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Autore: Piuma_di_cigno    28/08/2016    2 recensioni
Se potessimo sapere l'esatta data in cui un evento sconvolgerà la nostra vita per sempre, cosa faremmo nell'attesa? Quando Tessa si ritrova in questa situazione, risponde alla domanda in modo molto semplice: lei se ne starebbe a letto per giorni e giorni e sbatterebbe il mondo fuori dalla porta. Questo finché la sua amica Lia non piomba nella sua stanza la mattina presto e la trascina su un treno per una vacanza di una settimana che le cambierà la vita.
Una sola settimana e Tessa si ritrova a provare tutte le follie dell'universo: da tuffi notturni, a scorpacciate di marshmallow fino all'amore ...
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 - Il mare

La prima sensazione, quando scesi dal treno, fu di felicità pura: il mare! Ma poi ricordai che ci venivo sempre con la mamma prima che si ammalasse e mi sentii il solito macigno sul petto e la solita voglia di dormire. Improvvisamente mi voltai verso il treno e provai lo struggente desiderio di tornare a casa e rintanarmi nel mio letto caldo e rassicurante, ma poi le porte si chiusero e Lia mi chiamò, così mi limitai a raggiungerla inforcando gli occhiali per nascondere gli occhi gonfi di lacrime.

Ero talmente stanca. Perché dovevo affrontare quella situazione? Io volevo solo dormire, e mi sentivo profondamente irritata e incavolata con Lia perché me lo impediva; io ero stufa, volevo essere lasciata in pace e lei avrebbe dovuto capirlo più di chiunque altro, visti i problemi di salute che aveva anche sua mamma.

Nonostante quindi lo sapesse, aveva deciso di portarmi fin laggiù contro la mia volontà e non solo, aveva pure pensato che fosse una buona idea. Sentii i nervi a fior di pelle. Ma che accidenti le era preso? Mi aveva lasciata crogiolarmi nella mia disperazione per giorni, non poteva farlo ancora? Ero troppo stanca per pensare e sentivo la testa avvolta nella nebbia, come se mi avessero spento un interruttore. Non volevo saperne.

“Da questa parte, Tessa!” Lia mi guidò lungo la strada principale della cittadina, piena di negozi, e poi lungo una via secondaria. Nonostante il nervosismo, non riuscii ad impedirmi di guardare in giro e di notare quanto fosse bella la luce del sole a quell'ora: illuminava le case e i negozi che si aprivano proprio in quel momento. Dopotutto, eravamo partite con il treno delle sei e mezza perciò non doveva essere più tardi delle sette.

Vidi una panetteria, già aperta, e una libreria che mi ripromisi di visitare appena ne avessi avuto l'occasione. L'aria era salmastra, soffiava una leggera brezza che portava con sé il verso stridulo e confortante dei gabbiani; mi vennero di nuovo le lacrime agli occhi quando ricordai le mattinate in cui mi svegliavo in appartamento, con la mamma, durante le vacanze al mare. Non era giusto che lei non fosse con noi e mi sentii di nuovo incavolata con Lia per avermi portata in un posto così bello e così doloroso al tempo stesso.

Il cielo era limpido e tendendo un po' l'orecchio riuscivo a sentire lo sciabordio delle onde, mentre qualche mattiniero passava di lì facendo jogging e qualcuno andava in spiaggia in costume. Per fortuna, Lia ne aveva messi un paio nella mia valigia.

Camminavamo ormai da venti minuti quando arrivammo davanti a una palazzina circondata dagli oleandri, con i muri bianchi e le terrazze a nido d'ape. Era a due piani, piccola e dall'aria accogliente. Lì l'odore del mare era ancora più forte.

Di fronte c'era un albergo in cui qualcuno faceva già colazione nei tavolini all'esterno, la zona era circondata da appartamenti piccoli come il nostro. La cittadina non era tanto grande, la vera città costiera era più avanti, e quella zona non sembrava essere così frequentata.

Lia aprì il cancello della palazzina ed entrò con me al seguito. Bussò due volte alla prima porta a destra e io cominciai ad essere davvero incuriosita, nervosismo a parte. Non ci volle molto prima che uscisse una signora anziana con i capelli tinti di biondo e un vestito a fiori azzurri e rosa; aveva addosso un paio di occhiali da vista e sorrideva.

“Ciao! Siete arrivate, allora? Aspettate che vi prenda le chiavi...”

Lia la salutò a sua volta e aspettammo sulla porta mentre rientrava e tornava un attimo dopo con le chiavi, rosse e con una targhetta col numero sette.

“Ecco, il vostro appartamento è il sette. È al secondo piano.” ci indicò due rampe di scale bianche che salivano verso quello che doveva essere proprio il secondo piano. “Potete sistemarvi subito, dovrebbe essere tutto a posto. Se avete qualche dubbio potete chiamare me o mio figlio, in ogni caso bussate qui.”

Dopo averci dato un paio di accorgimenti da seguire per l'acqua calda, la televisione e il gas e averci ricordato le regole della palazzina, ci augurò una buona permanenza e noi salimmo al piano superiore con le valigie. Lia inserì la chiave e aprì la porta del numero sette.

Io ero ancora talmente inebetita da quella situazione assurda da non spiccicare parola. Stavo davvero entrando in un appartamento? Ma per quanto aveva intenzione di farmici rimanere? Oddio, avrei dormito fuori!? Lì!? Sentii il mio cuore battere più forte mentre ripercorrevo con la mente la lista di cose che potevano servirmi e che non avevo portato, tra cui carta igienica e asciugamani e cibo, certo. Non avevamo portato via niente da mangiare o da bere… E poi, bastavano i soldi che avevo portato con me? Di quanto era l'affitto?

“Lia...” stavo per chiederle tutto, quando lei mi interruppe prontamente:”L'affitto è già pagato, non devi preoccuparti. È stato un regalo di mia zia Iris. Per pranzo e cena c'è un negozio qui vicino e c'è anche una pizzeria, perciò penso che ce la caveremo, e rimarremo qui una settimana.”

Appoggiò la valigia sul letto. Appena entrata vidi che c'erano due letti a sinistra, uno contro il muro e uno nell'angolo, con un televisore davanti. A destra c'erano il tavolo e la finestra e più avanti lavandino e piano cottura. Quando entrai e attraversai il corridoio trovai un bagno e una camera da letto con la terrazza e il letto matrimoniale.

“Se ti va bene possiamo dormire qui, così c'è anche la tv.” propose Lia, riferendosi ai letti vicino alla cucina. Annuii e la raggiunsi per appoggiare la mia borsa lì, e per cercare di raccapezzarmi di quello che stava succedendo.

Lei mi lanciò un'occhiata incuriosita ma non disse niente, probabilmente perché aveva capito quanto mi fossi innervosita a causa di quel tiro mancino. Si limitò ad aprire la valigia e a portare i suoi vestiti nell'armadio della camera matrimoniale, poi tirò su le persiane e la luce inondò la stanza regalandomi un altro lampo di nostalgia.

“Okay Tessa, andiamo a prendere da mangiare: porta il taccuino, così dividiamo le spese.”

“Va bene.” presi il taccuino e le chiavi e la seguii fuori. Prendemmo un'altra strada diversa rispetto a quella di prima ma più vicina al mare a sentire l'odore e il rumore delle onde.

“Allora… Cosa ci facciamo qui?”
“Una vacanza.”

“Uhm… Perché?”

“Perché ne hai bisogno.”

“Non è vero.”

“Sì invece.”
“No invece.”

“Sì invece.” cacciai un sonoro sbuffo e ci rinunciai, perché tanto sapevo che era inutile discutere quando faceva così e mi sarei solo innervosita se avessi continuato.

“Va bene. Ascolta, io non...”

“No no no, senti. Ora pensiamo al pranzo, va bene? Pensa al pranzo. Cosa vuoi per pranzo?”

“Ma...” sapeva essere incredibilmente irragionevole quando voleva, era assurdo. E il bello era che sapeva di esserlo, ma se ne fregava altamente e così continuava nella sua beatitudine con la sua insensatezza. Una cosa era quando lo faceva sostenendo di avere ragione sulle calorie di una merendina, un'altra era quando lo faceva dopo avermi praticamente sequestrata e rapita e pretendeva di avere ragione. Ma insomma!

“Tessa, cosa vuoi per pranzo?”

Vedendo la mia occhiata esterrefatta -ma allora dovevo proprio preoccuparmi della sua sanità mentale-, mi rifece la domanda:”Cosa vuoi per pranzo?” e me lo chiese con tono più alto, convinta che non avessi sentito. Rinunciai a spiegarle quanto fosse assurdo tutto quello che stavo vivendo e cominciai a pensare seriamente a cosa volessi mangiare. Alla fine, incapace di decidere, scossi la testa.
“Ci penserò quando arriveremo in negozio.”

“Bene, perché siamo arrivate.”

Non avevamo camminato nemmeno cinque minuti, perciò il supermercato era davvero vicino. Mi meravigliai quando capii che la scelta dell'appartamento era stata studiata ed era stata fatta con un certo criterio, esattamente come l'avrei scelto io: vicino al mare, a un negozio di generi alimentari e in una zona frequentata. Per un attimo, guardando il cielo e sentendo i raggi del sole su di me, pensai che quella giornata aveva il sapore dell'avventura.

Entrammo nel supermercato e cominciammo a gironzolare tra gli scaffali; c'era di tutto e io mi sentivo davvero poco pronta a decidere, più o meno come sempre in quel periodo. Sembrava quasi che lo stress della situazione a casa avesse spento un interruttore nel mio cervello impedendomi di fare le normali scelte quotidiane. La peggiore era quella dei vestiti: io non sapevo mai cosa mettere. C'erano giorni in cui passavo ore e ore in piedi davanti all'armadio, nella disperazione più totale, con la speranza di avere un'ispirazione, ma finivo sempre per andare in crisi dopo un quarto d'ora, rischiare una crisi isterica e rimanere di pessimo umore per ore.

Alla fine optai per un trancio di pizza e una bottiglietta d'acqua. Non avevo chissà che voglia di mangiare, dopotutto. Visto che avevo già scelto, andai in giro per il supermercato alla ricerca di Lia, che vidi venire verso di me poco dopo attraversando la corsia dedicata ai biscotti. A differenza di me lei aveva le braccia cariche di roba e non potei fare a meno di fissarla esterrefatta e di scoppiare a ridere quando vidi cosa trasportava: due pacchetti di krafen, un trancio di pizza con wurstel e patatine fritte, due muffin al cacao con gocce di cioccolato, un enorme pacchetto di marshmallow, un vasetto di Nutella e una bottiglia immensa di Coca Cola.

Vedendomi ridere Lia ridacchiò:”Non mi dire che prendi solo quelle due cose!” sgranò gli occhi “Oh, andiamo Tessa! È una vacanza, vuoi stare a dieta anche qui?”

“No, no...” in realtà un pensierino alla linea l'avevo fatto, ma poi lei mi spinse di nuovo verso il reparto dolci.
“Fila a sceglierti una merendina o un dolce. Non c'è gusto altrimenti. In questi giorni mangeremo solo schifezze, sarà meglio che ti abitui. Anzi, scegli anche un gelato.” lei l'avrebbe preso al cioccolato -lo faceva sempre-, ma io ci ragionai mezz'ora prima di prenderne uno all'amarena e panna. Poi, fu la volta del dolce, krafen alla crema con zucchero a velo. Quando ritrovai Lia, aveva aggiunto un gelato al cioccolato alla sua pila, un pacchetto di biscotti, uno di barrette Mars e una confezione con una piccola Sacher.

Risi, scuotendo la testa.

“Non posso credere che lo stiamo facendo.”

“Ah, credici. Ti immagini se ci vedessero i nostri genitori?”

La sola idea era troppo divertente.

“Mia mamma direbbe sicuramente: ma cosa mangiate? Ma siete impazzite? Ma che delirio è questo?

“Anche la mia direbbe qualcosa del tipo ma siete fuori di testa.” ridacchiò “Lei e le sue diete.”

“Ehi aspetta, ma tua mamma sapeva di questo piano?”
“Ecco… In realtà no.”

Quasi mi venne un infarto, e mi sentii di nuovo in procinto di scoppiare a ridere.

“E dove pensa che tu sia!?”

“Be', per stamattina è al lavoro, al suo ritorno penserà che sia da te e domani mattina… Boh, glielo dirà mia nonna.”

“Oddio, cosa darei per vedere la sua faccia! Ma dai! Questo è Come far venire un infarto ai genitori capitolo primo! Ai miei cos'hai detto esattamente prima di portarmi via?”

“Che venivi da me per qualche giorno...”

Ridacchiammo come due sciocche mentre andavamo alla cassa e mi resi conto che nessuno aveva la più pallida idea di dove fossimo. Nessuno. Nessuno se lo immaginava, nessuno la sapeva, non era nemmeno ipotizzabile. Sentii una scarica di brividi corrermi lungo la schiena. Avevamo tre giorni in cui fare quello che volevamo, essere quello che volevamo. Una settimana soltanto, ma pur sempre una settimana in una cittadina sperduta in cui nessuno ci conosceva, con il mare e completamente sole in appartamento.

Pagammo quello che avevamo preso e ficcammo tutto in due borse della spesa, ma lasciammo fuori i marshmallow che mangiammo per strada. Erano anni che non assaggiavo una di quelle caramelle e non avevano mai avuto un sapore così buono; Lia li mangiò col cioccolato, naturalmente.

Alla borsa della spesa era stato aggiunto anche un barattolo di panna, di quella che si spruzzava sui dolci. Io andavo pazza per la panna. Per fortuna avevamo avuto anche il buon senso di prendere un pacco di pasta, uno di sale, due di sugo -uno alle vongole e uno con ricotta e noci-, uova, farina, zucchero e latte. Gli ultimi quattro ingredienti servivano a Lia per fare le crepes: ne andava matta. Le faceva quasi sempre per merenda e le mangiava con un chilo di Nutella.

Quando arrivammo in appartamento mettemmo tutto a posto in frigo e negli armadietti e mangiammo una fetta di Sacher: parola mia, mai torta fu più buona. Era proprio vero che il cioccolato risollevava l'umore delle persone, perché mi sentivo davvero meglio.

Dopo mangiato mettemmo il costume e prendemmo due borse che portammo con noi in spiaggia dopo aver abbassato le persiane e aver chiuso la porta. Per sicurezza avevo preso anch'io una copia della chiave.

Quando scendemmo le scale stavamo parlando di nuovo dei nostri genitori e ridevamo ancora al pensiero delle facce che avrebbero fatto; solo Iris, la zia di Lia, e sua nonna sapevano dov'eravamo veramente. Gli altri pensavano tutti che lei fosse a casa mia e io a casa sua. Quanto ci avrebbero messo per capire che ce n'eravamo andate?

Appena arrivammo sul pianerottolo però fummo costrette ad interromperci, perché ci trovammo davanti un ragazzo che doveva avere al massimo diciotto o diciannove anni: aveva i capelli scuri, gli occhi color cioccolato e sorrideva.

“Ciao.” mi tese la mano “Io sono il figlio della proprietaria. Se avete bisogno di qualcosa, io vivo al numero uno. Potete rivolgervi a me.” il suo sguardo era talmente caldo e amichevole che strinsi la sua mano e ricambiai il sorriso quasi senza pensarci. Per un momento pensai che se fossimo stati in una stanza buia, l'avrebbe illuminata semplicemente con la sua presenza tanto sembrava tranquillo e gentile. Mentre stringeva la mano a Lia pensai che fosse tra quelle rare persone capaci di mettere chiunque a suo agio e di ascoltarle senza giudicarle, sempre pronto ad aiutarle.

“Grazie, sei molto gentile.” mi sorpresi quando capii che era stata la mia voce a parlare; di solito non ero mai così propensa a parlare con persone appena conosciute, ma lui aveva qualcosa di luminoso. Non riuscivo a trovare un altro aggettivo per descriverlo se non rassicurante.

“Di niente. Spero che vi troverete bene.”

Con questo ci salutò e rientrò in casa e, come prevedibile, Lia mi trascinò fuori più veloce che poté per farmi il riepilogo della situazione.

“O mio Dio Tessa, hai visto quanto era bello?”

“Sì.”

“Ma dai, era bellissimo! O mio Dio, io vi ci vedo già insieme. Hai visto come ti ha sorriso?”

“Faceva il suo lavoro.”

“No no, senti, io… Questo è… Sì sì, devi parlargli e chiedergli il numero. Ma sul serio, hai visto come ti guardava?”

“No, come?”

“Come uno che pensa che bella ragazza è questa. Dai Tessa, io devo assolutamente farvi mettere insieme. Siete perfetti l'uno per l'altra.”

“Lia, hai idea di quante volte l'hai già detto?”

“Eh, sì, ma… Ma questo è perfetto per davvero! L'hai visto, no? Era bellissimo. E gli piaci.”

“Mi ha solo sorriso e si è presentato.”

“Be', intanto ti ha parlato.”

“Per fare il suo lavoro.”

“Ti ha pur sempre parlato.”

“Ma per fare il suo lavoro.”

“Sì, ma ti ha parlato.”

“Aaah, lasciamo perdere.”

Man mano che ci avvicinavamo alla spiaggia il rumore delle onde diventava sempre più forte e vedevo sempre più gabbiani. Vidi il bar lì vicino e poi la punta del faro vecchio, bianco e rosso, e poi il pontile lungo quasi fino al canale delle barche.

Il mare era meraviglioso, ed era dire poco per descrivere il baluginio dell'acqua alla luce del sole, la sabbia dorata e la pace che in generale infondeva; io amavo il mare. Avevo una sorta di devozione verso di lui che non sapevo spiegarmi, c'erano volte in inverno in cui me lo immaginavo piena di nostalgia e sognavo segretamente le vacanze estive solo per poterci tornare.

C'era qualcosa in quel posto che annullava tutto in me e mi faceva sentire come se fossi esattamente dove dovevo essere nel momento in cui dovevo esserci. Fui colta da una certa eccitazione, come se non potessi arrivare abbastanza in fretta fino all'acqua, e così partii di corsa verso il mare, abbandonando la borsa sulla spiaggia e ignorando Lia che rideva e mi chiedeva cosa diavolo stavo facendo. Ignorandola spudoratamente schizzai verso le onde e continuai a correre finché l'acqua non fu troppo alta e finii per arrancare piuttosto che camminare; a quel punto inciampai e caddi finendo con la testa sott'acqua. Solo allora mi resi conto di essermi tuffata con tutti i vestiti addosso e allora fui colta da una ridarella irrefrenabile che durò finché Lia non mi raggiunse, perplessa.

“No guarda, non ti serviva una vacanza. Che cos'hai da ridere? Ti senti bene?”

“Sì sì, è solo che...” ma poi vidi la sua espressione e la cosa mi causò un'altra crisi e, seduta sul fondale sabbioso con addosso pantaloncini e maglietta e con praticamente tutto il corpo sott'acqua, risi finché un'onda non mi sommerse completamente e mi fece ingoiare acqua.

Lia mi fissava esterrefatta.

“Sicura di non avere intolleranze alla Sacher? Okay, ora usciamo dall'acqua… Sì sì, anch'io trovo tutto molto divertente ma ora usciamo… Dai Tessa alzati. Avanti...” visto che mi spronava senza ottenere alcun risultato, mi prese per i polsi e mi tirò su di peso.

“Oddio, dobbiamo mangiare i cereali...” e risi. Era una vera e propria crisi isterica, ero fuori di me. Come più tardi Lia precisò, avevo anche alghe tra i capelli e i miei pantaloncini erano pieni di sabbia; in generale somigliavo a un naufrago in piena regola, mi mancava solo l'abbronzatura e mi avrebbero scambiata per Robinson Crusoe versione femminile.

Lia mi fece sedere sotto l'ombrellone –che aveva avuto l'ottima idea di portare, visto che al sole diventavo rossa come un gambero in padella- e mi porse un asciugamano.

“Bene, deduco che ti stai divertendo almeno. Lo sai, pensavo che stamattina mi avresti ammazzata prima ancora di scendere dal treno.”

“Mmm, lo pensavo anch'io” risposi mentre mi alzavo e toglievo i vestiti bagnati. Ora che ci pensavo l'acqua era davvero fredda. “In effetti mi chiedo perché io non l'abbia fatto.”

“Grazie alle mie capacità ipnotiche, è evidente” replicò lei stendendosi al sole con chiara soddisfazione “Ti ho ipnotizzata mentre dormivi.”

Sbuffai una risata e allungai la mano verso la borsa da spiaggia; appena cominciai a rovistarci dentro capii che quella della crema sarebbe stata una lunga e difficile ricerca in tutto quel marasma.

“Hai preparato tu questa borsa?”

Lia la guardò.

“Sì.”

“Si vede…” il suo disordine colpiva ovunque ed era contagioso…. Fu a quel punto che notai una cosa davvero bizzarra nel delirio di oggetti buttati dentro alla rinfusa. “Posso sapere perché hai messo una delle punture anticoagulanti di mia madre nella borsa!?”

Dopo un intervento chirurgico erano state prescritte a mia madre delle punture con l'eparina per evitare coaguli; gliele facevo sempre io, ma ce n'erano molte e le facevano male, così le avevo permesso di non fare l'ultima -la ventesima. Il fatto era che quell'ultima siringa, con tanto di medicinale dentro, era rimasta in giro per casa ancora chiusa nella confezione per giorni e tutti l'avevano continuamente spostata dappertutto senza decidersi a buttarla via.

“Ah, non era per te? L'ho vista in bagno e ti sento sempre dire che fai le punture… Pensavo fosse un sedativo in realtà.”

“Faccio le punture, ma a mia madre!” Lia scoppiò a ridere. Non era la prima volta che finivamo in situazioni di quel tipo; lei era incredibilmente predisposta a finire in circostanze assurde con persone altrettanto assurde… Spesso mi chiedevo se non ero pazza anch'io, visti tutti i matti in cui era solita imbattersi. Le migliori erano quelle della corriera: la prendevamo insieme d'inverno per andare a scuola e finivamo sempre per essere avvicinate da svitati, tra cui un diciottenne che aveva inseguito Lia per mesi cercando di farle delle avance.

“Andrà a finire che la farò io a te, la puntura…” brontolai rigirandomi tra le dita la confezione della siringa. Chissà cosa stavano facendo i miei genitori a casa; sperai che non stessero discutendo, ultimamente lo facevano spesso. Ripensai a quello che doveva succedere entro una settimana e mi rabbuiai. Sentii la stanchezza invadermi di nuovo e quell'euforia che sentivo prima scomparve in fretta com'era arrivata. Misi la crema e presi l'mp3.

“Io vado a fare una passeggiata sul pontile. Cerca di non addormentarti al sole.”

“Mmh.” come già fatto.

Mi alzai e mi diressi verso il ponte. Ricordavo tante passeggiate con il nonno lì, più che con la mamma; con la mamma le camminate erano la sera lungo la via dei negozi. Mentre la musica partiva e mi faceva sentire finalmente un po' meglio, pensai a quante cose erano cambiate in quegli anni: avevo iniziato il liceo e vi ero sopravvissuta per tre anni, mi apprestavo a farlo per il quarto, da scrittrice avevo capito di voler diventare medico, la mamma si era ammalata, avevo perso tutte le mie amicizie e ne avevo fatta una nuova conoscendo Lia. Mi chiesi come sarebbero potute andare le cose se fossero state diverse, come sarebbe finita. Forse avrei avuto ancora il sogno di fare la scrittrice o non sarei stata così stressata all'idea di diventare medico, perché volevo diventarlo ma c'erano comunque gli esami di ammissione e non erano una passeggiata.

Arrivai in fondo al pontile e mi appoggiai al parapetto, rivolta al mare; vidi un peschereccio che passava con uno stuolo di gabbiani al seguito, il mare infinito e l'altro faro, quello in mezzo al mare. Ce n'erano tre in quel tratto di costa e solo due erano funzionanti, ma lo sapevo solo perché mi era stato raccontato visto che non ero mai stata lì di notte.

Lessi le scritte sul faro del pontile: c'erano sempre innamorati che si fermavano e lasciavano un loro ricordo sulle sue pareti. Era stato ridipinto milioni di volte, ma ogni anno se ne ripresentavano di nuove e cominciavo a pensare che prima o poi avrebbero lasciato perdere e accettato che era bello così.

Mi voltai e tornai indietro quasi subito perché sapevo che Lia si sarebbe addormentata al sole, le succedeva sempre, e che si sarebbe scottata e sarebbe stata male per una settimana. Dovevo andare a svegliarla o mi sarebbe toccato curarla per un'insolazione, oltre che chiamare i nostri genitori e spiegare con tutta calma che avevamo affittato un appartamento da sole al mare.

Guardai l'orologio: erano le dieci, perciò non dovevano essersi ancora accorti della nostra assenza.

Appena raggiunsi Lia mi accorsi che effettivamente si era addormentata e ci volle più di un quarto d'ora per svegliarla; alla fine dovetti persuaderla con l'offerta di una brioche al cioccolato e solo allora aprì gli occhi e si dimostrò più o meno ragionevole.

Era incredibile la quantità di cioccolato che riusciva ad ingerire in un giorno solo… Salvo poi lamentarsi dei brufoli dopo averlo mangiato, questo era chiaro. Continuava a mangiarlo nonostante gli effetti collaterali e non accennava a diminuire; era l'unica persona al mondo che conoscevo che non avrebbe fatto di tutto e di più per far sparire i brufoli.

Il suo fisico era un'altra eccezione alle regole naturali: si suppone che tutti mangino un sacco e poi ingrassino. Lei poteva mangiare quello che voleva e non sarebbe mai e poi mai ingrassata. Era magra, con il fisico da modella.

Ci avviammo verso il bar con Lia che strizzava gli occhi alla luce del sole e brontolava qualcosa come l'inutilità delle sveglie e il suo odio per loro, cosa a cui risposi con un sorrisetto.

“Comunque mi vendicherò.”

Le lanciai un'occhiata.

“Come sarebbe? Non vuoi trascinarmi in esperienze strambe, vero?”

“No no…”

“E allora cos'hai in programma?”

“E' una sorpresa.”

Avvertii uno strano presentimento.

Spazio autrice: ciao a tutti! Pubblico in fretta il secondo capitolo perché la scuola si avvicina: è l'ultima domenica di agosto e so che quando la scuola inizierà sarà molto difficile per me trovare il tempo di scrivere, perciò cerco di farlo adesso.
Questo capitolo serviva più da caratterizzazione dei personaggi che altro, dai prossimi comincerà la parte più interessante della storia. Intendo far fare alla protagonista tutte le follie che mi vengono in mente, possibili naturalmente a diciassette anni in vacanza senza genitori; in seguito rivelerò anche il motivo per cui le rimane solo una settimana prima che la sua vita cambi completamente. Per ora, lo lascio immaginare a voi ;)
E' inutile dire che le vostre recensioni sono sempre attese e gradite, nel frattempo buona lettura! :)
Baci,
Piuma_di_cigno.

   
 
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