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Autore: Elnor    28/08/2016    4 recensioni
La Guerra dell'Anello è finita ed è giunto il tempo degli uomini, costretti ad affrontare il lascito del passato. Questa è una delle loro storie, una storia della Quarta Era.
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Dopo un secolo gli orchi delle montagne nebbiose minacciano nuovamente le terre a occidente. I dunedain hanno chiesto l'aiuto di Gondor, ma gli esploratori inviati sulle tracce dei razziatori scoprono una minaccia più grande. Un pugno di coraggiosi cercherà di scoprire a rischio della vita cosa accade in Eregion e perché centinaia di orchi si stanno radunando all'ombra delle montagne. Anche Gran Burrone ha inviato i migliori tra i suoi guardiani a far luce su quello che accade nell'ombra.
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Questo racconto vuole essere un omaggio e un riconoscimento all'opera di Tolkien.
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Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sulle tracce del passato

Storie della Quarta Era

 

 

 

 

11. Battaglia

Non c'era speranza. Leithianel e Brennon lo capirono immediatamente. Quindici mannari, seicento passi da loro. I lupi li avrebbero raggiunti prima che riuscissero a percorrere la metà della distanza. Nessuno poteva sfuggire. Nessuno?

– Corri – disse Brennon a voce bassa rivolto a Leithianel mentre sguainava la spada.

Leithianel lo sentì mentre finiva di guardarsi intorno, ma non lo diede a vedere. Nessuna via d'uscita. Solo lei poteva scampare al massacro che stava per avvenire, lasciando i suoi compagni alle fauci dei lupi. Per un momento fu tentata, davvero tentata, una voce giovane e antica insieme le mormorò di fare come l'umano diceva, girarsi e correre. Perché non aveva senso sprecare la vita difendendo chi era già morto.

Per un lungo attimo fu altrove, in un altro tempo, su un diverso campo di battaglia tra una distesa di corpi insanguinati, assordata dal coro dei morenti, accecata da una furia senza fine, da una fame insaziabile. Poi udì la voce di Bombadil: “il passato è passato, il futuro sarà, solo il presente ci accompagna lungo il cammino”. E l'attimo si infranse.

– Correte all'albero! – gridò indicando l'unico albero a trenta passi da loro.

Corsero tutti disordinatamente mentre i lupi prendevano velocità. Diversi orchi in sella lanciarono urla feroci.

– Salite! – gridò Mardeliaa ai ragazzi che si lanciarono e in qualche modo trovarono gli appigli per arrampicarsi fino ai primi rami. Il noce non era grande a sufficienza per ospitarli tutti tra i suoi rami, né la sua chioma poteva ripararli dagli attacchi da terra.

Leithianel e Ilverin impugnarono gli archi e fecero cantare le corde. Tirarono a ripetizione verso i lupi in corsa. Ilverin il volto concentrato e i movimenti fluidi, Leithianel lo sguardo acceso dalla rabbia mentre le mani vorticavano tra la faretra, la corda e il legno dell'arco. Un orco fu disarcionato, un lupo crollò uggiolando e scagliò a terra il suo cavaliere, ma gli altri erano ormai a trecento passi. Brennon alzò la spada e guardò in faccia la morte che gli correva incontro.

– Dietro di me, Mardeliaa – disse alla donna con voce calma e questa, dopo un'esitazione, gli scivolò alle spalle.

Brennon rimpiangeva poco della sua vita, soprattutto ciò che non avrebbe mai potuto fare con i propri figli. Per un attimo rivide i loro volti, i loro sorrisi, e il suo petto fremette per l’amore e il rimpianto. Poi tornò ai suoi ultimi momenti di vita.

Guardò le bestie lanciate verso di lui, guardò i suoi compagni e pensò che aveva un altro rimpianto: di non essere riuscito a salvare l'elfa. Leithianel continuava a scagliare frecce, gli occhi pieni di una fiamma cupa che stupì e turbò il ramingo.

Poi da nord venne un rumore sordo, come un brontolio, che crebbe in un rombo sempre più vicino. Dagli alberi uscirono cavalieri al galoppo e dietro di loro altri, e ancora, e ancora, a ondate che non sembravano finire mai.

– Per Gondor! – gridò il primo, spronando il cavallo alla carica.

– Per Gondor! – ruggirono tutti gli altri, lanciandosi dietro di lui.

A meno di sessanta passi dalla compagnia radunata sotto il noce, i lupi esitarono davanti al lontano muro di cavalieri lanciati verso di loro alle spalle delle loro prede. All'improvviso i mannari rallentarono, deviarono a sinistra per poi buttarsi in una fuga forsennata. I cavalieri li seguirono lanciando ancora il loro grido di battaglia.

– Per Gondor!

Passarono a qualche decina di passi da Brennon e gli altri. Erano una sessantina e indossavano divise della Guardia di confine di Gondor. Lo stupore aleggiava sul volto di tutti, accompagnato dal sollievo e dalla comprensione che non sarebbero morti tra le fauci dei lupi. I due ragazzi sull'albero lanciarono grida di giubilo e di incitamento. Brennon si permise un sorriso. Per la seconda volta in due giorni aveva sfuggito il fato.

Invece Leithianel cadde in ginocchio tremante mentre lottava con le ombre. Lei era il presente, vivido e concreto, le ombre erano solo pallide sagome tracciate nella cenere di eventi passati. Lei era lei, non il passato, non il futuro, ma solo Lainel. Lo ripeté ancora e ancora, finché le mani non smisero di tremare.

– Leithianel – la chiamò Brennon accanto a lei.

Lei si raddrizzò e lo guardò. Negli occhi dell'uomo non vide timore o giudizi, ma solo preoccupazione.

– Ho ucciso – disse lei con un tremito nella voce.

Lui annuì.

– Avevo giurato di non farlo più.

Il ramingo si prese il suo tempo prima di parlare.

– Anch'io odio uccidere, ma devo difendere la mia vita e la vita di quelli che amo – disse Brennon.

– Faccio ciò che devo. E ne pago il prezzo – aggiunse.

Le allungò la mano per aiutarla ad alzarsi. Lei la guardò e guardò l'uomo dietro quella mano. E vide che era cambiato qualcosa in lui. Qualcosa di importante e profondo. Prese la mano, la strinse con forza e con forza lui la sollevò. Poi si volsero verso i cavalieri usciti dagli alberi dietro ai primi, duecento e più, che al gesto del loro comandante si arrestarono a qualche decina di passi da loro.

Brennon alzò la mano in un saluto. Conosceva l'uomo a cavallo che si avvicinava scortato da alcuni dei suoi.

– Comandante Delanthor! Non sa quanto siamo contenti di vederla.

– Posso immaginarlo – disse l'altro con voce profonda. Chinò il capo e si sfilò l'elmo appoggiandolo sulla sella. Corti capelli brizzolati, il viso magro e severo, lo sguardo penetrante.

– Brennon, vero? Mi ricordo di lei.

Guardò tutti i presenti, gli elfi, la donna del sud e i due ragazzi.

– Se la signora di alta stirpe che l'accompagna porta nome Leithianel, allora non sapete quanto io sono contento di vedervi.

Fece un profondo gesto con il capo verso di lei.

– Così è – rispose Leithianel ricambiando con un lieve inchino.

– Quindi lei non si trova per caso qui, oggi, dove è più grande la necessità.

L'altro annuì, poi fece un cenno a uno dei cavalieri che l'attorniavano.

– Cavalli – e subito questi si allontanò.

Delanthor si rivolse nuovamente a Leithianel.

– Potete immaginare la mia sorpresa quando uno dei signori di Gran Burrone si è presentato alla mia tenda, di notte, a chiedermi di preparare i miei uomini per cavalcare a sud, per affrontare un esercito di orchi che si apprestava a passare il fiume. L'ho ascoltato esterrefatto mentre mi parlava degli esploratori che aveva inviato, di sogni e magia. E di voi.

– Elladan – disse lei con una nota di divertimento nella voce.

Delanthor annuì. – Ma suo fratello non è stato meno convincente con gli eredi di Numenor. Li ha costretti ad armarsi e partire in soli due giorni, appellandosi a non ricordo quale patto di alleanza.

– L'esercito è in marcia? – chiese Brennon con un barlume di entusiasmo nella voce e nel petto.

– Una parte, i volontari radunati dai vecchi capitani che hanno accettato di fidarsi degli elfi. Mi hanno detto che il consiglio ha continuato a lungo a discutere sull'opportunità di prendere le armi prima di accorgersi che erano già partiti – aggiunse con un sorriso.

– E dove sono?

– Credo a mezza giornata dietro di noi, ma vi racconterò strada facendo. Adesso ho bisogno di conoscere la situazione: quanti sono gli orchi? Come sono armati? Hanno già passato il guado? Se sì, come si stanno muovendo?

Brennon e Leithianel si guardarono, poi lei annuì e chinatasi raccolse in fretta pietre e rami con cui prese a abbozzare dei riferimenti sul terreno.

– Il fiume, il guado, la piana, le colline a est, le colline a ovest, l'accampamento, i pontili.

– Pontili? – ripeté il gondoriano.

– Moli improvvisati dove un secondo esercito di orchi si è imbarcato per il sud.

Delanthor corrugò la fronte.

– Spiegatemi tutto, in fretta – ordinò con voce decisa.

E così fecero. Gli raccontarono dell'accampamento, dei lupi, dei cavalieri umani, degli esploratori partiti quella notte dietro a un esercito di orchi diretto a sud. E di quello che rimaneva oltre il fiume.

– Siete sicuri che non abbiano passato il guado?

– Non siamo sicuri. Potrebbero aver tolto le tende durante la notte e aver attraversato con il buio, ma ne dubito. Non si aspettano la vostra presenza nelle vicinanze e stanotte erano impegnati con altro.

– Lo spero. Ma tra poco lo sapranno dagli orchi sfuggiti ai miei ragazzi. Dobbiamo muoverci, immediatamente, e ho bisogno di voi sul terreno, se siete in grado di seguirmi.

Tutti annuirono e in breve salirono in sella alle cavalcature di riserva e si accodarono tra le fila di cavalieri. Tutto accadde velocemente. Dopo poche miglia ritrovarono i cavalieri che avevano seguito i lupi, che confermarono di non essere riusciti a raggiungerli. A un ordine del comandante i cavalieri si divisero in tre colonne, una centrale e due laterali, e passarono dal trotto al galoppo dirigendosi verso il guado.

Gli alberi e la vegetazione si diradarono per aprirsi in una pianura erbosa e ondulata fino alla vegetazione rigogliosa che cresceva lungo il fiume. Un branco di lupi che veniva dal fiume invertì immediatamente la marcia di fronte ai cavalieri fuggendo di buona lena. I cavalieri non li inseguirono. Le tre colonne si separarono e si aprirono cambiando formazione. A un miglio dal fiume avvistarono molti orchi tra la vegetazione e alcune decine di lupi che si allontanavano verso sud.

Delanthor diede l'alt fermandosi in cima a un dosso e studiò la situazione di qua e di là dal guado.

– Comandante! – chiamò un ufficiale indicando un folto reparto di orchi che aldilà del fiume si avvicinava alla riva opposta.

– Vedo. Uomini! Dobbiamo prendere questo lato del guado prima che riescano ad attraversare – gridò il comandante gondoriano.

– Garrick a destra, Mirrell a sinistra. Ci sono una cinquantina di orchi tra quegli alberi, mostriamo loro cosa sappiamo fare. Chenan prendi i tuoi e guardaci le spalle dai lupi. Non resteranno a guardare. Gli altri con me.

– State dietro, non impegnatevi in battaglia – disse rivolto a Brennon, Leithianel e agli altri.

I cavalieri delle colonne laterali si allontanarono a destra e a sinistra, la colonna centrale cambiò formazione e prese velocità via via che si avvicinarono a riva. Brennon e gli altri si tennero indietro mentre la cavalleria si lanciava alla carica sotto il tiro disordinato degli archi delle decine di orchi che di fronte alle centinaia di cavalieri si diedero alla fuga. Alcuni si gettarono in acqua, mentre altri cercarono di sparire tra la vegetazione. Inutilmente.

In breve la piccola compagnia si ritrovò accanto al comandante Delanthor a guardare l'altra sponda, mentre attorno a loro i cavalieri gondoriani ripulivano la riva.

– Troppo facile – disse Delanthor con un'espressione corrucciata.

– Non credo si aspettassero di vederci – disse Brennon ondeggiando per cercare una posizione migliore in sella. Le ferite dolevano e sentiva tutta la stanchezza di una notte di marcia.

L'altro annuì.

– Ora dobbiamo tenere la riva fino all'arrivo del resto della compagnia.

– Devono arrivare prima di notte – intervenne Leithianel senza aggiungere l'ovvio. Al calare della notte gli orchi sarebbero stati avvantaggiati nell'attraversamento e loro sarebbero stati costretti a combatterli corpo a corpo sulla riva.

– Non sono lontani. Sono sbarcati alcune miglia più a nord. Saranno qui in poche ore. Il problema è che questo maledetto guado è ampio – aggiunse Delanthor distrattamente, attento a quello che accadeva dall'altra parte del fiume.

I primi reparti di orchi raggiunsero la riva, ma non entrarono in acqua. Dopo aver lanciato inutilmente qualche freccia, si limitarono ad attendere. I gondoriani invece scesero di sella e, seguendo gli ordini dei capitani, alcuni si occuparono dei cavalli mentre altri cercarono di preparare dei ripari tra gli alberi e lungo la riva.

– Potrebbero essere rimaste delle imbarcazioni lungo il fiume – disse all'improvviso Leithianel.

Tutti la guardarono. Delanthor annuì, poi diede gli ordini e una trentina di cavalieri saltò in sella e si allontanò verso sud lungo la riva.

Finalmente scesero da cavallo anche loro. Lasciarono gli animali ai gondoriani.  Brennon seguì Mardelia e i suoi ragazzi e si sedette ai piedi di un albero. Era stanco. E affamato, constatò tra sè, guardando il cibo che un gondoriano era venuto a distribuire loro.

– Mangiate. Non è detto che avremo altre occasioni – commentò questi affidando a Mardeliaa la sacca con le razioni.

Mangiarono e bevvero. I ragazzi si lanciarono sul cibo con entusiasmo, masticando e commentando gli avvenimenti della notte e della giornata, soprattutto i momenti pericolosi ed emozionanti. Mardeliaa li ascoltava e talvolta si lasciava sfuggire un sorriso.

Brennon tagliò una fetta di pane e lo mangiò con calma, a piccoli pezzi, masticando lentamente. Il resto lo porse agli elfi sopraggiunti che si sedettero accanto a loro. Ilverin ringraziò con calore, non meno provato di lui. Leithianel ringraziò il ramingo con un sorriso e prese posto a un braccio da lui. Le chiacchiere dei ragazzi dominarono sul silenzio degli adulti, a causa della stanchezza soprattutto, ma anche per il peso dello sguardo colmo d’odio del nemico in attesa aldilà del fiume.

Leithianel mangiò qualche boccone di pane, mentre scrutava la piana oltre gli orchi e l'accampamento in subbuglio. Si mobilitavano. L'intero esercito. Non avrebbero impiegato molto tempo per prepararsi. E le cose sarebbero precitate in fretta. Il comandante degli orchi li avrebbe lanciati attraverso il guado prima che calasse il buio. Quei cavalieri non potevano tenere la riva.

Distolse gli occhi e osservò i suoi compagni, vide come Mardeliaa guardava il figlio e il nipote e vide il dolore che cercava di dissimulare, per la perdita delle persone amate. Quante volte Leithianel aveva visto quello sguardo sul volto di elfi e uomini? Osservò il ramingo, riconoscendo la stanchezza nei suoi gesti. Incrociò il suo sguardo, pieno di parole, ma non si dissero nulla. Non era il luogo, né il momento per le spiegazioni. Lui le fece un gesto col capo, lei rispose con un sorriso.

Infine Leithianel osservò Ilverin, i suoi movimenti rigidi, e si offerse di controllargli i bendaggi. Il giovane elfo annuì e si tolse la tunica. Le ferite si erano riaperte per gli sforzi delle ultime ore. Leithianel estrasse la scatola dalla sacca e se ne prese cura.

Dopo averla osservata qualche istante, Mardeliaa fece a Brennon la stessa offerta. Non era un'esperta come l'elfa, ma si era già presa cura di lui e in condizioni peggiori. Brennon esitò, poi annuì e lasciò che la donna si affaccendasse attorno a lui.

Passò il tempo. I cavalieri tornarono, non avevano trovato imbarcazioni, ma avevano sorpreso e impegnato il branco di lupi, mettendolo in fuga. Sull'altro lato del fiume altri reparti di orchi si radunavano sulla riva. Sulla loro sponda i cavalieri della guardia avevano eretto una dozzina di ripari con i materiali trovati nei dintorni e scavato qualche fosso, in particolare sui fianchi.

Dopo aver mangiato la piccola compagnia cercò di riposare un poco. Tutti eccetto Leithianel che recuperò una faretra di frecce e passò il tempo a migliorarne l'assetto. Passò altro tempo, ore.

Delanthor li raggiunse a passo deciso.

– Cosa vede, signora? – chiese il comandante all'elfa, la cui vista arrivava ben più lontano della sua.

– Hanno abbandonato l'accampamento. Ci sono numerosi reparti che si avvicinano a quelli davanti a noi. Arcieri, picchieri, scorridori e un grosso corpo di fanteria pesante.

– Lupi?

– Ne vedo una sessantina sparsi attorno all'esercito.

Il gondoriano rimase a lungo in silenzio.

– Se tentano di passare adesso non riusciremo a tenere questa riva – disse Brennon aprendo gli occhi. Era quello che avrebbe fatto lui. Anche se il nemico non sapeva della fanteria in arrivo, la presenza della cavalleria rivelava molte cose. Quindi se gli orchi volevano attaccare l'ovest avrebbero attraversato subito il guado prima che venisse ulteriormente rafforzato.

Il gondoriano annuì e sospirò.

– E' così. E se passano non riusciremo più a fermarli. Non possiamo cedere la posizione, ma sarebbe stupido farci massacrare fino all'ultimo senza risultati. Terremo la riva fin quando sarà possibile.

Come se fosse stato ascoltato, il suono martellante dei tamburi si alzò dall'altra sponda e l'esercito di orchi strinse le fila e si accostò all'acqua. Poi il suono cupo di un corno da guerra diede l'ordine di avanzata.

– Arrivano – disse Leithianel.

Si alzò e impugnò l'arco. Senza guardare saggiò la tensione della corda.

– Prepararsi! – gridò Delanthor allontanandosi.

I gondoriani si raccolsero dietro ai ripari e dietro agli alberi.

Gli orchi scesero in acqua, lancieri e picchieri in testa seguiti da presso dagli arcieri. Qualche freccia volò nell'aria perdendosi in acqua. Il tempo sembrò non passare, mentre gli orchi avanzavano attraverso il guado. Brennon osservava quel muro di orchi, centinaia e centinaia che arrivavano un passo alla volta. Non potevano fermarli, no, ma potevano fargliela pagare cara, pensò accennando una smorfia. Prese l'arco che gli avevano prestato e si aggiustò la faretra alla cintura. In quella battaglia poteva usare l'arco con maggior efficacia della spada. In quelle condizioni non avrebbe retto neppure una carica.

All'improvviso Leithianel e Ilverin alzarono l'arco e all'unisono scoccarono. E nonostante la distanza non mancarono il bersaglio. Due orchi crollarono urlando.

– Fermi! – comandò il comandante ai suoi che stavano imitando gli elfi.

Guardarono tutti l'abilità con cui i due elfi maneggiavano i loro archi, un lancio dopo l'altro, finché Delanthor finalmente gridò: – Tirate!

E l'aria si riempì di frecce che caddero tra le fila degli orchi aprendo varchi che però si richiudevano in fretta. Per un momento gli orchi vacillarono e si fermarono. Ma ecco che i loro arcieri risposero. Una nuvola di frecce si alzò e ombreggiò il cielo, ma dopo un lungo volo solo alcune raggiunsero la riva. A quella vista gli orchi avanzarono con decisione e ci volle poco perché la riva venisse colpita da un pioggia di dardi. Nonostante i ripari e le armature in diversi tra i gondoriani caddero gemendo o con grida di rabbia.

– Tirate! Non fermatevi! – esortavano i capitani.

Le schiere continuarono a scambiarsi ondate di frecce con effetti evidenti per gli orchi, meno significativi per gli uomini. Le acque del guado si scurirono del sangue degli orchi morti e feriti, ma i reparti non si fermarono, anzi accelerarono l'avanzata. E dietro di loro avanzarono reparti meglio armati.

Leithianel cercava di abbattere gli ufficiali dei reparti nemici, ma questo non ne fermava l'avanzata. Quegli orchi erano stati addestrati alla guerra ed erano bramosi di sangue e bottino. Non bastava la vista dei compagni abbattuti per farli fuggire. E per quanto i loro arcieri fossero imprecisi, il loro numero oramai costringeva i gondoriani dietro ai ripari. Ancora qualche istante e avrebbero caricato.

Poi Leithianel vide qualcosa, lontano, qualcosa di familiare.

– Guardate! – gridò in sindarin.

– Cosa? – chiese Delanthor.

– Imladris! – gridò indicando le colline a nord della piana oltre il fiume.

Nonostante la distanza tutti videro fila di cavalieri uscire dagli alberi, centinaia di elfi a cavallo. Erano poca cosa davanti alle migliaia di orchi sotto di loro, ma non esitarono davanti a quella distesa. La maggior parte smontò, lasciando i cavalli al riparo tra gli alberi, e si dispose in formazione aperta a cinque passi uno dall'altro.  Portavano armature leggere e grandi scudi che lasciarono cadere sul terreno. In un ondeggiare le file di elfi impugnarono gli archi e iniziarono a disegnare il cielo con ondate di frecce che ricadevano sui nemici.

Fu in quel momento che gli orchi nel guado esplosero in un grido raggelante e si lanciarono alla carica con il volto distorto dalla rabbia. In breve raggiunsero la riva e vi si arrampicarono, assalendo gli uomini dietro ai ripari. Ma ecco che cavalieri al galoppo apparvero tra gli alberi e a testa bassa si lanciarono contro le fila di orchi usciti dal fiume. E li travolsero, abbattendoli con le lance, respingendoli in acqua con la spinta dei cavalli. Solo allora il comandante gondoriano gridò l'ordine di carica generale.

La riva divenne un ribollire di uomini e acciaio, di sangue e grida. Brennon non si lanciò nella mischia, ma continuò a tirare frecce nonostante non si sentisse più le braccia per la fatica. Lui, gli elfi e i feriti che non potevano affrontare il corpo a corpo coprirono i compagni in mischia, alla ricerca del minimo vantaggio che facesse pendere la bilancia a loro favore.

Poi il numero degli orchi che si stavano riversando a riva fece sentire il suo peso. Nonostante i cavalli e il migliore armamento, i gondoriani vennero respinti tra gli alberi.

– Presto, ai cavalli – comandò Delanthor apparso al loro fianco in sella al suo stallone. Poi si allontanò per guidare il ripiegamento dei suoi uomini.

Leithianel e Ilverin rimasero a coprire la ritirata, mentre Mardeliaa e i ragazzi aiutarono Brennon a raggiungere le cavalcature oltre gli alberi. I gondoriani feriti venivano caricati sui cavalli mentre quelli ancora in grado di combattere difendevano la ritirata. Gli orchi sebbene fossero scompaginati e duramente colpiti cercarono comunque di seguirli da presso, finché non oltrepassarono gli alberi. Lì si raccolsero e riformarono le fila. Gli uomini ne approfittarono per montare in sella e a un ordine del comandante si allontanarono.

Si contarono e almeno un terzo di loro era caduto o era ferito. Avevano colorato il guado col sangue scuro degli orchi, ma portavano nel cuore delusione e rabbia per la sconfitta. Non potevano fare altro che arretrare davanti a un esercito così numeroso. Gli orchi avrebbero attraversato prima di notte e avrebbero invaso l'ovest.

All'improvviso un corno si alzò a nord. Un corno di Gondor. Tutti si girarono e videro la colonna della fanteria della Guardia di confine che marciava fuori dagli alberi a nord, a qualche miglio da loro. E lo videro anche gli orchi che subito si affannarono sulla riva a riformare i reparti e a prepararsi allo scontro.

Delanthor ordinò ai suoi cavalieri di girarsi e di tornare al dosso a un miglio dalla riva dove si erano fermati prima di conquistarla. Gli orchi non davano segno di voler allontanarsi dalla riva del guado. Il capitano diede ordini e subito un gruppo di cavalieri fu inviato ai reparti di fanteria che si avvicinavano. I feriti furono dalle selle e curati, gli uomini ancora validi furono riorganizzati. Fu ordinato di bere e mangiare e di prendersi cura dei cavalli. La fanteria gondoriana si aprì in formazione di combattimento e si avvicinò ai cavalieri tenendosi lontana dalla riva.

– Mia signora – chiamò Delanthor. Leithianel lo raggiunse e Brennon la seguì.

– Per favore, signora, mi dica cosa sta succedendo dall'altra parte del fiume – le chiese il gondoriano.

Nonostante la distanza Leithianel riusciva a comprendere quello che stava accadendo.

– Metà dell'esercito degli orchi si è girato ad affrontare gli elfi. Hanno dispiegato i reparti e stanno avanzando sotto il tiro degli arcieri. Un grande branco di mannari sta cercando di attaccare gli arcieri ai fianchi, ma i cavalieri li respingono. Non portano i vessilli, ma sono certa che è la guardia dei signori di Imladris.

– Nonostante la metà dell'esercito nemico sia su questa riva, non possono affrontare gli orchi rimasti sulla piana – disse Delanthor tra sé.

– No, sono troppo numerosi. I mannari si sono disimpegnati e sono scomparsi nei boschi – aggiunse Leithianel.

– Cercheranno di prenderli alle spalle – disse Brennon.

Leithianel guardò ancora una volta oltre il fiume. Elladan ed Elrhoir avevano un piano, ne era certa, altrimenti non avrebbero ingaggiato gli orchi. Il loro intervento aveva fermato la traversata del nemico che ora si trovava diviso, ma gli orchi rimasti nella piana erano almeno il doppio della guardia di Imladris.

I figli di Elrond vedevano la situazione anche da quel lato, nonostante la distanza, e doveva essere evidente anche a loro che i gondoriani erano inferiori di numero ai reparti di orchi su questo lato del fiume. E questa volta erano loro quelli attestati tra gli alberi, da cui era sicura non sarebbero usciti. Sarebbe stato un bagno di sangue scontrarsi in quella situazione e non c'era alcuna certezza di prevalere.

– Vi siete accordati su un piano di battaglia? – chiese lei a Delanthor.

– Niente di particolareggiato. Non ci aspettavamo un nemico così numeroso. L'obiettivo era fermarli al fiume, se possibile, per poi respingerli fino alle montagne. O se gli orchi fossero riusciti a passare il guado, avremmo dovuto tagliare le linee di rifornimenti e colpire la retroguardia.

– Non ha abbastanza uomini per avere la certezza di vincere in uno scontro con quegli orchi laggiù.

– E' quello che scopriremo presto – disse Delanthor con una smorfia. Era certo che molti dei suoi avrebbero bagnato col sangue quella riva.

– La mia gente – disse Brennon all'improvviso con una luce negli occhi.

Si guardarono e lei annuì. Ecco cosa aspettavano Elladan ed Elrhoir: i numenoreani potevano ribaltare le sorti della battaglia, ma su questa riva, non sull'altra.

– Dove sono i numenoreani? – chiese Leithianel a Delanthor.

– Mezza giornata indietro, sono stati gli ultimi a partire.

– Ma hanno disceso il fiume in barca? – chiese Brennon con urgenza nella voce.

Delanthor annuì perplesso. Poi comprese.

– Gider! – chiamò. – Tu e altri due scorterete questa signora. Risalite il fiume e trovate i numenoreani. Più veloci del vento!

Allungò il braccio e mise qualcosa in mano a Leithianel: un sigillo con lo stemma di Gondor.

– Fate in fretta. Gli elfi non resisteranno a lungo.

– Faranno ciò che è necessario – disse lei lanciando la cavalcatura al galoppo.

Brennon e tre gondoriani la seguirono spronando i loro cavalli.

 

 

 

12. Una volta ancora

Raggiunsero la strada che correva lungo il fiume e galopparono veloci come il vento. In poco tempo incrociarono i reparti di fanteria di Gondor che avanzavano a marcia forzata, per poi lasciarseli alle spalle e perdersi sotto l’ombra degli alberi lungo il fiume.

Leithianel volava davanti agli altri, sollevata sulla sella, trecce al vento, gli occhi che frugavano la strada e il fiume. Sebbene preferisse viaggiare a piedi, conosceva bene i cavalli. Dirigeva lo stallone con la postura più che con le briglie, assecondando i suoi movimenti. Ne sentiva la potenza, il fluire dei muscoli sotto di lei, tesi verso l’eternità di una corsa senza tempo. Non aveva galoppato in quel modo dalla guerra dell'anello.

O forse da molto più tempo. All'improvviso rammentò quella cavalcata, quand'era giovane, mentre cercava di raggiungere il suo amore, il primo e l’unico. Caduto in battaglia prima che si scambiassero le promesse. Così bello, così giovane, così inconsapevole. Lui e lei.

Le si era spezzato il cuore quel giorno ed era finita la sua giovinezza. Era finita anche la vita che conosceva, consumata tra le fiamme della guerra e del dolore. Era solo una ragazza, ma invece di cercare la pace e di raggiungerlo aldilà del mare, aveva ceduto all'odio. Era stato uno dei periodi più bui della storia del mondo, prima che l'ultima alleanza ne ribaltasse le sorti, e il periodo più nero della sua esistenza.

Brennon cercava di imitarla, ma era rimasto indietro, sempre di più e presto li avrebbe persi di vista. In qualche modo i cavalieri gondoriani riuscivano a stare al passo dell'elfa, nonostante il peso delle loro armature. Il ramingo sapeva cavalcare e bene, ma la stanchezza e le ferite non lo aiutavano a tenere il ritmo degli altri. Divoravano le miglia a velocità sorprendente, ma quanto avrebbero retto i cavalli?

Quando all'improvviso videro le imbarcazioni. Dodici, no, di più, venti imbarcazioni cariche di uomini in tenuta da battaglia, con le insegne al vento, che a loro volta li videro. Leithianel rallentò, gridò e si alzò sulla sella, per farsi riconoscere. Immediatamente l’imbarcazione in testa si accostò alla riva. Leithianel saltò giù dal cavallo ansimante e scese fin quasi in acqua per farsi sentire.

– Mi manda il comandante Delanthor! Sono Leithianel Aglarphen! Ecco il sigillo di Gondor! – gridò tenendolo alto.

– E’ già cominciata!? – gridò di rimando un uomo austero dai capelli brizzolati.

– Sì! La battaglia infuria sul guado e le sorti dipendono da voi! – aggiunse lei con la voce piena di emozione. Solo allora i cavalieri gondoriani la raggiunsero affiancandola.

Mentre le barche si accostavano, lei raccontò a voce alta cosa accadeva e quanto critico fosse il momento. In poco tempo tutte le imbarcazioni manovrarono e si accostarono alla riva e gli ufficiali numenoreani saltarono a riva per parlare con l'elfa e i cavalieri. Il capitano dai capelli brizzolati li guidava e l'ascoltò con attenzione, ma non si mostrò sollecito. Fece domande e chiese particolari, più particolari. Non avrebbe lanciato la sua gente in battaglia senza avere compreso la situazione.

Fu in quel momento che arrivò Brennon e colse la situazione con un colpo d’occhio. Riconobbe quasi tutti i presenti sulla riva e buona parte degli armati che assistevano dalle tolde delle imbarcazioni. Erano i veterani, i raminghi, i ribelli. Riconobbe suo padre e fu sorpreso di vederlo lì, tra gli altri, pronto a combattere. Cosa l’aveva convinto a riprendere la spada? Guardandolo parlare con Leithianel comprese quale piega aveva preso la situazione.

Scese da cavallo e si avvicinò deciso. Prese il posto di uno dei gondoriani al fianco di Laithianel attirando l’attenzione di tutti i presenti. In molti lo riconobbero e lo chiamarono per nome.

– Padre – disse rivolto al capitano austero.

– Figlio – disse questi, Beriand padre di Brennon, senza nascondere il sollievo di vederlo ancora.

– Dobbiamo imbarcarci subito. I nostri alleati hanno bisogno di noi adesso. Ogni momento è prezioso – disse Brennon con voce calma e autoritaria.

L'altro indurì lo sguardo.

– Dobbiamo decidere ora, perché tutti sappiano cosa fare e perché loro possano riferire a Delanthor – disse Beriand indicando con un cenno ai gondoriani.

– Allora facciamolo – esortò Brennon. – Gli orchi sono divisi, metà affrontano gli elfi a est del fiume e metà presidiano il guado sulla riva a ovest.

– Se non soccorriamo gli elfi periranno sopraffatti dal numero – disse il vecchio.

– No, i figli di Elrond sanno quello che fanno. Ci stanno dando la possibilità di sconfiggere gli orchi. Non avrebbero attaccato senza un piano preciso – disse Leithinal. – Se sbarcassimo a est verremmo sopraffatti. Dobbiamo attaccare la riva ovest.

Il vecchio Beriand annuì lentamente, iniziando a comprendere.

– Volete che ci scontriamo sul guado. Sconfiggere metà dell’esercito e riprendere  la posizione sul guado.

– Porteremo barche e chiatte di fronte alla riva ovest. Non si aspettano un attacco dal fiume. Falceremo le loro retrovie con i nostri archi per facilitare l’attacco frontale dei gondoriani. E poi ci uniremo alla mischia per schiacciarli e tagliarli tutte le vie di fuga – disse Brennon.

Tutti intorno annuirono sorpresi, ma convinti. Beriand si volse ed ordinò di tornare a bordo. In fretta tutti risalirono, anche Brennon e Leithianel insieme ai cavalli. L’ultimo a imbarcarsi fu Beriand, dopo aver detto le ultime parole ai gondoriani. I cavalieri salirono in sella e, prima che le imbarcazioni riprendessero la corrente, si lanciarono al galoppo lungo la strada e in breve tempo sparirono alla vista.

Le vele furono spiegate e i remi calarono in acqua per dare velocità alla piccola flotta. Gli uomini si armarono, fissarono scudi sulla murata di destra e ceste di frecce vennero preparare sui ponti.

Brennon guardava suo padre gridare ordini alla sua imbarcazione e a quelle vicine. Sembrava ringiovanito di almeno dieci anni, senza i timori e le ipocrisie che l’aveva logorato gli ultimi anni. Quante volte si erano scontrati da quando lui era diventato uomo? Quanta rabbia c’era stata tra loro, dopo il fallimento al nord, dopo la morte di Allaine. Quante volte l’aveva reso orgoglioso e quante volte l’aveva deluso? Era una domanda che nel passato l’aveva spesso tormentato, ma quei tempi erano lontani e lui erano un uomo che aveva visto troppe battaglie.

– Brennon – lo chiamò Leithianel accanto a lui.

Si volse e guardandola capì immediatamente. Prima ancora che parlasse. L’arco senza corda, la faretra piena di frecce. E scosse il capo. No, non doveva.

– Devo andare – disse l’elfa con una traccia di rammarico nella voce. Non c’era stato tempo per parlare, ma lei era sicura che avrebbe capito. E ne ebbe conferma.

– Non sono in grado. Non posso venire con te – disse Brennon con disappunto. Non si chiedeva perché volesse raggiungere gli elfi in battaglia, l’immaginava, l’intuiva, no, in quel momento pensava al pericolo che lei avrebbe affrontato.

– Non puoi e non devi. Rimani al fianco di tuo padre. Avrà bisogno di te – disse Leithianel.

– Non puoi andare sola. Lascia che trovi una scorta di uomini coraggiosi.

Leithianel scosse la testa e con un sorriso gentile gli poggiò una mano sul braccio.

– Vado di fretta. Elladan deve sapere. E credo di poter aiutare la mia gente.

– Non morire – disse Brennon con voce fievole.

– Anche tu. Amico mio – aggiunse lei sorprendendolo. Annuì.

– Questo volevo dirti, nell’eventualità che il destino non ci permettesse di incontrarci nuovamente. Grazie.

Alzandosi in punta di piedi gli prese il volto tra le mani e lo baciò sulla fronte. Lasciandolo senza parole.

Poi Leithianel si volse, raggiunse il cavallo e salì. Gridò le sue intenzioni agli uomini sul ponte che si affrettarono a farle strada, diede di sprone e raggiunta la murata di sinistra saltò in acqua.

Brennon guardò il cavallo nuotare vigorosamente fino a toccare riva e poi sparire tra gli alberi. Con una fitta pensò che non l’avrebbe più rivista. Che non avrebbe più ascoltato il suo canto. Poi la voce del padre lo riportò al presente.

– Brennon! Preparati!

E così fece. Prese l’arco, controllò lo stato della corda e poi riempì la faretra. Raggiunse il padre e scambiò qualche battuta con un paio di vecchi amici della giovinezza.

Il tempo scorreva più velocemente del fiume e l’impazienza tormentava lo stomaco dei più giovani. Poi gli alberi lungo la riva si diradarono e il guado si aprì davanti a loro, largo e poco profondo. Per diverse centinaia di metri la riva di destra brulicava di orchi. Che però non si accorsero della loro venuta, troppo presi a lanciare grida e insulti ai reparti della Guardia di confine che avanzavano. Se ne accorsero quando le frecce iniziarono a piovere su di loro.

Barche e chiatte piene di numenoreani ammainarono le vele e manovrarono per allinearsi lungo la riva ovest per poi gettare le ancore. Questo mentre in centinaia bersagliavano gli orchi. Alcune delle imbarcazioni sbandarono, alcune arrivarono lunghe, due toccarono il fondo, ma in un modo o nell’altro fronteggiavano la riva di destra. Ora il guado era diviso da spalti di legno pieni di arcieri.

E mentre gli orchi si voltavano ad affrontare il nuovo nemico, i gondoriani caricarono.

 

 

 

Leithianel spronò il cavallo lontano dalla riva. Lo guidò d’istinto, seguendo il tragitto migliore tra la vegetazione fino a raggiungere i piedi della prima collina. Trovò e imboccò un sentiero che si inerpicava tra gli alberi. In breve fu nel folto e la foresta l’accolse col suo respiro familiare e con una vaga attenzione, dovuta soprattutto allo sbuffare dello stallone e al rumore che faceva.

Era fradicia, ma era riuscita a tenere all’asciutto la corda dell’arco e le cocche delle frecce. Ne avrebbe avuto bisogno presto. Nonostante la poca distanza che la separava dalla battaglia, i rumori giungevano come vaghi echi o tuoni distanti.

Leithianel non smise di dare di sprone al cavallo, dirigendolo con fermezza attraverso la vegetazione, lungo sentieri appena segnati, dietro a tracce di animali. Gli alberi le correvano attorno, i rami si abbassavano spesso per schiaffeggiarla. Svalicò e passò alla collina accanto. Le grida della battaglia le giunsero più forti.

Ormai i numenoreani dovevano aver raggiunto il guado. Li immaginava mentre scagliavano sciami di frecce sugli orchi, distraendoli mentre i gondoriani li caricavano da ovest. Saltò un tronco abbattuto e si lanciò per il pendio per poi tagliare verso est. E finalmente la foresta si aprì davanti a lei. Un varco tra le chiome dovuto al ripido pendio che stava attraversando. Vedeva la pianura, ma non il guado.

Leithianel esitò, interdetta. Gli elfi erano molto più a est di prima. Come lei aveva immaginato, avevano evitato lo scontro diretto, ma non si erano ritirati, si erano sfilati dallo scontro, nonostante la pressione dei lupi. Due reparti nemici li stavano seguendo lungo i pendii, scompaginandosi sul terreno difficile, alcuni erano ridiscesi per unirsi a quelli che manovravano nella piana per accerchiare gli elfi.

I corpi degli orchi trafitti costellavano a centinaia la pianura e i pendii, ma quelli ancora in piedi erano molti di più di quello che aveva visto la sera prima. Altri erano giunti da est. Almeno sette reparti di centinaia di pelleverde stavano dando battaglia alla guardia di Imladris. Troppi per le poche centinaia di coraggiosi che ancora si attardavano nella terra di mezzo.

Elladan e Elrohir avevano attirato gli orchi lontano dal guado, ma invece di ritirarsi tra le colline, avevano scelto di rimanere in campo aperto. Per dare più tempo agli uomini, naturalmente, ma così facendo rischiavano di farsi circondare. E come a risposta di quel pensiero, un reparto di orchi corse avanti lungo la pianura verso est.

Leithianel doveva raggiungere la sua gente, ma per farlo doveva risalire e percorrere la dorsale delle colline per poi ridiscendere dall’alto. E in fretta se voleva arrivare prima della ritirata. O della battaglia. Diede di sprone al cavallo che reagì prontamente. Se non avesse avuto nelle ossa la fatica dei giorni precedenti, delle fughe e delle marce forzate, avrebbe fatto meglio da sola, ma in quel momento aveva bisogno della forza dello stallone.

Risalì tra gli alberi e si gettò in una corsa arrischiata. Nella prossima ora si sarebbe deciso il destino degli ultimi elfi di Imladris e il destino dell’occidente. Tutto dipendeva dal comandante nemico. Se era quello che aveva guidato gli orchi fino a ieri, allora avevano di fronte un nemico abile e furbo che probabilmente aveva già preparato una sua mossa per schiacciare gli elfi. Leithianel ripensò agli ultimi giorni, alle trappole che avevano evitato, al racconto della prigionia di Brennon. E le sorse un sospetto. Doveva scoprire se c’era altro oltre quello che vedeva nella pianura.

Ancora una volta la guidò l’istinto finché non si arrestò in una piccola radura, quasi sulla dorsale, dove un albero era caduto, per il vento probabilmente. Scese da cavallo, lo legò e si fece strada fino a trovare il luogo più adatto. Ansimava per lo sforzo, quasi quanto lo stallone. Leithianel si appoggiò con la schiena al tronco di un vecchio olmo.

Attorno a lei il fitto della foresta, davanti la luce del sole che scendeva dall’alto, dal varco nella volta. Chiuse gli occhi e ascoltò. La voce della foresta, disturbata dal passaggio del grande cavallo e dai rumori della battaglia non lontana. La miriade di creature che vivevano tra quelle chiome e tra quelle radici.

Guardando quelle radici ricordò un momento vissuto insieme a Tom Bombadil in un altro tempo, in un’altra foresta. Un istante incantato, un luogo di bellezza sorprendente.

Con il ricordo arrivò anche la risposta. Sapeva cosa doveva fare. Non sapeva se aveva le forze, ma sapeva cosa fare. Inspirò. Il canto le sgorgò spontaneo, vivo, e la sua voce salì forte verso il cielo, una voce tra molte, tra mille, eppure una voce ricca e forte. Che attirò l’attenzione della foresta. Il canto gioioso intrecciava parole antiche che quel luogo non aveva sentito da molto molto tempo. Era un invito, no, un incitamento alla vita, al risveglio, al volgersi al sole.

Un brivido percorse chiome e radici per le colline e una presenza si manifestò a poco a poco accanto a lei. Leithianel l’accolse senza paura, senza celarsi, anzi la sua voce si alzò ancora di tono, lanciò strofe rubate in un culmine di emozione e struggente richiamo.

Poi tacque e con lei il mondo.

Nel silenzio sentì il risveglio, sentì una voce potente, ma ancora fievole, mormorare qualcosa di intellegibile. Leithianel provò ad ascoltare con maggiore attenzione, poi la raggiunse un’altra voce.

“Elladan!” lo riconobbe lei.

“Leithianel, cosa stai facendo?” le parlò nel profondo.

“Cerco aiuto dove spero ancora ci sia”

“E’ pericoloso, non sai quanto”

“Non più di quello che state facendo voi”

Poi la presenza della foresta fu attorno a lei, sopra di lei e ne fu travolta. Fu strappata dal corpo come una foglia dal vento di tempesta, afferrata dalla mano di un gigante insonnolito che le rivolse un borbottio interrogativo. Leithianel annaspò e lottò per non perdersi in quell’enormità. Era troppo, troppo possente per liberarsi dalla sua stretta. Doveva cercare di parlare con lui. E in qualche modo questi sembrò cogliere il pensiero, ma la sua reazione fu stringere di più, penetrare. Leithianel gridò tutta la sua sofferenza per quello che le sembrò un tempo senza fine. Finché il grido sembrò arrivare alla presenza, turbarla, svegliarla un poco di più.

 Nonostante non vedesse più nulla, nonostante il dolore che sentiva in tutto il suo essere, Laithienel colse la criticità di quel momento. D’istinto cedette, aprì i suoi pensieri, allungò una mano cercando quella della presenza. E all’improvviso tutto fu diverso, antico, enorme, profondo e saggio. Ancora una volta ne fu quasi sopraffatta, ma questa volta fu la foresta a cogliere il suo limite.

Furono insieme, quasi una sola cosa, lei parte di lui, solo per un istante, ma in quel momento lei fu con gli alberi e la terra, con le innumerevoli vite sotto le chiome e tra le radici. E vide. Vide le migliaia di orchi nella pianura, vide le vite spegnersi sulla riva del guado, consumate dalla battaglia, vide i mannari riunirsi in branco alle spalle degli elfi e vide le centinaia di orchi che da est stavano aggirando le colline per tagliare la ritirata agli elfi.

Poi non fu più lei, sopraffatta dal canto di quella presenza incredibile che lei aveva risvegliato, solo un poco, e che anelava al sonno da cui l’aveva tratta invocando le antiche promesse. Si perse nel canto, nel vento, nella terra, nella luce, nel respiro senza tempo della vita.

Ma anche l’eternità ha una fine, o almeno l’ebbe la sua.

Fu di nuovo Leithianel. Di nuovo carne e sangue, respiro e pensiero. Dolore e stanchezza. Era scivolata a terra, il volto tra l’erba, e non aveva neppure la forza di girarsi. Invece di disperarsi sorrise. Non era la prima volta che toccava l’incanto della fonte della vita, ma di solito sfiorava il cuore del grande canto. Questa volta aveva osato lasciarsi andare. Eppure era ancora viva. Come era possibile? Com’era riuscita a tornare in sé?

Qualcosa interruppe i suoi pensieri, una presenza diversa, come una voce cupa e feroce che la fece rabbrividire. Leithianel vide accanto a lei, una figura, un’ombra con una maschera nera senza bocca, con fiamme verdi al posto degli occhi e una lacrima d’oro sulla guancia destra.

“Ti vedo” disse con voce cupa, che si ripeté in mille echi. Come se parlasse in una grande sala con alte pareti. Da quello lei comprese che non era concreto, parlava alla sua mente, era solo una proiezione a lei. “Uno stregone?” si chiese con un brivido.

“Chi sei?” chiese lei.

“Quale disperazione ti ha spinto a farlo?” continuò la figura irridendola.

“Il vano tentativo di mutare il destino della tua gente? Il tempo degli elfi è finito. Perché non siete salpati con gli altri? Continuate testardamente a restare in un luogo che più non vi riguarda. Siete indegni dei doni che vi sono stati dati.”

Leithianel comprese che non poteva farle del male, che forse neppure la vedeva o sapeva dov’era, non sotto la presenza della foresta che ancora incombeva attorno a lei, che ancora l’osservava enigmatica.

“Chi sei?!” chiese di nuovo lei con voce più alta e dura. Se parlava non poteva nuocerle, oppure no? In un lampo di visione vide cinque lupi che saettavano tra gli alberi verso di lei. Comprese che la temeva. Stava cercando di distrarla. Perché?

“I tuoi parenti stanno per essere falciati, le teste dei figli di Elrond cadranno nella polvere solo per essere assise sulla punta di una lancia.”

Infine lei comprese. E fece ciò che doveva fare: allungò la mano. E la grande presenza la prese.

Un vento forte scompigliò le chiome degli alberi delle colline attorno alla piana, ma non si era alzano alcun vento. Stormi di uccelli si alzarono in volo, migliaia di voci animali gridarono ad alta voce. Poi la terra iniziò a tremare.

Soprattutto sotto i piedi degli orchi che stavano segretamente aggirando le colline e sotto le zampe dei mannari che stavano insidiando gli elfi. Questi sentirono un tuono crescente attorno a loro, sentirono gli alberi scricchiolare, credettero a un terremoto, finché non videro le radici degli alberi scuotersi come se volessero uscire dalla terra. E fuggirono nel panico, inseguiti da quella voce terribile.

Leithianel non seppe cosa accadde dopo, perché cedette senza più forze. E scivolò nel buio.

 

 

 

Brennon si appoggiò al riparo per riprendere fiato. Non sentiva più le mani dal tanto tendere l’arco. Ormai il suo contributo non serviva più, gli orchi erano in rotta travolti dalla carica dei gondoriani, rigettati nel fiume o uccisi senza pietà.

Guardò ancora oltre l’altra riva, ora sguarnita. Tutti i reparti degli orchi stavano manovrando lontano, a est della piana. Intravvedeva gli elfi, forse. Arretravano senza cessare di tirare frecce. Anche gli orchi li tenevano sotto il tiro degli arcieri, mentre i lancieri li stringevano da ogni lato.

Brennon si chiese se lei fosse là, con loro, se fosse riuscita a raggiungerli. Lo sperava e non lo sperava. Cosa faceva su un campo di battaglia una cantante con una voce divina?

Poi sentì i tuoni. Guardò il cielo, ma era sereno, non c’erano nuvole all’orizzonte. Vide stormi di uccelli alzarsi in volo e sentì un grido animalesco distorto dalla distanza. E ancora tuoni, anzi un lungo brontolio. Cos’era?

Vide che la battaglia si fermava. Gli elfi scomparvero nella foresta, mentre gli orchi volgevano le terga e correvano giù per i pendii.

– Guardate! – gridò agli altri sull’imbarcazione. Buona parte dei suoi compagni si volse per vedere l’intero esercito degli orchi ritirarsi disordinatamente verso est.

Ci misero quasi un’ora prima di scomparire dalla piana. Gondoriani e numenoreani ci misero due ore per ripulire quel lato del guado dagli orchi e per prenderne possesso. Solo allora la cavalleria di Gondor attraversò il guado per capire cos’era accaduto e comprendere le sorti degli elfi. Brennon si unì a loro, nonostante la spossatezza e nonostante gli ordini di suo padre.

Attraversarono la distesa di morti, i resti degli accampamenti, finché nella luce del tramonto videro cavalieri uscire dalla foresta a est. Erano elfi, della guardia di Imladris, un centinaio.

– Salute a voi! – disse Delanthor.

– Salute – rispose l’ufficiale che li guidava.

– Cos’è accaduto? – chiese il capitano di Gondor.

– Gli orchi si stanno ritirando verso est – disse l’elfo.

– Abbiamo vinto – disse Delanthor, non del tutto convinto dalle sue stesse parole.

– I miei signori stanno ripulendo le colline dai lupi e stanno soccorrendo i feriti. Verranno a parlare entro la fine della giornata.

– Sono ansioso di parlare con loro. E di capire cos’è accaduto oggi.

Brennon era ansioso di sapere altro, ma la sua voce non tremò quando chiese del destino di Leithianel.

 

 

 

Nota dell’autore: molto ci sarebbe ancora da scrivere e non solo del destino di Leithianel. Il racconto che avevo abbozzato un anno fa, è cambiato molte volte e ha preso i connotati di un romanzo, di una storia epica che potrebbe condurci attraverso molte altre avventure e battaglie. Nella mia testa questa storia si delinea come qualcosa di grande, quasi come i romanzi del signore degli anelli a cui si ispira. Con nuovi nemici e nuovi eroi.

Ma non ho il tempo per scriverla. Quindi con mio rammarico devo annunciare che questo racconto della quarta era termina qui.

Spero che ti sia piaciuto leggerla, almeno quanto a me è piaciuto scriverla. Se le gesta di Brennon e Leithianel sono riusciti a emozionarti almeno un poco, ti ringrazio, perché hai dato significato ai miei sforzi.

Che la stella del mattino illumini i tuoi passi lungo il cammino.

  
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