ben ritrovati, carissimi lettori, tra le righe di 'Come zucchero filato'!!!
Come state? Avete passato una buona vacanza e vi state godendo questi ultimi giorni di sana quiete? Sì? Bravissimi... allietate la vostra vacanza anche leggendo allora, miraccomando!
Tornando al capitolo non so sinceramente come descriverlo... parla da sé. Ahahah.
Spero che a voi sia piaciuto almeno a metà di quanto sia piaciuto a me scriverlo perlomeno!

Ringrazio vivamente chi mi ha messa tra le preferite, ricordate e seguite. Non posso che sperare di non deludervi, e chiedervi di farmi sapere cosa ne pensate sino ad ora della storia con una recensione.
Ora vado a mangiare un ghiacciolo alla menta... alla prossima!


Sainthumangrace
   
 
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