CAPITOLO
UNDICI
“Welcome
to the Radley SanitArium”
Poco dopo
l’esplosione,
tutti coloro che si trovavano a debita distanza erano ancora sconvolti:
c’era
chi fissava lo scenario a bocca spalancata e chi aiutava quelli rimasti
feriti
nel cadere o raggiunti dai frammenti dell’edificio.
Eric,
risollevandosi e lasciando Tasha a terra, si accertò delle
condizioni di
Alexis: “Ehi, stai bene?”
Quella,
aiutata a rialzarsi, stringeva gli occhi per il dolore: “Mi
sono sbucciata un
gomito… –
rispose, per poi voltarsi a
guardare l’edificio in fiamme – Ma che cavolo
è successo?
E
lui, che lo sapeva benissimo, non potè che restare in
silenzio.
Improvvisamente, poco lontana dalla folla, una ragazza urlò
a squarciagola,
attirando l’attenzione di tutti quanti.
“Oh
mio Dio, qui c’è un corpo! Qui
c’è un corpo!”
Quelle
urla turbarono subito Alexis: “Un corpo? Ma che cosa stanno
farneticando?”
“Tu
resta qui, ok? – le toccò la spalla,
rassicurandola – Vado a vedere che cosa
succede.”
Lei
annuì, restando accanto a Tasha, ancora sdraiata a terra e
incosciente.
Eric
si fece subito strada tra la folla che si era raccolta intorno alla
ragazza che
aveva urlato. Spuntato in prima fila, vide anche lui il corpo: era
completamente carbonizzato, impossibile da riconoscere, messo
lì, in mezzo alla
strada.
In
molti si stavano ponendo la stessa domanda: se l’esplosione
era avvenuta a
diversi metri da quella strada, com’era possibile che un
corpo fosse arrivato
fin lì?
La
risposta era talmente ovvia, ma solo Eric ci sarebbe potuto arrivare
prima
degli altri in quel momento: era stato posizionato lì, prima
che tutti
lasciassero l’edificio.
Dopo
un lungo minuto in cui tutti rimasero immobili a fissare quel corpo,
uno di
loro fece un passo avanti, avvicinandosi: fu Colton Rhimes a farlo.
Eric
lo fissò, come chiunque, ma lui lo fece con molta attenzione.
Il
ragazzo si piegò sulle ginocchia, accanto al corpo,
perché aveva notato
qualcosa al suo collo. Quando la sollevò, tutti videro
cos’era: una piastrina,
di quelle militari.
Colton
la osservò a lungo e poi fece sentire la sua voce:
“E’ Albert! – esclamò,
alzando gradualmente il tono – E’ Albert Pascali,
c’è scritto così!”
Lo
stupore generale, tra chi si metteva la mano davanti alla bocca e chi
si
scambiava uno sguardo con la persona di fianco, fu interrotto dalle
sirene
delle ambulanze e della polizia in arrivo. Eric, sconvolto quanto gli
altri,
iniziò a fare caso alle persone che si trovavano in prima
fila come lui, sparsi
tra i presenti: Morgan, Lisa, Violet, Chloe, Brianna, Julie e Brakner.
Intanto,
dietro alla folla, Wesam stava correndo verso l’ambulanza con
Sam in braccio e
Nathaniel a seguito.
“Ha
bisogno di ossigeno! – fece sapere al paramedico che stava
arrivando verso di
lui – E anche quest’altro ragazzo!”
indicò Nathaniel, mentre passava Sam al
paramedico.
“Ehm,
no, io sto bene!” fece sapere quello, rifiutando qualunque
intervento su di
lui.
Wesam,
allora, seguì il paramedico fino all’ambulanza e
così fece anche Nathaniel.
Tuttavia,
quest’ultimo venne fermato per un braccio.
“Ehi,
stai bene? – Eric lo fece voltare, mostrando quanto fosse
preoccupato – Non vi
ho visti e ho pensato che…”
Con
gli occhi ancora sgranati per lo shock e il corpo che tremava,
Nathaniel riuscì
a trovare le parole per rispondere: “Siamo vivi per miracolo!
Wesam sta
portando Sam vicino all’ambulanza con il
paramedico.”
Eric
lo scavalcò con lo sguardo, cercando di scorgere
l’amico vicino all’ambulanza:
“Perché lo stanno portando verso le ambulanze?
E’ ferito?”
“Gli
si è fermato il cuore, Wesam l’ha rianimato.
– spiegò, traumatizzato e con gli
occhi lucidi – E’ successo tutto così in
fretta, eravamo tornati indietro per
avvertire Rider e poi ci siamo accorti del gas, ma…era
troppo tardi, siamo
svenuti!”
Mentre
lo ascoltava, Eric aveva la bocca spalancata: “Ma Rider
dov’è?”
L’altro
scosse la testa: “I-io non lo so, Wesam ha detto che un
nostro amico l’ha
aiutato a portarci fuori. Forse era lui!” spiegò,
non molto sicuro.
Eric,
allora, si guardò attorno: “Non l’ho
visto da nessuna parte, sua sorella lo
cerca come una disperata!”
“Eric,
non lo so. L’unica cosa che so è che A ha
fatto esplodere la nostra scuola!” quasi urlò per
quanto fosse assurdo tale
gesto.
“Non
solo ha fatto esplodere la nostra scuola, ma ha anche fatto ricomparire
Albert.”
lo mise al corrente.
“D-di
che stai parlando? – reagì confuso –
Albert? Dove?”
Indicò
verso la folla, ancora lì intorno, dove c’era
già la polizia: “Laggiù! L’ha
lasciato in mezzo alla strada, prima che uscissimo
dall’edificio.”
“Ma
come fai a dire che è Albert? – abbassò
la voce - Noi l’abbiamo bruciato,
dovrebbe essere un pezzo di carbone!”
“E
infatti è così, solo che…ha lasciato
una piastrina di metallo con sopra incisi
il suo nome e cognome al collo del suo cadavere.”
spiegò.
“Perché
adesso? - Nathaniel non riusciva a trovare una spiegazione -
Perché rubare il
corpo di Albert all’obitorio, conservarlo e farlo ricomparire
stasera?”
Con
un sottile tono di terrore nella voce, Eric esternò
ciò che pensava: “Forse si
è stancato di giocare con noi e pensa che sia arrivato il
momento che la
polizia risolva questo casino.”
“Beh,
se risolvono questo casino non possono che arrivare a noi
quattro.”
“Appunto!”
Nathaniel,
seriamente spaventato, prese Eric per le spalle: “Dobbiamo
andarcene: tutti e
quattro!”
“Non
possiamo, siamo sulla lista dei partecipanti al ballo. La polizia
vorrà parlare
con tutti quanti e se qualcuno mancherà
all’appello sembrerà sospetto, capisci?
– si guardò attorno, ansioso – In
più non sappiamo dove sia Rider…”
In
quel momento, sul campo visivo di Nathaniel, era appena entrato
Brakner, poco
lontano. Nel vederlo, tutta la paura scomparve e rimase soltanto
rabbia; una
rabbia che voleva sfogare su di lui.
“Ora
basta, ha davvero superato il limite!” e cercò di
raggiungerlo.
Eric
seguì il suo sguardo, notando chi stava puntando, e lo
fermò immediatamente per
il braccio: “NO, Nat! Così peggiori solo le cose e
attirerai l’attenzione.”
“Dobbiamo
smascherarlo, ok? – gli urlò con tono contenuto
– Non possiamo continuare a
giocare alla casa delle bambole. La polizia deve arrestarlo: deve
sapere!”
“Sapere
CHE COSA? – lo fermò da un altro tentativo di
correre verso di lui – Può
trascinarci con lui all’inferno, o non se ne starebbe qui
tutto tranquillo!”
Nathaniel
si mise le mani nei capelli, impotente, mentre l’altro
continuava.
“Anche
se non sembra così tranquillo, sembra scosso quanto
noi…” pensò, lasciando
intendere che avesse qualche dubbio a proposito: questo
bastò ad attirare la
piena attenzione di Nathaniel.
“Che
vuoi dire?”
“Dico
che siamo stati addosso a Brakner, Morgan e Lindsey per tutto il tempo
e non si
sono mai allontanati dall’evento.”
“Le
bombe le avranno messe prima della serata, no? Possono attivarle da
remoto,
come con il sistema di aerazione nella panic room.”
“Sono
rimasti lì dentro fino all’ultimo secondo e
probabilmente ci sarebbero morti se
non avessimo fatto scattare il sistema anticendio. Quale malato di
mente si
lascerebbe esplodere?”
“A!
– urlò l’altro - Ecco chi!”
“E
che mi dici di Lindsey e Morgan? Se sono complici, perché se
ne stavano così
tranquilli?”
Nathaniel
si massaggiò le tempie, cercando di non capire di proposito
perché non riusciva
ad accettare il punto a cui voleva arrivare Eric: “Smettila,
Brakner è A! Non
possiamo esserci sbagliati.”
“Se
Brakner avesse architettato tutto questo, Lindsey l’avrebbe
saputo di certo. E
lei non avrebbe mai rischiato la sua stessa vita, quella di suo
fratello e sua
cugina!”
“Allora
Brakner ha fatto tutto di nascosto a loro, non c’è
altra spiegazione!” esclamò,
categorico, non accettando quella versione.
Eric
si arrese, smettendo di parlare. I due continuarono a guardarsi
intorno,
spaesati.
*
Più
tardi, tra le varie persone che giravano per il perimetro con una
coperta sulle
spalle, tra i nastri gialli e i vigili del fuoco che tentavano ancora
di
spegnere le fiamme, Sam era seduto sul bordo dell’ambulanza,
finalmente
cosciente, che si teneva sulla faccia la mascherina per
l’ossigeno. Eric e
Nathaniel erano davanti a lui.
Stando
meglio, Sam se la tolse ad un certo punto. Era a dir poco scosso.
Nathaniel
si sincerò rapidamente delle sue condizioni:
“Allora? Come va?”
Quello
lo fissò, come si guarda un film dell’orrore:
“Come dovrei stare dopo tutto
questo? Questa volta A si
è spinto
oltre più che mai.”
Gli
altri due mantennero uno sguardo basso, demoralizzati.
“…E
non sappiamo nemmeno perché ha fatto esplodere la
scuola.” pensò Eric.
“Dovremmo
aggiungere la voce Terrorista al profilo personale di
questo pazzo! -
esclamò Sam con collera, per poi passare ad uno stato di
paranoia – Per non
parlare del corpo di Albert, lasciato così.”
Nathaniel
si guardò attorno con sguardo circospetto, notando i
poliziotti che facevano
domande a tutti: “E’ chiaro che ci sta buttando
nella fossa dei leoni, ma non
completamente. Se ci avesse voluto incastrare subito, i nostri video
sarebbero
già su tutti i server della polizia e noi non staremmo qui a
respirare ossigeno
come delle vittime innocenti.”
“noi
SIAMO vittime innocenti! - sottolineò Sam – Il mio
cuore si è fermato per non
so quanto tempo ed è tutta colpa di Anthony se siamo finiti
in questo casino!”
“Dobbiamo
essere furbi stasera. E sperare di non lasciare questo parcheggio in
manette.”
suggerì Eric.
Sam,
a quel punto, si indirizzò verso un nuovo discorso:
“A proposito di furbizia:
dove diavolo è Rider? – spostò lo
sguardo fra i due – Se Wesam ha detto che un
nostro amico l’ha aiutato a portare me e Nathaniel fuori
dalla scuola, parlava
senza dubbio di lui, no?”
“Wesam
ha anche aggiunto che poi questo nostro
amico è andato a chiedere
aiuto, ma…
- si insinuò in Nathaniel qualche dubbio – Dove di
preciso? In Canada?”
Nella
testa di Sam, allora, iniziarono a sorgere brutti pensieri:
“Ragazzi, e
se…Rider non fosse mai uscito dalla panic room?”
Eric
scosse subito la testa, come se lo pensasse ma volesse autoconvincersi
del
contrario: “No, non può essere morto. Rider non
è così stupido da non
controllare i messaggi.”
“Magari
si è distratto, chissà cosa c’era in
quella parte segreta della panic room…”
replicò Nathaniel, realista.
Improvvisamente,
le loro supposizioni sfumarono quando un messaggio arrivò
sul telefono di Sam.
Da
Rider:
“Sto
arrivando, dove siete?”
“Oh
mio Dio, è vivo!” esclamò Sam,
mostrando il telefono agli altri due.
Tutti
e tre sorrisero, sollevati. Sam gli rispose immediatamente.
A
Rider
“Vicino
alle ambulanze…”
Ricevette
un altro suo messaggio in replica
Da
Rider:
“Vi
vedo!”
“Ha
scritto che ci vede!” mostrò ancora una volta il
telefono ai suoi amici. Tutti
e tre, allora, si voltarono contemporaneamente a cercarlo con lo
sguardo.
Quello,
però, stava già arrivando verso di loro: in carne
ed ossa.
“Una
supernova, eh? – esordì, dopo essersi voltato a
guardare la scuola – Là sotto
l’ho percepita come la fine del mondo!”
Nemmeno
fece un altro passo che Sam gli saltò addosso,
abbracciandolo.
“Sono
così contento che tu sia vivo… - lo strinse forte
ad occhi chiusi – Grazie di
averci portati in salvo. - si staccò, fissandolo negli occhi
– Perché eri tu,
vero?”
“Sì,
ero io… - spiegò, leggermente intontito e
sorpreso da quell’abbraccio – Dopo
aver ricevuto il messaggio di A, in
cui
diceva che uno di noi sarebbe rimasto bloccato nella scuola a causa
sua, sono
risalito per cercavi e vi ho subito trovati. Wesam è
arrivato subito dopo e mi
ha aiutato a portarvi fuori.”
“Anche
noi abbiamo ricevuto lo stesso messaggio. – prese parola
Nathaniel – Sam ha
insistito affinchè scendessimo a prenderti.”
palesò che lui non avrebbe agito alla stessa
maniera di Sam.
“Ah…
- abbassò lo sguardo, annuendo e fingendo un sorriso
– Beh, viva la sincerità!”
“Scusa,
ma…potevamo morire e tu potevi essere già
uscito.” continuò Nathaniel,
sottolineando che non c’era nulla di personale.
Eric
si intromise, a quel punto: “Ok, l’importante
è che siamo tutti vivi. Solo che…
- il suo tono si fece cupo – Non so a quanto serva essere
vivi in questo
momento.”
“Ho
scoperto di Albert, mentre venivo qui. Siamo davanti ad un altro gioco
di A, perciò non
facciamoci prendere dal
panico.” cercò di tranquillizzarli.
“Ti
prego, dimmi che sei così sereno perché hai
recuperato i video e quindi non c’è
alcuna prova contro di noi.” Sam sperò in una
risposta positiva.
Tuttavia,
Rider assunse un’espressione che intendeva tutto il
contrario: “…Purtroppo,
sono stato troppo ingenuo. C’era un virus su tutti i file,
compresi i nostri
video. Quando ho tentato di copiarli, è comparsa una
schermata che diceva che
sarebbero stati mandati alla polizia se ci avessi provato. Stessa cosa
se li
eliminavo.”
“Quindi?”
domandò Nathaniel, impaziente di sapere.
“Quindi
ho rubato l’unità di sistema e l’ho
calata giù per la botola. Quando sono
risalito dalle fogne, ho nascosto il borsone ad un isolato da qui e
sono
rientrato a scuola per cercarvi in seguito a quel messaggio.
– fissò Sam e
Nathaniel con aria mortificata - Una volta che vi ho portati in salvo
sono
tornato a riprendere il borsone, ma non c’era
più.”
Tutti
assunsero un atteggiamento incredulo, demoralizzato. Sbuffarono.
Eric,
però, contò sul fatto che non tornava da loro a
mani vuote: “Ma almeno sei
riuscito a scoprire qualcosa?”
Scosse
la testa, imbronciato: “Mi dispiace, niente. Non ne ho avuto
il tempo, per questo
ho rubato l’unità di sistema.”
Sam
si mise le mani nei capelli: “Non ci
credo…” e tornò a sedere
sull’albulanza,
attaccandosi nuovamente la mascherina al viso per respirare un
po’ di ossigeno.
“Noi
ti dobbiamo aggiornare su Rosewood-riservato. Forse abbiamo capito
cos’è, ma
speravamo che tu avessi scoperto molto di più.”
aggiunse Eric.
“Mi
dispiace ragazzi, ma forse questo non è il luogo adatto per
parlarne.
Probabilmente ci lasceranno andare tra un’oretta.”
spiegò loro.
Intanto,
non molto lontano dai quattro ragazzi, un uomo con indosso un completo
nero era
accanto ad una delle auto della polizia. Li fissava molto attentamente,
mentre
quelli sembravano discutere anziché essere scioccati
dall’accaduto. La cosa lo
incuriosì a tal punto da doversi avvicinare: era un
detective.
“Scusate
se vi interrompo… - esordì, arrivando alle loro
spalle – Sono il detective
Michael Costa e volevo farvi alcune domande, come le sto facendo a
tutti.”
Nathaniel
si mise a braccia conserte, fingendo un atteggiamento simile a quello
delle
altre persone intorno. Gli altri fecero lo stesso, anche se Sam divenne
immediatamente pallido.
“Siamo
sconvolti, io sono uno di quelli che è svenuto per il
gas.”
“Capisco…
- annuì – E che mi dite del vostro
alibi?”
Quelli
rimasero in silenzio, guardandosi tra di loro, confusi.
Deglutendo
male, Sam cercò di capire: “Che intende,
scusi?”
Michael
rispose disinvolto, mentre scriveva sul suo tacquino: “Dove
eravate la notte
della scomparsa di Albert: questo intendevo!”
“Ma…
- continuò Eric, stringendo gli occhi, guardandosi con gli
altri – che c’entra
con quello che è appena successo?”
L’uomo
distolse il suo sguardo dal tacquino, sorridendo: “Beh,
ancora non ci sono
informazioni sull’esplosione. Nel frattempo, mi occupo
dell’altro mistero:
l’omicidio di Albert Pascali!”
Il
silenzio prese il sopravvento e Michael si sentì in dovere
di aggiungere altro.
“Ascoltate,
non vi nascondo che i vostri nomi non siano noti alla polizia. Quando
Albert è
scomparso ci sono state delle indagini approfodite. Ovviamente,
è spuntanto
fuori quel video che avete girato con Anthony Dimitri. Inoltre, stasera
molte
persone mi hanno riferito che tra voi e Albert non c’era un
bellissimo
rapporto: in definitiva, ci troviamo davanti ad un caso di bullismo
scolastico.”
Nathaniel,
infuriandosi, non si lasciò etichettare: “Beh, le
persone che le hanno riferito
questo sanno perfettamente che il bullo era Anthony e non noi. In ogni
caso,
non capisco dove vuole arrivare.”
“Fino
ad un mese e mezzo fa, Albert era un ragazzo scomparso. Ora
è un cadavere,
perciò…un gruppo di bulli è un ottimo
punto di partenza.”
Eric
fissò Rider, sperando che dicesse qualcosa, ma quello era
alquanto distratto,
impedito.
“Ehm…
- Eric decise di prendere parola, evidenziando
l’assurdità di quelle parole –
Se fossimo noi gli assassini, perché avremmo dovuto lasciare
il corpo di Albert
in mezzo ad una strada?”
“Proprio
perché voi possiamo usare questa frase, Eric
Longo.” lo squadrò, intimorendolo.
Sam
sentì di dover intevenire: “Eravamo al ballo, come
potevamo fare tutto questo?”
“Sempre
quelle molte persone, dicono che vi
siete assentati dal ballo per molto tempo ad un certo punto della
serata.”
continuò il detective.
Nathaniel,
irritato, replicò: “Beh, vorrei tanto sapere chi
sono queste persone. Se lei
avesse visto il video, saprebbe che molta gente non ci sopporta e che
direbbe
qualsiasi cosa a nostro sfavore.”
“L’ho
visto il video, Nathaniel Blake. Faccio attenzione ad ogni
dettaglio.”
Stufo
di quel tono cinico e pesante, Sam gli diede ciò che voleva:
“Vuole un alibi?
Bene, io ero a casa con la mia amica Chloe Fitzpatrick a guardare il
finale di
stagione di How to get away with murder.”
Michael
lo appuntò, mentre continuava a fissarlo; non riusciva a
capire se stesse
mentendo o dicendo la verità: fu talmente convincente che lo
lasciò confuso.
Sam
percepì la sua confusione, ovviamente, mantendendo un
espressione che non
lasciava trapelare nulla. Del resto, aveva fatto molta pratica nel
raccontare
bugie…
FLASHBACK
Anthony
e Sam stavano
pranzando in mensa, da soli, l’uno di fronte
all’altro. Quest’ultimo sembrò
assai a disagio e l’amico, poco prima di avvicinare la
forchetta alla bocca, lo
notò.
“Che
c’è? Ho qualcosa
fra i denti?”
“Ehm,
no! – esclamò, in
imbarazzo – Continua pure a mangiare.”
Anthony
allora continuò
a fare quello che stava facendo, notando subito dopo che Sam lo fissava
e poi
distoglieva lo sguardo non appena alzava la testa.
“Ok,
si può sapere che
cos’hai? – poggiò la forchetta, seccato
– Non è che ti sei innamorato anche di
me, adesso? Non ho tempo per essere bisessuale!”
“Ouh,
NO! – negò
assolutamente, restiò a rivelare ciò che lo
tormentava – E che…Quando sono con
Nathaniel ed Eric, loro parlano solo di ragazze quando ci cambiamo in
palestra
per l’ora di ginnastica. Mi lanciano certe occhiate, come se
si aspettassero
che io faccia qualche commento o che annuisca a frasi come
“Piper ha delle belle
tette, non trovate?” o “Mmmm, bel sedere
quello!” e
io sono lì che ho paura che scoprano che
sono gay.”
L’altro
sorrise,
maliziosamente: “Hai paura che scoprano che tu sia gay o che
Nathaniel scopra
che sei gay e che inizi a notare la tua cotta per lui?”
Sam
punzecchiò i suoi
piselli verdi dentro al piatto, rispondendo con la voce piccola:
“…Beh, forse
la seconda. – improvvisamente si infuriò
– Nemmeno Rider parla mai di ragazze,
eppure eccomi qui che mi faccio paranoie assurde anche se non sono il
solo che
non lo fa!”
“Purtroppo
la parte
sessuale del cervello di Rider è occupata dalla storia, la
geografia e
qualsiasi cosa esista sottoforma di un libro. Quando si distrae da
tutto questo
diventa peggio di tutti noi. Forse è anche più
etero di me, Nathaniel ed Eric
messi assieme.” rise, continuando a mangiare.
“Come
si diventa
convincenti? – gli domandò, fissandolo in maniera
acuta – Come si fa a
costruire una maschera impenetrabile?”
Quello
si fermò dal
mangiare e provò a spiegarglielo: “Costruire una
maschera non è facile come
sembra, ma molti di noi ci riescono molto bene. Bastano due semplici
ingredienti, d’altronde: una bugia e
l’abilità di raccontarla come se fosse
vera.”
“Non
sono così abile…”
pensò Sam.
“L’abilità
si acquista
con la pratica. – sottolineò – Basta
convincere sé stessi, Sam. E una volta che
hai convinto te stesso che quella bugia è vera,
diventerà vera per tutti.”
Accenando
un sorriso,
Sam fu sfacciato: “Tu sembri avere molte
maschere…”
“Non
andare oltre, Sam.
– replicò, serio e misterioso – Avere
molte maschere richiede più di una bugia
e tantissime abilità.”
“Insegnami
ad averne
una allora!” insistette.
“Beh,
ripeti a te
stesso una bugia e poi dilla agli altri come se non lo fosse.”
Quello
ci provò,
pensando: “Ehm…vediamo… -
trovò cosa dire finalmente – Ho avuto
un’apputamento
con una ragazza di nome Jane, l’altro giorno. E’
stato fantastico!” raccontò,
con strane mimiche facciali che non convinsero per niente
l’amico.
“No,
Sam. – scosse la
testa, leggermente agghiacciato dal suo scarso impegno - Non ci siamo!
E’
evidente che ti stai sforzando… - decise di dargli un
suggerimento a quel punto
– Forse non hai capito cosa vuol dire autoconvincersi. Per
ingannare gli altri,
devi prima ingannare te stesso: prova a pensare all’ultimo
appuntamento che hai
avuto con un ragazzo. Cerca di ricordare come ti sei sentito, come
l’hai
guardato e come ti ha baciato. Ora, metti tutto insieme e trasforma il
suo nome
in Jane.”
L’altro,
in estasi per
i ricordi che stavano riaffiorando nella sua mente, eseguì:
“Non facevo che
guardarla negli occhi, mentre parlava. Sotto quella maglietta, il suo
corpo era
ben delineato e quasi mi facevo beccare a mordermi le labbra per la
voglia di
sapere cosa c’era sotto. Poi, a fine serata, ci siamo baciati
a lungo e… -
fissò Anthony, continuando con la stessa espressione
– Niente, quella Jane era
davvero di una bellezza mozzafiato e ci sapeva fare: eccome se ci
sapeva fare!”
Anthony
gli fece un’applauso,
piacevoltemente sorpreso: “Complimenti, Sam. Hai creato la
tua prima maschera
con successo. Perfino io che so la verità ci stavo quasi
credendo.”
Ovviamente,
Sam sorrise
e si sentì appagato. Quasi come un alunno che viene
gratificato dal proprio
insegnante.
Mentire
con successo era ormai un’abilità che Sam aveva
affinato
con il tempo, grazie ad Anthony. E per quanto non risultasse
così appagante
come un tempo, gli era tornata utile.
Michael
si rivolse agli altri tre, subito dopo: “E voi?”
Sia
Nathaniel che Eric guardarono Rider, ma quello si schiarì la
gola, la fronte
sudata: era a disagio, bloccato.
Nathaniel
prese subito parola per non far insospettire il detective:
“Quella sera, io,
Rider ed Eric siamo andati in un locale.”
“Nome
del locale, prego?” chiese quello con la penna sulla carta.
Intervenì
Eric: “Eravamo al Rumors
club!”
Finalmente,
il detective mise via il tacquino e la penna. Il suo sguardo si
spostò su
Rider.
“Sei
molto silenzioso, Rider Stuart. Come mai?”
“Ehm…
- tentennò - la scuola è esplosa e io per poco
non saltavo in aria con lei:
sono abbastanza scioccato!”
“Comprensibile…
- accolse quella risposta - Direi che può bastare
così, siete liberi di andare.
- sorrise a tutti e quattro – Buon rientro a casa!”
I
ragazzi sentirono scomparire quel macigno dai loro stomaci non appena
si voltò.
Michael, però, ebbe un’ultima cosa da dire.
Principalmente a Sam.
“Anch’io
ho visto il finale di How to get away with murder, quella sera. Peccato
che
nella vita reale non esistano avvocati come Annalise keating ad
aiutarti a
farla franca con un omicidio…” sorrise, una lunga
suspense, per poi andarsene
sul serio.
Una
volta lontano, i ragazzi poterono finalmente parlare tra loro e
riprendere
fiato o quasi.
“Sento
le ginocchia che mi stanno per cedere…”
esternò Sam, bianco come un cencio.
Eric,
invece, se la prese subito con Rider: “Ma si può
sapere che cosa ti è preso?”
“Già!”
si aggregò Nathaniel.
Quello
cercò di giustificarsi: “Mi è preso il
panico, ok? E’ un indagine di polizia,
non mi è mai capitato prima d’ora.”
Nathaniel
non tollerò quel comportamento: “Nemmeno a me
è mai capitato prima d’ora, ma ho
comunque chiuso la mia vescica contro la forza di gravità
per non farmela sotto
davanti a quel detective e insospettirlo!”
“Anche
Rider è infallibile, come potete vedere!” si
difese Rider, sentendosi attaccato
ingiustamente.
“Smettila
di parlare in terza persona di te stesso, Rider… – Sam si rivolse a
lui, poi agli altri – E voi
smettetela di accusarlo, anch’io facevo fatica a rispondere.
Quello a cui
dobbiamo pensare adesso è che quel detective conosce i
nostri nomi a memoria: non
è un buon segno in gergo poliziesco!”
“A
proposito, che cavolo significa che noi eravamo al Rumors
club? – domandò Nathaniel ad Eric
– Lo sai che indagheranno
e che scopriranno che non eravamo lì, vero?”
Eric
cercò subito di spiegare: “Sta calmo, conosco
tutti i locali di Rosewood. I
proprietari e lo staff di quel locale sono molto distratti.
Basterà farci fare
uno scontrino falso da Julie, hanno visto spesso la mia faccia in quel
posto.”
Nathaniel,
poi, si girò verso Sam: “E indagheranno anche per
il tuo alibi, lo sai?”
“Anche
Chloe era fuori quella notte, visto che è uscita dopo di me.
Confermerà
sicuramente quella versione se non vuole finire nei guai anche
lei.”
Improvvisamente,
Sam vide arrivare Wesam. Tutti si voltarono a seguire il suo sguardo,
che si
era incantato su di lui.
“Ehm,
non andate via… - si alzò dal bordo
dell’ambulanza su cui era seduto – Torno
subito.”
Nathaniel,
mentre Sam era già a qualche passo da Wesam, fece sentire la
sua voce: “Ehi, non
metterci troppo. Dobbiamo tornare a casa!” e quello si
voltò giusto un attimo,
non facendo caso al suo tono leggermente infastidito.
Rider,
intanto, stava guardandando il polso di Nathaniel, attirando la sua
attenzione:
“Dov’è finito il tuo
braccialetto?”
Quello,
distratto a guardare i due che avevano già iniziato a
parlare, finalmente si
voltò: “Eh? Cosa? – poi
abbassò lo sguardo, toccandosi il polso nudo – No,
non
può essere…”
“Deve
avertelo tolto mentre eri svenuto. Ci ha messi fuori gioco tutti e
quattro,
stasera.” pensò Eric, per nulla sorpreso.
Alle
loro spalle, Wesam si sincerava delle condizioni di Sam con molta
apprensione.
“Sicuro
di stare bene? Sai, non ho mai fatto un massaggio cardiaco prima
d’ora.”
L’altro
sorrise, ancora debole: “Beh, dicono che se hai guardato
tutte le stagioni di
Grey’s anatomy e del Dottor House, potresti anche operarti da
solo.”
“Il
bello è che non ho mai visto una serie medical in tutta la
mia vita. – sorrise
a sua volta per poi sfumare in un espressione di terrore nel ricordare
cosa
aveva dovuto affrontare – Volevo solo salvarti ed
è come se la mia mente si
fosse attivata ad un livello talmente avanzato da rendermi uno
spettatore
esterno. Non sapevo cosa fare, ma allo stesso tempo lo
sapevo.”
Ad
un certo punto, Sam sfiorò le proprie labbra con le dita:
“Mi hai fatto la
respirazione bocca a bocca, vero?”
“Ho
fatto molto di più di questo. – sorrise, ancora
incredulo – Ti ho fatto
ripartire il cuore…”
Sam
lo fissò, gli occhi lucidi per essere quasi morto.
Intenerito anche dall’uomo, che
aveva fatto l’impossibile per salvarlo, lo
abbracciò forte. Quello ne rimase
sopreso, gli occhi sgranati.
“Grazie,
Wesam…” gli sussurrò ad occhi chiusi,
con le braccia intorno al suo collo.
L’uomo
si abbandonò a quell’abbraccio, sorridendo,
scambiandosi uno sguardo con
Nathaniel, che li stava osservando dall’ambulanza.
Quando
Sam riaprì gli occhi, rimase ancora abbracciato a Wesam.
Quel momento intenso,
però, fu interrotto da una scena che Sam osservò
attentamente, non appena la
notò: Chloe che si stava avvicinando ad una macchina appena
giunta sul posto.
Il finestrino si abbassò e riuscì ad intravedere
che alla guida di quel veicolo
c’era Clarke Dimitri: il fratello di Anthony.
“Ma
che…???” farfugliò tra sé e
sé, mentre si staccava da Wesam.
“Tuo
padre è qui, a proposito.”
gli fece sapere quello.
“E
dove?” chiese, abbastanza distratto da
Chloe che parlava con Clarke.
“Credo
stesse parlando con quel detective. Se non sbaglio, un certo Michael
Costa!”
Sam,
a quelle parole, sbiancò e la sua attenzione venne catturata
completamente:
“Cosa? Ne sei sicuro? Hai sentito cosa si dicevano?”
L’altro,
sentendosi sopraffatto, cercò di rilassarlo: “Ehi,
non hai mica fatto esplodere
tu la scuola. – rise – Tuo padre è un
poliziotto, è normale che si parlino.”
“Già,
hai ragione. – finse un sorriso di circostanza, nascondendo
l’ansia che lo
divorava – Forse è proprio per quello che stanno
parlando.”
Poi
si voltò di nuovo verso la macchina di Clarke, ma quella non
c’era più. E
nemmeno Chloe.
Tutto
ciò lo lasciò alquanto confuso.
TWO
DAYS LATER…
Rider
era dentro allo studio di suo padre quella mattina, camminando accanto
alla
libreria, sfiorando la scrivania con le dita. La esaminava
attentamente, come
se fosse la prima volta che ci entrava dentro.
Ad
un certo punto prese in mano la foto di famiglia, poggiata accanto al
computer,
e restò lì impalato a fissarla con un espressione
seria, assai acuta.
Lindsey,
che stava passando proprio davanti alla porta, si fermò di
colpo.
“Che
stai facendo qui dentro? - gli domandò, incuriosita
– Lo sai che papà non vuole
che entriamo nel suo studio quando non
c’è.”
L’altro
mise subito giù la foto, balbettando: “Ehm,
cercavo qualcosa da leggere.”
“La
nostra scuola è appena esplosa e tu vuoi leggere?
– rise, prendendolo in giro –
Rilassarti non ti piace proprio eh?”
“Ma
leggere E’ rilassante! – sottolineò
– E poi a me di solito piace tenermi
impegnato con un buon libro, non è
così?”
Quella
lo fissò, stranita: “E’ una domanda
retorica, questa?”
Cercò
di sorvolare: “Lascia stare!”
Sopraggiunse
un silenzio imbarazzante.
“Oookey…
- era pronta ad andarsene, ma si bloccò nuovamente quando
notò l’aspetto di suo
fratello – Sbaglio o sei vestito abbastanza casual oggi? Non
ti avevo mai visto
con una camicia bianca e un paio di jeans strappati.”
Rider
si guardò da capo a piedi: “Erano in fondo
all’armadio e ho voluto mettermeli.
Tanto non stiamo andando più a scuola. Nel tempo libero mi
vesto sempre così,
no?”
Lindsey
restò impalata a fissarlo, confusa: “E’
un’altra domanda retorica? Perché se lo
è, sappi che la risposta non è per niente ovvia.
L’altro
si avvicinò allo scaffale, sfilando un libro a caso:
“Ok, sorella, io me ne
vado a leggere… - diede un’occhiata al titolo,
nominandolo ad alta voce – Il
bambino aldi là del cancello! Sembra
una lettura interessante…”
“Lo
è, visto che è il primo libro che Papà
ha pubblicato nella sua vita e che tu
hai già letto un milione di volte.”
“Beh,
rileggere un successo non fa mai male. Ti ricorda che
c’è chi al mondo ha
raggiunto qualcosa, mentre altri ancora no. –
gettò un’altra occhiata al libro,
molto velata, prima di puntare nuovamente Lindsey – Dico bene,
sorella?”
Quella lo fissò
ancora più stranita,
leggermente infastidita: “Ok, da quando mi chiami sorella? E
cos’è questo tono
saccente?”
“Che c’è, non posso chiamarti
sorella?”
“Ok
che mi sono preoccupata molto quando non riuscivo a trovarti quella
sera, ma
questo non vuol dire che inizieremo a chiamarci sorella,
sorellina o fratellino!
- lo
fissò attentamente, mentre
quello le sorrideva divertito – Sai, sei strano!”
“In
che senso?” finse di non capire, lo sguardo di chi sembra
prenderti in giro.
“Non
lo so, ma sei più strano del solito. Sicuro di non essere
bipolare?”
Quello
scosse la testa: “Tranquilla, la parola bipolare non mi
appartiene. – le
sorrise ancora – Ritenta, magari sarai più
fortunata.” e lasciò lo studio.
Lindsey
restò alquanto spaesata da quella bizzarra conversazione,
mentre lo guardava
allontanarsi.
*
Sam
era appena rientrato a casa. Appoggiando il suo cappotto
all’appendiabiti
all’ingresso, con l’altra mano reggeva il telefono
mentre parlava con Eric.
“Com’è
andata la visita dal medico?” domandò Eric, nel
suo appartamento, seduto
davanti al pc in cucina.
“Direi
che possiamo archiviare con successo questa storia del piccolo redivivo
di nome
Sam . Pensa che, secondo il medico, ho dei polmoni d’acciaio;
peccato, però,
che non mi siano serviti nel momento in cui dovevo uscire da un
edificio che
stava per esplodere.” replicò seccato, mentre si
sdraiava sul divano.
“Tu
non stavi uscendo, Sam. Sei durato lì dentro anche oltre il
limite umano!”
esclamò, mentre controllava le sue email.
Sbuffò,
con una mano sulla fronte: “Che senso ha tornare in vita
quando l’inferno non
si trova nell’aldi là? Wesam avrebbe dovuto
lasciarmi morire!”
“Non
dire sciocchezze, la tua vita è preziosa.”
“Preziosa?
E’ un macigno che diventa sempre più pensante.
– reagì in modo isterico -
Seriamente, sento il parque sotto ai miei piedi che scricchiola ogni
volta che
cammino.”
“Credo
sia normale che il parque scricchioli, no?”
commentò, irritandolo.
“Sento
scricchiolare anche l’asfalto su cui cammino per strada,
ok?” ribattè.
“D’accordo,
sei nervoso, ho capito! Io comunque ho già ricevuto
l’email che mi comunica in
quale scuola finirò.”
Sam
si sollevò con la schiena, sgranando gli occhi:
“Cosa??? Ci hanno già collocati
nelle altre scuole? Spero tanto che non ci abbiano
divisi…” ne ebbe il terrore
al solo pensiero.
“Controlla
la tua posta, io sono finito alla Briarhood.
E’ a quindici minuti di autobus, perciò
mi è andata bene se consideri che
non ho la macchina.” spiegò, dopo essersi
informato sulla distanza.
L’altro
controllò sul suo telefono, restando assai deluso:
“Oh mio Dio, io sono alla Brahms!”
Eric
ci restò parecchio male: “A quanto pare noi due
non frequenteremo più la stessa
scuola…”
“A
quanto pare… - ebbe la stessa reazione, per poi continuare a
scorrere la mail -
Non ci credo, hai guardato gli elenchi? Nathaniel e Rider sono insieme:
alla Northdale!”
Anche
Eric stava leggendo: “E con loro ci sono Violet, Colton e
Lindsey…”
“Sembra
che non abbiano diviso i fratelli. – constatò Sam,
dando un’occhiata all’elenco
della sua scuola – Con me c’è Brianna
Santoni, mentre gli altri nomi che vedo
non mi dicono nulla.”
“Invece
con me ci sono Morgan, Lisa Nelson e… - notò un
altro nome – Ouh, c’è anche la
tua amica Chloe alla Briarhood.”
“Ah,
Chloe…” reagì in maniera strana al suo
nome e l’amico lo percepì.
“Cioè?
Perché rispondi con questo tono imbalsamato?”
Sam,
allora, decise di fargli una confidenza: “Ehm,
c’è una cosa che non vi ho detto
quella sera: ho visto Clarke arrivare sul posto, mentre parlavo con
Wesam. Poi
ho visto Chloe avvicinarsi alla sua auto e parlare con lui
e…”
“E…???”
si fermò dal digitare sul portatile, impaziente.
“Mi
sono distratto un secondo e la macchina non c’era
più. Credo se ne sia andata
con lui.”
Confuso,
Eric cercò di capire meglio: “Un secondo,
ma…che legame c’è tra Clarke e Chloe?
Sapevi che si conoscessero?”
“So
a malapena come si tempera una matita con tutte le stranezze che vedo
in questa
città. – si mise una mano tra i capelli,
sospirando rumorosamente – Dici che
dobbiamo indagare?”
“Lo
sai che dopo l’esplosione ho messo in dubbio che Brakner
possa essere A, vero?”
“Se
non è lui, allora chi è? Sono stanco di tirare ad
indovinare!”
“Dobbiamo
tenere d’occhio un po’ tutti a questo giro.
Dovresti tenere d’occhio anche
Chloe.”
“Anche
Clarke, a questo punto. Deduco sia tornato in vista del processo di
Jasper o
magari non se n’è mai andato.”
“A
proposito di Jasper, come siete rimasti con il Francese? E che ne pensa
Nathaniel di tutta questa storia di Chloe e Clarke?”
L’altro
titubò leggermente non appena Eric nominò
Nathaniel: “Ehm, in verità, io e
Nathaniel non ci siamo ancora sentiti per parlare di questo.
Cioè, mi ha
chiamato per sapere che cosa avesse scoperto la polizia
sull’esplosione ma
niente di più.”
“Hai
chiamato prima me che Nathaniel? – ne restò
sorpreso – Siamo finiti in un mondo
parallelo, per caso? E non venirmi a dire che sto esagerando,
perché sappiamo
entrambi che in questo gruppo ci sono due team ben distinti!”
Si
grattò il capo prima di rispondere: “E’
che…sono successe delle cose tra me e
Nat, mentre eravamo dentro la scuola. Cose che mi hanno un
pò distaccato da
lui.”
“Vuoi
parlarne? – provò a scherzarci su per
sdrammatizzare – Sai, ancora non ci ho
capito un bel niente su quello che c’è tra voi
due. State solo recitando o c’è
qualcosa di vero?”
“Da
parte mia c’è sempre stato qualcosa di vero. Dal
primo momento. – poi riflettè
per quanto riguarda Nathaniel – Da parte sua
c’è solo molta confusione.”
“E
di Wesam? Che mi dici?”
Quello
sussultò immediatamente: “Wesam? Cosa
c’entra Wesam?”
“Non
ne ho idea, Sam. So solo che Nathaniel, quella sera, vi ha guardati
come se ci
fosse qualcosa da supporre.”
“Wesam
è solo il mio psicologo e Nathaniel, evidentemente, temeva
che mi lasciassi
sfuggire qualcosa con lui.” restò sulla difensiva.
“Ho
fissato la mia immagine allo specchio per molto tempo, Sam.
Sarà che, ora che
non lo faccio più, riesco a notare le cose con
più attenzione e…quella che ho
visto in Nathaniel era gelosia!”
Sam
rimase in silenzio, molto a disagio, decidendo di cambiare argomento:
“…Ehm,
che hai deciso di fare poi con il segreto numero 39 mandato da A? Lo userai?”
L’altro
si rese conto che era meglio non insistere e lasciò che si
cambiasse argomento:
“Ho altra scelta? Se non lo faccio, probabilmente A farà esplodere la mia nuova
casa a Riverton.”
“E
se il Signor Lincoln si ribellasse a questo ricatto?”
“E
se mio padre non volesse più quel posto, anche se riuscissi
a farglielo
riavere?” replicò, divorato
dall’angoscia.
“Beh,
prima di agire, prova a vedere cosa ne penserebbe tuo padre.
Così, per
scherzo.”
Sbuffò,
stressato: “Vorrei tanto che fosse A
a
fare il lavoro sporco.”
“Ascolta,
io devo andare. Se ti serve qualcosa, chiamami. E ricorda che non
dobbiamo
vederci, ok? Lasciamo che le acque si calmino.”
“Ma
certo, l’avevamo già concordato quella sera.
– prima di chiudere la chiamata,
però, trovò curiosa la situazione –
Buffo che abbia preso tu questa decisione,
non trovi?”
“Che
vorresti dire?”
“Dico
che di solito è Rider ad andare fuori di testa e a darci
istruzioni su cosa
fare o non fare… - riflettè a lungo su questo
– E’ molto calmo, non credi?”
“Forse
A si è spinto talmente
oltre da
averlo spaventato stavolta. Ormai non siamo più davanti a
qualcuno che ci
minaccia solo con un SMS.”
“Non
so, sembrava un’altra persona…”
pensò ancora.
“Tutti
siamo diventati un’altra persona in qualche modo. Qualcosa ci
cambia
drasticamente. E quel cambiamento deriva sempre da un evento
specifico…Forse
quello che è successo durante la sera del ballo,
è l’evento che ha cambiato
Rider.”
Eric
si lasciò sfuggire una piccola risata: “E questa
dove l’hai sentita?”
“Ogni
tanto Wesam fa dei discorsi esistenziali talmente profondi che mi
restano in
testa. “ raccontò, lasciandosi scappare anche lui
una risata.
*
Nathaniel,
intanto, dopo essersi procurato un autorizzazione per le visite in
carcere, era
tornato da Jasper per parlare con lui.
Nel
momento in cui stava per varcare l’ingresso della sala
visite, notò
immediatamente che Jasper aveva già una visita: un uomo,
seduto di spalle
davanti a lui.
Rimase
lì impalato, cercando di capire chi fosse. Improvvisamente,
poi, quell’uomo si
alzò e riuscì a scorgerne il volto: era Carter
Havery.
Quello,
adesso, stava arrivando verso di lui, dopo aver concluso il colloquio.
Nathaniel raggiunse un angolo della sala, voltandosi verso la parete,
aspettando che passasse e non lo notasse.
Dopo
aver lasciato passare qualche secondo, si girò e quello se
n’era andato. Con il
sudore sulla fronte, raggiunse il tavolo di Jasper, continuando a
guardarsi
indietro.
“Finalmente!”
sgranò gli occhi l’uomo, vedendolo arrivare.
Nathaniel
si sedette, pronto ad una raffica di domande.
“Che
cosa ci faceva quel poliziotto qui?”
“Intendi
il padre di Sam?”
Quello
deglutì malamente: “Sì, intendo proprio
lui: che ci faceva qui?”
“Mi
è sembrato abbastanza instabile. Sa che siete stati qui la
scorsa volta!”
“Cosa?
– sussultò, spaventandosi – Non capisco,
perché è venuto qui? L’ha fatto per
conto di un
detective, per caso?”
“No
no, niente di tutto questo. – scosse la testa, nervoso
– Anzi, ha fatto
allusioni su una relazione tra me e suo figlio. Mi ha chiesto se
l’avessi
coinvolto in tutto questo.”
“Perché
mai sarebbe arrivato ad una conclusione del genere?”
domandò, pendendo dalle
sue labbra.
“Non
lo so, so solo che la mia posizione si aggrava sempre di
più. Non solo ho
ucciso il mio amante, adesso ho anche una relazione con un minore e il
mio
processo si terrà Giovedì prossimo. –
fu categorico nella sua conclusione – Mi
dispiace, ma non me ne starò più zitto. Non
resterò in galera per sempre per un
reato che non ho commesso, perciò io dirò la
verità… - lo fulminò con lo
sguardo – A costo di chiamarvi tutti alla sbarra!”
“Ok,
aspetta… - tirò fuori una fotografia, guardandosi
prima attorno, sperando di
dissuaderlo – Ho il tuo alibi, guarda tu stesso.”
Jasper
prese in mano la foto: mostrava Edward, l’uomo francese che
l’aveva visto
quella notte.
Sgranò
gli occhi, incredulo: “Come diavolo l’hai
trovato?”
“E’
lui?”
Annuì:
“Sì, è lui. Non potrei mai dimenticare
il volto dell’unica persona che può dire
di avermi visto nella notte di quel maledetto omicidio.”
“Otterò
una testimonianza, è a Rosewood e siamo in trattative con
lui. Se terrai la
bocca chiusa su tutto quello che ti abbiamo detto, faremo in modo che
venga a
testimoniare per te, ok?”
Assai
titubante, restò in silenzio a lungo prima di rispondere:
“Finchè non lo vedrò
in tribunale, terrò la bocca chiusa. Altrimenti, mi
dispiace, ma…devo salvare
me stesso!”
“D’accordo,
è comprensibile, ma non mandare tutto al diavolo. Ti abbiamo
promesso che ti
tireremo fuori da questo casino e lo faremo. –
spiegò con tranquillità - Che
altro puoi dirmi sulla tua situazione?”
“Niente,
sono sempre il sospettato numero uno. Il mio avvocato
d’ufficio ha richiesto
una nuova riesaminazione delle prove trovate a casa Dimitri, ma
è tutto inutile
secondo me.”
“Come
mai ha chiesto di far riesaminare le prove?”
“Pare
abbia scovato un trascorso che ha la polizia con un vecchio caso in cui
non
sono stati abbastanza professionali.”
“Caspita,
per essere un’avvocato d’ufficio sa il fatto
suo.”
“Si,
ma non servirà a nulla!”
“Gli
hai per caso detto di noi? Confidato qualcosa?”
“No, ma non manterrò il segreto a lungo.”
Nathaniel
si alzò: “Ti tireremo fuori di qui, abbiamo tutto
sottocontrollo.”
“Lo
spero per voi!” concluse, mentre Nathaniel si allontanava.
*
Di
turno al Brew, Eric scese al piano di sotto. Dopo aver finito di
svuotare i
manici della macchina per il caffè, vide entrare suo padre.
Quello si avvicinò
al bancone, sfoggiando un ampio sorriso.
“Sai,
mi fa ancora effetto vederti… - fissò il suo
grembiule da lavoro – Bhe, in
questo modo. Ti sei assunto una responsabilità e questo mi
colpisce molto.”
“E’
un modo carino per dirmi che in passato ero viziato e non sapevo cosa
volesse
dire cercarsi un lavoro?”
“Sì,
ma senza offesa.”
“Nessuna
offesa, Papà: è la verità!”
esclamò, lanciando un occhiata al suo capo, che in
quel momento stava parlando con un cliente.
Daniel
seguì il suo sguardo, riprendendo un discorso già
fatto.
“Hai
detto al tuo capo che stai per trasferirti a Riverton con la tua
famiglia?”
“Non
ancora… – si chiuse a riccio, mentre lucidava un
bicchiere – Forse domani!”
“Forse?
– pensò di aver sentito male – Eric, non
posso restare a Rosewood per sempre,
devo tornare al mio lavoro. Ho semplicemente proluganto questo
soggiorno per
via di quello che è successo alla tua scuola.”
“Non
posso andarmene senza sapere che cosa è successo realmente,
ok? – si alterò, ma
senza alzare il tono del volume - Le indagini sono ancora in
corso.”
Quello
non riuscì a seguirlo, trovando ridicola quella risposta:
“Che cosa te ne
importa di quello che è successo? Sei vivo e a maggior
ragione dovresti voler
fuggire da questa brutta vicenda.”
“Devo
sapere cosa è successo, ho detto.”
“Sapere
che cosa? E’ sicuramente stato
un’incidente!”
Molto
provato dalla conversazione, Eric si prese un attimo prima di
riprendere
parola.
“E’
vero, voglio fuggire da qui dopo quello che è accaduto, ma
almeno….aspettiamo
che la polizia rilasci i dettagli dell’accaduto.
Ok?”
Suo
padre si arrese a quel punto, più calmo: “Come
vuoi, ma…non appena si saprà
qualcosa, ce ne andremo con il primo aereo!” concluse,
dirigendosi verso le
scale.
Eric
lo fermò.
“Hai
più sentito il Signor Lincoln da quando sei
tornato?” gli domandò a bruciapelo,
mentre quello si voltava lentamente.
“Il
Signor Lincoln? – trovò strana quella domanda
– Perché avrei dovuto sentirlo?”
“Ehm,
niente, è che ho sempre questa assurda idea in testa che ti
chiami per
ridarti il tuo
vecchio posto di lavoro…”
L’altro
fu chiaro e cristallino su quella faccenda: “Se mai dovesse
accadere, spero che
sia uscita un’applicazione in grado di inoltrare uno sputo in
faccia.
Quell’uomo mi ha letteralmente rovinato la vita, quando
poteva semplicemente
licenziarmi e basta: sono dovuto arrivare fino a Riverton per
rimettermi di
nuovo in piedi.”
Eric
si rese conto che l’aiuto ricevuto da A
non
sarebbe servito a nulla, così lasciò andare suo
padre molto amaramente: “Scusa,
non avrei dovuto dire una cosa del genere.”
Suo
padre annuì per poi salire al piano di sopra.
*
Sceso
in cantina per sviluppare le foto del ballo, Sam spostò il
lenzuolo per entrare
nella piccola camera oscura che aveva allestito lì sotto.
Sotto
quella luce rossa, stava manipolando la carta all’interno
delle vaschette con
delle pinze. Le prime immagini stavano comparendo e Sam le
pescò immediatamente,
attaccandole lungo il filo, che andava da parete a parete. Una,
però, la tenne
in mano: ritraeva Wesam che sorrideva, mentre parlava con la persona
con cui
era venuto al ballo.
Il
suo sorriso gli trasmise talmente tanta serenità che sorrise
a sua volta.
Improvvisamente, poi, il telefono sul tavolo iniziò a
vibrare e Sam lo recuperò,
leggendo il messaggio che aveva appena ricevuto.
“Sei
riuscito a scattarmi almeno una foto?”
-A
Sam
indietreggiò, spaventato. Quando si voltò per
uscire dalla camera oscura, vide
un’ombra dall’altra parte del lenzuolo e
andò subito nel panico. Recuperò
immediatamente un oggetto lì per terra, un ombrello. Con il
manico puntato in
avanti era pronto a difendersi, mentre l’ombra avanzava.
Il
lenzuolo venne sollevato e l’ombra si rivelò
essere semplicemente suo padre.
Sam abbassò l’ombrello, cacciando fuori tutta
l’aria dalla bocca per il
sollievo.
“Oh
Dio, sei solo tu…” farneticò con una
mano sul petto, cercando di riprendersi.
“Chi
pensavi che fossi?” replicò, molto cupo e sudato
in fronte, come se fisicamente
non stesse bene.
“Non
lo so…un ladro, qualcuno! - si avvicinò,
più calmo – Dopo l’esplosione non
faccio che avere paura continuamente.”
“Sicuro
che sia solo questo?” continuò con un tono
pungente.
Sam
alzò lo sguardo, perplesso: “Ehm,
sì…”
L’altro
annuì, dandogli un suggerimento: “Forse dovresti
andare da Wesam e parlare con
lui di queste cose. Di qualsiasi cosa: lo sai che di lui ti puoi
fidare.”
“Beh,
sì, ma… - iniziò a trovare strano il
comportamento di suo padre – cosa c’entra
la fiducia, adesso?”
“Niente,
assolutamente niente. Dico solo che magari, non avendo mai sperimentato
uno
psicoterapeuta, non sai che puoi dirgli tutto in maniera totalmente
libera e
che c’è il segreto professionale.”
“So
perfettamente come funziona, Papà. –
replicò abbastanza infastidito – Quello
che non capisco è perché ti interessa
tanto.”
“Sei
mio figlio, voglio solo il tuo bene: per questo mi
interessa.” rispose in
maniera fluida e pronta.
Sam,
allora, fu più diretto: “Visto che parliamo di
fiducia, perché non mi hai detto
di aver parlato con Chloe?”
“Te
l’ha detto lei?”
“Papà,
ti ho fatto una domanda!” pretese una risposta senza troppi
giri.
“Volevo
solo capire perché tu e Chloe non siete più
amici.”
L’altro
strabuzzò gli occhi, ancora più confuso:
“Sei andato da lei solo per scoprire
questo? A quanto mi risulta avete parlato anche dei miei attuali gusti
sessuali.”
Carter
allora esplose: “Non riesco più a capirti, ok?
– gli urlò, lasciandolo basito –
La tua omosessualità è davvero un problema
così grande per te? Tale da
distruggere un’amicizia e arrivare a tagliarti una
vena?”
“Stai
mettendo in dubbio i miei problemi?” sussultò,
fingendo che fossero davvero
quelli.
“Sì,
li sto mettendo in dubbio! E penso che questi problemi stiano
mascherando altri
problemi.” fu diretto.
A
quel punto, Sam alzò la sua borsa dal pavimento, non
potendone più.
“Devo
andare!” e lo scavalcò, non guardandolo nemmeno
negli occhi.
Carter
lo seguì oltre il lenzuolo: “Stranamente scappi
sempre quando si parla di
questo argomento. Perché, Sam?”
Quello
si fermò sulle scale, oppresso: “Non sto scappando
da niente, Papà. Sto andando
alla seduta, come volevi tu.”
“Sam,
ascolta… - fu più calmò, mostrandosi
preoccupato – Qualunque cosa tu abbia,
Wesam è lì per farti stare meglio e per
permetterti di sfogarti e risolvere
insieme le cose.”
“Non
è quello che sto già facendo?”
ripetè come se fosse la milionesima volta.
“Allora
perché sembra che tu stia solo peggiorando?”
“Nemmeno
tu ti sei ripreso facilmente dalla morte della mamma, o sbaglio?
– replicò
ancora – Ognuno ha i proprio tempi per uscire da
qualcosa.”
“Quella
era una cosa completamente diversa!” sottolineò
con lo sguardo.
“Ok,
Papà. Il miei problemi sono una sciocchezza per te, ho
capito.” sorrise
amaramente, deluso. Fece un altro passo, riprendendo a salire.
Carter
lo fermò nuovamente.
“Non
vuoi sapere almeno cosa è successo alla tua scuola, prima
che lo dicano i
notiziari?”
Sam
si fermò di colpo, deglutendo malamente prima di voltarsi.
“Che
hanno scoperto?” domandò senza mostrare troppo
interesse.
“C’è
stata una fuga di gas, qualcuno ha completamente sfondato uno dei tubi.
Quando
il gas si è propagato in tutto l’edificio,
è bastata una scintilla per
provocare l’esplosione.”
“Ehm…
- girovagò con lo sguardo, confuso per non averlo sentito
menzionare di alcuna
bomba – tutto qui?”
“Purtroppo
non è facile risalire all’autore di quello che
è accaduto, ma la polizia sta
comunque indagando. Faranno alcune domande anche alla vostra ex
consulente
scolastica per capire se ci fosse qualcuno dalla personalità
abbastanza
sospetta.”
L’altro
annuì: “D’accordo, va bene.
Cioè, non va bene per niente: è difficile dormire
sapendo che là fuori c’è qualcuno che
ha quasi fatto fuori un intero istituto.”
“Le
misure di sicurezza verranno aumentate nelle scuole dove andrete,
quindi non
c’è pericolo che questo studente o professore o
chicchesia possa ritentare.”
I
due si guardarono negli occhi, lasciando calare il silenzio. Ormai non
sapevano
più che altro dirsi.
Sam
decise di spezzare quel silenzio allora: “Vado da Wesam, a
stasera!” e salì,
lasciando Carter in cantina e pieno di tormenti.
*
Nathaniel
era in centro, che camminava lungo il marciapiede discretamente
affollato. Era
al telefono e continuava a lasciare messaggi alla segreteria di Edward.
“Ehi,
sono io…di nuovo! Dovevamo vederci ieri sera per
quell’impegno che hai preso
con me, ma non mi hai più ricontattato e non rispondi
né ai messaggi né alle
chiamate. Appena ascolti questo messaggio, richiamami,
perché stasera sarei
libero.” e rimise giù il telefono, domandandosi
ancora che fine avesse fatto.
Mentre
stava continuando a camminare, vide Julie uscire da un edificio con in
mano uno
scatolone, diretta alla sua auto.
Si
avvicinò, salutandola: “Ehi!”
“Ehi,
ciao…” si voltò, accennando un sorriso
appena lo riconobbe.
“Te
ne stai andando?”
“Beh,
si. – rispose, poggiando lo scatolone sul sedile posteriore
della sua auto –
Ormai non c’è più nulla che mi
trattenga qui.”
“Tornerai
al tuo vecchio appartamento? Quello che dividevi con Denna?”
Julie
titubò, palesando nuovi progetti in vista: “A dir
la verità, vado a vivere con
Palmer. E’ stato trasferito alla
Northdale e
mi ha chiesto di
seguirlo.” arrossì, infine, fantasticando sul
futuro di questa convivenza.
“Ouh!
– esclamò sorpreso – Sono davvero molto
felice per te, sembri felice.”
“Lo
sono, infatti. – sorrise – E un pò
è grazie a voi se sono approdata a Rosewood
e l’ho conosciuto. E’ un uomo davvero
fantastico.”
Improvvisamente,
si rattristò: “Già, e ricordi anche
come mai ti abbiamo fatta venire qui…”
Quella
lo fissò a lungo, scorgendo la sua malinconia:
“Nathaniel, non pensare che per
me sia facile andarmene, sapendo che lì fuori
c’è un mostro che vi sta rendendo
la vita impossibile. Insomma, ha fatto esplodere una scuola!
– rise per
l’assurdo – Il vostro primo istinto sarebbbe dovuto
essere quello di chiamare
la polizia e raccontare ogni cosa, ma non l’avete fatto. E io
non posso nemmeno
aiutarvi se non vi lasciate aiutare, se non vi confidate del tutto con
me e non
mi dite perché avete così tanta paura di A.”
“Mi
dispiace, ma è complicato.”
“Mi
avete chiesto di farvi uno scontrino falso senza un perchè.
Ovviamente, però,
non sono così stupida da non capire che in quella data che
mi avete chiesto di
inserire, voi non eravate in quel locale ma altrove. E non sono nemmeno
così
stupida da non capire che quello era un alibi! –
sottolineò – La domanda,
perciò, è: dove eravate quel giorno? E
perché avete bisogno di un alibi proprio
dopo la notte in cui è comparso il corpo di Albert
Pascali?”
Nathaniel
non sapeva che rispondere, tenendo lo sguardo basso:
“Io…Io non posso risponderti.”
“L’avete
ucciso voi?” fu diretta.
Quello
alzò lo sguardo, in una sonora risposta: “NO! Noi
abbiamo mai ucciso nessuno,
Julie. Te lo posso giurare. – spiegò, mentre lei
lo ascoltava con attenzione -
Il problema è che stiamo per essere incastrati,
forse.”
“Se
A vi sta incastrando, allora non
posso rimanere incastrata anch’io. Non quando non ho la
più pallida idea di
cosa stia succedendo.”
L’altro
sospirò, trovando giuste le sue parole: “Ascolta,
provo a parlare con gli
altri. Cercherò di convincere Rider a rivelarti
tutto.”
“Io
sono qui fino a domani mattina, Nathaniel. Se non vi presenterete
stasera, non
disturbatevi a cercarmi nuovamente.”
“E
se ci presenteremo?”
“Se
lo farete, resterò con voi fino alla fine. La mia sestra è una tipa che fugge,
ma io no.”
“La
tua sestra?” non
capì.
“Denna
mi chiama così. – sorrise in modo genuino,
ripensando a lei - Significa sorella
in Russo: è un modo carino per rimpiazzare la parola
sorellastra, secondo lei.”
“Beh,
farò del mio meglio. Alla fine è solo Rider che
dobbiamo convincere.”
“Lo
spero per voi. Conosco Rider da poco, ma so per certo che è
un osso duro e che
è fermo sulle sue decisioni.”
“Le
cose sono diverse, stavolta. Credo che mollerà.”
Quella
sospirò, notando la sua apprensione: “Beh, io
tornò a caricare le cose in
macchina. Devo fare ancora due viaggi.”
“D’accordo,
io vado…” accennò un sorriso,
riprendendo a camminare lungo quella strada.
*
La
seduta era iniziata da qualche minuto. Sam e Wesam erano seduti sulle
rispettive poltrone, uno di fronte all’altro. Le lancette
dell’orologio erano
l’unico suono che riempiva la stanza.
“Allora…
- l’uomo cominciò, mentre l’altro
manteneva uno sguardo basso e distratto – ti
va di parlare di ciò che è accaduto?”
“Ovvero?”
alzò la testa, fingendo di non saperlo per evitare
l’argomento.
“Lo
sai, Sam.”
“Per
quanto ancora dovrò parlare del mio miracoloso ritorno alla
vita? L’ho già
fatto con mio padre, con i miei amici, con chiunque me
l’avesse chiesto!”
replicò, stufo.
“Non
devi necessariamente parlare di questo, se non vuoi
parlarne.” restò risoluto e
professionale.
Sam
esternò delle perplessità, in merito alla sua
posizione: “Quello che ti dico
qui dentro non lo riferisci a mio padre, vero?” fu diretto
L’altro
restò abbastanza sorpreso: “Perché mi
fai questa domanda?”
“Perché
non rispondi?”
“No,
Sam. Quello che mi dici qui dentro rimane tra me e te. –
cercò di convincerlo –
Perciò se vuoi parlarmi di quanto accaduto, puoi farlo. E io
ti ascolterò, ok?”
Sam
si passò una mano tra i capelli, molto provato. Finalmente
dava un cenno di
resa, girovagando con lo sguardo per trovare le parole: “Non
saprei che cosa
dire. – gesticolò, nervoso - O forse lo so, ma ho
paura a dirlo ad alta voce.”
Vedendolo
così vulnerabile e con gli occhi lucidi, Wesam si
spostò con la poltrona verso
di lui. La mossa lasciò Sam talmente disorientato che non si
accorse che l’uomo
gli aveva appena preso le mani. Abbassò lo sguardo solo
quando gliele strinse,
prima di risollevarlo e trovarsi i suoi occhi fissi su di lui.
“C-che
stai facendo? – gli tremava la voce per l’imbarazzo
- I-io non capisco…”
“Queste
quattro mura non esistono, ok? Io non sono il tuo psicologo in questo
momento,
ma sono solo Wesam. Sono la persona che ti ha salvato la vita e che da
allora
sente di avere un legame con te; un legame che non mi fa dormire la
notte se
penso ad ogni volta in cui c’è qualcosa che non mi
dici. Se penso ad ogni volta
che hai paura di qualcosa e io non posso aiutarti.”
La
faccia di Sam era completamente imbalsamata dal disagio che stava
provando,
sorpreso da ciò che stava accadendo. Con le lacrime agli
occhi che cercava di
trattenere a tutti i costi, deglutì amaramente.
“Ho
fatto dei brutti pensieri da quando è successa quella cosa a
scuola. – si passò
le dita sotto agli occhi per asciugare le lacrime – Dovrei
essere contento di
essermi salvato e di non essere morto, ma non lo sono. - lo
fissò dritto negli
occhi, sofferente - Io volevo morire.”
“Perché,
Sam? Perché?” volle comprendere tale desiderio, in
pena per quelle parole appena
ascoltate.
Ad
un certo punto, Sam sorrise in maniera malinconica, mentre guardava
verso la
finesta: “Hai mai letto “La
donna con
l’impermeabile rosso “ di Richard
Stuart?”
“No.
Di cosa parla?” restò a fissarlo attentamente,
come si osserva un cucciolo indifeso.
“Parla
di una donna che fugge via da un mostro. – si
incupì nel raccontare la trama -
Solo che…sa che quel mostro la troverà ovunque
vada. “Che razza di vita
è, vivere costantemente nella paura?”,
pensò lei:
non è vita quella, in effetti... Allora volle farla finita e
smettere di avere
paura, solo che…”
“Cosa?”
“L’uomo
di cui si era innamorata e che cercava di aiutarla a nascondersi dal
mostro era
talmente furbo da averle insinuato un dubbio: le disse che la morte
come la
conosceva, non esisteva. Le raccontò che si trattava di una
burla per far credere
a tutti che rappresenti la fine, ma non è la fine. Secondo
quest’uomo, quando
la nostra vita finisce, ce ne aspetta un'altra. E poi molte altre
ancora. La
morte è solamente un amnesia che ci permette di vivere come
se fosse la prima
volta.”
“Cos’altro
dice questo libro?” domandò, catturato dal modo in
cui riusciva ad analizzarlo.
“Che
la morte è solamente un diversivo per sopportare il peso
dell’eternità.
L’essere umano vorrebbe vivere per sempre, ma sa cosa vuol
dire vivere per
sempre? E’ qualcosa che potrebbe farti impazzire se ci
pensi.”
“Quindi
come mai la donna non si è suicidata?”
“A
lei non pesava l’eternità in sé,
bensì vivere nella paura anche nelle sue vite
successive. – lo guardò negli occhi nuovamente
– Ed è la mia stessa paura. Mi
fa pensare: “E se fossi destinato a
vivere nella paura in tutte le mie future esistenze?” Magari se supero
l’ostacolo in questa
vita non sarò costretto a rivivere tutto questo anche dopo,
ed è quello che pensò
anche lei. Volle restare per sconfiggere la sua paura.”
“Allora
dimmi qual è l’ostacolo e magari posso aiutarti,
Sam. Posso aiutarti a riavere
una vita serena e a rendere sereno anche il resto della tua
eternità.” gli
strinse bene le mani, cercando di invogliarlo a fidarsi di lui.
Purtroppo,
però, Sam aveva una guerra in corso dentro di sé:
il cuore voleva urlare, ma la
mente cercava di farlo tacere a tutti i costi.
“Vorrei
davvero potertelo dire, ma… - una lacrima gli scese lungo la
guancia – Io non posso.
Non lo so.”
Wesam,
a quel punto, approfittando della sua confusione si avvicinò
con il viso,
mentre l’altro restava fermo a guardarlo, consapevole di cosa
stesse per fare.
Le
loro labbra si incontrarono e fu Wesam a baciarlo con maggiore
intensità, mentre
Sam se ne stava immobile e con gli occhi chiusi. Improvvisamente, Sam
si lasciò
completamente andare, nonostante un attimo prima avesse come la
sensazione di
avere un macigno sullo stomaco. Lo prese per il viso, con entrambe le
mani, i
loro respiri assai rumorosi.
Ad
un certo punto, però, Wesam si staccò, tenendo il
viso di Sam tra le sue mani e
le punte dei loro nasi che si toccavano.
“Ti
ho ascoltato parlare al telefono con qualcuno l’altro giorno.
Un certo Jasper.”
Al
pronunciare di quel nome, Sam fece subito un balzo indietro, come se
tutta
quella magia fosse svanita di colpo per fare di nuovo largo alla
realtà.
“Hai
origliato la mia telefonata?”
Wesam
cercò di recuperarlo, vedendolo già sulla
difensiva: “Non ho ascoltato molto,
ma ho sentito abbastanza da riuscire a fare una ricerca
personale.”
“Una
ricerca personale? Cioè?”
“So
che questo Jasper è in galera per aver ucciso due persone.
Uno di questi era un
tuo amico.”
“E
quindi? Dove vuoi arrivare?”
“Voglio
arrivare a guadagnarmi la tua fiducia, a farti capire che di me ti puoi
fidare
e che puoi dirmi tutto. Ti prometto che non ti denuncerò,
Sam. Non potrei anche
se volessi, sono uno psicologo privato e non del servizio
pubblico.”
“Non
denunciarmi per cosa, anche se fosse? – sussultò,
alzandosi in piedi – Wesam,
non so cosa ti sia messo in testa, ma…”
Quello
si alzò in piedi a sua volta, interrompendolo:
“Perché parlare con l’assassino
del tuo amico? Un po’ strano, non credi?”
“Io
me ne vado!” esclamò, basito, marciando verso la
porta.
Wesam
cercò comunque di dissuaderlo: “So che non hai
ucciso nessuno, Sam. Non ne
saresti capace.”
Tale
affermazione lo convinse a fermarsi, restando di spalle:
“Allora perché
sembrava che intendessi questo?”
“Perché
devi ammettere che sei coinvolto in qualcosa, anche se non
direttamente. E
qualsiasi cosa sia, ti sta tormentando.”
Stavolta,
Sam decise di essere sincero: “E’ vero: sono
coinvolto in qualcosa. Non ho ucciso
nessuno, ma è comunque complicato.”
“E
la polizia, allora? Tuo padre? Nessuno può
aiutarti?”
“No,
nessuno.” rispose con la voce rotta, trattenendo le lacrime.
“Ti
prego Sam, voglio aiutarti. Per me non sei solo un paziente che viene
qui tre
volte a settimana, ma qualcuno a cui mi sto affezionando molto
nonostante non
debba affezionarmici.”
“Posso
andarmene per favore? – le lacrime scendevano copiose, mentre
era ancora di
spalle – Voglio solo andarmene.”
Wesam
rimase in silenzio per qualche secondo, il volto triste
perché lo sentiva
singhiozzare.
“D’accordo…”
“Grazie!”
esclamò, uscendo il più velocemente possibile.
Scese
giù di qualche piano, poi, prima di fermarsi e scoppiare in
lacrime silenziose.
Non era più in grado di reggere tutte le bugie che assieme
ai suoi amici aveva
costruito e questo lo stava distruggendo.
*
Seduto
all’esterno di una caffetteria di fronte alla piazza, Eric
era seduto al tavolo
ad aspettare qualcuno. Quel qualcuno finalmente si presentò
ed era Sam.
Non
appena arrivò, appoggiò la borsa alla spalla
della sedia e si sedette.
“Scusa
il ritardo e scusa se ti ho chiesto di vederci, ma avevo bisogno di
parlare con
qualcuno.”
“Non
abbiamo già parlato stamattina? –
replicò sarcasticamente – Che fine ha fatto
la regola del Tutti a casa propria per
non far insospettire la polizia?”
“Beh,
magari è più sospettoso non vedersi affatto che
vedersi. Forse l’ho vista dalla
prospettiva sbagliata, stiamo andando nel pallone.”
sospirò, chiudendo gli
occhi e massaggiandosi la fronte.
“Ehi,
va tutto bene? – si preoccupò, tornando serio
– Il tuo tono di voce è sceso fin
sotto il tavolo.”
“Nathaniel
mi ha baciato la sera dell’esplosione. E oggi mi ha baciato
anche il mio
psicologo. – rivelò a bruciapelo, mentre
un’auto civetta della polizia stava
passando davanti alla caffetteria in quel momento - E io sto per avere
una
crisi isterica se vedo un altro poliziotto girare per
Rosewood!”
Intanto,
Eric, era ancora fermo alle rivelazioni precedenti e aveva a dir poco
gli occhi
sgranati.
“…Ah,
ok, e sei andato anche ad un brunch con la famiglia Obama
nell’ultima
settimana?”
Sam
si sentiva già abbastanza incasinato per sopportare quel
commento ironico misto
a incredulità: “Eric, per favore!”
“Per
questo non vuoi incontrare Nathaniel? Perché si è
finalmente dichiarato a te?”
“Non
si è dichiarato, mi ha semplicemente usato!”
“Usato?
Cioè?”
“Quando mi sono messo in testa di voler andare ad avvisare
Rider della bomba,
lui voleva che uscissimo immediatamente. Ad un tratto, però,
mi ha baciato,
pensando che quel gesto mi avrebbe fatto cambiare idea. Che sarebbe
servito a
seguirlo come un barboncino.”
“E
poi?”
“E
poi li ho tirato uno schiaffo e me ne sono andato!”
Quello
fece una faccia sorpresa: “Uao, è che mi dici del
tuo psicologo?”
Sam
deglutì faticosamente, non sapendo da dove iniziare:
“Beh, lui ha capito che
nascondo qualcosa…”
L’altro
si sistemò meglio sulla sedia, confuso: “Capito?
Capito che cosa?”
“Quando
Jasper mi chiamò dal carcere ero da Wesam. Sono uscito dal
suo studio per
rispondere e lui ha origliato tutto.”
“Quindi
Wesam ha sentito che parlavi con Jasper e…”
“Ha
indagato, esatto! – confermò ciò che
stava pensando – Non riuscendo a darsi una
spiegazione su come mai ero al telefono con un assassino, crede che io
sia invischiato
in questa storia.”
“Oh
mio Dio, pensa che siamo complici di quell’omicidio?
– sussultò nervosamente –
Allora la polizia lo sa, Wesam ha parlato con loro quella sera.
”
“No
no, voi non c’entrate nulla. – lo
tranquillizzò – Sospetta solo di me, ma non
pensa che io abbia ucciso qualcuno. Credo che tenga davvero molto a me
e che mi
voglia realmente aiutare.”
“E
se lavorasse per la polizia? Nathaniel ha ragione: è sempre
ovunque.”
“Mi
ci ha mandato mio padre da Wesam: perché avrebbe dovuto
gettarmi nella fossa
dei leoni?”
L’altro
cercò di calmarsi, guardandosi attorno, leggermente
paranoico: “Non lo so, vedo
complotti ovunque da quando A ha
alzato la posta in gioco. – sorseggiò il suo
bicchiere d’acqua – Non devi più
parlare con Wesam, smetti di andarci!”
“Scherzi?
Ogni volta che manca un’ora alla mia seduta settimanale, mio
padre spunta alle
mie spalle come Slenderman!”
“Allora
smetti sprizzare colpevolezza da tutti i pori quando vai da Wesam.
E’ uno
psicologo ed è come un detective: capisce ogni
cosa!”
Afferrò
il consiglio, cambiando argomento: “A proposito, mio padre mi
ha spifferato
qualcosa sull’indagine all’esplosione.”
“Oh
no, significa che presto lo daranno al notiziario e io dovrò
andarmene da
Rosewood.” sbiancò, riprensando
all’ultimatum lanciato da suo padre e anche a
quello di A.
“Smettila,
Eric. A non può
sdoppiarsi in due e
perseguitare te e noi, muovendosi fra due stati, seduto a sorseggiare
un
cosmopolitan in prima classe.”
“E
che ne sai? – quasi gli urlò –
Può torturare una settimana voi e una settimana
me, o un mese voi e un mese me. Insomma: la vita è lunga,
no?”
“Oppure
ti calmi e mi ascolti mentre ti dico che l’esplosione
è stata causata da una
banale fuga di gas. Nessuna bomba!”
Eric
restò a bocca aperta, dimenticandosi dei suoi problemi:
“COSA? Significa che A ci
ha presi in giro?”
“Non
ci ha presi in giro, la scuola è esplosa comunque. Dico solo
che dovremmo
iniziare a domandarci perché A ha
sentito il bisogno di agire così.”
“Beh,
mi sembra evidente: A ha capito
che
il suo covo era ormai compromesso e per non scoprire di più
ha deciso di far
esplodere tutto.”
“Dici?
– non ne era convinto – Perché far
esplodere un edificio allora, quando poteva
semplicemente svuotare la panic room?”
“Non
saprei, non sono dentro la sua mente malata.”
ribattè, mentre finiva il caffè.
Improvvisamente,
Sam notò qualcuno in lontananza, stringendo il braccio di
Eric.
“Oh
mio Dio...”
“Che
succede? – gli chiese, seguendo poi il suo sguardo
– Chi stai guardando?”
“Vedi
il ragazzo che sta scendendo le gradinate della piazza? Quello con il
cappotto
grigio e la tracolla marrone, molto elegante.”
“Ah,
ok, l’ho individuato. Quindi?”
“E’
Quentin!”
“Ehm,
il Quentin che conosce lo sporco segreto dell’ex capo di mio
padre? Il segreto
numero 39 di Rosewood-riservato?”
“Il
Quentin che ha avuto a che fare con Anthony, se vogliamo dirla
meglio!”
sottolineò con uno sguardo e le soppracciglia sollevate.
Sam
si alzò dalla sedia, continuando a fissare Quentin. Eric si
alzò a sua volta,
prima che l’amico facesse qualche altra mossa.
“Ehi,
aspetta un secondo, Quentin probabilmente non sa nulla di
Rosewood-riservato e
nemmeno ciò che Anthony ci faceva.”
“Beh,
non possiamo saperlo. Cameron ha detto a Nathaniel di aver dato dei
soldi ad
Anthony per un progetto: magari ogni persona che ha avuto a che fare
con
Anthony possiede un piccolo pezzo del puzzle.”
“E
come approcciamo? Devo fingere di essere gay?” fece una
faccia preoccupata.
“NO!
– sussultò, storpiando il viso in una smorfia
– Sono semplicemente passato da
una vita ordinaria ad una da cronaca nera, non ho mica cambiato faccia.
Si
ricorderà sicuramente di me, voglio solo salutarlo e
poi… - gli fece
un’occhiolino prima di partire all’azione
– Beh, da cosa nasce cosa!”
Eric
roteò gli occhi, sbuffando, poi si mosse assieme a lui.
Improvvisamente, però,
dovette fermarsi: qualcuno lo stava chiamando al telefono.
Sam,
che non si accorse di avere più Eric alle spalle,
continuò a camminare,
raggiungendo Quentin, appena salito sul marciapiedi.
“Ehi,
Quentin! – lo chiamò alle spalle, facendolo
voltare – Ehi, ciao…” si
avvicinò
con il fiatone.
Quello
lo squadrò dalla testa ai piedi, assai serio, senza
proferire parola, come se
aspettasse che aggiungesse altro per poterlo fare.
“Ti
ricordi di me? – gli sorrise, imbarazzato – Sono
Sam, siamo usciti insieme una
volta.”
“Mi
ricordo benissimo!” esclamò con enfasi,
nonché con acidità.
Sam
iniziava a percepire qualcosa di strano nell’espressione del
suo volto: “Ah,
ok, e come stai? – rise nervosamente – Io frequento
ancora il liceo,
sfortunatamente per me. Non vedo l’ora di potermi
diplomare!”
“Spero
tu riesca ad ottenere buoni voti in tutte le materia, ma sicuramente
quelli
come te riusciranno ad ottenere tutto dalla vita. –
replicò con un finto
sorriso , per poi assumere un volto avvelenato e pieno di sdegno -
Insomma: chi
inganna le persone va’ forte nel mondo, non credi?
E’ solo la gente onesta a
soccombere, ma per fortuna alcuni di noi riescono a riprendersi da
quelli come
te e il tuo amico.”
A
quel punto, Sam si arrese: “Ok, so già
perché provi tutto questo odio nei miei
confronti. Voglio solo chiederti scusa e dirti che io non sono
così.”
“Non
sei così? E allora cosa sei?”
La
domanda lo mise talmente a disagio da non riuscire nemmeno a trovare le
parole:
“I-io…”
“Te
lo dico io! – prese in pugno la discussione con
aggressività – Mi hai venduto
al tuo amico, quando io mi ero aperto con te come non avevo fatto con
nessuno
in vita mia. Ti ho raccontato ogni cosa di me, come hai potuto farmi
questo?
Magari non sei neanche gay e hai finto per fargli un favore.”
“No
no, lo sono davvero. – fu dispiaciuto, il volto sofferente e
pestato da quelle
dure parole – E ti chiedo scusa per averti tradito.
All’epoca non conoscevo
Anthony, non pensavo che… - riflettè, non
conoscendo i reali motivi – Beh, non
so se ti ha ricattato o fatto qualcos’altro in
verità.”
Quentin
restò impassibile: “Quindi vuoi farmi credere che
non c’eri anche tu dietro ai
messaggini di A?”
“Messaggini
di A? – assunse una
smorfia confusa
– Di che cosa stai parlando?”
“E’
così che mi avete contattato prima di lasciarmi in pace, o
hai forse perso la
memoria?”
Sam
si mise una mano sul petto: “Quentin, giuro che non so nulla
a proposito di
tutto questo. Se magari mi spiegassi meglio…”
Dovette
fermarsi bruscamente, però, perché davanti alla
tipografia in cui si trovavano,
ne uscì un ragazzo, insospettito dai toni alti.
“Quentin,
che sta succedendo? – sembrava conoscerlo, avvicinandosi
accanto a lui – La tua
voce si sentiva fin dentro…”
“E’
A!” gli spiegò
Quentin.
Bastò
quella lettera a far diventare aggressivo anche l’altro
ragazzo appena giunto.
“Sta
lontano dal mio ragazzo, ok?” gli puntò il dito
contro, quasi come se fosse
pronto a mettergli le mani addosso.
Sam
indietreggiò leggermente, cercando di giustificarsi:
“C’è un malinteso, io non
so nulla di questi messaggi. Era solo Anthony, mi ha usato!”
“Hai
una vaga idea di quanto tempo Quentin abbia vissuto nella paura per
colpa
vostra? Di essere tenuto in pugno e dover fare qualcosa in cambio da un
momento
all’altro? – gliene disse quattro, mentre Quentin
lo tratteneva per quanto
fosse irrequieto sull’argomento – Oggi Quentin vive
una vita serena con me. Ci
amiamo e non ha più paura di gente come voi. Anzi, di gente
come te, visto che
il tuo amico non c’è più.”
“So
com’è vivere nella paura, credimi. –
aveva quasi le lacrime agli occhi – E vi
chiedo scusa dal profondo del mio cuore.”
“Devi
andartene, hai capito? – alzò la voce, aizzando
nuovamente il dito contro di
lui – Non ti permetterò di rovinargli ancora la
vita.”
Quello
indietreggiò spaventato, non sapendo cosa aggiungere per
calmare i loro animi.
Eric,
intanto, lontano e voltato dall’altra parte, era al telefono
con Alexis.
“Che
vuol dire che sei andata a casa mia per parlare con mio
padre?” assunse
un’espressione confusa.
“Mi
hai scritto tu di andare da lui, hai per caso sbattuto la
testa?”
Quello
finse di sapere di cosa stesse parlando: “Ah, ok, e cosa ti
ha detto mio
padre?”
“Beh,
inizialmente non sapeva cosa rispondere. Io gli ho spiegato che i tuoi
amici
sono importanti per te e che vuoi finire la scuola con persone che
già conosci e
non dover ricominciare tutto da capo al quarto anno,
perciò…ce l’ho fatta!”
Purtroppo,
però, Eric faceva ancora fatica a capire: “Quindi
rimango a Rosewood?”
“Sì,
mi trasferisco domani nel tuo appartamento. Sono la tua specie di
tutrice
maggiorenne ora, come volevi tu.”
Quello
sgranò gli occhi, fingendo entusiasmo per mascherare la sua
più totale
incredulità: “Accidenti, evviva!”
“Ora
che ti ho fatto questo favore, devi farmene uno anche tu.”
“Ovvero?”
“Passo
stasera al Brew e ti racconto meglio, ok?”
“Ehm,
va bene!” esclamò, ancora disorientato.
Chiusa
la chiamata, giunse un messaggio che si aspettava di ricevere.
“Pensavo
che ce l’avresti fatta con quel mio piccolo aiutino, ma
evidentemente non ti ho ancora allenato bene a spingerti fino al
limite. Per il
momento, ringraziami: vivrai qui a Rosewood ancora per molto tempo, si
spera.”
-A
“Bastardo…”
sussurrò.
Subito
dopo, sentì delle urla alle sue spalle.
“Fermo,
Greg, non ne vale la pena!”
Erano
le urla di Quentin e quelle bastarono a far voltare Eric, che vide Sam
spintonato a terra dal ragazzo che portava quel nome.
Immediatamente
corse da loro.
“Ehi
ehi, ma che succede? – esordì, mettendosi davanti
a Sam, ancora seduto a terra –
Datti una calmata, amico!”
“E
tu saresti il suo ragazzo? – lo fissò da capo a
piedi con arroganza – Farete
meglio a starci lontani o sistemo anche te.”
Eric
restò lì, muso a muso, a fissarlo per nulla
intimidito, finchè non se ne
andarono. Quando Greg smise di fulminarlo con lo sguardo, anche da
lontano,
Eric si girò a dare una mano a Sam.
“Stai
bene?”
Finalmente
si risollevò, ma assai avvilito: “No, ma me lo
sono meritato. Anthony deve
averlo tormentato per molto tempo per arrivare ad una reazione come
questa. Ed
è tutta colpa mia.” si sentì in colpa,
lo sguardo perso nel vuoto.
“Ehi,
siamo stati tutti ingenui con Anthony, ok?– cercò
di recuperarlo con lo sguardo
– Abbiamo fatto del male a molte persone, ma non siamo
malvagi. Siamo vittime
come loro, se non peggio. ”
“Puoi
dire lo stesso, se ti dicessi che A esiste
da prima che tormentasse noi?”
Inquietato,
Eric cercò di capire: “Che vuoi dire?”
“Quentin
ha parlato di A. E l’ha
fatto quasi
con la stessa faccia di quando ne parliamo noi.”
“Ma
non ha senso, A esiste dal momento
esatto in cui abbiamo investito Albert. Cosa c’entra
Quentin?”
“Infatti
la prima A era Anthony,
è iniziato
tutto con lui. Quentin ha detto che riceveva dei messaggi da A; probabilmente da quando ho passato
quelle informazioni ad Anthony su di lui. Era convinto che dietro a
tutto ciò
ci fossimo entrambi.”
“Tu
non eri di certo, ma come faceva a sapere che fosse Anthony?”
“E’
questo il punto! – pensò, focalizzandosi su quello
– Dopo i messaggi deve
averlo incontrato e poi è successo qualcosa.”
Eric
iniziò a collegare i pezzi della storia: “La
nostra A ci perseguita anche per un
secondo crimine, di cui pensa che uno
di noi sia il complice.”
“Fantastico,
se A stava origliando, ora
penserà
che sono io. In ogni caso, dobbiamo parlare di nuovo con Quentin per
sapere se
ha davvero incontrato Anthony.”
“Possibilmente
senza la presenza del suo muscoloso ragazzo.”
sottolineò, facendogli capire che
per un attimo ha avuto paura di lui.
Sam
ora buttò lo sguardo in basso, pensieroso:
“E’ tutto molto strano…”
“Cosa
è strano?”
“E’
una cosa che non vi ho detto, non ne ero sicuro; tutt’ora non
ne sono sicuro.
Quando sono entrato nella panic room, la prima volta, c’erano
tante foto nostre
appese alla parete. Mentre le guardavo, in alto ce n’era una
in cui mi è quasi
sembrato di vedere Anthony.”
“E
allora? Forse A l’ha
messa lì come
simbolo di odio.”
“Non
era una foto fatta prima della morte di Anthony. Credo fosse lui
all’interno
della panic room.”
L’altro
sbigottì: “Cosa??? Mi stai dicendo che Anthony
forse è vivo e tu non hai preso
la foto che poteva confermare i tuoi sospetti?”
Sam
si stava torturando le dita: “Ad un certo punto ho visto la
foto di me e
Nathaniel al penitenziario e mi sono distratto, poi Rider mi ha
chiamato e l’ho
completamente rimosso.”
Eric
iniziò a fare avanti e indietro, nervoso: “Ok, se
Anthony fosse vivo, perché
dovrebbe essere A?”
“Non
l’ho mai detto.”
“Ma
lo pensi!”
Quello
esitò per qualche istante, per poi capire che anche lui
aveva qualche dubbio:
“Beh, se Anthony fosse vivo e fosse A,
direi che sta giocando come ha sempre fatto, in una versione
decisamente molto
malata di se stesso, cercando di scaricarci addosso
l’omicidio di Albert.”
“Ok,
stesso pensiero. Niente di buono. - iniziò a grattarsi il
capo, nervosamente –
Che facciamo? Dobbiamo avvertire anche gli altri di questa
scoperta?”
“Che
non sospettiamo più di Brakner, ma di Anthony?
– rise per un secondo – E’
assurdo anche solo dirlo a voce alta.”
“Lo
so, ma a questo punto mi sembra surreale che qualcuno che non sia
Anthony possa
aver iniziato questo gioco malato contro di noi. Se è vivo,
dev’essere lui a
farci questo. Probabilmente non vedo l’ora di incastrarci per
fuggire da
Rosewood con la sua nuova identità.”
“Parliamone
con gli altri, poi decideremo cosa fare per non restare incastrarti con
la
polizia.” suggerì, mentre si incamminavano verso
l’auto.
“Io
devo passare un attimo da Alexis, magari ci vediamo dopo.”
“Anch’io
ho un impegno, devo portare delle torte alla casa di riposo dove
lavorava mia
madre. Lo faccio due volte a settimana,
perciò…”
“D’accordo,
ci messaggiamo!” esclamò, mentre aprivano le
portiere.
*
Più
tardi, Nathaniel si presentò alla porta di casa di Rider.
Dopo aver suonato, fu
Lindsey ad aprire la porta.
“Ah,
sei tu… - mostrò un espressione delusa -
Cerchi Rider, vero?”
“Ehm,
sì…Chi altri, se no?”
Quello
si accomodò, mentre lei gli rispondeva.
“Beh,
magari Tasha!”
“Tua
cugina, intendi?”
“Non
fa che parlare di te. – arrivarono davanti alle scale - E
pensare che è quasi
morta e nemmeno se lo ricorda.”
“A
dir la verità ho già chiarito la mia situazione
con Tasha. Dille di trovare
qualcun altro da cui essere ossessionata.” le sorrise, pronto
a salire.
“Oh,
andiamo… – non se la bevette – Tu non
sei gay, Nathaniel. Per qualche strano
motivo fingi di esserlo, ma non lo sei… - lo
fissò, non comprendendo tutto ciò
- Mio fratello e voi tre siete davvero un gruppo di tipi
strani.”
Nathaniel
si voltò, utilizzando un tono abbastanza pungente:
“Beh, non siamo i soli ad
avere delle stranezze. Non credi?”
Quella,
intimidita dal suo sguardo che conosceva tutti i suoi segreti, decise
di
allontanarsi abbastanza infastidita: “Come ti pare!”
Lui
continuò a salire, ma dovette fermarsi nuovamente quando
sentì qualcosa vibrare
contro una superficie. Lentamente si voltò e vide che
c’era un telefono
poggiato su uno dei mobili, vicino all’ingresso.
Scese
rapidamente, controllando se Lindsey fosse nei paraggi, e lo prese tra
le mani.
Più
tardi, piombò nella stanza di Rider molto distratto, pronto
a raccontargli cosa
aveva visto nel telefono.
“Sapevi
che quella stupida app creata dal cugino di Violet è
già… - si voltò finalmente
a guardare Rider, dopo aver chiuso la porta, restando di stucco
– virale…”
Ciò
che lo lasciò senza parole era Rider in boxer che faceva le
flessioni a terra.
La stanza era abbastanza in disordine: un piatto sul letto con dentro
gli
avanzi di un panino, un libro accanto e indumenti sparsi qua e
là.
“Oh,
ciao Nathaniel!” gli sorrise, risollevandosi tutto sudato.
“Ma
che sta succedendo qui dentro?” strinse gli occhi, confuso.
L’altro
finse di non capire, mentre sorseggiava acqua da una bottiglietta:
“Di che stai
parlando?”
“Di
te che fai le flessioni e della tua stanza che potrebbe benissimo
finire in un
episodio di Sepolti in casa!”
“Ho
provato qualche vestito e non ho rimesso a posto, tutto qui.”
“E
le briciole di pane sul tuo letto? Tu detersti le briciole, una volta
mi hai
fatto mangiare un biscotto con la testa fuori dalla
finestra.” continuò,
cercando di sottolineare che c’era qualcosa di insolito.
“Beh,
ho deciso di fare uno strappo alla regola stavolta.” disse
con nonchalance.
Nathaniel
strinse gli occhi ancora di più, lasciando perdere:
“Ok, dev’essere una sorta
di crisi di mezza età anticipata dal trauma che ci ha
lasciato la sera del
ballo, perciò passiamo alla scoperta che ho appena fatto:
tua sorella chatta
con quella app che ha creato il cugino di Violet.”
Rider
si stava annusando le ascelle, distratto: “E
quindi?”
“Beh,
ha scritto a qualcuno che sarebbe uscita in dieci minuti. –
scrollò le spalle,
sospettoso - Da quando tua sorella usa una stupida app scolastica per
darsi
appuntamento con le persone?”
“Hai
visto con chi stava conversando?” si rivestì nel
mentre.
“Il
suo avatar era seduto ad una delle panchine del cortile e la persona
con cui
stava parlando non c’era già più:
dev’essersi scollegata.”
“E
non si può risalire a questa persona?”
“No,
mostra solo l’ultimo messaggio mandato.”
“Ma
tutto ciò non mi sembra sospetto, non starai
esagerando?”
“E
se tra dieci minuti si vedesse con Brakner?”
“Dici?”
si mostrò poco collaborativo.
“Dentro
Second Rosewood
puoi essere chiunque: è il luogo
perfetto
per avvicinarsi ad una studentessa senza che nessuno capisca che sei il
suo
Professore!”
“Quindi
per te A è ancora
Brakner, che muove
le fila di questo gioco nell’ombra, all’interno di
una app?”
“Finchè
non ho maggiori sospetti verso qualcun altro, direi di sì.
Tu?”
“Ehm,
stessa cosa!” esclamò rapidamente, quasi
indifferente, sedendosi sul letto.
Nathaniel,
spostando il libro che c’era sul letto e
che Rider fissò con particolare timore nello sguardo, quando
lo prese in mano,
si sedette accanto a lui.
“Ascolta,
sono venuto a parlarti a proposito di Julie. Sta per lasciare Rosewood
e andare
a vivere con Palmer, ma…se le diamo un valido motivo per
restare, allora
resterà.”
“E
quale sarebbe questo valido motivo?”
“Raccontarle
tutto!”
Rider
si alzò, avvicinandosi alla scrivania, dando le spalle:
“No, non se parla. Non
possiamo.”
“Ah,
beh, vedo che sei tornato te stesso adesso!”
replicò seccato.
Il
volto di Rider, in quel momento, accenno quasi un sorriso, come se
cercasse di
essere convincente: “Non ne voglio più discutere.
Quando dico no, è no!”
“E’
l’unica persona che fino ad ora ci ha aiutati e che sa quasi
tutto. E poi Julie
e sua sorella hanno un passato che potrebbe farle finire dietro le
sbarre, chi
può capirci meglio di lei?”
“Quindi
se le diciamo la verità, lei resterà e poi che
altro?”
“Può
fare molte cose con le sue capacità. E in un momento come
questo in cui la
polizia potrebbe prenderci di mira, può aiutarci a farla
franca con filmati
della sicurezza, intercettazioni telefoniche o altri problemi come
questi. Ci
ha già aiutati con lo scontrino falso e ha reso possibile il
nostro alibi.” gli
diede più motivazioni possibili.
“D’accordo,
va bene!” esclamò di colpo, senza riflettere,
lasciandolo sorpreso.
“Aspetta,
sul serio?”
Si
voltò: “Sì, va bene. Andiamo da Julie e
confessiamo tutto.”
Nathaniel
ne era ancora incredulo: “Ma un attimo
fa…”
“Hai
ragione, ci serve una mano. Quel detective mi è sembrato
abbastanza determinato
a scoprire la verità e ci riuscirà se non abbiamo
qualcuno come Julie dalla
nostra parte.”
L’altro
tirò un sospiro di sollievo, sorridendo:
“Finalmente ti è tornato il buonsenso.”
“Meglio
tardi che mai!” esclamò con un sorrisino
sarcastico.
Ad
un certo punto, poi, Nathaniel si girò a guardare il libro
che aveva scansato.
Curioso, lesse il titolo.
“La donna con l’impermeabile
rosso… - si
voltò verso Rider, che
impallidì -
Sembra interessante!”
Quello
si avvicinò di scatto e glielo tolse dalle mani, nervoso:
“Beh, non è poi così
interessante!”
“E’
solo un libro, Rider, rilassati!” sorrise alla sua strana
reazione.
“Scusa,
è che l’ho preso dalla libreria di mio padre. Se
trova anche una sola pagina piegata
gli si rizzano i peli come un gatto.”
“Ma
se fino a poco fa era buttato qui assieme ai tuoi calzini sporchi e gli
avanzi
del tuo panino.” continuò, ironico e anche
perplesso.
“I
calzini e le briciole non hanno le dita, ok? Vado a rimetterlo al suo
posto!”
Nathaniel
allora si alzò, pronto a togliere il disturbo.
“Senti,
ci vediamo stasera per andare da Julie. Io passo a casa del francese,
non mi
risponde al telefono da stamattina.”
Quello
annui, cercando di velocizzare i saluti: “Certo certo, il
francese. Allora io
seguirò Lindsey per ingannare il tempo.”
“Ok…
- restò a fissarlo per qualche secondo, stranito dal suo
comportamento insolito
– Beh, io vado!” indicò la porta,
dirigendosi verso di essa.
“A
dopo!” gli sorrise quello.
Quando
la porta si chiuse, Rider smise di sorridere. Il suo volto assunse una
smorfia
seccata, quasi disgustata. Il telefono iniziò a squillare.
“Che
vuoi?” rispose, sapendo già di chi si trattava: fu
ancora più scocciato.
[…]
“Grazie
per il libro, ma non posso imparare tutto a memoria nel giro di poche
ore.”
[…]
“Pff,
figurati, non hanno idea di chi tu sia. Pensano che A
sia Brakner e invece sono totalmente fuori strada, dico
bene?”
[…]
“Sto
facendo del mio meglio, non è facile fingere di essere
qualcun altro.”
[…]
“D’accordo,
mi tengo pronto per stasera. Tu, però, devi promettermi che
avrò il tempo
necessario per ottenere ciò che voglio e che Rider
dovrà rimanere lì fino a
quel momento.”
[…]
Il
ragazzo sorrise: “Bene, allora torno a studiare.” e
chiuse la chiamata.
Subito
dopo, si diresse verso il letto e prese in mano quel libro. Quando lo
aprì,
dentro c’erano degli appunti scritti a mano e non il romanzo
di Richard Stuart:
si trattava di informazioni riguardanti il gruppo dei quattro ragazzi,
delle
persone a cui erano collegati e di tutto ciò che era
successo dalla morte di
Albert.
Sulla
pagina su cui mise gli occhi, c’era un appunto riguardante
Nathaniel.
-
Recentemente
ha fatto delle analisi e
ha scoperto che gli ho fatto assumere delle pillole per il cambio di
sesso. Suo
cugino Tyler lavora in ospedale, sua zia Courtney l’ha
accompagnato.
*
In
centro, Lindsey era appena entrata in un
locale. Ferma all’ingresso, scrutò i vari tavoli
per individuare la persona con
cui aveva appuntamento.
Quando
finalmente la trovò, la raggiunse al
tavolo e si tolse gli occhiali da sole: era Chloe la persona che la
stava
aspettando.
“Ti
aspetto già da un quarto d’ora, che fine hai
fatto?”
L’altra
appese la borsa alla spalla della sedia
e si sedette, seccata: “Scusa, ho avuto un
contrattempo.”
“Colpa
del ragazzo più grande con cui ti
frequenti? – fu invadente - E’ sempre lo stesso di
quella notte?”
“Non
sono affari tuoi, siamo qui per parlare di
altro.” le lanciò un’occhiata che non
cercava troppa confidenza.
“Tranquilla,
non ho detto niente alla polizia.
Come avrei potuto dire di averti vista
dentro quella macchina con Albert se ho raccontato di essere rimasta a
casa a
guardare telefilm?”
“Io
non so nemmeno se ho fatto bene a mentire. –
si mostrò preoccupata – E se lo scoprissero? Cosa
penserebbero?”
Chloe
fu sarcastica: “Che magari Albert l’avete
ucciso tu e il tuo ragazzo?”
“Non
scherzare, sai perfettamente che mi sono
incontrata con lui per ricattare Anthony e fargli sapere che avevamo
quel
video.”
“Ma
se Albert è morto, allora chi ha caricato
quel video online?” pensò a quel punto, dubbiosa.
“E
se fossero stati i ragazzi?” ipotizzò, mentre
il viso le si impallidiva.
“Perché
avrebbero dovuto farlo?”
“Non
so tu, ma sono settimane che mio fratello è
strano, per non dire stranissimo.”
Chloe
ci riflettè su: “Beh, anche Sam è
diventato strano. Non siamo più legati come prima da
quando…”
“Albert
è scomparso?” suggerì l’altra.
Le
due si guardarono, atterrite. Chloe trovò il
coraggio di dare voce a ciò che entrambe stavano pensando.
“Pensi
che l’abbiano ucciso loro?”
“Aspetta,
tu sai se fossero in giro quella
notte? Quando sono tornata a casa, Rider non c’era.”
“Io
sono uscita per seguire Sam, ma l’ho perso
di vista.”
“Quindi
erano tutti fuori… - pensò Lindsey,
insospettita – Dev’essere successo qualcosa tra
Albert, i ragazzi e Anthony.
Forse hanno scoperto che aveva il video.”
“Lo
penso anch’io, ma… -
si preoccupò - A questo punto ci siamo
dentro anche noi, abbiamo mentito alla polizia sui nostri alibi.
Esattamente
come hanno fatto Sam e Rider.”
“Sì,
ma non credo che la polizia sospetti
qualcosa.”
A
quel punto, Chloe pensò di confidarle una
cosa: “Ascolta, non voglio spaventarti, ma una volta ero in
macchina con Sam e
ha ricevuto un messaggio da qualcuno che si firmava A.
Gli chiedeva di guardare il notiziario.”
Lindsey
sgranò gli occhi: “Oh mio Dio… -
ricordò
un dettaglio – La sera prima del ballo qualcuno ha lasciato
fuori da casa mia
una busta con dentro un vestitino da neonato. Si congratulava per la
mia
gravidanza ed era firmato da A.”
“Aspetta
un secondo… - sbigottì – Sei
incinta?”
“NO!
– ci tenè a sottolinearlo – Era solo una
frecciatina contro la mia relazione, questa A
conosce il mio segreto.”
“Ma
si può sapere chi è questo ragazzo più
grande? Perché ci tieni così tanto a
nasconderlo?”
Quella
abbassò lo sguardo, tirando un grosso
sospiro poco prima di rispondere: “E’ il professor
Brakner la persona con cui
mi frequento…”
“OH
– MIO –DIO! – sgranò gli
occhi, scioccata –
Stai con un insegnante???” quasi urlò.
“Vuoi
chiudere quella bocca? –
la zittì, guardandosi attorno – Non farmi
già pentire di avertelo detto!”
Quella
si ricompose: “Ok, ammetto che è molto
affascinante, ma… -
lo trovò comunque
pericoloso – Lindsey, è troppo grande!”
“Lo
amo, ok? – mise in chiaro, sicura di ciò che
provava - Ed è per questo che lo sto proteggendo. Hai idea
dei guai che
passerebbe se la polizia scoprisse che quella notte era in macchina con
due
minorenni? Anche se non ha ucciso Albert, verrebbe comunque
arrestato.”
Chloe
fu comprensiva: “D’accordo, non ti giudico.
Avrei fatto la stessa cosa, probabilmente… - decise poi di
tornare al discorso
precedente – Senti, quel pomeriggio ho visto il notiziario
che A ha chiesto a Sam di vedere.
Parlava
dell’omicidio di Anthony e dell’arresto del suo
assassino: Jasper Laughlin!”
“Perché
A
voleva che guardasse quel notiziario?”
“E
se A fosse
qualcuno che ha assistito a ciò che è
successo?”
“Credi
che voglia incastrare mio fratello e i
suoi amici?”
“Forse
erano tutti insieme quella notte: loro, Anthony,
Albert e questo Jasper.”
“Ma
non gli hanno uccisi loro Anthony e Albert,
giusto? – non ci voleva credere - E’ stato questo
Jasper, no?”
“Non
ne ho idea, ma il corpo di Albert non l’hanno
lasciato loro su quella strada...”
Lindsey
sgranò nuovamente gli occhi: “E’ stato A!”
Le
due si guardarono: molto confuse e molto
spaventate.
“Hai
idea di chi possa essere? – le chiese Chloe
– Vivi con Rider, l’avrai pur sentito parlare di
questo almeno una volta.”
Quella
scosse la testa: “Mi dispiace, non ho
idea di chi sia. So solo che mio fratello si comporta in maniera strana
e ora tutto
ha un senso.”
“Dobbiamo
andare a fondo di questa storia. Anche
noi due eravamo fuori quella notte e rischiamo di essere incastrate
anche noi,
ora che la polizia sta indagando sul serio. Abbiamo già
mentito, sembreremo
colpevoli quanto i veri responsabili.”
L’altra
annuì, nervosa: “ Va bene, cercherò di
scoprire qualcosa.”
Entrambe
abbassarono lo sguardo, precipitando
ognuna nei propri pensieri.
*
Dopo
aver lasciato la casa di Rider, però, Nathaniel non
andò direttamente dal
francese. Bensì, da Sam.
Quando
parcheggiò, lo vide che stava salendo le gradinate del
portico. Scese immediatamente
dalla macchina e lo raggiunse.
“Ehi,
Sam!” lo chiamò, facendolo voltare.
L’altro
si guardò attorno, confuso, le chiavi di casa fra le mani:
“Che ci fai qui? E’
successo qualcosa?”
“Tuo
padre è in casa?”
“No,
è in centrale a quest’ora.” rispose,
turbato dalla sua presenza.
“Bene,
entriamo in casa. Fa presto!” gli intimò, mentre
quello apriva, fissandolo di
tanto in tanto, ansioso.
Una
volta dentro, con la porta chiusa, Nathaniel spiegò il
motivo della sua visita.
“Stamattina
ho fatto visita a Jasper e c’era anche tuo padre.”
Sam
granò gli occhi: “Oh Dio, che ci faceva
lì?”
“Sa
che siamo andati a fargli visita la volta scorsa, ma la cosa peggiore
è che
pensa che tu sia complice di Jasper nell’omicidio di Anthony
e suo padre.”
“M-ma…
- abbassò lo sguardo, scioccato – Come
è arrivato a questa conclusione?”
“Non
lo so, dimmelo tu.”
Quello
allora si voltò di spalle, appoggiandosi alla porta. Fu in
quel momento che
capì: “Wesam…”
“Wesam?”
ripetè Nathaniel, pensando di aver sentito male.
“Alla
seduta di oggi, Wesam mi ha raccontato di avermi sentito al telefono
con
Jasper. – si voltò a spiegare - Sospetta che sia
complice dell’omicidio, ma non
in maniera diretta.”
L’altro
rimase basito, passandosi velocemente una mano sui capelli:
“Ok, questo vuol
dire che Wesam l’ha detto a tuo padre e
che…”
Sam
chiuse gli occhi, mettendosi le mani in testa, setendosi stupido:
“Eric pensa
che lavori per mio padre e a questo punto lo penso anch’io.
– gli riaprì, gonfi
di lacrime – Ogni seduta era per scoprire qualcosa su di me,
su ciò che
nascondevo: era tutta una bugia.” tuttavia, quelle di Sam,
erano lacrime amare
non solo per essere stato ingannato, ma anche per essere stato baciato
da
qualcuno che lo stava solamente usando: di nuovo.
“Sam,
non lo sapevi. – cercò di non appesantire il suo
senso di colpa, in pena per
lui – Tuo padre è un poliziotto, non è
come i nostri genitori. Io, Eric e Rider
siamo riusciti ad ingannarli per bene in queste settimane, ma tuo padre
ha
capito che c’era qualcosa che non andava in te.
“E
adesso che faccio? – domandò con la voce rotta -
Ora si spiega come mai è così
nervoso e pallido. – scoppiò in un pianto
sofferente - Pensa che io sia un assassino,
Nat.”
L’altro
subito lo abbracciò.
“Devi
continuare ad andare da Wesam o sembrerai ancora più
sospetto. Devi guadagnare
tempo, finchè non tiriamo Jasper fuori di prigione e
capiranno entrambi che non
c’entri nulla.”
“D’accordo.
– annuì, pulendosi le lacrime – Allora
va’ da quel francese e risolviamo questa
storia. Se il detective Costa dovesse vedere mio padre così
preoccupato,
capirebbe che c’è qualcosa sotto e saremo ancora
di più nel mirino della
polizia.”
“Hai
già detto a qualcuno di Wesam?”
“Solo
Eric, ci siamo visti per un caffè. Abbiamo anche incontrato
Quentin, ma ti
aggiorno più tardi al telefono. Ora trova quel francese,
l’udienza di Jasper è
alle porte.”
Nathaniel
aprì la porta: “Ok, ma credo sia meglio tenere
Eric e Rider allo scuro su tuo
padre. Non vorrei che si allarmassero troppo, dobbiamo sembrare il
più calmi
possibili.”
I
due si scambiarono un ultimo sguardo, che mise entrambi a disagio. Il
bacio
scattato tra i due durante la sera del ballo era ancora una ferita
aperta per
Sam.
“Ehm,
ancora una cosa. Ho incontrato Julie, sta per lasciare Rosewood, ma ci
ha dato
un ultimatum per la farla rimanere: dirle tutta la verità.
Sono passato da
Rider e ha ceduto, perciò…appena torno dal
francese, passiamo da lei e
progetteremo insieme un piano per sconfiggere A
una volta per tutte.”
“…E’
la cosa che desidero più al mondo.”
pensò, a braccia conserte, esausto nello
sguardo.
“Anch’io!”
esclamò, per poi uscire.
*
Eric
si affrettò a raggiungere Alexis, che lo stava aspettando
davanti al Brew. Infreddolita,
si strofinava le braccia sopra alla felpa.
“Ehi,
ho fatto più in fretta che potevo. Aspetti qui da
molto?” le accarezzò la
spalla, vedendola tremare.
“Qualche
minuto, ma ho preferito stare qui fuori che dentro al Brew.”
Quello
buttò un occhio dentro locale:
“C’è Todd?”
“Non
c’era quando sono venuta a parlare con tuo padre, poi quando
sono scesa l’ho
visto al bancone e sono sgattaiolata via prima che mi vedesse. Non
voglio più
averci nulla a che fare con quello stronzo.”
spiegò, ancora con l’amaro in
bocca.
Eric
tirò un sospirò di sollievo, scoprendo che non si
erano incrociati: “Dai, tanto
hai trovato un nuovo lavoro a quella tavola calda.” la
consolò.
“Sì,
ma da domani il mio posto di lavoro non sarà più
così vicino: mi trasferisco
qui!”
“Non
è un problema, Rider può darti un passaggio visto
che la tavola calda è sulla
stessa strada che farà per andare a scuola.”
“Ok,
ma devi aiutarmi con il trasloco. Domani puoi passare con me al campus
a
prendere le mie cose e portarle qui?”
Le
sorrise, ben disposto: “Ma certo, prendo in prestito
l’auto di uno dei ragazzi
e carichiamo tutta la tua roba.”
Quella,
però, non ricambiò il suo sorriso, turbata da
qualcos’altro: “Ehm, ascolta,
trascoloco a parte, non ti ho chiamato per questo. Il favore
riguarda…beh…devi
accompagnarmi alla polizia!”
“Eh?
– fece una smorfia confusa – Per quale
motivo?”
“Credo
di aver scoperto chi mi ha investita.”
Eric
la prese per le spalle, eccessivamente curioso dal momento che sapeva
che alla
guida c’era A:
“E chi è stato?
Quando l’hai scoperto?”
“L’ho
scoperto la sera del ballo, dopo l’esplosione. Ho
accompagnato Tasha alla
macchina di Rider ed era talmente barcollante che sono caduta contro
l’auto di
fianco.”
“E
allora?”
“Beh,
quando mi sono appoggiata a quella macchina con la mano, l’ho
accidentalmente
graffiata con un’unghia. La cosa più strana
è che nel punto dove l’ho
graffiata, ho rimosso come una sorta di rivestimento.”
“Tesoro,
non ti seguo.” scosse la testa, strizzando gli occhi.
“Quella
macchina era blu, ma in realtà è rossa. Sotto
è rossa, e la macchina che mi ha
investito era rossa!” spiegò convinta.
L’altro
rimase assai perplesso: “E ti sei basata solo su
questo?”
“Chi
altro farebbe una cosa del genere? E’ una copertura,
l’ho vista con i miei
occhi. – insistette - Era come staccare un adesivo.”
“Sai
a chi appartiene questa auto?”
“Julian
Brakner, uno degli insegnanti del tuo liceo.”
Eric
impallidì al suono di quel nome:” Sì,
lo conosco, ma…”
“Ma
cosa? – lo riprese, notando il suo cambio repentino
– Sapevo che avresti
reagito così, visto che non è la prima volta che
sento questo nome. In ospedale
ti ho sentito nominarlo al telefono e l’ho sentito nominare
anche dai tuoi
amici Sam e Nathaniel quando sono venuti a cercare te e Rider al Brew,
qualche
settimana fa.”
“Ti
sarai confusa, stai prendendo fischi per fiaschi.”
cercò di convincerla del
contrario, sperando di farle cambiare idea.
“Che
razza di storia c’è dietro fra voi e lui?
– non si lasciò abbindolare –
Cos’è
che non mi dici? Perché lo so che è stato lui ad
investirmi, ne sono certa.”
La
bloccò nuovamente per le spalle, continuando la recita:
“Alexis, ascolta,
lascia perdere questa tua assurda convinzione. Perché un
professore di liceo
vorrebbe investirti?”
Quella
si svincolò, testarda: “NO, questo non funziona
con me! Julian Brakner mi ha
investita con la macchina e io lo dirò alla polizia,
perciò decidi che
programmi hai per stasera: sei con me oppure no?”
Eric
si lasciò andare, mostrando un’espressione seria e
d’avvertimento: “Lascia
perdere, Alexis. Fidati di me.”
“Ma
allora ho ragione… - indietreggiò di qualche
passo, incredula – C’è qualcosa,
vero?”
“Fidati
di me, ho detto. Lascia stare.” continuò.
“Dammi
una buona ragione, Eric. Una sola. – quello esitò,
deludendola – Ricordi cosa
ti ho detto sul pianerottolo di casa tua, dopo aver fatto i complimenti
a tua
madre per il suo primo giorno da Valeriè? - aveva gli occhi lucidi -
Ti ho detto che
non sono il genere di persona che ama ufficializzare una relazione
quando non è
sicura di ciò che sta facendo. Beh, in quel momento non ero
sicura di niente,
perché c’è questa parte di te che non
mi permette di esserlo e che non mi
permette di capire perché esiste e cosa nasconde.
– le lacrime iniziarono a
scendere copiose, facendo soffrire anche lui – Tuttavia ho
voluto continuare a
crederci, a credere che quella parte misteriosa di te non fosse
così rilevante.
Ma lo è!”
“Alexis,
io…” cercò di dire qualcosa, ma lei non
glielo permise.
“Eric,
continuerò ad amarti e a stare con te; nonostante i segreti,
non si può
smettere di amare qualcuno da un momento all’altro o
pretendere che sia sincero
con te. Io, però, andrò comunque alla polizia:
con o senza di te…A meno che tu
non dica qualcosa adesso.”
Lui,
però, non disse nulla e il silenzio si dilungò.
Alexis non si sentì affatto
sopresa e se ne andò, sotto il suo sguardo malinconico.
*
Era
ormai calata la sera a Rosewood, Nathaniel stava salendo
all’appartamento del
francese. Quando arrivò davanti alla sua porta,
però, fece una scioccante
scoperta; tant’è che dovette chiamare i suoi amici.
Venti
minuti più tardi, Rider, Sam ed Eric stavano uscendo
dall’ascensore. Mentre
Eric camminava avanti a loro, Sam osservava gli abiti di Rider.
“Un
po’ casual per un emergenza, non credi?”
“Ehm,
ho messo la prima cosa che ho trovato.” replicò
con nonchalance.
“Un
paio di Jeans strappati e un cardigan nero sono la prima cosa che si
trova nel
tuo armadio?” sollevò un sopracciglio, perplesso.
“Siamo
venuti qui per Nat o per farmi un terzo grado sulla moda?”
divenne leggermente
suscettibile.
Eric,
intanto, chiamava il nome dell’amico:
“Nathaniel?”
“Sono
al piano di sopra!” si udì
dall’alto.
“Abbiamo
sbagliato piano!” Eric tornò verso i suoi amici,
prendendo con loro le scale.
Finalmente
giunsero da Nathaniel, abbastanza agitato.
“Ma
quanto ci avete messo? – fissò Rider, poi,
stranito – E tu che cavolo indossi?”
Tutti
si girarono a guardarlo, opprimendolo.
“Che
c’è? Tutto d’un tratto volete aprire un
blog sui i miei outfit?”
Eric
preferì passare oltre, tornando a guardare Nathaniel:
“Sì, ok, ma perché siamo
qui?”
L’altro
si tolse da davanti alla porta, rivelando il foglio che vi era
attaccato sopra.
Sam
si avvicinò e lo staccò, poi lo lesse ad alta
voce: “Se Laughlin di prigione
volete far uscire, giocare a nascondino con il
francese sarà divertente da morire. –A!”
“Me
lo sentivo che andava a finire così. –
pensò Eric - Avete insistito troppo con
questa storia di voler aiutare Laughlin.”
“E’
innocente!” ribadì
Nathaniel.
“E’
una pedina di A, Nat. E se A decide che una delle sue pedine deve
stare in prigione, allora resterà in prigione.”
Sam
scosse la testa, incredulo: “Ha ragione Eric, ora abbiamo
solo creato un altro
casino. Cosa credete che farà al francese?”
“Beh,
dobbiamo giocare per scoprirlo. – intervenì Rider
– Dice così il messaggio,
no?”
“Ma
non sappiamo neanche che cosa dobbiamo fare!” aggiunse
Nathaniel.
Un
messaggio arrivò al telefono di Rider. Quelli lo fissarono
tutti con
impazienza, mentre lo leggeva.
Sam
fu il primo a voler sapere: “Beh?
“Mi
ha dato un indirizzo!” spiegò.
“Bene,
andiamo con la mia macchina. – suggerì Nathaniel,
scavalcando tutti - Cerchiamo
di non attirare troppo l’attenzione.”
Eric,
rimasto indietro, fece un commento sarcastico oltre che seccato:
“Ridefinisci Non attirare troppo
l’attenzione, perché
sono due giorni che mi sembra di portare in testa un insegna al neon
con
scritto sopra Arrestatemi, sono
colpevole.”
*
Dopo
essersi aggiornati su ogni cosa, eccetto sul padre di Sam, che
quest’ultimo e
Nathaniel decisero di non rivelare, i ragazzi erano appena giunti a
Scranton:
una città a pochi minuti da Rosewood.
“Che
Anthony sia vivo direi che è da escludere. A
l’ha ucciso e siamo andati al suo funerale.”
mormorò Nathaniel, mentre guidava.
“Ma
Sam ha detto che su quella parete c’era una foto di Anthony
all’interno della
panic room. Come lo spieghi questo?” intervenne Eric, mentre
Rider si teneva
estraneo alla conversazione, voltato verso il vetro del finestrino,
seduto
accanto a Nathaniel.
“Beh,
forse A l’ha
semplicemente ucciso
nella panic room. Questo spiegherebbe perché Rider e Sam non
hanno trovato
alcuna macchia di sangue quando sono andati in stazione a controllare.
– decise
di non volersi mettere in testa questa idea - Anthony non è
vivo, non ho voglia
di impazzire ulteriormente con questa assurda teoria.”
Dubbiosi,
tutti si voltarono verso Rider in cerca della sua solita opinione
risoluta.
Quel silenzio tombale fece voltare il ragazzo, che in
difficoltà, cambiò
discorso.
“Allora
Quentin ha un fidanzato molto forte che vi ha intimiditi?”
esordì con molta
ironia.
Sam
gli lanciò un’occhiataccia, per nulla divertito.
“Che
c’è? – sussultò - Siete voi
che non avete scoperto nulla.”
Eric
smorzò la tensione a quel punto: “Ehm, secondo voi
perché A ci ha fatto
venire fino a Scranton? Quando da piccolo giocavo a
nascondino, gli altri bambini non andavano a nascondersi
così lontano.”
“E’
di A che stiamo parlando.
– commentò
Rider, nuovamente – Probabilmente i bambini che dovremo
stanare sono i pezzi
del francese nascosti qua e là!”
“Rider,
non sei divertente! – Sam gli lanciò
un’altra occhiataccia – A
ha rapito un uomo innocente e tu fai
battute?”
Eric
si unì a Sam nella predica: “Non sembri
più tu dalla sera del ballo, ma che ti
succede?”
Quello
restò lì a fissarli impassibile, mentre Nathaniel
fermava la macchina.
“Ragazzi,
l’indirizzo è questo…” li
avvertì, osservando il posto.
Rider
ne approfittò per scendere immediatamente, in modo da non
dover più sostenere
lo sguardo ancora insistente di Eric e Sam.
“Ma...
– Nathaniel non aveva ancora spento il motore –
Rider, aspettaci!”
“Mi
mette ansia quando si comporta così!”
esternò Sam, aprendo la portiera per
uscire.
Una
volta fuori dall’auto, i ragazzi si avvicinarono a Rider, in
piedi davanti alle
porte della recinzione davanti a cui si fermarono. Nathaniel fece le
sue prime
congetture, guardandosi attorno.
“Ma
questo è un’autodemolizioni.”
“Non
mi piace per niente…” rabbrividì Sam,
vigile con lo sguardo.
Rider
si voltò con un lucchetto in mano: “Ragazzi,
è già aperto!”
Eric
sfilò il catenaccio: “Direi che siamo nel posto
giusto. A ci ha risparmiato la
scavalcata almeno.”
A
quel punto spinsero le porte verso l’interno per avere libero
accesso. Sam,
rimasto dietro di loro, era succube della paranoia.
“Un
secondo, stiamo entrando davvero in questo posto buio?”
Quelli
si voltarono, mentre il polverone si diradava, e fu Rider a
rispondergli.
“Se
non lo facciamo, ucciderà il francese. – si
girò a guardare gli altri due –
O mi
sbaglio?”
Nathaniel
avanzò verso la macchina, passando accanto
all’amico: “Sam, se ti può far
sentire meglio, ho delle torce in macchina.”
“Non
è un po’ di luce in più che mi
farà stare più tranquillo. Parlo di come
potrebbe concludersi questa serata, ho seriamente paura.”
“Abbiamo
paura anche noi, Sam. – disse Eric, mentre Rider annuiva e
Nathaniel frugava
nel bagagliaio – Ma questa cosa riguarda noi quattro, come
sempre. Finchè non
finisce il gioco.”
“Dio,
perché non siamo come le persone
normali…” pensò Sam, volgendo lo
sguardo
altrove, impaurito.
Nathaniel,
intanto, stava tornando con le torce, che distribuì ad
ognuno di loro.
“Ecco,
ora siamo a posto.”
“Io
voglio la torcia da giardino! – Sam gliela prese dalle mani
prima ancora di
riceverla – Fa più luce!”
Nathaniel
accennò un sorriso, cercando di rasserenarlo:
“Tutto quello che vuoi, Sam.”
Rider
spostò lo sguardo tra i due, catturato dal loro rapporto.
Ora
che erano finalmente equipaggiati, si addentrarono in quel posto:
imponenti
cumuli di macchine distrutte, una sopra l’altra, e varie
parti di esse, ne
facevano da scenario.
Più
avanti, dopo aver fatto qualche passo, e le torce puntate ovunque, si
ritrovarono ad un incrocio. Il vento faceva scricchiolare il metallo
delle
vetture e la luna era in alto e brillante.
“Forse
dovremmo dividerci. – suggerì proprio Rider - A non ci da altri indizi e questo posto
è enorme.”
Nathaniel
fu d’accordo: “Sì, forse è
meglio.” e soffermò il suo sguardo su Sam, come se
stesse per chiedergli di unirsi a lui.
Quello
lo intuì e lo precedette, prendendo Eric per un braccio.
“Ehm,
io ed Eric andiamo a vedere da questa parte. –
indicò alle sue spalle - Voi
fatevi l’altro lato.”
“…ok.
– Nathaniel restò spiazzato, così come
Eric – Ci rivediamo qui fra quaranta
minuti?”
Sam
annuì, freddo. Subito dopo, lui ed Eric si staccarono e
Nathaniel restò a
fissarli per qualche secondo, mentre si allontanavano, prima di essere
scosso
da Rider.
“Forza,
andiamo?”
“Si
si… - annuì deluso e imbronciato –
Andiamo!”
*
Mentre
puntavano le loro torce verso ogni angolo o ovunque ci fosse un rumore
sospetto, Eric cercò di capire cosa stesse succedendo a Sam.
“C’è
ancora tensione fra te e Nathaniel?”
“Abbastanza…”
replicò, mantenendosi vigile.
“Sai,
potrei anche abituarmici ad essere la prima scelta di qualcuno. Con
Rider,
però, che problemi hai?”
“Sono
contento che sia riuscito a salvarsi dall’esplosione, ma
ciò non cancella le
parole che ha usato con me quando abbiamo litigato. In più,
è cambiato
radicalmente.”
Eric
riflettè su quanto detto: “Già, sono
d’accordo. Sembra quasi che abbiano
nascosto Rider da qualche parte e che l’abbiano sostituito
con qualcuno che gli
somiglia molto.”
“O
magari è solo bipolare! - esclamò, per poi notare
che Eric non lo stava più
ascoltando e che controllava il telefono con molta apprensione
– Ehi, ci sei?
Va tutto bene?”
L’altro
tornò ad ascoltarlo, uscendo da quello stato:
“Ehm, sì… - ma non riuscì ad
essere credibile – Cioè, non lo so. Prima di
incontrarvi ho avuto una piccola
discussione con Alexis. Mentirle sta diventando sempre più
complicato per me e
lei è troppo in gamba!” spiegò, senza
accennare di cosa avessero discusso.
“Ti
capisco perfettamente. Per colpa delle bugie e di A
ho perso Chloe e ora anche mio padre. E non parliamo di ciò
che
ho fatto a Quentin, mi sono sentito una persona orribile. Il modo in
cui mi
guardavano, era come chiunque guardava…”
“Anthony?”
completò Eric, certo di aver indovinato.
“Non
c’è giorno in cui io mi senta una persona di cui
andare fiero. Vorrei potermi
sentire una persona migliore, ma c’è questa
assurda forza contraria che rema
contro di me.”
“Questa
forza contraria si chiama A. E
quella prima si chiamava Anthony. Non è una forza, ma una
persona: sono le
persone che non ci permettono di essere fieri di noi stessi, ma questo
non è il
tuo caso. Non è il caso di nessuno di voi tre.” si
sfogò, come se odiasse se
stesso per qualcosa.
“Che
vuoi dire?”
“Tu
e Nathaniel siete sempre stati così, anche quando
c’era Anthony: buoni,
altruisti, con le vostre opinioni...Rider, eccetto questo suo periodo
strano, è
anche lui la stessa persona di prima. Mentre io ero la persona che
Anthony
voleva che fossi.”
“Ma
non eri quella persona fino in fondo, fortunatamente.” gli
mise una mano sulla
spalla, cercando di alleviare il suo senso di colpa.
“La
verità è che sono stato debole, mentre voi no.
– si vergognava di se stesso -
Se potessi tornare indietro mi comporterei diversamente,
ma…immagino che sia
inutile fare il gioco dei se e dei ma quando ormai il passato è
passato,
no?”
“Come
hai detto tu, il passato è passato. –
cercò di dimostrargli quanto valesse in
realtà - Non conta più chi eravamo, ma conta chi
siamo riusciti a diventare
oggi. E, credimi, non sono mai stato così fiero di avere un
amico come te in un
momento così buio della nostra vita. – gli sorrise
– Sei la parte straordinaria
che Anthony ha sempre cercato di oscurare.”
Finalmente
anche Eric se ne convinse, sorridendo a tali parole.
“Grazie,
Sam. Mi serviva sentire questo.”
Improvvisamente,
però, furono interrotti dal suono di un telefono. Puntarono
le torce ovunque,
girandosi ad ogni squillo.
“Ma
da dove viene?” chiese Sam, ancora in alto mare.
Eric,
invece, sembrò aver individuato l’origine del
suono: “Quell’auto, in alto! –
volse verso di essa la luce della torcia – Lo senti? Proviene
dal suo interno.”
“Ehm,
sì, lo sento. – si concentrò
– Ma è troppo in alto, come ci
arriviamo?”
L’altro
aveva già in mente qualcosa, consegnando la sua torcia
all’amico: “Mi arrampico
sopra le auto, ok? Tieni la luce puntata su di me, così
riuscirò a vedere dove
mettere le mani.”
“Dev’essere
il telefono del francese, non può aver portato il suo corpo
fin la sù, no?” si
agitò, paranoico, mentre Eric stava già scalando
i rottami.
Nel
frattempo, dall’altra parte della proprietà,
Nathaniel e Rider vagavano con le
loro torce senza successo. Quest’ultimo, però,
sembrò volersi interessare più
al ragazzo che alla ricerca del francese.
“Ehi,
come va con il tuo problema?”
“Problema?
– ripetè, distraendosi – Quale
problema?”
“Quello
con le pillole, no?”
Ora
ricordò: “Ah, sì, scusa. Con tutto
quello che ci succede l’avevo dimenticato.
Ho fatto delle analisi ieri, le ritiro lunedì. Purtroppo
devo tenermi sempre
sottocontrollo, non so se A sta
continuando ancora a farmele assumere.”
“Dev’essere
dura convivere con quello che ti ha fatto. Dopo la nostra lite non ne
abbiamo
parlato molto.”
Nathaniel
preferiva non parlarne, restio: “Ognuno di noi convive con
qualcosa, Rider. Non
facciamone una questione di stato, ora voglio solo trovare Edward sano
e
salvo.”
Vedendolo
seriamente provato, Rider non trovò il coraggio di
aggiungere altro.
*
All’interno
dell’auto, Eric continuava a sentire il telefono squillare,
ma non capiva dove
fosse. Continuava a frugare ovunque, mentre Sam teneva ancora la luce
puntata
verso di lui.
Improvvisamente,
quest’ultimo udì come un suono meccanico, che lo
costrinse a scrutare altrove e
a distogliere la sua attenzione dall’amico: un braccio
meccanico spuntò al di sopra
della vettura in cui si trovava Eric.
“Oh
mio Dio… - Sam puntò la luce su di esso,
avanzando – Eric, esci dall’auto!”
iniziò ad urlare.
L’altro,
distratto, trovò finalmente il telefono, nascosto sotto ad
uno dei sedili.
Subito rispose.
“Pronto?
– sperò di aver preso la chiamata in tempo
– Edward?”
“Ritenta!” rispose
una voce camuffata.
Eric
intuì immediatamente chi gli stava
parlando: “…Dove l’hai
portato?”
“Avete
venti minuti per
arrivare al prossimo indirizzo. Se il francese muore, la prossima
è Alexis.”
A
quel punto, Eric non ci vide più e fu
minaccioso: “Brakner, se sei tu…”
“Se
non esistessero gli
specchi ti userei come riflesso della mia immagine.” concluse
A, chiudendo la chiamata in maniera criptica.
“Pronto???
– tolse il telefono dall’orecchio, urlando
– Stronzo!”
Il
messaggio arrivò, con scritto l’indirizzo. Eric si
apprestò ad uscire dalla
macchina, ma all’improvviso tutte le porte furono bloccate.
Sam,
intanto, si stava arrampicando pur di farsi sentire: “Eric,
devi uscire! – urlò
anche agli altri – Nathaniel, Rider, aiuto!”
L’altro
cercava di aprire in vano la portiera, battendo la mano contro il
vetro,
scrutando Sam più in basso. Il braccio meccanico
agganciò la macchina e quella
tremò, facendo cadere Eric sui sedili.
A
bocca aperta, fermandosi nella scalata, Sam vide l’auto
sollevarsi in aria;
quel braccio la stava trasportando all’interno di una pressa,
proprio lì
accanto.
Quando
realizzò cosa stesse per accadere, cercò di
scendere.
“EERIC!”
urlò, per poi cadere.
Rider
e Nathaniel che avevano sentito le urla, giunsero sul posto.
Quest’ultimo si
avvicinò a Sam, sdraiato a terra con una gamba ferita e che
sanguinava.
“Sam,
ma che succede?”
“A vuole schiacciare Eric nella pressa,
fermatelo!” indicò la pressa, mentre soffriva per
la sua gamba.
“Come
fermiamo una pressa? – Nathaniel, inginocchiato vicino a Sam,
sgranò gli occhi,
fissando Rider – Ci saranno dei comandi, no?”
“Ci
penso io!” esclamò Rider, correndo verso la gabbia
di comando della pressa.
L’auto con dentro Eric era ormai all’interno del
macchinario e veniva
schiacciata lentamente. Si poteva sentire il metallo accartocciarsi.
Arrivato
davanti ai comandi, Rider sembrò sapere cosa fare:
“Tasto rosso e giallo, poi
giro la chiave…” ed eseguì.
La
pressa fece uno strano rumore, subito dopo, fermandosi di colpo. Rider
alzò lo
sguardo su di essa, sorridendo quando notò che la parte
superiore si stava
riaprendo.
Un
messaggio arrivò al suo telefono.
“Ottimo
lavoro, Nolan.”
-A
Dopo
essersi rimesso il telefono in tasca,
contento di aver soddisfatto A,
scese dal gabbiotto e corse davanti alla pressa.
Poco
lontani da lui, Nathaniel si sincerava
delle condizioni di Eric: “Sta bene? E’
vivo?”
Rider,
che a questo punto non era lui ma
qualcuno di nome Nolan, scosse la testa, provando a chiamarlo:
“Eric, stai
bene?”
Improvvisamente,
quello fece spuntare fuori
la sua testa, uscendo dal finestrino e salendo sul tettuccio.
“Sto
bene, sto bene. – rispose abbastanza
scosso - Ma ci è mancato poco!” riprese fiato, per
poi saltare giù, accanto a
Rider.
“Sicuro
di stare bene?” continuò Nolan,
mentre camminavano verso gli altri due.
“Sì,
ho detto che sto bene. – era teso - Ora
dobbiamo pensare al francese, abbiamo meno di un quarto d’ora
per raggiungere
il prossimo indirizzo, oppure lo ucciderà e
passerà ad Alexis. Me l’ha detto al
telefono, aveva la voce modificata.”
“Un
altro?
- Sam non credette alle sue orecchie, reggendosi su
Nathaniel –
Lasciatemi qui, vi farei solo perdere tempo.”
aveva una fasciatura alla gamba, fatta con un pezzo
strappato dal suo
stesso pantalone.
Nathaniel,
allora, lo prese in braccio,
contrario: “La natura non mi ha donato questo corpo per
abbandonare gli amici
quando sono feriti.”
I
due si guardarono: Sam leggermente a
disagio da distogliere subito il suo sguardo.
Eric
si avvicinò e gli mise una mano sulla
spalla, riconoscente: “Grazie per aver cercato di avvisarmi.
– poi si rivolse a
tutti –
Ora, però, dobbiamo sbrigarci.
Guido io.”
Nathaniel
li passò le chiavi, mentre Nolan
continuava ad assistere ai loro momenti di unità, in
disparte.
*
Il
vero Rider, a questo punto prigioniero altrove, aprì gli
occhi da quello che
sembrava essere stato un lungo sonno: un soffito bianco era tutto
ciò che
vedeva, sopra la sua testa. La vista era poco nitida, la mente
stordita. Il suo
sguardo scese lentamente verso il basso, sul proprio corpo disteso sul
letto.
Cercò di alzare le braccia, ma quelle erano come bloccate:
notò dei centurini
ai polsi.
Schiarì
la voce, quasi non riusciva a parlare in quella stanza così
cupa e le sbarre
alle finestre: sembrava un ospedale, visti il camice che aveva addosso
e i
comodini d’acciao accanto al letto.
Qualcuno
improvvisamente entrò nella stanza: un uomo con la divisa
verde addosso e un
vassoio con sopra dei medicinali. Sembrava un infermiere da come si
presentava.
“Ti
sei svegliato, eh?”
Rider
riuscì a dire qualcosa finalmente, assai debole e confuso:
“Dove sono? Che
cos’è questo posto?”
“Anche
ieri hai detto la stessa cosa, prima di scoppiare in una crisi
isterica.” si
sedette accanto al suo letto, poggiando il vassoio sul comodino.
Cercò
di liberarsi, alzando ripetutamente i polsi: “Un momento, mi
avete drogato di
nuovo?” si ricordò di cosa era successo il giorno
prima.
“Sta
calmo, ti abbiamo dato solo qualcosa per fermare le tue crisi.
– spiegò,
preparando le pillole da farli ingurgitare - Non appena i dottori
vedranno che
stai meglio, decideranno se toglierti quei cinturini.”
“Ector
Sherman…” abbassò lo sguardo, leggendo
il suo nome sul badge identificativo.
“Sì,
mi chiamo così. – gli sorrise, mettendogli la
pillola in bocca – Un consiglio:
cerca di fare il bravo o non ti faranno tornare nella sala ricreativa
con gli
altri.”
Ora
gli fece bere un sorso d’acqua. Rider continuò a
guardarsi attorno, spaventato.
“Voglio
uscire, non mi piace stare qui dentro.”
Ector
si alzò dalla sedia, pronto ad uscire.
“Te
l’ho detto: non andare fuori di testa e potrai tornare nella
sala ricreativa.”
gli sorrise ancora una volta, per poi uscire e chiudere a chiave.
Rider
lasciò passare qualche secondo prima di iniziare a tirare i
polsi fuori dai
cinturini più forte che poteva. Posizionò le dita
in un certo modo, affinchè la
mano potesse rimpicciolirsi e scivolare fuori.
Dopo
aver insistito per più di dieci minuti, riuscì
finalmente a liberarsi. Le sue
mani erano rosse, ferite e livide, il suo respiro affannato. Quando
mise i
piedi a terra e si alzò in piedi, sputò la
pillola. La osservò, poi, notando
che aveva qualcosa di strano: era tempestata di lettere A
in rosso.
Vide
anche che c’era una linea in mezzo alla pillola. Poteva
letteralmente separare
le due estremità, e lo fece, rivelando un minuscolo
bigliettino arrotolato.
“Sapevo
che non l’avresti ingoiata, benvenuto al Radley. Sotto al
materasso ti ho lasciato un piccolo regalo.”
-A
“Radley…”
Rider incantò il vuoto, riflettendo sul nome di quel luogo.
Subito
dopo, scosse la testa e si diresse verso la porta, cercando di aprila:
ovviamente invano.
Cercando
di tenere i nervi saldi, si grattò la fronte e finalmente si
voltò a guardare
il letto. Come ordinato da A, lo
sollevò e con grande sorpresa ci trovò un
portatile.
Immediatamente
lo recuperò e poi se lo mise sulle ginocchia. Lo accese: era
tutto nero.
Un
messaggio, all’improvviso, apparve al centro della schermata.
“Possiamo
comunicare tra noi, ma tu non puoi comunicare con
l’esterno.”
Rider
provò a scrivere qualcosa.
“Sono
in un manicomio, vero? Perché mi hai
portato qui?”
“Avrai
più risposte qui dentro che lì fuori. La cosa ti
interessa?”
“Che
vuoi dire? Basta giochetti, arriva al
punto.”
“Una
partita a scacchi. Una al giorno. Se mi batti, ti darò
qualcosa in cambio.”
“Chi
ti dice che so giocare?”
“Sai
giocare.”
“Chi
è la donna con l’impermeabile rosso che
c’è in quella foto che ho trovato?”
“Non
funziona così.”
“Perché
sono qui dentro?”
“I
ladri vanno puniti, non lo sai?”
“Anche
gli assassini!”
“Touchè!”
“D’accordo,
accetto la sfida.”
“Non
che tu abbia scelta…”
*
Alla
centrale di polizia, il detective Costa si trovava ancora nel suo
ufficio;
deteneva tutti i casi irrisolti di Rosewood dalla notte
dell’esplosione.
Con
i fascicoli sotto i suoi occhi, in particolare quello di Albert, non
riusciva a
capire quale mistero si nascondesse dietro a tutto ciò.
Improvvisamente,
il tenente Jacobson irruppe nella stanza, dopo aver bussato: aveva un
fascicolo
tra le mani.
Michael
alzò lo sguardo: “Buonasera, tenente.”
“Vedo
che sei ancora all’opera… –
notò – Ti porto alcune
novità!”
“L’autopsia
sul corpo del presunto Albert Pascali?”
“Non
più presunto, a quanto pare. – spiegò,
sedendosi davanti alla sua scrivania –
E’ Albert Pascali!”
Gli
passò il fascicolo, finalmente. Costa iniziò a
sfogliarlo immediatamente,
mentre quello continuava.
“Sono
davvero senza parole su quanto è stato scoperto. Questo
è un caso assai
interessante!”
Michael
mostrò già le sue prime smorfie da
perplessità: “La stima della morte risale ad
almeno due mesi fa… - controllò immediatamente la
data della scomparsa
nell’altro fascicolo – E coincide perfettamente con
il periodo della
scomparsa.”
“Il
ragazzo dev’essere morto subito dopo essere sceso da
quell’auto.”
“Non
è possibile che non ci sia un’inquadratura che
mostri la targa o chi ci sia
dentro l’auto!” trovò assurdo.
“Sono
le telecamere di un supermercato, che ti aspettavi? In più,
l’auto in cui era
dentro il ragazzo era assai lontana da quella telecamera e le luci dei
lampioni
erano molto deboli.”
“Ok,
un secondo. – trovò altre stranezze nel referto
medico – Qui dice che il corpo
presenta numerose fratture e aggiunge che la vittima è stata
sicuramente
investita da un’auto, prima di essere bruciata.”
“E
anche di questo presunto incidente, non c’è alcun
filmato da nessuna telecamera
della città.” aggiunse il tenente.
“Tutte
cose avvenute in un punto cieco, dove non ci sono le
telecamere.” trovò
sospetto.
“Cosa
ne pensi, allora?”
Quello
incantò il vuoto, riflettendo: “Anthony e Kevin
Dimitri sono morti quella
stessa notte, no? Quella in cui Albert è
scomparso…”
“E
sono morti bruciati!” precisò.
“A
questo punto c’è un collegamento
evidente.”
Entrambi
si guardarono negli occhi, pensando alla stessa cosa.
Il
tenente, però, fu il primo a proferire parola in merito:
“Hai già verificato
l’alibi dei quattro ragazzi?”
“Sono
stati confermati, ma fondamentalmente non sono abbastanza forti. Di
loro si
ricorda il proprietario del Rumors club,
ma non mi è sembrato molto affidabile. Stessa cosa per Sam
Havery: l’amica può
aver mentito per proteggerlo e anche suo padre ha confermato che era a
casa
quella sera.”
“Conosco
Carter, non mentirebbe mai su una faccenda così delicata. Sa
che peggiorerebbbe
solo le cose.”
“Un
figlio rimane sempre un figlio. Anche se hai la divisa!”
Michael
abbassò nuovamente lo sguardo sulla sua scrivania, piena di
fogli, fascicoli e
foto. Quel caos lo infastidì a tal punto da lamentarsi:
“Così non riesco a
lavorare, accidenti. Ho bisogno di portare tutto a casa e attaccare
questa roba
ad una parete, fare dei collegamenti, avere un quadro ben dettagliato e
compatto.”
“Sono
d’accordo con te, Michael. Porta tutto a casa e lavoraci
sopra. Domani mattina
ne riparleremo.”
L’altro
chiuse immediatamente tutto, ammucchiando i fascicoli uno sopra
l’altro, pronto
ad alzarsi. Il tenente aveva ancora una domanda per lui.
“Esattamente,
di cosa stiamo accusando questi quattro ragazzi?”
“Di
niente, per ora. Ma se ti dovessi rispondere in base a ciò
che penso, ti direi
omicidio!”
“E
a cosa hai pensato?”
“Il
corpo presenta delle fratture, no? Mi fa pensare che il ragazzo sia
stato
investito, come suppone anche il medico legale. E alla guida di questa
macchina
potevano esserci loro.”
Il
tenente rise: “Non ha senso, perché avrebbero
dovuto far ricomparire il corpo
quando Pascali era per tutti scomparso? L’avevano fatta
franca, ormai. Nessuno
è così stupido da tirarsi la zappa sui
piedi.”
Costa
tentennò, ma aveva già una risposta da dargli:
“Forse c’è un testimone che si
cela nell’oscurità e che sta remando contro di
loro per portare a galla la
verità.”
“E
totalmente assurdo! E che collegamento ci sarebbe con
l’omicidio dei Dimitri?”
“Beh,
il fuoco!” replicò, avvicinandosi alla porta.
“Non
ti seguo, il coroner ha trovato sulla scena del crimine solo due
cadaveri e non
tre.”
“Dammi
un po’ di tempo per capirci qualcosa, poi ti
esporrò meglio il mio quadro
generale… - si apprestò ad uscire, ma si
fermò per un’ultima cosa – Ah, mi
serve una copia del registro delle visite a Jasper Laughlin. Si trova
nel
penitenziario di Philadelphia, giusto?”
“Ehm,
sì, si trova lì. Te lo farò
avere.” rispose abbastanza disorientato,
chiedendosi cosa avesse in mente.
“Ok!”
ribattè sollevando le sopracciglia, misterioso, uscendo con
i suoi casi
sottobraccio.
*
Dopo
aver girato per Screanton con
l’indirizzo impostato sul navigatore, il gruppo sembrava
essere quasi giunto a
destinazione. Mentre Eric guidava con Rider accanto, Sam teneva la
gamba ferita
distesa sulle ginocchia di Nathaniel.
Quest’ultimo
lo stava fissando e Sam se ne
accorse nel momento in cui incrociò il suo sguardo,
sentendosi nuovamente a
disagio.
“Smettila,
per favore.” bisbigliò, abbassando
lo sguardo gradualmente.
“Come
sta la tua gamba? - lo ignorò,
rivolgendosi a lui premuroso - Fa ancora male?”
“Fa
male!” sollevò le sopracciglia,
sottilineando qualcosa che non c’entrava solo con la sua
gamba ma anche con il
loro rapporto.
Nathaniel
capì, abbassando lo sguardo. Nolan,
intanto, guardava la strada ma in realtà era più
concentrato ad ascoltarli e a
capire come erano fatti.
“Ci
siamo! – annunciò Eric, parcheggiando –
Questo è l’indirizzo che mi ha dato A…”
controllò l’orologio, subito dopo aver spento il
motore.
Il
gruppo si guardò intorno attraverso il
vetro dei loro finestrini, abbastanza spaesati.
“Ma
questa è una strada di negozi tutti
chiusi, non c’è nessuno.”
pensò Sam.
Nolan,
però, fece notare loro qualcosa:
“C’è
un vicolo laggiù! Di solito non ci sono dei cassonetti nei
vicoli?”
“Aspetta,
intendi dire che troveremo il
francese in un cassonetto? – Nathaniel sobbalzò
lievemente – Rider, nei
cassonetti ci metti un corpo e non una persona viva!”
Eric
preferì non perdersi in chiacchiere e
aprì la portiera: “Sentite, non
c’è più tempo. Troviamo il francese o
Alexis è
la prossima!”
Nolan
lo fermò per il braccio: “Forse
dovremmo entrare in quel vicolo con la macchina, non credi?”
“Ma
è proprio qui davanti, Rider.”
“Sì,
ma se A avesse una pistola e
questa fosse una trappola? Mi sentirei più
al sicuro in macchina.” spiegò.
Nathaniel
si trovò subito d’accordo con lui:
“Sì, ha ragione. E poi Sam non può
sforzarsi troppo.”
A
quel punto, Eric richiuse la portiera e si
lasciò convincere dai suoi compagni. Nel giro di un istante
erano già dentro a
quel vicolo, la macchina che marciava lenta e i loro occhi fissi
ovunque.
“Rider
aveva ragione, c’è un cassonetto alla
fine della strada…” commentò Nathaniel,
mentre Eric fermava l’auto.
“Direi
che possiamo proseguire a piedi!”
suggerì quest’ultimo.
Ma
non potè fare un movimento che tutti i
telefoni vibrarono contemporaneamente. Dopo essersi scambiati uno
sguardo
agghiacciato, finalmente lessero il messaggio.
“Forse
è meglio restare in macchina: si prevedono precipitazioni!
Tranquillo Eric, non farò nulla ad Alexis se sai come
tenerla a bada.”
-A
“Eric,
di che sta parlando?” gli domandò
Nathaniel.
Quello,
allora, pensò di vuotare finalmente
il sacco sulla denuncia che voleva sporgere Alexis: “Ehm,
lei…”
Ma
non potè continuare, perché
improvvisamente qualcosa fece impatto contro il tettuccio
dell’auto,
costringendo tutti ad abbassare la testa per lo spavento.
“Cosa
diavolo è stato?” urlò Sam, cercando di
riprendere fiato, incontrando gli occhi sgranati e confusi dei suoi
compagni.
Eric
scese immediatamente a vedere, seguito
da Nolan e Nathaniel. I tre si trovarono davanti a qualcosa per cui non
si
erano preparati, restando letteralmente scioccati: il corpo del
francese
completamente insaguinato, disteso a braccia aperte sul tettuccio e a
pancia
su.
Sam,
rimasto in auto, riusciva perfettamente
a scrutare i loro volti e a chiedersi cosa stessero guardando con
così tanto
terrore.
“Che
cos’è?” domandò, atterrito.
Eric
fu l’unico a rivolgergli lo sguardo, non
sapendo cosa dire. Sam si girò a guardare il parabrezza,
dove stava colando del
sangue lungo il vetro. A quel punto, non fu poi così
difficile intuire quale
sarebbe stata la risposta e così si mise una mano sulla
bocca.
Nathaniel
riuscì a tornare in sé, alzando
subito la testa e vedendo un cappuccio nero affacciato alla terrazza
dell’edificio.
“E’
ancora lì sopra!” urlò con gli occhi
colmi di rabbia, per poi salire sulla coda dell’auto e
arrampicarsi sulla scala
antincendio.
“Nathaniel,
NO! - cercò di fermarlo Sam,
aggrappandosi alla portiera – Eric fermalo!”
E
quello non perse tempo, mentre Nathaniel si
trovava già in alto.
SCENA
FINALE
Al
Radley, nel cuore della notte, Rider stava
intraprendendo la prima partita a scacchi contro A.
Seduto davanti al computer, nella sua stanza, aveva appena
vinto.
“Non
è stato così difficile batterti. Ora
dovrai darmi qualcosa in cambio, come promesso.”
Gli
scrisse, attendendo la sua risposta.
“A
volte vincere è come perdere.”
“Basta
giochetti, dammi quello che voglio. Ho
vinto, voglio delle risposte.”
A
non
rispose più, ma dopo qualche secondo si
aprì una schermata con quelle che sembravano essere due
opzioni tra cui
scegliere: una era la foto di Anthony e l’altra era la foto
di Rider.
“Te
l’ho detto, non sempre vincere è positivo: vuoi
scoprire
qualcosa sul passato di Anthony o sul tuo passato?”
“Dov’è
il tranello?”
“Il
passato che sceglierai di non scoprire non ti verrà
più
rivelato. Per questo vincere non è sempre positivo. Ora
scegli!”
“E
chi ti dice che sceglierò il mio passato e non quello di
Anthony? ”
“Avanti,
non ti sei
ancora chiesto come mai nessuno ha capito che non sei un paziente del
Radley? Ti
trattano come se fossi lì da sempre, come se la tua faccia
non fosse nuova. C’è
qualcosa sotto e tu lo sai.”
Combattuto
dalla scelta, una delle due
opzioni avrebbe potuto allontanarlo o avvicinarlo alla risoluzione del
mistero.
Tuttavia, A aveva ragione: Rider
sentiva che c’era qualcosa che non quadrava nel suo passato.
Finalmente,
poi, prese una decisione e iniziò
a spostare la freccia verso una delle due foto.
Era
fatta: aveva scelto. La schermata
scomparve e ora Rider voleva delle risposte.
“Ho
scelto! Ora dammi ciò che voglio sapere.”
“Ops,
non te l’ho detto? L
La partita di oggi era
solo per vincere la possibilità di scegliere. Per scoprire
qualcosa su ciò che
hai scelto devi battermi di nuovo anche domani e…non
sarà facile come oggi
sconfinggermi. Sogni d’oro!”
-A
E
dopo questo ultimo messaggio, il computer
si spense di colpo, lasciando Rider con il fiato sospeso e gli occhi
sgranati.
Provò a riaccenderlo, pigiando sul tasto di accensione
più e più volte,
disperato. Quando si rese conto che A
aveva il totale controllo di tutto, diede un colpo al tavolo con un
pugno.
CONTINUA
NEL DODICESIMO CAPITOLO
*