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Autore: Piperilla    29/08/2016    1 recensioni
In un mondo come quello moderno, in cui l'unicità di ogni persona rappresenta un Universo a sé, le cose non sono mai o bianche o nere. Eppure, è così che appaiono Richard e Agathe: lui, ormai un uomo fatto, algido, composto, più simile a un gentiluomo d'altri tempi che non a un uomo d'affari e di cultura del ventunesimo secolo; lei, ancora adolescente, dal temperamento impetuoso e la lingua tagliente, con l'argento vivo addosso e a prima vista impossibile da fermare: non potrebbero essere più diversi. Come il bianco e il nero. Tra due estremi ci sono un'infinità di sfumature... quante ne servono perché due mondi - e due persone - apparentemente agli antipodi si incontrino a metà strada?
[Tratto dal capitolo 40]
«Non mi illudo che possa bastare così poco per legarti a me» replicò Richard. [...] «Anche se vederti questi gioielli addosso me ne dà la piacevole illusione ».
«Se ti assecondassi, finiresti per credere che sia la realtà» mormorò lei.
«No, mia piccola Agathe, mai» sospirò Richard contro la sua pelle. «Quest’illusione è amara e non mi appaga. Quello che voglio è che sia tu a legarmi a te. Sii pure la mia carceriera».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Quel giorno in casa Williams regnava il caos: se Gisèle fosse stata presente di certo avrebbe fatto una delle sue solite scenate, ma visto che si trovava a Ginevra per un convegno di miniaturisti e che Evan era a Londra, non c’era nessuno che potesse lamentarsi.
   «O Dio, non ce la posso fare!» gemette Lara, sfiduciata.
   Agathe si prese la testa tra le mani: da che la conosceva – cioè da tutta la vita – quello era sempre stato il suo motto, quando dovevano fare i compiti, e ora che gli esami per il diploma incombevano, Lara sembrava incapace di pronunciare frasi diverse da quella.
   «Lara, ti prego, smettila di ripeterlo e concentrati sui libri» la supplicò.
   «Will, sono seria». L’altra si alzò e prese a camminare su e giù per la stanza, nervosa. «Io… io non credo che ce la farò, non riuscirò mai a ricordare tutta questa roba. Mi bocceranno e…»
   «Non succederà» la rincuorò stancamente Agathe. «Andiamo, pescetto, in fondo tutte queste cose le abbiamo già studiate: dobbiamo solo ripassarle il più possibile in vista degli esami».
   Ma Lara non l’ascoltava nemmeno: continuava ad andare da una parete all’altra, tirandosi i capelli e mormorando sottovoce. Sembrava sull’orlo di un esaurimento.
   In quel momento la porta della stanza si aprì e Thomas entrò, con il fiatone e una bracciata di libri pesanti.
   «Il signor Prescott ci manda questi: dice che possono esserci utili» annunciò. «Ha anche messo dei segnalibri nei punti più interessanti».
   «Quell’uomo è un santo» esalò Agathe: Richard li stava aiutando il più possibile a prepararsi, trovando per loro tutti i libri di cui avevano bisogno e aggiungendo informazioni utili di proprio pugno, e questo alleggeriva un po’ il loro carico di lavoro. Si alzò e prese metà dei tomi dalle braccia del ragazzo. «Finiamo questo ripasso e poi basta… almeno fino a dopo cena».
   Lara inorridì.
   «Che cosa? Dobbiamo studiare anche dopo cena?»
   «Sì, Lara, dobbiamo» rispose Thomas. Anche lui era esausto, ma teneva duro: sapeva, come Agathe, che faticare ora, a un mese abbondante dall’inizio degli esami, significava semplificarsi la vita per l’immediato futuro, evitando sessioni folli di studio per recuperare il tempo perso. «Lo sai, ne abbiamo già parlato…»
   La ragazza si prese la testa tra le mani e sospirò pesantemente. «Lo so, lo so, e immagino che questo mi dia una chiara idea di come saranno le cose al college» ammise.
   «Non abbatterti, pescetto» intervenne Agathe. «Queste settimane passeranno in fretta, e al college ci saranno le feste con cui svagarsi: non sarà così brutto!»
   Lara le rivolse un flebile sorriso e allungò una mano reclamando il libro. «Dai, sbrighiamoci a finire: non vedo l’ora di riposarmi un po’!»

Era quasi ora di cena: Richard sedeva alla scrivania e borbottava furioso contro un bilancio alto quanto il Don Chisciotte quando Agathe fece il suo ingresso.
   «Ciao» salutò la ragazza, posando una mezza dozzina di libri sull’unico angolo libero della scrivania e scostandosi i capelli dal volto. «Si lavora tanto?»
   «Non lo immagini neppure» brontolò lui in risposta. Si tolse gli occhiali con un gesto stizzito e lanciò la penna. «Io odio controllare i bilanci!» esplose.
   Agathe sorrise debolmente. «Tutti siamo costretti a fare qualcosa che detestiamo. Guarda Lara: lei non sopporta di dover studiare con regolarità, e adesso che manca poco agli esami, rischia l’esaurimento!»
   Richard alzò lo sguardo su Agathe per la prima volta da quando era arrivata e aggrottò la fronte. «Neanche tu hai una bella cera» disse. «Non starai studiando troppo?»
   «Più studio adesso, meno dovrò faticare tra qualche settimana» replicò lei.
   L’uomo si alzò dalla poltrona girevole, raggiunse Agathe e la strinse tra le braccia. «Dovresti comunque riposare un po’».
   «Mi riposerò dopo aver preso il diploma» disse Agathe, appoggiando la fronte al collo di lui. «Potremmo fare una vacanza da qualche parte… magari in Portogallo, non ci sono mai stata e mi piacerebbe visitarla… senza contare che ci sono delle splendide spiagge».
   Richard tacque per un attimo, stranito. «Intendi una vacanza… io e te? Da soli?»
   «Sì» confermò Agathe, stiracchiandosi appena la schiena indolenzita dalle lunghe ore passate alla scrivania. «Sarebbe bello, no?»
   Lui tentennò per un istante. «Sì» rispose incerto. Non sapeva cosa dire: partire insieme era impensabile, con tutti quegli occhi indiscreti pronti a smascherarli, ma in quel momento non se la sentiva di distruggere quel pensiero che, per quanto tenue, evidentemente dava ad Agathe un po’ di sollievo.
   Agathe, che non si era accorta del disagio di Richard, si staccò controvoglia da lui.
   «Devo andare a mangiare qualcosa: più tardi ci ritroviamo a casa di Tom per continuare a studiare…» spiegò dispiaciuta. Si mise in punta di piedi e gli scoccò un bacio sulle labbra. «Domani cercherò di avere un po’ più di tempo da passare insieme… mi manca, stare con te».
   Richard annuì, ricambiando frettolosamente il suo bacio e guardandola andarsene: di solito la presenza di Agathe riusciva a fargli dimenticare per un po’ tutti i pensieri che gli affollavano la mente, ma di recente non faceva che aumentarli.

L’ora di cena ormai era passata: Richard era seduto pacificamente nella propria cucina, intento a sorseggiare un thè, quando suonò il campanello.
   Benedicendo che fosse giovedì, il padrone di casa si affrettò verso la porta e aprì, accogliendo un Damon più accigliato che mai.
   «Quanta solerzia» commentò ironico mentre spostava praticamente di peso Richard e si faceva strada in casa.
   Anche l’altro si accigliò. «Che cos’hai? Con Leah non va come avresti sperato?»
   «Tralasciando il fatto che non sono stato io, a far tornare Leah e a mettere in piedi questo assurdo teatrino perché finissimo insieme» replicò stizzito Damon, «devo dirti che stavolta hai preso un granchio: lei non c’entra».
   Richard non batté ciglio. «E allora perché quel muso lungo?»
   «Perché conosco la tua flemma» ribatté Damon. «Quando vieni ad aprirmi tanto in fretta, significa che c’è qualcosa che non va: e visto che razza di scemenze hai commesso negli ultimi tempi, inizio a temere momenti come questo».
   Richard sbuffò forte dal naso. «Oh, ah ah, ma che spiritoso!» rispose piccato.
   Il suo amico incrociò le braccia con aria battagliera. «Questa tua risposta non fa che confermare la mia ipotesi» disse soltanto.
   Il padrone di casa lo guardò con un pizzico d’astio, ma Damon rimase impassibile. «Oh, e va bene» si arrese. «È vero, c’è qualcosa che… che mi sta dando qualche pensiero».
   «Non Agathe» gemette Damon.
   «Proprio lei» confermò Richard. «Sai, prima è passata a riportarmi alcuni dei libri che ho prestato ai ragazzi per studiare, e… be’, ha parlato di… di fare una vacanza, dopo la consegna dei diplomi. Solo io e lei».
   Damon lo guardò, confuso: non capiva quale fosse il problema. «E allora? Avete discusso sulla meta?»
   «Discusso… sulla meta?». Richard lo guardò come se fosse impazzito. «Damon, hai capito quello che ho detto?»
   «Sì che ho capito» rispose l’altro. «Quello che non capisco è quale sia il problema…»
   Richard lo guardò, per metà incredulo e per metà sardonico. «Oh, giusto, quale potrebbe mai essere, il problema? Magari che per poter partire, e da soli, dovremmo rivelare a tutti che stiamo insieme?»
   «E allora?» ripeté Damon. «Prima o poi dovrete pur dirlo: vista quanta ostinazione ci avete messo, per arrivare a questo risultato, è ovvio che sia una storia seria, importante: e se lo è, non potrete nascondervi per sempre. Agathe di certo si aspetta che a un certo punto tu ammetta la cosa e affronti Evan, trovo che sia naturale». Richard esitò, e l’altro strabuzzò gli occhi. «Aspetta… non dirmi che avevi intenzione di tenere tutto nascosto anche dopo il diploma dei ragazzi!»
   «E ti sembra strano?» replicò Richard, sulla difensiva. «Hai idea del polverone che questa notizia solleverà?»
   «Certo che ce l’ho, ma non puoi aver pensato davvero che ad Agathe sarebbe stato bene continuare come state facendo adesso!» ribatté Damon. «Finché era minorenne okay, era più che comprensibile, e visto quanti ostacoli avete dovuto affrontare capisco che abbiate voluto e dovuto nascondervi per poter risolvere la situazione, ma… ma tra poco lei andrà via dalla sua casa, lascerà la sua famiglia per continuare gli studi e… e a quel punto sarà una donna indipendente! Nessuna donna indipendente accetterebbe di nascondere la relazione con l’uomo che ama!». Il suo sguardo si fece duro. «È ora che tu cresca e ti assuma le tue responsabilità, Rick: hai voluto Agathe almeno quanto lei ha voluto te, l’hai cercata, inseguita, e adesso è ora che tu dia un taglio a tutti questi dubbi. Chiaro?»
   «Chiaro» bofonchiò l’altro.
   Senza aggiungere una parola, Damon girò sui tacchi e se ne andò veloce come era arrivato, lasciando la testa di Richard definitivamente assediata da una miriade di pensieri sgradevoli.

Agathe quel giorno era decisamente più allegra: lei e Thomas erano riusciti a far sì che Lara si lamentasse di meno e studiasse di più, il che aveva accelerato di parecchio il lavoro. L’immediata conseguenza era stata l’aver terminato il piano di studi della giornata in tempi ragionevoli, e adesso la ragazza aveva la possibilità di spendere un po’ di quell’insperata libertà con Richard.
   Quando entrò in casa Prescott, tuttavia, la sua allegria morì rapida com’era nata: l’uomo era seduto sulla poltrona del salotto, lo sguardo fisso sul caminetto spento, e quando si voltò verso di lei, il suo sguardo serio e determinato non sembrava promettere niente di buono.
   «Ehi» mormorò cauta Agathe, avvicinandosi lentamente a lui: era da un po’ che non lo vedeva con quell’espressione, e oltre a non avere nessuna voglia di litigare, non riusciva a capire per quale motivo fosse tanto cupo.
   «Ehi» rispose calmo l’uomo, acquietando in minima parte i dubbi di Agathe. Lei tirò un silenzioso sospiro di sollievo e andò ad appollaiarsi sul bracciolo della poltrona: si sporse e gli posò un casto bacio sulle labbra, ma la bocca di Richard era immobile e fredda, più simile al marmo che alla carne viva e pulsante che era.
   Agathe si ritrasse e lo guardò dritto negli occhi: lo sguardo piatto che Richard le restituì la convinse che il suo primo istinto era corretto.
   «Richard». Negli ultimi tempi, l’uomo aveva sentito spesso il proprio nome essere pronunciato da Agathe: con desiderio, con tristezza, con gioia, con passione… ma mai, prima di quel giorno, aveva avuto quel bordo affilato che un istante prima l’aveva reso tagliente come una lama. «So che c’è qualcosa che non va: sarà meglio che tu esca da questo mutismo e mi dica subito qual è il problema, perché costringermi a cavarti le parole con le pinze non migliorerà affatto la situazione».
   Richard prese un profondo respiro attraverso il naso: sapeva che Agathe aveva ragione, e che tentennare non sarebbe servito a nulla. Molto meglio andare subito al punto.
   «Ho riflettuto parecchio, nelle ultime ore» esordì. «Ho pensato a… a noi, e a qualsiasi cosa ci abbia legati l’uno all’altra». Gli occhi di Agathe si ridussero a due fessure ma Richard, che teneva i propri fissi sui mattoni del caminetto, non lo notò. «Credo che ci siamo spinti troppo oltre. Credo… anzi, sono convinto… che andare avanti sia sbagliato. Dovremmo finirla qui».
   La ragazza si alzò e Richard si voltò a guardarla: si era aspettato che i suoi occhi fossero umidi di lacrime, invece erano completamente asciutti.
   «No, Prescott, non di nuovo» iniziò Agathe con voce di fuoco: Richard notò che era tornata a usare il suo cognome, e intuì all’istante che una tempesta stava per abbattersi su di lui. «Ne abbiamo passate abbastanza per non voler creare ancora problemi lì dove non ce ne sono: o almeno, questo vale per me» aggiunse. «Spiegami che diavolo ti è preso stavolta, perché avevo l’impressione che andasse tutto bene…»
   «E per quanto ancora andrà bene?» esclamò lui con un pizzico di esasperazione. «Non potrà funzionare, è ovvio che non potrà mai funzionare! Non lo vedi da sola? Non c’è modo che la differenza d’età e di carattere che ci divide possa essere colmata, è troppo grande perché sia possibile riuscirci!»
   «Ah, quindi sono solo le tue solite paranoie» disse Agathe con sufficienza. «E io che pensavo avessi superato quella fase…»
   Il suo tono condiscendente irritò Richard. «Non sono paranoie, ma solo un’oggettiva valutazione dei fatti» ribatté.
   «Che cazzate!» sbottò la ragazza. «Sei soltanto il solito codardo: hai ricominciato a temere quello che potrebbe dire la gente, e le possibili conseguenze del rivelare a tutti che abbiamo una relazione».
   «Non si tratta di codardia ma di saper calcolare, appunto, le conseguenze» rispose l’uomo. «Magari per te è facile, magari l’incoscienza della tua età ti permette di ignorare queste cose, e per questo io sono costretto ad avere buonsenso per entrambi!»
   «No, tu hai paura per entrambi» ribatté Agathe. «O forse, più semplicemente, sei incapace di essere felice».
   «Io non…» insorse Richard.
   «Esatto, Prescott: tu non» lo interruppe lei. «Tu non prendi rischi, tu non osi, tu non ti permetti di provare niente che possa sconvolgere il tuo equilibrio! Credi di poter vivere solo di questo, solo di libri, inchiostro e ragionamenti?»
   «Finora l’ho fatto, mi pare, e la mia vita è stata più che soddisfacente» rispose gelido Richard.
   «”Più che soddisfacente”» gli fece il verso Agathe. «Non felice, non piena, non appagante: più che soddisfacente» sottolineò di nuovo, senza pietà. «Sei talmente votato a quel tuo brillante cervello da aver dimenticato che non c’è solo quello».
   «A me basta» replicò l’uomo.
   «E allora perché cercarmi, dopo quella sera al Luxury?» gli ritorse contro Agathe. «Perché indispettirmi, provocarmi, inseguirmi ovunque, anche a rischio di essere scoperto? Perché rispettare la mia età, e trattenerti dal fare sesso con me anche dopo il mio diciottesimo compleanno?»
   «Essere razionale non mi rende un mostro» disse Richard, offeso. «Non potrei mai approfittarmi di una donna!»
   «E per tutto il resto?» insisté la ragazza, implacabile. «Anche cercarmi è stato razionale, anche volermi, anche essere geloso di me al punto da spiarmi e perdere il controllo? Vuoi farmi credere che tutto questo è stato razionale?»
   «No, non lo è stato!» esplose Richard. «Ma questo non significa che sia stato meglio di ciò che ho avuto prima!»
   «Soltanto perché, come abbiamo già appurato, sei un pusillanime» disse Agathe con grande cinismo. «Fuggire dalle emozioni non ti rende migliore».
   «E chi lo dice?» inquisì lui, sarcastico. «Tu?»
   «È la nostra natura a dirlo» rispose calmissima Agathe. «L’essere umano tende senza sosta al conseguimento della felicità, è incapace di sopportare il peso della solitudine, salvo rarissime eccezioni…»
   «E chi ti dice che io non sia una di quelle eccezioni?» chiese ancora Richard, sempre più sardonico.
   «La solitudine in cui eri trincerato da tempo quando ci siamo incontrati aveva soffocato la naturale empatia che un essere umano dovrebbe provare nei confronti degli altri» disse lei. «Eri distaccato da tutto e tutti, eri freddo, eri a dir poco odioso, con tutta la tua superbia e la tua pretesa di superiorità: per dirlo in una parola, eri uno stronzo. Di sicuro non un bell’esemplare di umano, fatta eccezione per l’intelligenza e la cultura».
   «E allora perché cercarmi?» le ritorse contro Richard, riprendendo le parole che lei stessa gli aveva rivolto poco prima. «Perché stuzzicarmi, perché volermi?»
   «Perché durante quella stupida cena a Londra, quella a cui ero con Lara e Vivienne, ho visto l’uomo che potresti essere, e che non sei mai voluto diventare» rispose pacatamente Agathe. «Ho visto che c’era un palpito di vita, e d’emozione, sotto quella corazza di pietra e ghiaccio in cui sei rinchiuso; ho amato quel bagliore; mi sono illusa che potesse sbocciare e crescere, e ho insistito, con l’ostinazione e l’incoscienza che tanto spesso mi hai rimproverato». Lo guardò. «E ci credo ancora. Ti sto odiando per quello che stai facendo oggi, ti sto detestando, con la stessa intensità con cui ti amo, per la tua ostinazione nel voler creare ostacoli tra di noi, ma continuo a credere che tu possa essere migliore dell’uomo che ho conosciuto, che tu possa diventare più umano, più vivo: ho visto che puoi esserlo, ed è per questo che non ti permetterò di rovinare quel po’ di pace che abbiamo conquistato con tanta fatica».
   Richard la guardò con un misto di panico e furia: Agathe aveva sempre avuto la sconvolgente capacità di demolire ogni sua obiezione, metterlo alle strette e farlo capitolare, ma stavolta non era disposto a cedere: il suo cervello aveva analizzato la situazione e deciso che troncare quella relazione era la cosa migliore da fare, e quando la razionalità prendeva il sopravvento su di lui, non c’era niente che potesse fermarlo.
   «Non avevo nessuna intenzione di aprire un dibattito sul punto, Agathe. Mi sono limitato a dirti qual è la mia opinione, e di conseguenza la mia scelta» disse l’uomo.
   «Dimmi perché!» gridò lei, furiosa. «Solo per paura, solo perché è più facile che affrontare i falsi moralisti di questa stupida città?»
   «SÌ!» urlò Richard in risposta. «Sì, è per questo! Sono stanco delle complicazioni, sono stanco di dover combattere e lottare per ogni minuto che passiamo insieme!»
   Gli occhi di Agathe mandarono un lampo.
   «Attento, Richard» esordì, improvvisamente gelida e controllata. «Pensa bene a quello che vuoi fare; pensaci molto, molto bene. Tu sei stanco delle complicazioni che possono creare gli altri, io sono stanca di quelle che crei tu; se decidi di allontanarmi di nuovo, se decidi di mettere la parola fine alla nostra storia, bada di esserne totalmente convinto, perché non accetterò altri cambiamenti». Agathe sollevò il mento e lo guardò risoluta. «Se adesso mi lasci, Richard, io non tornerò mai più sui miei passi, per nessun motivo. Se adesso mi lasci, sarà meglio che tu ne sia irrevocabilmente convinto, perché in questo caso, le nostre strade non si incroceranno mai più. Capisci quello che sto dicendo?»
   Richard aveva capito perfettamente quello che la ragazza stava dicendo: era il punto di non ritorno. Era finito il tempo dei tentennamenti, e non c’era più spazio per lasciarsi e riprendersi come avevano fatto fino a quel momento.
   «Lo capisco» rispose calmo, «e la mia decisione non cambia. Questa storia non ha un futuro, e ostinarsi a portarla avanti è privo di senso».
   «Molto bene». La ragazza rivolse a Richard uno sguardo più freddo di una tempesta invernale. «Signor Prescott, le auguro di avere tutto quello che desidera dalla vita: razionalità, autocontrollo e solitudine. Addio».
   Con quelle poche, gelide parole Agathe si congedò da Richard Prescott e da tutto quello che aveva significato per lei: uscì da quella casa senza mai guardarsi indietro, voltandogli le spalle con la stessa decisione con cui Richard le aveva voltate a quello che avevano costruito insieme.
   
 
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