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Autore: Wings_of_Glass    27/08/2016    2 recensioni
Una storia introspettiva e inverosimile che si svolge tra incontri "segreti" e chat tra Lei, una "principessa" che non crede più nell'amore e non vuole forse farsi salvare, ma che ha disperatamente bisogno di un abbraccio vero, quello pieno di affetto che ti fa sentire sulle nuvole finché quella stretta intensa dura.. e Lui, lo "stalker", il tipico bello, tenebroso e dannato, che attira tutte e vorrebbe far cedere anche lei al suo gioco. Anche se scoprirà suo malgrado che non è affatto una preda semplice da ottenere... Come andrà a finire? Forse con un sonoro schiaffo? o con un bacio rubato? o con un lieto fine da paura?
So che è un argomento già trattato in mille modi, ma spero che la mia nuova storia vi possa piacere ed intrigare, almeno quanto a me piace scriverla qui per voi :)
Dal testo:
-Lo sai.. se fossi un animale saresti sicuramente una tartaruga- mi disse così su due piedi.
-E questo che vuol dire?- gli chiesi accigliata, stava cambiando discorso di nuovo.
-Vuol dire che quando hai paura ti nascondi dentro il tuo guscio-. Si avvicinò e mi prese la mano lentamente. -Ma non ti preoccupare io sono bravo a romperli-.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo sedici: Provare non costa niente

Mi sento di spendere due parole per quanto accaduto di spiacevole in questi giorni. Tutte queste disgrazie non fanno che mettere paura e malumore nei cuori della gente, invece dovremmo ricordarci di apprezzare la vita, con tutti i suoi lati buoni e brutti.. perché alla fine c'è un motivo se siamo qui. C'è un motivo se affrontiamo quello che affrontiamo. Siamo nati per vivere e per intrecciare la nostra vita con quella di altre persone, per far ridere chi ci vuol bene, per apprezzare cosa ci piace, per far battere il cuore di chi ci siamo innamorati, per aiutare chi è in difficoltà, per rimboccarci le mani, piangere e per stare insieme. Siamo nati per provare emozioni e per vederle crescere negli occhi di chi ci sta vicino. Non lasciamoci soli di fronte alle cose brutte, perché quando siamo uniti, nulla può essere troppo forte da abbatterci. E se volete bene a qualcuno diteglielo, ripeteteglielo fino allo sfinimento, perché non è mai scontato ed un giorno potrebbe averne bisogno. Aver bisogno di sentirlo dalle vostre labbra. Dico questo perché secondo me la paura, la tristezza, la nostalgia si superano grazie a chi ti vuole bene.

L'estate ormai era quasi agli sgoccioli. Avevo trovato un lavoro e ne ero soddisfatto, ma avevo deciso di completare la scuola che avevo lasciato. Iscrivendomi ai corsi serali. Mi mancava solo un anno ormai e sentivo di potercela fare. Essere diplomato mi avrebbe aperto senza dubbio più porte per il futuro. Ma dovevo ancora comprare i libri. Ero un caso perso, mi ero fatto prendere da altre cose e mi ero scordato di altre. Non dandoci importanza. Avevo già avvisato però il mio datore di lavoro e non era un problema la mia ripresa degli studi. Forse avrei smesso di provare con la band. Questa era la cosa che più mi dispiaceva. Eliza se ne era già andata da giorni e gli altri non sembravano avere abbastanza voglia di darsi da fare. Escluso James.

Qualche volta mi capitava di ripensare anche a Lucy, ormai era passata una settimana da quando avevamo smesso di sentirci. O meglio io avevo lasciato perdere. Avevo fatto un disastro, lo sapevo. Ormai era fatta e l'avevo persa. Dannato orgoglio, non avrei dovuto essere così sfacciato con lei ed anche dannata tentazione, non avrei dovuto rivelare le mie voglie così presto. L'ultima cosa che ero riuscita a strapparle era un breve resoconto sulla situazione di Jack. Eliza mi aveva raccontato tutto ed ero stato anche a trovarlo due volte da quando avevo saputo che stava meglio, mentre Lucy era impegnata nella caffetteria. Lui mi aveva detto che non la conosceva benissimo e che quindi non poteva darmi consigli su come gestire il nostro silenzio. Andava da lui in ospedale ogni sera e lo aiutava a ricominciare a camminare con le stampelle. Era davvero una ragazza d'oro, mi ripeteva sempre. Me lo avevano detto anche i suoi genitori una mattina, in cui ci avevano sorpreso a parlare di lei. Ma questo lo sapevo già. Potevo chiederle una tregua? Sembrava una vera e propria battaglia tra me e lei. Una battaglia contro le sue paure e la mia frettolosità. Se ci pensavo troppo mi veniva voglia di vederla, di parlarle, di provare a spiegarle ancora una volta che non le avrei fatto del male. Ma lei non sembrava pronta a scendere a patti e compromessi, ne tanto meno a starmi a sentire. In più avevo scoperto che mia madre voleva abbandonarmi. Potevo cavarmela da solo, ma avevo ancora bisogno di lei. L'avevo sentita parlare a telefono con la zia che si sarebbe tanto voluta trasferire, che non ne poteva più del suo lavoro e di me che non l'aiutavo mai. Forse se ne sarebbe andata da sua sorella, senza nemmeno avvertirmi. In effetti non ero quasi mai a casa. Possibile che sbagliassi sempre tutto? Cercavo di mostrarmi sicuro e responsabile, ma forse non lo ero veramente.

Quella mattina decisi quindi di andare alla segreteria del liceo, per farmi dare la lista dei testi da comperare per l'inizio dell'anno scolastico. Ero davanti al cancello arrugginito della scuola che finivo la sigaretta. Avevo anche ripreso a fumare, per sfogare le mie frustrazioni, ma non come un tempo. Volevo cambiare e rimediare al mio passato, non buttarmi di nuovo nella fossa. Lasciai cadere il mozzicone per terra, tanto lo facevano tutti e mi avviai verso l'entrata dell'edificio. Il fumo mi aveva distratto, ma non calmato. Era cambiato dall'ultima volta che ci ero stato e mi sentivo teso. Mi sembrava che il giardino avesse più alberi e che avessero messo delle tapparelle nuove alle finestre, oltre ai graffiti che erano stati coperti. Uno lo avevo fatto io, dopo una scommessa con degli amici. Le solite cavolate da ragazzini. Fissai la porzione di muro dove si trovava il mio disegno ed ora era immacolata come una maglia appena tolta dalla lavatrice. Era passato tanto tempo, ma mi sembrava di conoscere quel luogo come le mie tasche. Salii i gradini e percorsi il largo corridoio fino alla segreteria, che invece di essere all'ingresso era dopo quasi tutte le aule del piano terra. Ma mi arrestai improvvisamente. Lucy era davanti a me ed indossava un vestito. L'avevo sempre vista con i pantaloni e quella era una novità, se non contiamo l'abito da scena. Ma quello che portava era più moderno. Aveva una gonna lunga fino alle ginocchia, ed era nero e senza maniche, decorato con delle piccole balze. Doveva vestirsi più spesso così. I capelli sciolti le ricadevano lunghi sulle spalle, sembrava quasi un dipinto. Lei stava leggendo un manifesto appeso al muro, accanto alla porta della segreteria, non si era nemmeno accorta di me. Perché ogni volta dovevo incontrarla? Non poteva essere solo un caso. All'inizio optai per tornarmene indietro e aspettare che se ne andasse. Ma non potevo perdere quell'occasione, ora che entrambi avevamo sempre meno tempo libero. Mi avvicinai a lei, con passo felpato, ed analizzai velocemente cosa era intenta ad osservare. Si trattava di una locandina di un concorso per giovani scrittori.

-Quindi ti piace scrivere?-.

Lei sobbalzò e si portò una mano al cuore, girandosi verso di me stupita. -Nial! Mi hai spaventata- disse per poi emettere un sospiro che mi sembrò intriso di esasperazione.

-Come stai?- le chiesi, cominciando da qualcosa di semplice ed importante.

-Che ci fai qui?- chiese, invece di rispondermi, inarcando un sopracciglio. Era a disagio, glielo si leggeva in faccia. -Riprendo a studiare- le dissi vago – te lo avevo detto, no?-. Lei annuì.

-Jack mi ha detto che sei stato da lui- cambiò discorso.

-Sì e allora?-.

-No.. nulla-. Mi aspettavo che mi ringraziasse come suo solito. Invece sembrava disorientata.

-Tu che ci fai qui?-.

All'inizio sembrava che non volesse dirmelo. Ma poi tornò a guardare il manifesto. -La mia vecchia prof di letteratura voleva incontrarmi-.

Sarebbe stato meglio parlare di lei, di quello. Avevo troppe cose da dirle, le idee mi si affollavano in testa, come formiche dentro un formicaio e non riuscivo ad uscire da quella confusione. -Scusa devo andare- disse, prendendo quelle distanze a cui non volevo abituare.

-Smettila di scappare- le afferrai il polso, ma senza stringere, solo per bloccarla. -Per favore- aggiunsi, cercando di convincerla ad ascoltarmi. Un bidello fischiettò passando la scopa sul pavimento, alla fine di quel corridoio. I nostri sguardi si posarono su di lui per poi incrociarsi di nuovo. Lei stava cercando di guardarmi con superiorità.

-In realtà me ne sto andando ora, ho il giorno libero e Jack mi aspetta..-.

-Cinque minuti, devo dirti una cosa-. Le lasciai il polso, interrompendola.

Lei incrociò le braccia al petto, indecisa. -Dimmi..- mi incalza ed io avevo pronto un discorso che sembrava studiato, ma non avevo altro modo per dirle quello che pensavo.

-Ti ho mostrato quello che tutti sanno di me, ma io sono anche altro. Tu mi interessi davvero. Infatti non ti farò mai del male. Anzi, sono uno stupido perché ti ho avuta sempre sotto al naso, e non mi sono mai accorto di te fino a poco tempo fa. Non mi piace l'idea che hai di me, dammi la possibilità di farti vedere che non sono cattivo, che non sono come Chris-.

Lei spalancò gli occhi. Sapevo di aver toccato un tasto dolente. -Io.. io ti ho già dato una possibilità- mi disse, quasi con rabbia. Arretrai di un passo, lasciandole spazio.

-Lo so, ed ho sbagliato. Non volevo movimentare le cose-.

-Ma ora è tutto diverso Nial..-.

-Vuoi dire che io non ti interesso sotto quell'aspetto? Nemmeno un pochino?-. Portai la mano nella distanza tra di noi, distanziando indice e pollice a sottolineare la quantità di quanto lei potesse ricambiarmi. Sperai che quel gesto le strappasse un sorriso, ma lei abbassò lo sguardo verso la punta delle sue scarpe a quadri blu e bianchi. Non disse nulla. Sembrava confusa. Arrabbiata e confusa. Mi avvicinai cautamente di nuovo e le accarezzai la guancia con il pollice, facendo alzare il suo viso verso il mio. Aveva gli occhi lucidi. -Non voglio correre, andremo con calma, te lo prometto-.

Lei scosse la testa e delle ciocche le finirono sul volto. -Non è quello che voglio sentire-.

-Allora cosa vuoi?- le chiesi con calma, mentre di nuovo la lasciavo dolorosamente andare. Volevo che mi dicesse che potevamo provare a stare insieme. Stava complicando tutto.

-Così è troppo facile Nial- sospirò. -Te lo richiedo per l'ennesima volta, cosa vuoi da me?-.

Era la domanda del secolo. Nemmeno io lo sapevo. Cercai una risposta dentro di me ma non sapevo cosa dirle per convincerla a fidarsi di me. Lasciai andare le braccia lungo i miei fianchi, come se mi fossi arreso. Volevo stupirla. -Voglio renderti felice- le sussurrai, con voce roca.

Lei non sembrò minimamente colpita. Mi superò e fece qualche passo verso l'uscita.

-Più scappi, più mi struggerai.. più mi struggerai e più lotterò- le dissi ad alta voce, ed anche il bidello ci fissò incuriosito.

Lei si girò, fermandosi un attimo e mi rivolse uno sguardo che non seppi decifrare. -Mi hai detto che non insegui le persone e poi Nial tu mi spaventi-.

-Tu sei l'eccezione della regola- le risposi lasciando perdere la seconda parte della frase -Ma non chiedermi perché ti vedo così importante, perché semplicemente non saprei spiegartelo.

-Sei solo un bambino viziato a cui non piace sentirsi dire di no- sbottò lei, ma non mi lasciai scalfire da quelle parole cariche di nervosismo.

-Allora dimmi perché ti sono rimasto vicino quando stavi male?-.

-Per attirarmi.. per..-. Si stava arrampicando sugli specchi.

-Giusto, spreco tutto il mio tempo solo per farmi bello ai tuoi occhi- le dissi con tono quasi ironico, interrompendola. Sembrava un gioco.

-Sì- rispose ma il suo tono di voce era poco convinto.

-E continuo a fare la figura dell'idiota, nonostante non sia mia abitudine-.

-Sì-.

La seguii e mi riavvicinai a lei, che non indietreggiò per fortuna.

-Te lo ripeto, tu mi piaci.. e sì, lo ammetto, perché non ha senso mentirti. Se tu volessi io..-. Non sapevo come dirglielo senza spaventarla o farle pensare che ero un dongiovanni. -Io farei di tutto con te, se tu volessi- le dissi a mezza voce. -Ma per il momento, non voglio perderti, mi piace trascorrere il tempo con te. Sei una bella persona, dentro e fuori. Non credo di essere l'unico che prova certe cose. Ma ti voglio bene, quindi decidi tu cosa fare, e me lo farò piacere in qualche modo- continuai a sussurrarle quelle parole, cercando di calmarla.

-Fammi andare ti prego- rispose invece, guardando di nuovo verso il pavimento.

-Va bene- le concessi. Quasi sconfitto e di nuovo la guardai allontanarsi e sparire dietro l'angolo, mentre con un sospiro mi avviavo di nuovo verso la segreteria. Convincerla sarebbe stato difficile. Più difficile di quanto immaginassi.

Uscii a passo spedito dalla scuola. Passando accanto al bancone dei bidelli, sentii una radio che trasmetteva una canzone che avevo già sentito, ma non sapevo dire quale fosse. Mi concentrai a cercare di ricordare il titolo, perché era molto più semplice che focalizzarmi se nelle intenzioni di Nial ci fosse sincerità. Perché dovevo incontrarlo così spesso? Okay era il mio vicino di casa, ma sembrava che il caso remasse contro di me, continuando a mandare la mia barchetta alla deriva sulla sua spiaggia. Milioni di ragazze naufragavano nei suoi occhi. Quindi perché proprio me? Non mi convinceva per nulla.

Ero in ritardo mostruoso e Jack mi aspettava in ospedale. Domani probabilmente lo avrebbero dimesso, anche se comunque aveva bisogno di una mano e di non far sforzi finché non si sarebbe ripreso. Ancora mi sembrava straordinario il modo in cui fosse così positivo di fronte a quello che gli era successo. Per fortuna invece, non si era fatto troppo male ed aveva il casco. Secondo i dottori, quello gli aveva praticamente salvato la vita. Quando si era svegliato, gli ero praticamente saltata al collo quasi. Non ero riuscita a trattenere il sollievo, mentre Andrew mi rimproverava di non dargli il colpo di grazia. Non gli avevo chiesto da quanto avesse il cellulare nuovo e perché non mi avesse chiamata. Non mi importava. Ciò che contava è che era vivo e che si sarebbe ripreso. Il resto poteva aspettare.

Ormai conoscevo la strada fino alla sua stanza a memoria e quando passavo accanto agli altri malati, nelle loro stanze con le porte aperte, evitavo di guardarli. Non ero abbastanza coraggiosa. Non riuscivo a guardare in faccia la sofferenza delle altre persone. Tutti soffriamo, chi più chi meno. Ma qualcuno riesce proprio a perdere il sorriso, quando affronta cose più grandi di sé stesso. Per questo motivo nessuno deve mai restare solo. Perché la vera forza, ne ero convinta, ci viene prestata da chi ci resta vicino nei momenti di difficoltà. Siamo creature deboli e mutevoli e ci comportiamo in modo davvero strano a volte. Ad esempio, siamo sicuri di non aver bisogno di una persona che respingiamo? Persa nelle mie riflessioni, raggiunsi il reparto senza quasi rendermene conto. Nessuno ci hai mai detto che vivere sarebbe stato facile, che avremmo sempre vinto e sorriso ai nostri obiettivi. Chi ci da le peggiori pugnalate a volte sono le persone da cui nemmeno ce lo aspettiamo. Però non ha nemmeno senso lasciarsi andare al dolore, alle sconfitte. Perché può sempre accadere qualcosa di migliore, prima o poi. Doveva essere così, come dicono, chiusa una porta se ne aprono altre mille. Devi solo capire qual'è la direzione più giusta da prendere.

Quando arrivai, mancavano solo quindici minuti alla fine dell'orario prestabilito per le visite e mi rimproverai mentalmente, sperando che mi lasciassero fare uno strappo alla regola. Avevo bisogno di parlare con lui, visto che sapevo già cosa mi avrebbe detto Kim in merito a Nial. Ovvero di non fidarmi. Avevo bisogno del parere di qualcuno che lo conosceva e poi avevo un sacco di cose da raccontargli.

-E poi... giuro che ho visto una vecchietta dire ciao banana al suo prato-. La voce di Andrew mi arrivò distinta e forte come sempre. C'era anche lui. Li sentii ridere e sorrisi. La porta era spalancata. Quindi bussai sullo stipite per farmi notare.

-Ehi ciao Lucy- mi salutarono insieme. Andrew era seduto su una sedia, accanto al letto. Jack sembrava in ottima forma, nonostante i gessi e le fasciature.

-Non vedo l'ora di levarmi questi cosi ragazzi, non avete idea del prurito- disse lui riferito ai gessi, mentre mi accomodavo sull'altra sedia libera, tirandola fuori da sotto un tavolino in parte alla finestra. -Io ce l'ho un'idea invece- gli rispose l'amico -non ti ricordi di quella volta in cui..-.

Stava per raccontare un suo inedito ma Jack lo bloccò, spostando l'attenzione su di me. Mi chiese come stavo, ed io mi sforzai di parlare di quello che mi era accaduto anche con Andrew che ci ascoltava. Come al solito, non mancò di dire la sua opinione, dando a Nial dello stupido più volte.

-Magari si è innamorato di te per davvero- disse Jack con fare vago. Che sapesse qualcosa? Poteva Nial essersi confidato con lui? Ero certa di non volerne più sapere nulla però, almeno in quel momento. Volevo spostare la conversazione su Jack. Ma Andrew me lo impedì. Allora finii col rivelare quello che mi era accaduto quella mattina, oltre a Nial.

-E come mai eri nella tua vecchia scuola?- mi chiese Andrew.

-C'è un concorso di scrittori a cui una mia prof vorrebbe iscrivermi. Ma non so se me la sento. Insomma mi piace scrivere, ma non lo faccio da..- cercai di contare mentalmente da quanto avevo smesso, ma non ci riuscii -da anni-.

-Potresti provare Lucy- rispose Jack -mettersi in gioco non costa nulla, poi magari lo vinci-.

-Infatti, se lei te lo ha chiesto e ti ha addirittura cercata per dirtelo, significa che hai talento- rincarò Andrew la dose di fiducia in me stessa, che cercavano di infondermi entrambi.

-Ragazzi io devo andare- disse poi, salutando prima il suo amico e poi me. Recuperò il suo casco da sopra il tavolo ed uscì, facendo un occhiolino a Jack che mi sembrò stravagante. -Scappo prima che arrivi tua madre e mi dica di nuovo che sto facendo le tende qui da te-. Lui rise in risposta ed annuì.

Io e Jack restammo insieme, in silenzio, per qualche minuto.

-Jack io non lo so- dissi passandomi una mano sulla faccia. Ero stanca.

-Cosa ti blocca?- mi chiese, posandomi la mano del braccio sano sul ginocchio. Mi ero spostata più vicino a lui con la sedia, quando Andrew se ne era andato.

-La possibilità di fallire, forse- risposi, stringendomi nelle spalle, in realtà non ne ero sicura nemmeno io. Lui scosse la testa e quasi ridacchiò sotto i baffi. -Non fallirai- mi disse sicuro.

Cosa gli dava tanta sicurezza? Infine non sapeva nemmeno se fossi brava oppure no. -Provaci Lucy- ripeté sorridendomi.

-E va bene- dissi. Alla fine aveva ragione. Provare non costava niente.

  
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