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Autore: SamuelRoth93    30/08/2016    1 recensioni
In un universo parallelo, precisamente nella piccola cittadina di Rosewood, ci sono quattro giovani e affascinanti bugiardi che lottano ogni giorno per nascondere i loro segreti. Perseguitati dalla misteriosa figura di A e dall'oscuro mistero che si cela alle sue spalle, riusciranno a mantenerli? Ma, soprattutto, riusciranno a sopravvivere?
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO UNDICI

“Welcome to the Radley SanitArium”

 

Poco dopo l’esplosione, tutti coloro che si trovavano a debita distanza erano ancora sconvolti: c’era chi fissava lo scenario a bocca spalancata e chi aiutava quelli rimasti feriti nel cadere o raggiunti dai frammenti dell’edificio.

Eric, risollevandosi e lasciando Tasha a terra, si accertò delle condizioni di Alexis: “Ehi, stai bene?”

Quella, aiutata a rialzarsi, stringeva gli occhi per il dolore: “Mi sono sbucciata un gomito…  – rispose, per poi voltarsi a guardare l’edificio in fiamme – Ma che cavolo è successo?

E lui, che lo sapeva benissimo, non potè che restare in silenzio. Improvvisamente, poco lontana dalla folla, una ragazza urlò a squarciagola, attirando l’attenzione di tutti quanti.

“Oh mio Dio, qui c’è un corpo! Qui c’è un corpo!”

Quelle urla turbarono subito Alexis: “Un corpo? Ma che cosa stanno farneticando?”

“Tu resta qui, ok? – le toccò la spalla, rassicurandola – Vado a vedere che cosa succede.”

Lei annuì, restando accanto a Tasha, ancora sdraiata a terra e incosciente.

Eric si fece subito strada tra la folla che si era raccolta intorno alla ragazza che aveva urlato. Spuntato in prima fila, vide anche lui il corpo: era completamente carbonizzato, impossibile da riconoscere, messo lì, in mezzo alla strada.

In molti si stavano ponendo la stessa domanda: se l’esplosione era avvenuta a diversi metri da quella strada, com’era possibile che un corpo fosse arrivato fin lì?

La risposta era talmente ovvia, ma solo Eric ci sarebbe potuto arrivare prima degli altri in quel momento: era stato posizionato lì, prima che tutti lasciassero l’edificio.

Dopo un lungo minuto in cui tutti rimasero immobili a fissare quel corpo, uno di loro fece un passo avanti, avvicinandosi: fu Colton Rhimes a farlo.

Eric lo fissò, come chiunque, ma lui lo fece con molta attenzione.

Il ragazzo si piegò sulle ginocchia, accanto al corpo, perché aveva notato qualcosa al suo collo. Quando la sollevò, tutti videro cos’era: una piastrina, di quelle militari.

Colton la osservò a lungo e poi fece sentire la sua voce: “E’ Albert! – esclamò, alzando gradualmente il tono – E’ Albert Pascali, c’è scritto così!”

Lo stupore generale, tra chi si metteva la mano davanti alla bocca e chi si scambiava uno sguardo con la persona di fianco, fu interrotto dalle sirene delle ambulanze e della polizia in arrivo. Eric, sconvolto quanto gli altri, iniziò a fare caso alle persone che si trovavano in prima fila come lui, sparsi tra i presenti: Morgan, Lisa, Violet, Chloe, Brianna, Julie e Brakner.

Intanto, dietro alla folla, Wesam stava correndo verso l’ambulanza con Sam in braccio e Nathaniel a seguito.

“Ha bisogno di ossigeno! – fece sapere al paramedico che stava arrivando verso di lui – E anche quest’altro ragazzo!” indicò Nathaniel, mentre passava Sam al paramedico.

“Ehm, no, io sto bene!” fece sapere quello, rifiutando qualunque intervento su di lui.

Wesam, allora, seguì il paramedico fino all’ambulanza e così fece anche Nathaniel.

Tuttavia, quest’ultimo venne fermato per un braccio.

“Ehi, stai bene? – Eric lo fece voltare, mostrando quanto fosse preoccupato – Non vi ho visti e ho pensato che…”

Con gli occhi ancora sgranati per lo shock e il corpo che tremava, Nathaniel riuscì a trovare le parole per rispondere: “Siamo vivi per miracolo! Wesam sta portando Sam vicino all’ambulanza con il paramedico.”

Eric lo scavalcò con lo sguardo, cercando di scorgere l’amico vicino all’ambulanza: “Perché lo stanno portando verso le ambulanze? E’ ferito?”

“Gli si è fermato il cuore, Wesam l’ha rianimato. – spiegò, traumatizzato e con gli occhi lucidi – E’ successo tutto così in fretta, eravamo tornati indietro per avvertire Rider e poi ci siamo accorti del gas, ma…era troppo tardi, siamo svenuti!”

Mentre lo ascoltava, Eric aveva la bocca spalancata: “Ma Rider dov’è?”

L’altro scosse la testa: “I-io non lo so, Wesam ha detto che un nostro amico l’ha aiutato a portarci fuori. Forse era lui!” spiegò, non molto sicuro.

Eric, allora, si guardò attorno: “Non l’ho visto da nessuna parte, sua sorella lo cerca come una disperata!”

“Eric, non lo so. L’unica cosa che so è che A ha fatto esplodere la nostra scuola!” quasi urlò per quanto fosse assurdo tale gesto.

“Non solo ha fatto esplodere la nostra scuola, ma ha anche fatto ricomparire Albert.” lo mise al corrente.

“D-di che stai parlando? – reagì confuso – Albert? Dove?”

Indicò verso la folla, ancora lì intorno, dove c’era già la polizia: “Laggiù! L’ha lasciato in mezzo alla strada, prima che uscissimo dall’edificio.”

“Ma come fai a dire che è Albert? – abbassò la voce - Noi l’abbiamo bruciato, dovrebbe essere un pezzo di carbone!”

“E infatti è così, solo che…ha lasciato una piastrina di metallo con sopra incisi il suo nome e cognome al collo del suo cadavere.” spiegò.

“Perché adesso? - Nathaniel non riusciva a trovare una spiegazione - Perché rubare il corpo di Albert all’obitorio, conservarlo e farlo ricomparire stasera?”

Con un sottile tono di terrore nella voce, Eric esternò ciò che pensava: “Forse si è stancato di giocare con noi e pensa che sia arrivato il momento che la polizia risolva questo casino.”

“Beh, se risolvono questo casino non possono che arrivare a noi quattro.”

“Appunto!”

Nathaniel, seriamente spaventato, prese Eric per le spalle: “Dobbiamo andarcene: tutti e quattro!”

“Non possiamo, siamo sulla lista dei partecipanti al ballo. La polizia vorrà parlare con tutti quanti e se qualcuno mancherà all’appello sembrerà sospetto, capisci? – si guardò attorno, ansioso – In più non sappiamo dove sia Rider…”

In quel momento, sul campo visivo di Nathaniel, era appena entrato Brakner, poco lontano. Nel vederlo, tutta la paura scomparve e rimase soltanto rabbia; una rabbia che voleva sfogare su di lui.

“Ora basta, ha davvero superato il limite!” e cercò di raggiungerlo.

Eric seguì il suo sguardo, notando chi stava puntando, e lo fermò immediatamente per il braccio: “NO, Nat! Così peggiori solo le cose e attirerai l’attenzione.”

“Dobbiamo smascherarlo, ok? – gli urlò con tono contenuto – Non possiamo continuare a giocare alla casa delle bambole. La polizia deve arrestarlo: deve sapere!”

“Sapere CHE COSA? – lo fermò da un altro tentativo di correre verso di lui – Può trascinarci con lui all’inferno, o non se ne starebbe qui tutto tranquillo!”

Nathaniel si mise le mani nei capelli, impotente, mentre l’altro continuava.

“Anche se non sembra così tranquillo, sembra scosso quanto noi…” pensò, lasciando intendere che avesse qualche dubbio a proposito: questo bastò ad attirare la piena attenzione di Nathaniel.

“Che vuoi dire?”

“Dico che siamo stati addosso a Brakner, Morgan e Lindsey per tutto il tempo e non si sono mai allontanati dall’evento.”

“Le bombe le avranno messe prima della serata, no? Possono attivarle da remoto, come con il sistema di aerazione nella panic room.”

“Sono rimasti lì dentro fino all’ultimo secondo e probabilmente ci sarebbero morti se non avessimo fatto scattare il sistema anticendio. Quale malato di mente si lascerebbe esplodere?”

A! – urlò l’altro - Ecco chi!”

“E che mi dici di Lindsey e Morgan? Se sono complici, perché se ne stavano così tranquilli?”

Nathaniel si massaggiò le tempie, cercando di non capire di proposito perché non riusciva ad accettare il punto a cui voleva arrivare Eric: “Smettila, Brakner è A! Non possiamo esserci sbagliati.”

“Se Brakner avesse architettato tutto questo, Lindsey l’avrebbe saputo di certo. E lei non avrebbe mai rischiato la sua stessa vita, quella di suo fratello e sua cugina!”

“Allora Brakner ha fatto tutto di nascosto a loro, non c’è altra spiegazione!” esclamò, categorico, non accettando quella versione.

Eric si arrese, smettendo di parlare. I due continuarono a guardarsi intorno, spaesati.

 

*

 

Più tardi, tra le varie persone che giravano per il perimetro con una coperta sulle spalle, tra i nastri gialli e i vigili del fuoco che tentavano ancora di spegnere le fiamme, Sam era seduto sul bordo dell’ambulanza, finalmente cosciente, che si teneva sulla faccia la mascherina per l’ossigeno. Eric e Nathaniel erano davanti a lui.

Stando meglio, Sam se la tolse ad un certo punto. Era a dir poco scosso.

Nathaniel si sincerò rapidamente delle sue condizioni: “Allora? Come va?”

Quello lo fissò, come si guarda un film dell’orrore: “Come dovrei stare dopo tutto questo? Questa volta A si è spinto oltre più che mai.”

Gli altri due mantennero uno sguardo basso, demoralizzati.

“…E non sappiamo nemmeno perché ha fatto esplodere la scuola.” pensò Eric.

“Dovremmo aggiungere la voce Terrorista  al profilo personale di questo pazzo! - esclamò Sam con collera, per poi passare ad uno stato di paranoia – Per non parlare del corpo di Albert, lasciato così.”

Nathaniel si guardò attorno con sguardo circospetto, notando i poliziotti che facevano domande a tutti: “E’ chiaro che ci sta buttando nella fossa dei leoni, ma non completamente. Se ci avesse voluto incastrare subito, i nostri video sarebbero già su tutti i server della polizia e noi non staremmo qui a respirare ossigeno come delle vittime innocenti.”

“noi SIAMO vittime innocenti! - sottolineò Sam – Il mio cuore si è fermato per non so quanto tempo ed è tutta colpa di Anthony se siamo finiti in questo casino!”

“Dobbiamo essere furbi stasera. E sperare di non lasciare questo parcheggio in manette.” suggerì Eric.

Sam, a quel punto, si indirizzò verso un nuovo discorso: “A proposito di furbizia: dove diavolo è Rider? – spostò lo sguardo fra i due – Se Wesam ha detto che un nostro amico l’ha aiutato a portare me e Nathaniel fuori dalla scuola, parlava senza dubbio di lui, no?”

“Wesam ha anche aggiunto che poi questo nostro amico è andato a chiedere aiuto, ma… - si insinuò in Nathaniel qualche dubbio – Dove di preciso? In Canada?”

Nella testa di Sam, allora, iniziarono a sorgere brutti pensieri: “Ragazzi, e se…Rider non fosse mai uscito dalla panic room?”

Eric scosse subito la testa, come se lo pensasse ma volesse autoconvincersi del contrario: “No, non può essere morto. Rider non è così stupido da non controllare i messaggi.”

“Magari si è distratto, chissà cosa c’era in quella parte segreta della panic room…” replicò Nathaniel, realista.

Improvvisamente, le loro supposizioni sfumarono quando un messaggio arrivò sul telefono di Sam.

Da Rider:

“Sto arrivando, dove siete?”

“Oh mio Dio, è vivo!” esclamò Sam, mostrando il telefono agli altri due.

Tutti e tre sorrisero, sollevati. Sam gli rispose immediatamente.

A Rider

“Vicino alle ambulanze…”

Ricevette un altro suo messaggio in replica

Da Rider:

“Vi vedo!”

 

“Ha scritto che ci vede!” mostrò ancora una volta il telefono ai suoi amici. Tutti e tre, allora, si voltarono contemporaneamente a cercarlo con lo sguardo.

Quello, però, stava già arrivando verso di loro: in carne ed ossa.

“Una supernova, eh? – esordì, dopo essersi voltato a guardare la scuola – Là sotto l’ho percepita come la fine del mondo!”

Nemmeno fece un altro passo che Sam gli saltò addosso, abbracciandolo.

“Sono così contento che tu sia vivo… - lo strinse forte ad occhi chiusi – Grazie di averci portati in salvo. - si staccò, fissandolo negli occhi – Perché eri tu, vero?”

“Sì, ero io… - spiegò, leggermente intontito e sorpreso da quell’abbraccio – Dopo aver ricevuto il messaggio di A, in cui diceva che uno di noi sarebbe rimasto bloccato nella scuola a causa sua, sono risalito per cercavi e vi ho subito trovati. Wesam è arrivato subito dopo e mi ha aiutato a portarvi fuori.”

“Anche noi abbiamo ricevuto lo stesso messaggio. – prese parola Nathaniel – Sam ha insistito affinchè scendessimo a prenderti.”  palesò che lui non avrebbe agito alla stessa maniera di Sam.

“Ah… - abbassò lo sguardo, annuendo e fingendo un sorriso – Beh, viva la sincerità!”

“Scusa, ma…potevamo morire e tu potevi essere già uscito.” continuò Nathaniel, sottolineando che non c’era nulla di personale.

Eric si intromise, a quel punto: “Ok, l’importante è che siamo tutti vivi. Solo che… - il suo tono si fece cupo – Non so a quanto serva essere vivi in questo momento.”

“Ho scoperto di Albert, mentre venivo qui. Siamo davanti ad un altro gioco di A, perciò non facciamoci prendere dal panico.” cercò di tranquillizzarli.

“Ti prego, dimmi che sei così sereno perché hai recuperato i video e quindi non c’è alcuna prova contro di noi.” Sam sperò in una risposta positiva.

Tuttavia, Rider assunse un’espressione che intendeva tutto il contrario: “…Purtroppo, sono stato troppo ingenuo. C’era un virus su tutti i file, compresi i nostri video. Quando ho tentato di copiarli, è comparsa una schermata che diceva che sarebbero stati mandati alla polizia se ci avessi provato. Stessa cosa se li eliminavo.”

“Quindi?” domandò Nathaniel, impaziente di sapere.

“Quindi ho rubato l’unità di sistema e l’ho calata giù per la botola. Quando sono risalito dalle fogne, ho nascosto il borsone ad un isolato da qui e sono rientrato a scuola per cercarvi in seguito a quel messaggio. – fissò Sam e Nathaniel con aria mortificata - Una volta che vi ho portati in salvo sono tornato a riprendere il borsone, ma non c’era più.”

Tutti assunsero un atteggiamento incredulo, demoralizzato. Sbuffarono.

Eric, però, contò sul fatto che non tornava da loro a mani vuote: “Ma almeno sei riuscito a scoprire qualcosa?”

Scosse la testa, imbronciato: “Mi dispiace, niente. Non ne ho avuto il tempo, per questo ho rubato l’unità di sistema.”

Sam si mise le mani nei capelli: “Non ci credo…” e tornò a sedere sull’albulanza, attaccandosi nuovamente la mascherina al viso per respirare un po’ di ossigeno.

“Noi ti dobbiamo aggiornare su Rosewood-riservato. Forse abbiamo capito cos’è, ma speravamo che tu avessi scoperto molto di più.” aggiunse Eric.

“Mi dispiace ragazzi, ma forse questo non è il luogo adatto per parlarne. Probabilmente ci lasceranno andare tra un’oretta.” spiegò loro.

Intanto, non molto lontano dai quattro ragazzi, un uomo con indosso un completo nero era accanto ad una delle auto della polizia. Li fissava molto attentamente, mentre quelli sembravano discutere anziché essere scioccati dall’accaduto. La cosa lo incuriosì a tal punto da doversi avvicinare: era un detective.

“Scusate se vi interrompo… - esordì, arrivando alle loro spalle – Sono il detective Michael Costa e volevo farvi alcune domande, come le sto facendo a tutti.”

Nathaniel si mise a braccia conserte, fingendo un atteggiamento simile a quello delle altre persone intorno. Gli altri fecero lo stesso, anche se Sam divenne immediatamente pallido.

“Siamo sconvolti, io sono uno di quelli che è svenuto per il gas.”

“Capisco… - annuì – E che mi dite del vostro alibi?”

Quelli rimasero in silenzio, guardandosi tra di loro, confusi.

Deglutendo male, Sam cercò di capire: “Che intende, scusi?”

Michael rispose disinvolto, mentre scriveva sul suo tacquino: “Dove eravate la notte della scomparsa di Albert: questo intendevo!”

“Ma… - continuò Eric, stringendo gli occhi, guardandosi con gli altri – che c’entra con quello che è appena successo?”

L’uomo distolse il suo sguardo dal tacquino, sorridendo: “Beh, ancora non ci sono informazioni sull’esplosione. Nel frattempo, mi occupo dell’altro mistero: l’omicidio di Albert Pascali!”

Il silenzio prese il sopravvento e Michael si sentì in dovere di aggiungere altro.

“Ascoltate, non vi nascondo che i vostri nomi non siano noti alla polizia. Quando Albert è scomparso ci sono state delle indagini approfodite. Ovviamente, è spuntanto fuori quel video che avete girato con Anthony Dimitri. Inoltre, stasera molte persone mi hanno riferito che tra voi e Albert non c’era un bellissimo rapporto: in definitiva, ci troviamo davanti ad un caso di bullismo scolastico.”

Nathaniel, infuriandosi, non si lasciò etichettare: “Beh, le persone che le hanno riferito questo sanno perfettamente che il bullo era Anthony e non noi. In ogni caso, non capisco dove vuole arrivare.”

“Fino ad un mese e mezzo fa, Albert era un ragazzo scomparso. Ora è un cadavere, perciò…un gruppo di bulli è un ottimo punto di partenza.”

Eric fissò Rider, sperando che dicesse qualcosa, ma quello era alquanto distratto, impedito.

“Ehm… - Eric decise di prendere parola, evidenziando l’assurdità di quelle parole – Se fossimo noi gli assassini, perché avremmo dovuto lasciare il corpo di Albert in mezzo ad una strada?”

“Proprio perché voi possiamo usare questa frase, Eric Longo.” lo squadrò, intimorendolo.

Sam sentì di dover intevenire: “Eravamo al ballo, come potevamo fare tutto questo?”

“Sempre quelle molte persone, dicono che vi siete assentati dal ballo per molto tempo ad un certo punto della serata.” continuò il detective.

Nathaniel, irritato, replicò: “Beh, vorrei tanto sapere chi sono queste persone. Se lei avesse visto il video, saprebbe che molta gente non ci sopporta e che direbbe qualsiasi cosa a nostro sfavore.”

“L’ho visto il video, Nathaniel Blake. Faccio attenzione ad ogni dettaglio.”

Stufo di quel tono cinico e pesante, Sam gli diede ciò che voleva: “Vuole un alibi? Bene, io ero a casa con la mia amica Chloe Fitzpatrick a guardare il finale di stagione di How to get away with murder.”

Michael lo appuntò, mentre continuava a fissarlo; non riusciva a capire se stesse mentendo o dicendo la verità: fu talmente convincente che lo lasciò confuso.

Sam percepì la sua confusione, ovviamente, mantendendo un espressione che non lasciava trapelare nulla. Del resto, aveva fatto molta pratica nel raccontare bugie…

 

FLASHBACK

 

Anthony e Sam stavano pranzando in mensa, da soli, l’uno di fronte all’altro. Quest’ultimo sembrò assai a disagio e l’amico, poco prima di avvicinare la forchetta alla bocca, lo notò.

“Che c’è? Ho qualcosa fra i denti?”

“Ehm, no! – esclamò, in imbarazzo – Continua pure a mangiare.”

Anthony allora continuò a fare quello che stava facendo, notando subito dopo che Sam lo fissava e poi distoglieva lo sguardo non appena alzava la testa.

“Ok, si può sapere che cos’hai? – poggiò la forchetta, seccato – Non è che ti sei innamorato anche di me, adesso? Non ho tempo per essere bisessuale!”

“Ouh, NO! – negò assolutamente, restiò a rivelare ciò che lo tormentava – E che…Quando sono con Nathaniel ed Eric, loro parlano solo di ragazze quando ci cambiamo in palestra per l’ora di ginnastica. Mi lanciano certe occhiate, come se si aspettassero che io faccia qualche commento o che annuisca a frasi come “Piper ha delle belle tette, non trovate?” o “Mmmm, bel sedere quello!”  e io sono lì che ho paura che scoprano che sono gay.”

L’altro sorrise, maliziosamente: “Hai paura che scoprano che tu sia gay o che Nathaniel scopra che sei gay e che inizi a notare la tua cotta per lui?”

Sam punzecchiò i suoi piselli verdi dentro al piatto, rispondendo con la voce piccola: “…Beh, forse la seconda. – improvvisamente si infuriò – Nemmeno Rider parla mai di ragazze, eppure eccomi qui che mi faccio paranoie assurde anche se non sono il solo che non lo fa!”

“Purtroppo la parte sessuale del cervello di Rider è occupata dalla storia, la geografia e qualsiasi cosa esista sottoforma di un libro. Quando si distrae da tutto questo diventa peggio di tutti noi. Forse è anche più etero di me, Nathaniel ed Eric messi assieme.” rise, continuando a mangiare.

“Come si diventa convincenti? – gli domandò, fissandolo in maniera acuta – Come si fa a costruire una maschera impenetrabile?”

Quello si fermò dal mangiare e provò a spiegarglielo: “Costruire una maschera non è facile come sembra, ma molti di noi ci riescono molto bene. Bastano due semplici ingredienti, d’altronde: una bugia e l’abilità di raccontarla come se fosse vera.”

“Non sono così abile…” pensò Sam.

“L’abilità si acquista con la pratica. – sottolineò – Basta convincere sé stessi, Sam. E una volta che hai convinto te stesso che quella bugia è vera, diventerà vera per tutti.”

Accenando un sorriso, Sam fu sfacciato: “Tu sembri avere molte maschere…”

“Non andare oltre, Sam. – replicò, serio e misterioso – Avere molte maschere richiede più di una bugia e tantissime abilità.”

“Insegnami ad averne una allora!” insistette.

“Beh, ripeti a te stesso una bugia e poi dilla agli altri come se non lo fosse.”

Quello ci provò, pensando: “Ehm…vediamo… - trovò cosa dire finalmente – Ho avuto un’apputamento con una ragazza di nome Jane, l’altro giorno. E’ stato fantastico!” raccontò, con strane mimiche facciali che non convinsero per niente l’amico.

“No, Sam. – scosse la testa, leggermente agghiacciato dal suo scarso impegno - Non ci siamo! E’ evidente che ti stai sforzando… - decise di dargli un suggerimento a quel punto – Forse non hai capito cosa vuol dire autoconvincersi. Per ingannare gli altri, devi prima ingannare te stesso: prova a pensare all’ultimo appuntamento che hai avuto con un ragazzo. Cerca di ricordare come ti sei sentito, come l’hai guardato e come ti ha baciato. Ora, metti tutto insieme e trasforma il suo nome in Jane.”

L’altro, in estasi per i ricordi che stavano riaffiorando nella sua mente, eseguì: “Non facevo che guardarla negli occhi, mentre parlava. Sotto quella maglietta, il suo corpo era ben delineato e quasi mi facevo beccare a mordermi le labbra per la voglia di sapere cosa c’era sotto. Poi, a fine serata, ci siamo baciati a lungo e… - fissò Anthony, continuando con la stessa espressione – Niente, quella Jane era davvero di una bellezza mozzafiato e ci sapeva fare: eccome se ci sapeva fare!”

Anthony gli fece un’applauso, piacevoltemente sorpreso: “Complimenti, Sam. Hai creato la tua prima maschera con successo. Perfino io che so la verità ci stavo quasi credendo.”

Ovviamente, Sam sorrise e si sentì appagato. Quasi come un alunno che viene gratificato dal proprio insegnante.

 

Mentire con successo era ormai un’abilità che Sam aveva affinato con il tempo, grazie ad Anthony. E per quanto non risultasse così appagante come un tempo, gli era tornata utile.

Michael si rivolse agli altri tre, subito dopo: “E voi?”

Sia Nathaniel che Eric guardarono Rider, ma quello si schiarì la gola, la fronte sudata: era a disagio, bloccato.

Nathaniel prese subito parola per non far insospettire il detective: “Quella sera, io, Rider ed Eric siamo andati in un locale.”

“Nome del locale, prego?” chiese quello con la penna sulla carta.

Intervenì Eric: “Eravamo al Rumors club!”

Finalmente, il detective mise via il tacquino e la penna. Il suo sguardo si spostò su Rider.

“Sei molto silenzioso, Rider Stuart. Come mai?”

“Ehm… - tentennò - la scuola è esplosa e io per poco non saltavo in aria con lei: sono abbastanza scioccato!”

“Comprensibile… - accolse quella risposta - Direi che può bastare così, siete liberi di andare. - sorrise a tutti e quattro – Buon rientro a casa!”

I ragazzi sentirono scomparire quel macigno dai loro stomaci non appena si voltò. Michael, però, ebbe un’ultima cosa da dire. Principalmente a Sam.

“Anch’io ho visto il finale di How to get away with murder, quella sera. Peccato che nella vita reale non esistano avvocati come Annalise keating ad aiutarti a farla franca con un omicidio…” sorrise, una lunga suspense, per poi andarsene sul serio.

Una volta lontano, i ragazzi poterono finalmente parlare tra loro e riprendere fiato o quasi.

“Sento le ginocchia che mi stanno per cedere…” esternò Sam, bianco come un cencio.

Eric, invece, se la prese subito con Rider: “Ma si può sapere che cosa ti è preso?”

“Già!” si aggregò Nathaniel.

Quello cercò di giustificarsi: “Mi è preso il panico, ok? E’ un indagine di polizia, non mi è mai capitato prima d’ora.”

Nathaniel non tollerò quel comportamento: “Nemmeno a me è mai capitato prima d’ora, ma ho comunque chiuso la mia vescica contro la forza di gravità per non farmela sotto davanti a quel detective e insospettirlo!”

“Anche Rider è infallibile, come potete vedere!” si difese Rider, sentendosi attaccato ingiustamente.

“Smettila di parlare in terza persona di te stesso, Rider…  – Sam si rivolse a lui, poi agli altri – E voi smettetela di accusarlo, anch’io facevo fatica a rispondere. Quello a cui dobbiamo pensare adesso è che quel detective conosce i nostri nomi a memoria: non è un buon segno in gergo poliziesco!”

“A proposito, che cavolo significa che noi eravamo al Rumors club? – domandò Nathaniel ad Eric – Lo sai che indagheranno e che scopriranno che non eravamo lì, vero?”

Eric cercò subito di spiegare: “Sta calmo, conosco tutti i locali di Rosewood. I proprietari e lo staff di quel locale sono molto distratti. Basterà farci fare uno scontrino falso da Julie, hanno visto spesso la mia faccia in quel posto.”

Nathaniel, poi, si girò verso Sam: “E indagheranno anche per il tuo alibi, lo sai?”

“Anche Chloe era fuori quella notte, visto che è uscita dopo di me. Confermerà sicuramente quella versione se non vuole finire nei guai anche lei.”

Improvvisamente, Sam vide arrivare Wesam. Tutti si voltarono a seguire il suo sguardo, che si era incantato su di lui.

“Ehm, non andate via… - si alzò dal bordo dell’ambulanza su cui era seduto – Torno subito.”

Nathaniel, mentre Sam era già a qualche passo da Wesam, fece sentire la sua voce: “Ehi, non metterci troppo. Dobbiamo tornare a casa!” e quello si voltò giusto un attimo, non facendo caso al suo tono leggermente infastidito.

Rider, intanto, stava guardandando il polso di Nathaniel, attirando la sua attenzione: “Dov’è finito il tuo braccialetto?”

Quello, distratto a guardare i due che avevano già iniziato a parlare, finalmente si voltò: “Eh? Cosa? – poi abbassò lo sguardo, toccandosi il polso nudo – No, non può essere…”

“Deve avertelo tolto mentre eri svenuto. Ci ha messi fuori gioco tutti e quattro, stasera.” pensò Eric, per nulla sorpreso.

Alle loro spalle, Wesam si sincerava delle condizioni di Sam con molta apprensione.

“Sicuro di stare bene? Sai, non ho mai fatto un massaggio cardiaco prima d’ora.”

L’altro sorrise, ancora debole: “Beh, dicono che se hai guardato tutte le stagioni di Grey’s anatomy e del Dottor House, potresti anche operarti da solo.”

“Il bello è che non ho mai visto una serie medical in tutta la mia vita. – sorrise a sua volta per poi sfumare in un espressione di terrore nel ricordare cosa aveva dovuto affrontare – Volevo solo salvarti ed è come se la mia mente si fosse attivata ad un livello talmente avanzato da rendermi uno spettatore esterno. Non sapevo cosa fare, ma allo stesso tempo lo sapevo.”

Ad un certo punto, Sam sfiorò le proprie labbra con le dita: “Mi hai fatto la respirazione bocca a bocca, vero?”

“Ho fatto molto di più di questo. – sorrise, ancora incredulo – Ti ho fatto ripartire il cuore…”

Sam lo fissò, gli occhi lucidi per essere quasi morto. Intenerito anche dall’uomo, che aveva fatto l’impossibile per salvarlo, lo abbracciò forte. Quello ne rimase sopreso, gli occhi sgranati.

“Grazie, Wesam…” gli sussurrò ad occhi chiusi, con le braccia intorno al suo collo.

L’uomo si abbandonò a quell’abbraccio, sorridendo, scambiandosi uno sguardo con Nathaniel, che li stava osservando dall’ambulanza.

Quando Sam riaprì gli occhi, rimase ancora abbracciato a Wesam. Quel momento intenso, però, fu interrotto da una scena che Sam osservò attentamente, non appena la notò: Chloe che si stava avvicinando ad una macchina appena giunta sul posto. Il finestrino si abbassò e riuscì ad intravedere che alla guida di quel veicolo c’era Clarke Dimitri: il fratello di Anthony.

“Ma che…???” farfugliò tra sé e sé, mentre si staccava da Wesam.

“Tuo padre è qui, a proposito.”  gli fece sapere quello.

“E dove?” chiese, abbastanza distratto da Chloe che parlava con Clarke.

“Credo stesse parlando con quel detective. Se non sbaglio, un certo Michael Costa!”

Sam, a quelle parole, sbiancò e la sua attenzione venne catturata completamente: “Cosa? Ne sei sicuro? Hai sentito cosa si dicevano?”

L’altro, sentendosi sopraffatto, cercò di rilassarlo: “Ehi, non hai mica fatto esplodere tu la scuola. – rise – Tuo padre è un poliziotto, è normale che si parlino.”

“Già, hai ragione. – finse un sorriso di circostanza, nascondendo l’ansia che lo divorava – Forse è proprio per quello che stanno parlando.”

Poi si voltò di nuovo verso la macchina di Clarke, ma quella non c’era più. E nemmeno Chloe.

Tutto ciò lo lasciò alquanto confuso.

 

TWO DAYS LATER…

 

Rider era dentro allo studio di suo padre quella mattina, camminando accanto alla libreria, sfiorando la scrivania con le dita. La esaminava attentamente, come se fosse la prima volta che ci entrava dentro.

Ad un certo punto prese in mano la foto di famiglia, poggiata accanto al computer, e restò lì impalato a fissarla con un espressione seria, assai acuta.

Lindsey, che stava passando proprio davanti alla porta, si fermò di colpo.

“Che stai facendo qui dentro? - gli domandò, incuriosita – Lo sai che papà non vuole che entriamo nel suo studio quando non c’è.”

L’altro mise subito giù la foto, balbettando: “Ehm, cercavo qualcosa da leggere.”

“La nostra scuola è appena esplosa e tu vuoi leggere? – rise, prendendolo in giro – Rilassarti non ti piace proprio eh?”

“Ma leggere E’ rilassante! – sottolineò – E poi a me di solito piace tenermi impegnato con un buon libro, non è così?”

Quella lo fissò, stranita: “E’ una domanda retorica, questa?”

Cercò di sorvolare: “Lascia stare!”

Sopraggiunse un silenzio imbarazzante.

“Oookey… - era pronta ad andarsene, ma si bloccò nuovamente quando notò l’aspetto di suo fratello – Sbaglio o sei vestito abbastanza casual oggi? Non ti avevo mai visto con una camicia bianca e un paio di jeans strappati.”

Rider si guardò da capo a piedi: “Erano in fondo all’armadio e ho voluto mettermeli. Tanto non stiamo andando più a scuola. Nel tempo libero mi vesto sempre così, no?”

Lindsey restò impalata a fissarlo, confusa: “E’ un’altra domanda retorica? Perché se lo è, sappi che la risposta non è per niente ovvia.

L’altro si avvicinò allo scaffale, sfilando un libro a caso: “Ok, sorella, io me ne vado a leggere… - diede un’occhiata al titolo, nominandolo ad alta voce – Il bambino aldi là del cancello! Sembra una lettura interessante…”

“Lo è, visto che è il primo libro che Papà ha pubblicato nella sua vita e che tu hai già letto un milione di volte.”

“Beh, rileggere un successo non fa mai male. Ti ricorda che c’è chi al mondo ha raggiunto qualcosa, mentre altri ancora no. – gettò un’altra occhiata al libro, molto velata, prima di puntare nuovamente Lindsey –  Dico bene, sorella?”

 Quella lo fissò ancora più stranita, leggermente infastidita: “Ok, da quando mi chiami sorella? E cos’è questo tono saccente?”


“Che c’è, non posso chiamarti sorella?”

“Ok che mi sono preoccupata molto quando non riuscivo a trovarti quella sera, ma questo non vuol dire che inizieremo a chiamarci sorella, sorellina o fratellino!  - lo fissò attentamente, mentre quello le sorrideva divertito – Sai, sei strano!”

“In che senso?” finse di non capire, lo sguardo di chi sembra prenderti in giro.

“Non lo so, ma sei più strano del solito. Sicuro di non essere bipolare?”

Quello scosse la testa: “Tranquilla, la parola bipolare non mi appartiene. – le sorrise ancora – Ritenta, magari sarai più fortunata.” e lasciò lo studio.

Lindsey restò alquanto spaesata da quella bizzarra conversazione, mentre lo guardava allontanarsi.

 

*

 

Sam era appena rientrato a casa. Appoggiando il suo cappotto all’appendiabiti all’ingresso, con l’altra mano reggeva il telefono mentre parlava con Eric.

“Com’è andata la visita dal medico?” domandò Eric, nel suo appartamento, seduto davanti al pc in cucina.

“Direi che possiamo archiviare con successo questa storia del piccolo redivivo di nome Sam . Pensa che, secondo il medico, ho dei polmoni d’acciaio; peccato, però, che non mi siano serviti nel momento in cui dovevo uscire da un edificio che stava per esplodere.” replicò seccato, mentre si sdraiava sul divano.

“Tu non stavi uscendo, Sam. Sei durato lì dentro anche oltre il limite umano!” esclamò, mentre controllava le sue email.

Sbuffò, con una mano sulla fronte: “Che senso ha tornare in vita quando l’inferno non si trova nell’aldi là? Wesam avrebbe dovuto lasciarmi morire!”

“Non dire sciocchezze, la tua vita è preziosa.”

“Preziosa? E’ un macigno che diventa sempre più pensante. – reagì in modo isterico - Seriamente, sento il parque sotto ai miei piedi che scricchiola ogni volta che cammino.”

“Credo sia normale che il parque scricchioli, no?” commentò, irritandolo.

“Sento scricchiolare anche l’asfalto su cui cammino per strada, ok?” ribattè.

“D’accordo, sei nervoso, ho capito! Io comunque ho già ricevuto l’email che mi comunica in quale scuola finirò.”

Sam si sollevò con la schiena, sgranando gli occhi: “Cosa??? Ci hanno già collocati nelle altre scuole? Spero tanto che non ci abbiano divisi…” ne ebbe il terrore al solo pensiero.

“Controlla la tua posta, io sono finito alla Briarhood. E’ a quindici minuti di autobus, perciò mi è andata bene se consideri che non ho la macchina.” spiegò, dopo essersi informato sulla distanza.

L’altro controllò sul suo telefono, restando assai deluso: “Oh mio Dio, io sono alla Brahms!”

Eric ci restò parecchio male: “A quanto pare noi due non frequenteremo più la stessa scuola…”

“A quanto pare… - ebbe la stessa reazione, per poi continuare a scorrere la mail - Non ci credo, hai guardato gli elenchi? Nathaniel e Rider sono insieme: alla Northdale!”

Anche Eric stava leggendo: “E con loro ci sono Violet, Colton e Lindsey…”

“Sembra che non abbiano diviso i fratelli. – constatò Sam, dando un’occhiata all’elenco della sua scuola – Con me c’è Brianna Santoni, mentre gli altri nomi che vedo non mi dicono nulla.”

“Invece con me ci sono Morgan, Lisa Nelson e… - notò un altro nome – Ouh, c’è anche la tua amica Chloe alla Briarhood.”

“Ah, Chloe…” reagì in maniera strana al suo nome e l’amico lo percepì.

“Cioè? Perché rispondi con questo tono imbalsamato?”

Sam, allora, decise di fargli una confidenza: “Ehm, c’è una cosa che non vi ho detto quella sera: ho visto Clarke arrivare sul posto, mentre parlavo con Wesam. Poi ho visto Chloe avvicinarsi alla sua auto e parlare con lui e…”

“E…???” si fermò dal digitare sul portatile, impaziente.

“Mi sono distratto un secondo e la macchina non c’era più. Credo se ne sia andata con lui.”

Confuso, Eric cercò di capire meglio: “Un secondo, ma…che legame c’è tra Clarke e Chloe? Sapevi che si conoscessero?”

“So a malapena come si tempera una matita con tutte le stranezze che vedo in questa città. – si mise una mano tra i capelli, sospirando rumorosamente – Dici che dobbiamo indagare?”

“Lo sai che dopo l’esplosione ho messo in dubbio che Brakner possa essere A, vero?”

“Se non è lui, allora chi è? Sono stanco di tirare ad indovinare!”

“Dobbiamo tenere d’occhio un po’ tutti a questo giro. Dovresti tenere d’occhio anche Chloe.”

“Anche Clarke, a questo punto. Deduco sia tornato in vista del processo di Jasper o magari non se n’è mai andato.”

“A proposito di Jasper, come siete rimasti con il Francese? E che ne pensa Nathaniel di tutta questa storia di Chloe e Clarke?”

L’altro titubò leggermente non appena Eric nominò Nathaniel: “Ehm, in verità, io e Nathaniel non ci siamo ancora sentiti per parlare di questo. Cioè, mi ha chiamato per sapere che cosa avesse scoperto la polizia sull’esplosione ma niente di più.”

“Hai chiamato prima me che Nathaniel? – ne restò sorpreso – Siamo finiti in un mondo parallelo, per caso? E non venirmi a dire che sto esagerando, perché sappiamo entrambi che in questo gruppo ci sono due team ben distinti!”

Si grattò il capo prima di rispondere: “E’ che…sono successe delle cose tra me e Nat, mentre eravamo dentro la scuola. Cose che mi hanno un pò distaccato da lui.”

“Vuoi parlarne? – provò a scherzarci su per sdrammatizzare – Sai, ancora non ci ho capito un bel niente su quello che c’è tra voi due. State solo recitando o c’è qualcosa di vero?”

“Da parte mia c’è sempre stato qualcosa di vero. Dal primo momento. – poi riflettè per quanto riguarda Nathaniel – Da parte sua c’è solo molta confusione.”

“E di Wesam? Che mi dici?”

Quello sussultò immediatamente: “Wesam? Cosa c’entra Wesam?”

“Non ne ho idea, Sam. So solo che Nathaniel, quella sera, vi ha guardati come se ci fosse qualcosa da supporre.”

“Wesam è solo il mio psicologo e Nathaniel, evidentemente, temeva che mi lasciassi sfuggire qualcosa con lui.” restò sulla difensiva.

“Ho fissato la mia immagine allo specchio per molto tempo, Sam. Sarà che, ora che non lo faccio più, riesco a notare le cose con più attenzione e…quella che ho visto in Nathaniel era gelosia!”

Sam rimase in silenzio, molto a disagio, decidendo di cambiare argomento: “…Ehm, che hai deciso di fare poi con il segreto numero 39 mandato da A? Lo userai?”

L’altro si rese conto che era meglio non insistere e lasciò che si cambiasse argomento: “Ho altra scelta? Se non lo faccio, probabilmente A farà esplodere la mia nuova casa a Riverton.”

“E se il Signor Lincoln si ribellasse a questo ricatto?”

“E se mio padre non volesse più quel posto, anche se riuscissi a farglielo riavere?” replicò, divorato dall’angoscia.

“Beh, prima di agire, prova a vedere cosa ne penserebbe tuo padre. Così, per scherzo.”

Sbuffò, stressato: “Vorrei tanto che fosse A a fare il lavoro sporco.”

“Ascolta, io devo andare. Se ti serve qualcosa, chiamami. E ricorda che non dobbiamo vederci, ok? Lasciamo che le acque si calmino.”

“Ma certo, l’avevamo già concordato quella sera. – prima di chiudere la chiamata, però, trovò curiosa la situazione – Buffo che abbia preso tu questa decisione, non trovi?”

“Che vorresti dire?”

“Dico che di solito è Rider ad andare fuori di testa e a darci istruzioni su cosa fare o non fare… - riflettè a lungo su questo – E’ molto calmo, non credi?”

“Forse A si è spinto talmente oltre da averlo spaventato stavolta. Ormai non siamo più davanti a qualcuno che ci minaccia solo con un SMS.”

“Non so, sembrava un’altra persona…” pensò ancora.

“Tutti siamo diventati un’altra persona in qualche modo. Qualcosa ci cambia drasticamente. E quel cambiamento deriva sempre da un evento specifico…Forse quello che è successo durante la sera del ballo, è l’evento che ha cambiato Rider.”

Eric si lasciò sfuggire una piccola risata: “E questa dove l’hai sentita?”

“Ogni tanto Wesam fa dei discorsi esistenziali talmente profondi che mi restano in testa. “ raccontò, lasciandosi scappare anche lui una risata.

 

*

 

Nathaniel, intanto, dopo essersi procurato un autorizzazione per le visite in carcere, era tornato da Jasper per parlare con lui.

Nel momento in cui stava per varcare l’ingresso della sala visite, notò immediatamente che Jasper aveva già una visita: un uomo, seduto di spalle davanti a lui.

Rimase lì impalato, cercando di capire chi fosse. Improvvisamente, poi, quell’uomo si alzò e riuscì a scorgerne il volto: era Carter Havery.

Quello, adesso, stava arrivando verso di lui, dopo aver concluso il colloquio. Nathaniel raggiunse un angolo della sala, voltandosi verso la parete, aspettando che passasse e non lo notasse.

Dopo aver lasciato passare qualche secondo, si girò e quello se n’era andato. Con il sudore sulla fronte, raggiunse il tavolo di Jasper, continuando a guardarsi indietro.

“Finalmente!” sgranò gli occhi l’uomo, vedendolo arrivare.

Nathaniel si sedette, pronto ad una raffica di domande.

“Che cosa ci faceva quel poliziotto qui?”

“Intendi il padre di Sam?”

Quello deglutì malamente: “Sì, intendo proprio lui: che ci faceva qui?”

“Mi è sembrato abbastanza instabile. Sa che siete stati qui la scorsa volta!”

“Cosa? – sussultò, spaventandosi – Non capisco, perché è venuto qui? L’ha fatto per conto  di un detective, per caso?”

“No no, niente di tutto questo. – scosse la testa, nervoso – Anzi, ha fatto allusioni su una relazione tra me e suo figlio. Mi ha chiesto se l’avessi coinvolto in tutto questo.”

“Perché mai sarebbe arrivato ad una conclusione del genere?” domandò, pendendo dalle sue labbra.

“Non lo so, so solo che la mia posizione si aggrava sempre di più. Non solo ho ucciso il mio amante, adesso ho anche una relazione con un minore e il mio processo si terrà Giovedì prossimo. – fu categorico nella sua conclusione – Mi dispiace, ma non me ne starò più zitto. Non resterò in galera per sempre per un reato che non ho commesso, perciò io dirò la verità… - lo fulminò con lo sguardo – A costo di chiamarvi tutti alla sbarra!”

“Ok, aspetta… - tirò fuori una fotografia, guardandosi prima attorno, sperando di dissuaderlo – Ho il tuo alibi, guarda tu stesso.”

Jasper prese in mano la foto: mostrava Edward, l’uomo francese che l’aveva visto quella notte.

Sgranò gli occhi, incredulo: “Come diavolo l’hai trovato?”

“E’ lui?”

Annuì: “Sì, è lui. Non potrei mai dimenticare il volto dell’unica persona che può dire di avermi visto nella notte di quel maledetto omicidio.”

“Otterò una testimonianza, è a Rosewood e siamo in trattative con lui. Se terrai la bocca chiusa su tutto quello che ti abbiamo detto, faremo in modo che venga a testimoniare per te, ok?”

Assai titubante, restò in silenzio a lungo prima di rispondere: “Finchè non lo vedrò in tribunale, terrò la bocca chiusa. Altrimenti, mi dispiace, ma…devo salvare me stesso!”

“D’accordo, è comprensibile, ma non mandare tutto al diavolo. Ti abbiamo promesso che ti tireremo fuori da questo casino e lo faremo. – spiegò con tranquillità - Che altro puoi dirmi sulla tua situazione?”

“Niente, sono sempre il sospettato numero uno. Il mio avvocato d’ufficio ha richiesto una nuova riesaminazione delle prove trovate a casa Dimitri, ma è tutto inutile secondo me.”

“Come mai ha chiesto di far riesaminare le prove?”

“Pare abbia scovato un trascorso che ha la polizia con un vecchio caso in cui non sono stati abbastanza professionali.”

“Caspita, per essere un’avvocato d’ufficio sa il fatto suo.”

“Si, ma non servirà a nulla!”

“Gli hai per caso detto di noi? Confidato qualcosa?”


“No, ma non manterrò il segreto a lungo.”

Nathaniel si alzò: “Ti tireremo fuori di qui, abbiamo tutto sottocontrollo.”

“Lo spero per voi!” concluse, mentre Nathaniel si allontanava.

 

*

 

Di turno al Brew, Eric scese al piano di sotto. Dopo aver finito di svuotare i manici della macchina per il caffè, vide entrare suo padre. Quello si avvicinò al bancone, sfoggiando un ampio sorriso.

“Sai, mi fa ancora effetto vederti… - fissò il suo grembiule da lavoro – Bhe, in questo modo. Ti sei assunto una responsabilità e questo mi colpisce molto.”

“E’ un modo carino per dirmi che in passato ero viziato e non sapevo cosa volesse dire cercarsi un lavoro?”

“Sì, ma senza offesa.”

“Nessuna offesa, Papà: è la verità!” esclamò, lanciando un occhiata al suo capo, che in quel momento stava parlando con un cliente.

Daniel seguì il suo sguardo, riprendendo un discorso già fatto.

“Hai detto al tuo capo che stai per trasferirti a Riverton con la tua famiglia?”

“Non ancora… – si chiuse a riccio, mentre lucidava un bicchiere – Forse domani!”

“Forse? – pensò di aver sentito male – Eric, non posso restare a Rosewood per sempre, devo tornare al mio lavoro. Ho semplicemente proluganto questo soggiorno per via di quello che è successo alla tua scuola.”

“Non posso andarmene senza sapere che cosa è successo realmente, ok? – si alterò, ma senza alzare il tono del volume - Le indagini sono ancora in corso.”

Quello non riuscì a seguirlo, trovando ridicola quella risposta: “Che cosa te ne importa di quello che è successo? Sei vivo e a maggior ragione dovresti voler fuggire da questa brutta vicenda.”

“Devo sapere cosa è successo, ho detto.”

“Sapere che cosa? E’ sicuramente stato un’incidente!”

Molto provato dalla conversazione, Eric si prese un attimo prima di riprendere parola.

“E’ vero, voglio fuggire da qui dopo quello che è accaduto, ma almeno….aspettiamo che la polizia rilasci i dettagli dell’accaduto. Ok?”

Suo padre si arrese a quel punto, più calmo: “Come vuoi, ma…non appena si saprà qualcosa, ce ne andremo con il primo aereo!” concluse, dirigendosi verso le scale.

Eric lo fermò.

“Hai più sentito il Signor Lincoln da quando sei tornato?” gli domandò a bruciapelo, mentre quello si voltava lentamente.

“Il Signor Lincoln? – trovò strana quella domanda – Perché avrei dovuto sentirlo?”

“Ehm, niente, è che ho sempre questa assurda idea in testa che ti chiami per ridarti  il tuo vecchio posto di lavoro…”

L’altro fu chiaro e cristallino su quella faccenda: “Se mai dovesse accadere, spero che sia uscita un’applicazione in grado di inoltrare uno sputo in faccia. Quell’uomo mi ha letteralmente rovinato la vita, quando poteva semplicemente licenziarmi e basta: sono dovuto arrivare fino a Riverton per rimettermi di nuovo in piedi.”

Eric si rese conto che l’aiuto ricevuto da A non sarebbe servito a nulla, così lasciò andare suo padre molto amaramente: “Scusa, non avrei dovuto dire una cosa del genere.”

Suo padre annuì per poi salire al piano di sopra.

 

*

 

Sceso in cantina per sviluppare le foto del ballo, Sam spostò il lenzuolo per entrare nella piccola camera oscura che aveva allestito lì sotto.

Sotto quella luce rossa, stava manipolando la carta all’interno delle vaschette con delle pinze. Le prime immagini stavano comparendo e Sam le pescò immediatamente, attaccandole lungo il filo, che andava da parete a parete. Una, però, la tenne in mano: ritraeva Wesam che sorrideva, mentre parlava con la persona con cui era venuto al ballo.

Il suo sorriso gli trasmise talmente tanta serenità che sorrise a sua volta. Improvvisamente, poi, il telefono sul tavolo iniziò a vibrare e Sam lo recuperò, leggendo il messaggio che aveva appena ricevuto.

 

“Sei riuscito a scattarmi almeno una foto?”

-A

 

Sam indietreggiò, spaventato. Quando si voltò per uscire dalla camera oscura, vide un’ombra dall’altra parte del lenzuolo e andò subito nel panico. Recuperò immediatamente un oggetto lì per terra, un ombrello. Con il manico puntato in avanti era pronto a difendersi, mentre l’ombra avanzava.

Il lenzuolo venne sollevato e l’ombra si rivelò essere semplicemente suo padre. Sam abbassò l’ombrello, cacciando fuori tutta l’aria dalla bocca per il sollievo.

“Oh Dio, sei solo tu…” farneticò con una mano sul petto, cercando di riprendersi.

“Chi pensavi che fossi?” replicò, molto cupo e sudato in fronte, come se fisicamente non stesse bene.

“Non lo so…un ladro, qualcuno! - si avvicinò, più calmo – Dopo l’esplosione non faccio che avere paura continuamente.”

“Sicuro che sia solo questo?” continuò con un tono pungente.

Sam alzò lo sguardo, perplesso: “Ehm, sì…”

L’altro annuì, dandogli un suggerimento: “Forse dovresti andare da Wesam e parlare con lui di queste cose. Di qualsiasi cosa: lo sai che di lui ti puoi fidare.”

“Beh, sì, ma… - iniziò a trovare strano il comportamento di suo padre – cosa c’entra la fiducia, adesso?”

“Niente, assolutamente niente. Dico solo che magari, non avendo mai sperimentato uno psicoterapeuta, non sai che puoi dirgli tutto in maniera totalmente libera e che c’è il segreto professionale.”

“So perfettamente come funziona, Papà. – replicò abbastanza infastidito – Quello che non capisco è perché ti interessa tanto.”

“Sei mio figlio, voglio solo il tuo bene: per questo mi interessa.” rispose in maniera fluida e pronta.

Sam, allora, fu più diretto: “Visto che parliamo di fiducia, perché non mi hai detto di aver parlato con Chloe?”

“Te l’ha detto lei?”

“Papà, ti ho fatto una domanda!” pretese una risposta senza troppi giri.

“Volevo solo capire perché tu e Chloe non siete più amici.”

L’altro strabuzzò gli occhi, ancora più confuso: “Sei andato da lei solo per scoprire questo? A quanto mi risulta avete parlato anche dei miei attuali gusti sessuali.”

Carter allora esplose: “Non riesco più a capirti, ok? – gli urlò, lasciandolo basito – La tua omosessualità è davvero un problema così grande per te? Tale da distruggere un’amicizia e arrivare a tagliarti una vena?”

“Stai mettendo in dubbio i miei problemi?” sussultò, fingendo che fossero davvero quelli.

“Sì, li sto mettendo in dubbio! E penso che questi problemi stiano mascherando altri problemi.” fu diretto.

A quel punto, Sam alzò la sua borsa dal pavimento, non potendone più.

“Devo andare!” e lo scavalcò, non guardandolo nemmeno negli occhi.

Carter lo seguì oltre il lenzuolo: “Stranamente scappi sempre quando si parla di questo argomento. Perché, Sam?”

Quello si fermò sulle scale, oppresso: “Non sto scappando da niente, Papà. Sto andando alla seduta, come volevi tu.”

“Sam, ascolta… - fu più calmò, mostrandosi preoccupato – Qualunque cosa tu abbia, Wesam è lì per farti stare meglio e per permetterti di sfogarti e risolvere insieme le cose.”

“Non è quello che sto già facendo?” ripetè come se fosse la milionesima volta.

“Allora perché sembra che tu stia solo peggiorando?”

“Nemmeno tu ti sei ripreso facilmente dalla morte della mamma, o sbaglio? – replicò ancora – Ognuno ha i proprio tempi per uscire da qualcosa.”

“Quella era una cosa completamente diversa!” sottolineò con lo sguardo.

“Ok, Papà. Il miei problemi sono una sciocchezza per te, ho capito.” sorrise amaramente, deluso. Fece un altro passo, riprendendo a salire.

Carter lo fermò nuovamente.

“Non vuoi sapere almeno cosa è successo alla tua scuola, prima che lo dicano i notiziari?”

Sam si fermò di colpo, deglutendo malamente prima di voltarsi.

“Che hanno scoperto?” domandò senza mostrare troppo interesse.

“C’è stata una fuga di gas, qualcuno ha completamente sfondato uno dei tubi. Quando il gas si è propagato in tutto l’edificio, è bastata una scintilla per provocare l’esplosione.”

“Ehm… - girovagò con lo sguardo, confuso per non averlo sentito menzionare di alcuna bomba – tutto qui?”

“Purtroppo non è facile risalire all’autore di quello che è accaduto, ma la polizia sta comunque indagando. Faranno alcune domande anche alla vostra ex consulente scolastica per capire se ci fosse qualcuno dalla personalità abbastanza sospetta.”

L’altro annuì: “D’accordo, va bene. Cioè, non va bene per niente: è difficile dormire sapendo che là fuori c’è qualcuno che ha quasi fatto fuori un intero istituto.”

“Le misure di sicurezza verranno aumentate nelle scuole dove andrete, quindi non c’è pericolo che questo studente o professore o chicchesia possa ritentare.”

I due si guardarono negli occhi, lasciando calare il silenzio. Ormai non sapevano più che altro dirsi.

Sam decise di spezzare quel silenzio allora: “Vado da Wesam, a stasera!” e salì, lasciando Carter in cantina e pieno di tormenti.

 

*

 

Nathaniel era in centro, che camminava lungo il marciapiede discretamente affollato. Era al telefono e continuava a lasciare messaggi alla segreteria di Edward.

“Ehi, sono io…di nuovo! Dovevamo vederci ieri sera per quell’impegno che hai preso con me, ma non mi hai più ricontattato e non rispondi né ai messaggi né alle chiamate. Appena ascolti questo messaggio, richiamami, perché stasera sarei libero.” e rimise giù il telefono, domandandosi ancora che fine avesse fatto.

Mentre stava continuando a camminare, vide Julie uscire da un edificio con in mano uno scatolone, diretta alla sua auto.

Si avvicinò, salutandola: “Ehi!”

“Ehi, ciao…” si voltò, accennando un sorriso appena lo riconobbe.

“Te ne stai andando?”

“Beh, si. – rispose, poggiando lo scatolone sul sedile posteriore della sua auto – Ormai non c’è più nulla che mi trattenga qui.”

“Tornerai al tuo vecchio appartamento? Quello che dividevi con Denna?”

Julie titubò, palesando nuovi progetti in vista: “A dir la verità, vado a vivere con Palmer. E’ stato trasferito alla Northdale  e mi ha chiesto di seguirlo.” arrossì, infine, fantasticando sul futuro di questa convivenza.

“Ouh! – esclamò sorpreso – Sono davvero molto felice per te, sembri felice.”

“Lo sono, infatti. – sorrise – E un pò è grazie a voi se sono approdata a Rosewood e l’ho conosciuto. E’ un uomo davvero fantastico.”

Improvvisamente, si rattristò: “Già, e ricordi anche come mai ti abbiamo fatta venire qui…”

Quella lo fissò a lungo, scorgendo la sua malinconia: “Nathaniel, non pensare che per me sia facile andarmene, sapendo che lì fuori c’è un mostro che vi sta rendendo la vita impossibile. Insomma, ha fatto esplodere una scuola! – rise per l’assurdo – Il vostro primo istinto sarebbbe dovuto essere quello di chiamare la polizia e raccontare ogni cosa, ma non l’avete fatto. E io non posso nemmeno aiutarvi se non vi lasciate aiutare, se non vi confidate del tutto con me e non mi dite perché avete così tanta paura di A.”

“Mi dispiace, ma è complicato.”

“Mi avete chiesto di farvi uno scontrino falso senza un perchè. Ovviamente, però, non sono così stupida da non capire che in quella data che mi avete chiesto di inserire, voi non eravate in quel locale ma altrove. E non sono nemmeno così stupida da non capire che quello era un alibi! – sottolineò – La domanda, perciò, è: dove eravate quel giorno? E perché avete bisogno di un alibi proprio dopo la notte in cui è comparso il corpo di Albert Pascali?”

Nathaniel non sapeva che rispondere, tenendo lo sguardo basso: “Io…Io non posso risponderti.”

“L’avete ucciso voi?” fu diretta.

Quello alzò lo sguardo, in una sonora risposta: “NO! Noi abbiamo mai ucciso nessuno, Julie. Te lo posso giurare. – spiegò, mentre lei lo ascoltava con attenzione - Il problema è che stiamo per essere incastrati, forse.”

“Se A vi sta incastrando, allora non posso rimanere incastrata anch’io. Non quando non ho la più pallida idea di cosa stia succedendo.”

L’altro sospirò, trovando giuste le sue parole: “Ascolta, provo a parlare con gli altri. Cercherò di convincere Rider a rivelarti tutto.”

“Io sono qui fino a domani mattina, Nathaniel. Se non vi presenterete stasera, non disturbatevi a cercarmi nuovamente.”

“E se ci presenteremo?”

“Se lo farete, resterò con voi fino alla fine. La mia sestra è una tipa che fugge, ma io no.”

“La tua sestra?” non capì.

“Denna mi chiama così. – sorrise in modo genuino, ripensando a lei - Significa sorella in Russo: è un modo carino per rimpiazzare la parola sorellastra, secondo lei.”

“Beh, farò del mio meglio. Alla fine è solo Rider che dobbiamo convincere.”

“Lo spero per voi. Conosco Rider da poco, ma so per certo che è un osso duro e che è fermo sulle sue decisioni.”

“Le cose sono diverse, stavolta. Credo che mollerà.”

Quella sospirò, notando la sua apprensione: “Beh, io tornò a caricare le cose in macchina. Devo fare ancora due viaggi.”

“D’accordo, io vado…” accennò un sorriso, riprendendo a camminare lungo quella strada.

 

*

 

 

 

La seduta era iniziata da qualche minuto. Sam e Wesam erano seduti sulle rispettive poltrone, uno di fronte all’altro. Le lancette dell’orologio erano l’unico suono che riempiva la stanza.

“Allora… - l’uomo cominciò, mentre l’altro manteneva uno sguardo basso e distratto – ti va di parlare di ciò che è accaduto?”

“Ovvero?” alzò la testa, fingendo di non saperlo per evitare l’argomento.

“Lo sai, Sam.”

“Per quanto ancora dovrò parlare del mio miracoloso ritorno alla vita? L’ho già fatto con mio padre, con i miei amici, con chiunque me l’avesse chiesto!” replicò, stufo.

“Non devi necessariamente parlare di questo, se non vuoi parlarne.” restò risoluto e professionale.

Sam esternò delle perplessità, in merito alla sua posizione: “Quello che ti dico qui dentro non lo riferisci a mio padre, vero?” fu diretto

L’altro restò abbastanza sorpreso: “Perché mi fai questa domanda?”

“Perché non rispondi?”

“No, Sam. Quello che mi dici qui dentro rimane tra me e te. – cercò di convincerlo – Perciò se vuoi parlarmi di quanto accaduto, puoi farlo. E io ti ascolterò, ok?”

Sam si passò una mano tra i capelli, molto provato. Finalmente dava un cenno di resa, girovagando con lo sguardo per trovare le parole: “Non saprei che cosa dire. – gesticolò, nervoso - O forse lo so, ma ho paura a dirlo ad alta voce.”

Vedendolo così vulnerabile e con gli occhi lucidi, Wesam si spostò con la poltrona verso di lui. La mossa lasciò Sam talmente disorientato che non si accorse che l’uomo gli aveva appena preso le mani. Abbassò lo sguardo solo quando gliele strinse, prima di risollevarlo e trovarsi i suoi occhi fissi su di lui.

“C-che stai facendo? – gli tremava la voce per l’imbarazzo - I-io non capisco…”

“Queste quattro mura non esistono, ok? Io non sono il tuo psicologo in questo momento, ma sono solo Wesam. Sono la persona che ti ha salvato la vita e che da allora sente di avere un legame con te; un legame che non mi fa dormire la notte se penso ad ogni volta in cui c’è qualcosa che non mi dici. Se penso ad ogni volta che hai paura di qualcosa e io non posso aiutarti.”

La faccia di Sam era completamente imbalsamata dal disagio che stava provando, sorpreso da ciò che stava accadendo. Con le lacrime agli occhi che cercava di trattenere a tutti i costi, deglutì amaramente.

“Ho fatto dei brutti pensieri da quando è successa quella cosa a scuola. – si passò le dita sotto agli occhi per asciugare le lacrime – Dovrei essere contento di essermi salvato e di non essere morto, ma non lo sono. - lo fissò dritto negli occhi, sofferente - Io volevo morire.”

“Perché, Sam? Perché?” volle comprendere tale desiderio, in pena per quelle parole appena ascoltate.

Ad un certo punto, Sam sorrise in maniera malinconica, mentre guardava verso la finesta: “Hai mai letto “La donna con l’impermeabile rosso “ di Richard Stuart?”

“No. Di cosa parla?” restò a fissarlo attentamente, come si osserva un cucciolo indifeso.

“Parla di una donna che fugge via da un mostro. – si incupì nel raccontare la trama - Solo che…sa che quel mostro la troverà ovunque vada. “Che razza di vita è, vivere costantemente nella paura?”, pensò lei: non è vita quella, in effetti... Allora volle farla finita e smettere di avere paura, solo che…”

“Cosa?”

“L’uomo di cui si era innamorata e che cercava di aiutarla a nascondersi dal mostro era talmente furbo da averle insinuato un dubbio: le disse che la morte come la conosceva, non esisteva. Le raccontò che si trattava di una burla per far credere a tutti che rappresenti la fine, ma non è la fine. Secondo quest’uomo, quando la nostra vita finisce, ce ne aspetta un'altra. E poi molte altre ancora. La morte è solamente un amnesia che ci permette di vivere come se fosse la prima volta.”

“Cos’altro dice questo libro?” domandò, catturato dal modo in cui riusciva ad analizzarlo.

“Che la morte è solamente un diversivo per sopportare il peso dell’eternità. L’essere umano vorrebbe vivere per sempre, ma sa cosa vuol dire vivere per sempre? E’ qualcosa che potrebbe farti impazzire se ci pensi.”

“Quindi come mai la donna non si è suicidata?”

“A lei non pesava l’eternità in sé, bensì vivere nella paura anche nelle sue vite successive. – lo guardò negli occhi nuovamente – Ed è la mia stessa paura. Mi fa pensare: “E se fossi destinato a vivere nella paura in tutte le mie future esistenze?”  Magari se supero l’ostacolo in questa vita non sarò costretto a rivivere tutto questo anche dopo, ed è quello che pensò anche lei. Volle restare per sconfiggere la sua paura.”

“Allora dimmi qual è l’ostacolo e magari posso aiutarti, Sam. Posso aiutarti a riavere una vita serena e a rendere sereno anche il resto della tua eternità.” gli strinse bene le mani, cercando di invogliarlo a fidarsi di lui.

Purtroppo, però, Sam aveva una guerra in corso dentro di sé: il cuore voleva urlare, ma la mente cercava di farlo tacere a tutti i costi.

“Vorrei davvero potertelo dire, ma… - una lacrima gli scese lungo la guancia – Io non posso. Non lo so.”

Wesam, a quel punto, approfittando della sua confusione si avvicinò con il viso, mentre l’altro restava fermo a guardarlo, consapevole di cosa stesse per fare.

Le loro labbra si incontrarono e fu Wesam a baciarlo con maggiore intensità, mentre Sam se ne stava immobile e con gli occhi chiusi. Improvvisamente, Sam si lasciò completamente andare, nonostante un attimo prima avesse come la sensazione di avere un macigno sullo stomaco. Lo prese per il viso, con entrambe le mani, i loro respiri assai rumorosi.

Ad un certo punto, però, Wesam si staccò, tenendo il viso di Sam tra le sue mani e le punte dei loro nasi che si toccavano.

“Ti ho ascoltato parlare al telefono con qualcuno l’altro giorno. Un certo Jasper.”

Al pronunciare di quel nome, Sam fece subito un balzo indietro, come se tutta quella magia fosse svanita di colpo per fare di nuovo largo alla realtà.

“Hai origliato la mia telefonata?”

Wesam cercò di recuperarlo, vedendolo già sulla difensiva: “Non ho ascoltato molto, ma ho sentito abbastanza da riuscire a fare una ricerca personale.”

“Una ricerca personale? Cioè?”

“So che questo Jasper è in galera per aver ucciso due persone. Uno di questi era un tuo amico.”

“E quindi? Dove vuoi arrivare?”

“Voglio arrivare a guadagnarmi la tua fiducia, a farti capire che di me ti puoi fidare e che puoi dirmi tutto. Ti prometto che non ti denuncerò, Sam. Non potrei anche se volessi, sono uno psicologo privato e non del servizio pubblico.”

“Non denunciarmi per cosa, anche se fosse? – sussultò, alzandosi in piedi – Wesam, non so cosa ti sia messo in testa, ma…”

Quello si alzò in piedi a sua volta, interrompendolo: “Perché parlare con l’assassino del tuo amico? Un po’ strano, non credi?”

“Io me ne vado!” esclamò, basito, marciando verso la porta.

Wesam cercò comunque di dissuaderlo: “So che non hai ucciso nessuno, Sam. Non ne saresti capace.”

Tale affermazione lo convinse a fermarsi, restando di spalle: “Allora perché sembrava che intendessi questo?”

“Perché devi ammettere che sei coinvolto in qualcosa, anche se non direttamente. E qualsiasi cosa sia, ti sta tormentando.”

Stavolta, Sam decise di essere sincero: “E’ vero: sono coinvolto in qualcosa. Non ho ucciso nessuno, ma è comunque complicato.”

“E la polizia, allora? Tuo padre? Nessuno può aiutarti?”

“No, nessuno.” rispose con la voce rotta, trattenendo le lacrime.

“Ti prego Sam, voglio aiutarti. Per me non sei solo un paziente che viene qui tre volte a settimana, ma qualcuno a cui mi sto affezionando molto nonostante non debba affezionarmici.”

“Posso andarmene per favore? – le lacrime scendevano copiose, mentre era ancora di spalle – Voglio solo andarmene.”

Wesam rimase in silenzio per qualche secondo, il volto triste perché lo sentiva singhiozzare.

“D’accordo…”

“Grazie!” esclamò, uscendo il più velocemente possibile.

Scese giù di qualche piano, poi, prima di fermarsi e scoppiare in lacrime silenziose. Non era più in grado di reggere tutte le bugie che assieme ai suoi amici aveva costruito e questo lo stava distruggendo.

 

*

 

Seduto all’esterno di una caffetteria di fronte alla piazza, Eric era seduto al tavolo ad aspettare qualcuno. Quel qualcuno finalmente si presentò ed era Sam.

Non appena arrivò, appoggiò la borsa alla spalla della sedia e si sedette.

“Scusa il ritardo e scusa se ti ho chiesto di vederci, ma avevo bisogno di parlare con qualcuno.”

“Non abbiamo già parlato stamattina? – replicò sarcasticamente – Che fine ha fatto la regola del Tutti a casa propria per non far insospettire la polizia?”

“Beh, magari è più sospettoso non vedersi affatto che vedersi. Forse l’ho vista dalla prospettiva sbagliata, stiamo andando nel pallone.” sospirò, chiudendo gli occhi e massaggiandosi la fronte.

“Ehi, va tutto bene? – si preoccupò, tornando serio – Il tuo tono di voce è sceso fin sotto il tavolo.”

“Nathaniel mi ha baciato la sera dell’esplosione. E oggi mi ha baciato anche il mio psicologo. – rivelò a bruciapelo, mentre un’auto civetta della polizia stava passando davanti alla caffetteria in quel momento - E io sto per avere una crisi isterica se vedo un altro poliziotto girare per Rosewood!”

Intanto, Eric, era ancora fermo alle rivelazioni precedenti e aveva a dir poco gli occhi sgranati.

“…Ah, ok, e sei andato anche ad un brunch con la famiglia Obama nell’ultima settimana?”

Sam si sentiva già abbastanza incasinato per sopportare quel commento ironico misto a incredulità: “Eric, per favore!”

“Per questo non vuoi incontrare Nathaniel? Perché si è finalmente dichiarato a te?”

“Non si è dichiarato, mi ha semplicemente usato!”

“Usato? Cioè?”


“Quando mi sono messo in testa di voler andare ad avvisare Rider della bomba, lui voleva che uscissimo immediatamente. Ad un tratto, però, mi ha baciato, pensando che quel gesto mi avrebbe fatto cambiare idea. Che sarebbe servito a seguirlo come un barboncino.”

“E poi?”

“E poi li ho tirato uno schiaffo e me ne sono andato!”

Quello fece una faccia sorpresa: “Uao, è che mi dici del tuo psicologo?”

Sam deglutì faticosamente, non sapendo da dove iniziare: “Beh, lui ha capito che nascondo qualcosa…”

L’altro si sistemò meglio sulla sedia, confuso: “Capito? Capito che cosa?”

“Quando Jasper mi chiamò dal carcere ero da Wesam. Sono uscito dal suo studio per rispondere e lui ha origliato tutto.”

“Quindi Wesam ha sentito che parlavi con Jasper e…”

“Ha indagato, esatto! – confermò ciò che stava pensando – Non riuscendo a darsi una spiegazione su come mai ero al telefono con un assassino, crede che io sia invischiato in questa storia.”

“Oh mio Dio, pensa che siamo complici di quell’omicidio? – sussultò nervosamente – Allora la polizia lo sa, Wesam ha parlato con loro quella sera. ”

“No no, voi non c’entrate nulla. – lo tranquillizzò – Sospetta solo di me, ma non pensa che io abbia ucciso qualcuno. Credo che tenga davvero molto a me e che mi voglia realmente aiutare.”

“E se lavorasse per la polizia? Nathaniel ha ragione: è sempre ovunque.”

“Mi ci ha mandato mio padre da Wesam: perché avrebbe dovuto gettarmi nella fossa dei leoni?”

L’altro cercò di calmarsi, guardandosi attorno, leggermente paranoico: “Non lo so, vedo complotti ovunque da quando A ha alzato la posta in gioco. – sorseggiò il suo bicchiere d’acqua – Non devi più parlare con Wesam, smetti di andarci!”

“Scherzi? Ogni volta che manca un’ora alla mia seduta settimanale, mio padre spunta alle mie spalle come Slenderman!”

“Allora smetti sprizzare colpevolezza da tutti i pori quando vai da Wesam. E’ uno psicologo ed è come un detective: capisce ogni cosa!”

Afferrò il consiglio, cambiando argomento: “A proposito, mio padre mi ha spifferato qualcosa sull’indagine all’esplosione.”

“Oh no, significa che presto lo daranno al notiziario e io dovrò andarmene da Rosewood.” sbiancò, riprensando all’ultimatum lanciato da suo padre e anche a quello di A.

“Smettila, Eric. A non può sdoppiarsi in due e perseguitare te e noi, muovendosi fra due stati, seduto a sorseggiare un cosmopolitan in prima classe.”

“E che ne sai? – quasi gli urlò – Può torturare una settimana voi e una settimana me, o un mese voi e un mese me. Insomma: la vita è lunga, no?”

“Oppure ti calmi e mi ascolti mentre ti dico che l’esplosione è stata causata da una banale fuga di gas. Nessuna bomba!”

Eric restò a bocca aperta, dimenticandosi dei suoi problemi: “COSA? Significa che A ci ha presi in giro?”

“Non ci ha presi in giro, la scuola è esplosa comunque. Dico solo che dovremmo iniziare a domandarci perché A ha sentito il bisogno di agire così.”

“Beh, mi sembra evidente: A ha capito che il suo covo era ormai compromesso e per non scoprire di più ha deciso di far esplodere tutto.”

“Dici? – non ne era convinto – Perché far esplodere un edificio allora, quando poteva semplicemente svuotare la panic room?”

“Non saprei, non sono dentro la sua mente malata.” ribattè, mentre finiva il caffè.

Improvvisamente, Sam notò qualcuno in lontananza, stringendo il braccio di Eric.

“Oh mio Dio...”

“Che succede? – gli chiese, seguendo poi il suo sguardo – Chi stai guardando?”

“Vedi il ragazzo che sta scendendo le gradinate della piazza? Quello con il cappotto grigio e la tracolla marrone, molto elegante.”

“Ah, ok, l’ho individuato. Quindi?”

“E’ Quentin!”

“Ehm, il Quentin che conosce lo sporco segreto dell’ex capo di mio padre? Il segreto numero 39 di Rosewood-riservato?”

“Il Quentin che ha avuto a che fare con Anthony, se vogliamo dirla meglio!” sottolineò con uno sguardo e le soppracciglia sollevate.

Sam si alzò dalla sedia, continuando a fissare Quentin. Eric si alzò a sua volta, prima che l’amico facesse qualche altra mossa.

“Ehi, aspetta un secondo, Quentin probabilmente non sa nulla di Rosewood-riservato e nemmeno ciò che Anthony ci faceva.”

“Beh, non possiamo saperlo. Cameron ha detto a Nathaniel di aver dato dei soldi ad Anthony per un progetto: magari ogni persona che ha avuto a che fare con Anthony possiede un piccolo pezzo del puzzle.”

“E come approcciamo? Devo fingere di essere gay?” fece una faccia preoccupata.

“NO! – sussultò, storpiando il viso in una smorfia – Sono semplicemente passato da una vita ordinaria ad una da cronaca nera, non ho mica cambiato faccia. Si ricorderà sicuramente di me, voglio solo salutarlo e poi… - gli fece un’occhiolino prima di partire all’azione – Beh, da cosa nasce cosa!”

Eric roteò gli occhi, sbuffando, poi si mosse assieme a lui. Improvvisamente, però, dovette fermarsi: qualcuno lo stava chiamando al telefono.

Sam, che non si accorse di avere più Eric alle spalle, continuò a camminare, raggiungendo Quentin, appena salito sul marciapiedi.

“Ehi, Quentin! – lo chiamò alle spalle, facendolo voltare – Ehi, ciao…” si avvicinò con il fiatone.

Quello lo squadrò dalla testa ai piedi, assai serio, senza proferire parola, come se aspettasse che aggiungesse altro per poterlo fare.

“Ti ricordi di me? – gli sorrise, imbarazzato – Sono Sam, siamo usciti insieme una volta.”

“Mi ricordo benissimo!” esclamò con enfasi, nonché con acidità.

Sam iniziava a percepire qualcosa di strano nell’espressione del suo volto: “Ah, ok, e come stai? – rise nervosamente – Io frequento ancora il liceo, sfortunatamente per me. Non vedo l’ora di potermi diplomare!”

“Spero tu riesca ad ottenere buoni voti in tutte le materia, ma sicuramente quelli come te riusciranno ad ottenere tutto dalla vita. – replicò con un finto sorriso , per poi assumere un volto avvelenato e pieno di sdegno - Insomma: chi inganna le persone va’ forte nel mondo, non credi? E’ solo la gente onesta a soccombere, ma per fortuna alcuni di noi riescono a riprendersi da quelli come te e il tuo amico.”

A quel punto, Sam si arrese: “Ok, so già perché provi tutto questo odio nei miei confronti. Voglio solo chiederti scusa e dirti che io non sono così.”

“Non sei così? E allora cosa sei?”

La domanda lo mise talmente a disagio da non riuscire nemmeno a trovare le parole: “I-io…”

“Te lo dico io! – prese in pugno la discussione con aggressività – Mi hai venduto al tuo amico, quando io mi ero aperto con te come non avevo fatto con nessuno in vita mia. Ti ho raccontato ogni cosa di me, come hai potuto farmi questo? Magari non sei neanche gay e hai finto per fargli un favore.”

“No no, lo sono davvero. – fu dispiaciuto, il volto sofferente e pestato da quelle dure parole – E ti chiedo scusa per averti tradito. All’epoca non conoscevo Anthony, non pensavo che… - riflettè, non conoscendo i reali motivi – Beh, non so se ti ha ricattato o fatto qualcos’altro in verità.”

Quentin restò impassibile: “Quindi vuoi farmi credere che non c’eri anche tu dietro ai messaggini di A?”

“Messaggini di A? – assunse una smorfia confusa – Di che cosa stai parlando?”

“E’ così che mi avete contattato prima di lasciarmi in pace, o hai forse perso la memoria?”

Sam si mise una mano sul petto: “Quentin, giuro che non so nulla a proposito di tutto questo. Se magari mi spiegassi meglio…”

Dovette fermarsi bruscamente, però, perché davanti alla tipografia in cui si trovavano, ne uscì un ragazzo, insospettito dai toni alti.

“Quentin, che sta succedendo? – sembrava conoscerlo, avvicinandosi accanto a lui – La tua voce si sentiva fin dentro…”

“E’ A!” gli spiegò Quentin.

Bastò quella lettera a far diventare aggressivo anche l’altro ragazzo appena giunto.

“Sta lontano dal mio ragazzo, ok?” gli puntò il dito contro, quasi come se fosse pronto a mettergli le mani addosso.

Sam indietreggiò leggermente, cercando di giustificarsi: “C’è un malinteso, io non so nulla di questi messaggi. Era solo Anthony, mi ha usato!”

“Hai una vaga idea di quanto tempo Quentin abbia vissuto nella paura per colpa vostra? Di essere tenuto in pugno e dover fare qualcosa in cambio da un momento all’altro? – gliene disse quattro, mentre Quentin lo tratteneva per quanto fosse irrequieto sull’argomento – Oggi Quentin vive una vita serena con me. Ci amiamo e non ha più paura di gente come voi. Anzi, di gente come te, visto che il tuo amico non c’è più.”

“So com’è vivere nella paura, credimi. – aveva quasi le lacrime agli occhi – E vi chiedo scusa dal profondo del mio cuore.”

“Devi andartene, hai capito? – alzò la voce, aizzando nuovamente il dito contro di lui – Non ti permetterò di rovinargli ancora la vita.”

Quello indietreggiò spaventato, non sapendo cosa aggiungere per calmare i loro animi.

Eric, intanto, lontano e voltato dall’altra parte, era al telefono con Alexis.

“Che vuol dire che sei andata a casa mia per parlare con mio padre?” assunse un’espressione confusa.

“Mi hai scritto tu di andare da lui, hai per caso sbattuto la testa?”

Quello finse di sapere di cosa stesse parlando: “Ah, ok, e cosa ti ha detto mio padre?”

“Beh, inizialmente non sapeva cosa rispondere. Io gli ho spiegato che i tuoi amici sono importanti per te e che vuoi finire la scuola con persone che già conosci e non dover ricominciare tutto da capo al quarto anno, perciò…ce l’ho fatta!”

Purtroppo, però, Eric faceva ancora fatica a capire: “Quindi rimango a Rosewood?”

“Sì, mi trasferisco domani nel tuo appartamento. Sono la tua specie di tutrice maggiorenne ora, come volevi tu.”

Quello sgranò gli occhi, fingendo entusiasmo per mascherare la sua più totale incredulità: “Accidenti, evviva!”

“Ora che ti ho fatto questo favore, devi farmene uno anche tu.”

“Ovvero?”

“Passo stasera al Brew e ti racconto meglio, ok?”

“Ehm, va bene!” esclamò, ancora disorientato.

Chiusa la chiamata, giunse un messaggio che si aspettava di ricevere.

“Pensavo che ce l’avresti fatta con quel mio piccolo aiutino, ma evidentemente non ti ho ancora allenato bene a spingerti fino al limite. Per il momento, ringraziami: vivrai qui a Rosewood ancora per molto tempo, si spera.”

-A

 

“Bastardo…” sussurrò.

Subito dopo, sentì delle urla alle sue spalle.

“Fermo, Greg, non ne vale la pena!”

Erano le urla di Quentin e quelle bastarono a far voltare Eric, che vide Sam spintonato a terra dal ragazzo che portava quel nome.

Immediatamente corse da loro.

“Ehi ehi, ma che succede? – esordì, mettendosi davanti a Sam, ancora seduto a terra – Datti una calmata, amico!”

“E tu saresti il suo ragazzo? – lo fissò da capo a piedi con arroganza – Farete meglio a starci lontani o sistemo anche te.”

Eric restò lì, muso a muso, a fissarlo per nulla intimidito, finchè non se ne andarono. Quando Greg smise di fulminarlo con lo sguardo, anche da lontano, Eric si girò a dare una mano a Sam.

“Stai bene?”

Finalmente si risollevò, ma assai avvilito: “No, ma me lo sono meritato. Anthony deve averlo tormentato per molto tempo per arrivare ad una reazione come questa. Ed è tutta colpa mia.” si sentì in colpa, lo sguardo perso nel vuoto.

“Ehi, siamo stati tutti ingenui con Anthony, ok?– cercò di recuperarlo con lo sguardo – Abbiamo fatto del male a molte persone, ma non siamo malvagi. Siamo vittime come loro, se non peggio. ”

“Puoi dire lo stesso, se ti dicessi che A esiste da prima che tormentasse noi?”

Inquietato, Eric cercò di capire: “Che vuoi dire?”

“Quentin ha parlato di A. E l’ha fatto quasi con la stessa faccia di quando ne parliamo noi.”

“Ma non ha senso, A esiste dal momento esatto in cui abbiamo investito Albert. Cosa c’entra Quentin?”

“Infatti la prima A era Anthony, è iniziato tutto con lui. Quentin ha detto che riceveva dei messaggi da A; probabilmente da quando ho passato quelle informazioni ad Anthony su di lui. Era convinto che dietro a tutto ciò ci fossimo entrambi.”

“Tu non eri di certo, ma come faceva a sapere che fosse Anthony?”

“E’ questo il punto! – pensò, focalizzandosi su quello – Dopo i messaggi deve averlo incontrato e poi è successo qualcosa.”

Eric iniziò a collegare i pezzi della storia: “La nostra A ci perseguita anche per un secondo crimine, di cui pensa che uno di noi sia il complice.”

“Fantastico, se A stava origliando, ora penserà che sono io. In ogni caso, dobbiamo parlare di nuovo con Quentin per sapere se ha davvero incontrato Anthony.”

“Possibilmente senza la presenza del suo muscoloso ragazzo.” sottolineò, facendogli capire che per un attimo ha avuto paura di lui.

Sam ora buttò lo sguardo in basso, pensieroso: “E’ tutto molto strano…”

“Cosa è strano?”

“E’ una cosa che non vi ho detto, non ne ero sicuro; tutt’ora non ne sono sicuro. Quando sono entrato nella panic room, la prima volta, c’erano tante foto nostre appese alla parete. Mentre le guardavo, in alto ce n’era una in cui mi è quasi sembrato di vedere Anthony.”

“E allora? Forse A l’ha messa lì come simbolo di odio.”

“Non era una foto fatta prima della morte di Anthony. Credo fosse lui all’interno della panic room.”

L’altro sbigottì: “Cosa??? Mi stai dicendo che Anthony forse è vivo e tu non hai preso la foto che poteva confermare i tuoi sospetti?”

Sam si stava torturando le dita: “Ad un certo punto ho visto la foto di me e Nathaniel al penitenziario e mi sono distratto, poi Rider mi ha chiamato e l’ho completamente rimosso.”

Eric iniziò a fare avanti e indietro, nervoso: “Ok, se Anthony fosse vivo, perché dovrebbe essere A?”

“Non l’ho mai detto.”

“Ma lo pensi!”

Quello esitò per qualche istante, per poi capire che anche lui aveva qualche dubbio: “Beh, se Anthony fosse vivo e fosse A, direi che sta giocando come ha sempre fatto, in una versione decisamente molto malata di se stesso, cercando di scaricarci addosso l’omicidio di Albert.”

“Ok, stesso pensiero. Niente di buono. - iniziò a grattarsi il capo, nervosamente – Che facciamo? Dobbiamo avvertire anche gli altri di questa scoperta?”

“Che non sospettiamo più di Brakner, ma di Anthony?  – rise per un secondo – E’ assurdo anche solo dirlo a voce alta.”

“Lo so, ma a questo punto mi sembra surreale che qualcuno che non sia Anthony possa aver iniziato questo gioco malato contro di noi. Se è vivo, dev’essere lui a farci questo. Probabilmente non vedo l’ora di incastrarci per fuggire da Rosewood con la sua nuova identità.”

“Parliamone con gli altri, poi decideremo cosa fare per non restare incastrarti con la polizia.” suggerì, mentre si incamminavano verso l’auto.

“Io devo passare un attimo da Alexis, magari ci vediamo dopo.”

“Anch’io ho un impegno, devo portare delle torte alla casa di riposo dove lavorava mia madre. Lo faccio due volte a settimana, perciò…”

“D’accordo, ci messaggiamo!” esclamò, mentre aprivano le portiere.

 

*

 

Più tardi, Nathaniel si presentò alla porta di casa di Rider. Dopo aver suonato, fu Lindsey ad aprire la porta.

“Ah, sei tu… - mostrò un espressione delusa -  Cerchi Rider, vero?”

“Ehm, sì…Chi altri, se no?”

Quello si accomodò, mentre lei gli rispondeva.

“Beh, magari Tasha!”

“Tua cugina, intendi?”

“Non fa che parlare di te. – arrivarono davanti alle scale - E pensare che è quasi morta e nemmeno se lo ricorda.”

“A dir la verità ho già chiarito la mia situazione con Tasha. Dille di trovare qualcun altro da cui essere ossessionata.” le sorrise, pronto a salire.

“Oh, andiamo… – non se la bevette – Tu non sei gay, Nathaniel. Per qualche strano motivo fingi di esserlo, ma non lo sei… - lo fissò, non comprendendo tutto ciò - Mio fratello e voi tre siete davvero un gruppo di tipi strani.”

Nathaniel si voltò, utilizzando un tono abbastanza pungente: “Beh, non siamo i soli ad avere delle stranezze. Non credi?”

Quella, intimidita dal suo sguardo che conosceva tutti i suoi segreti, decise di allontanarsi abbastanza infastidita: “Come ti pare!”

Lui continuò a salire, ma dovette fermarsi nuovamente quando sentì qualcosa vibrare contro una superficie. Lentamente si voltò e vide che c’era un telefono poggiato su uno dei mobili, vicino all’ingresso.

Scese rapidamente, controllando se Lindsey fosse nei paraggi, e lo prese tra le mani.

Più tardi, piombò nella stanza di Rider molto distratto, pronto a raccontargli cosa aveva visto nel telefono.

“Sapevi che quella stupida app creata dal cugino di Violet è già… - si voltò finalmente a guardare Rider, dopo aver chiuso la porta, restando di stucco – virale…”

Ciò che lo lasciò senza parole era Rider in boxer che faceva le flessioni a terra. La stanza era abbastanza in disordine: un piatto sul letto con dentro gli avanzi di un panino, un libro accanto e indumenti sparsi qua e là.

“Oh, ciao Nathaniel!” gli sorrise, risollevandosi tutto sudato.

“Ma che sta succedendo qui dentro?” strinse gli occhi, confuso.

L’altro finse di non capire, mentre sorseggiava acqua da una bottiglietta: “Di che stai parlando?”

“Di te che fai le flessioni e della tua stanza che potrebbe benissimo finire in un episodio di Sepolti in casa!”

“Ho provato qualche vestito e non ho rimesso a posto, tutto qui.”

“E le briciole di pane sul tuo letto? Tu detersti le briciole, una volta mi hai fatto mangiare un biscotto con la testa fuori dalla finestra.” continuò, cercando di sottolineare che c’era qualcosa di insolito.

“Beh, ho deciso di fare uno strappo alla regola stavolta.” disse con nonchalance.

Nathaniel strinse gli occhi ancora di più, lasciando perdere: “Ok, dev’essere una sorta di crisi di mezza età anticipata dal trauma che ci ha lasciato la sera del ballo, perciò passiamo alla scoperta che ho appena fatto: tua sorella chatta con quella app che ha creato il cugino di Violet.”

Rider si stava annusando le ascelle, distratto: “E quindi?”

“Beh, ha scritto a qualcuno che sarebbe uscita in dieci minuti. – scrollò le spalle, sospettoso - Da quando tua sorella usa una stupida app scolastica per darsi appuntamento con le persone?”

“Hai visto con chi stava conversando?” si rivestì nel mentre.

“Il suo avatar era seduto ad una delle panchine del cortile e la persona con cui stava parlando non c’era già più: dev’essersi scollegata.”

“E non si può risalire a questa persona?”

“No, mostra solo l’ultimo messaggio mandato.”

“Ma tutto ciò non mi sembra sospetto, non starai esagerando?”

“E se tra dieci minuti si vedesse con Brakner?”

“Dici?” si mostrò poco collaborativo.

“Dentro Second Rosewood  puoi essere chiunque: è il luogo perfetto per avvicinarsi ad una studentessa senza che nessuno capisca che sei il suo Professore!”

“Quindi per te A è ancora Brakner, che muove le fila di questo gioco nell’ombra, all’interno di una app?”

“Finchè non ho maggiori sospetti verso qualcun altro, direi di sì. Tu?”

“Ehm, stessa cosa!” esclamò rapidamente, quasi indifferente, sedendosi sul letto.

Nathaniel, spostando il libro che c’era sul letto  e che Rider fissò con particolare timore nello sguardo, quando lo prese in mano, si sedette accanto a lui.

“Ascolta, sono venuto a parlarti a proposito di Julie. Sta per lasciare Rosewood e andare a vivere con Palmer, ma…se le diamo un valido motivo per restare, allora resterà.”

“E quale sarebbe questo valido motivo?”

“Raccontarle tutto!”

Rider si alzò, avvicinandosi alla scrivania, dando le spalle: “No, non se parla. Non possiamo.”

“Ah, beh, vedo che sei tornato te stesso adesso!” replicò seccato.

Il volto di Rider, in quel momento, accenno quasi un sorriso, come se cercasse di essere convincente: “Non ne voglio più discutere. Quando dico no, è no!”

“E’ l’unica persona che fino ad ora ci ha aiutati e che sa quasi tutto. E poi Julie e sua sorella hanno un passato che potrebbe farle finire dietro le sbarre, chi può capirci meglio di lei?”

“Quindi se le diciamo la verità, lei resterà e poi che altro?”

“Può fare molte cose con le sue capacità. E in un momento come questo in cui la polizia potrebbe prenderci di mira, può aiutarci a farla franca con filmati della sicurezza, intercettazioni telefoniche o altri problemi come questi. Ci ha già aiutati con lo scontrino falso e ha reso possibile il nostro alibi.” gli diede più motivazioni possibili.

“D’accordo, va bene!” esclamò di colpo, senza riflettere, lasciandolo sorpreso.

“Aspetta, sul serio?”

Si voltò: “Sì, va bene. Andiamo da Julie e confessiamo tutto.”

Nathaniel ne era ancora incredulo: “Ma un attimo fa…”

“Hai ragione, ci serve una mano. Quel detective mi è sembrato abbastanza determinato a scoprire la verità e ci riuscirà se non abbiamo qualcuno come Julie dalla nostra parte.”

L’altro tirò un sospiro di sollievo, sorridendo: “Finalmente ti è tornato il buonsenso.”

“Meglio tardi che mai!” esclamò con un sorrisino sarcastico.

Ad un certo punto, poi, Nathaniel si girò a guardare il libro che aveva scansato. Curioso, lesse il titolo.

La donna con l’impermeabile rosso… - si voltò verso Rider, che impallidì - Sembra interessante!”

Quello si avvicinò di scatto e glielo tolse dalle mani, nervoso: “Beh, non è poi così interessante!”

“E’ solo un libro, Rider, rilassati!” sorrise alla sua strana reazione.

“Scusa, è che l’ho preso dalla libreria di mio padre. Se trova anche una sola pagina piegata gli si rizzano i peli come un gatto.”

“Ma se fino a poco fa era buttato qui assieme ai tuoi calzini sporchi e gli avanzi del tuo panino.” continuò, ironico e anche perplesso.

“I calzini e le briciole non hanno le dita, ok? Vado a rimetterlo al suo posto!”

Nathaniel allora si alzò, pronto a togliere il disturbo.

“Senti, ci vediamo stasera per andare da Julie. Io passo a casa del francese, non mi risponde al telefono da stamattina.”

Quello annui, cercando di velocizzare i saluti: “Certo certo, il francese. Allora io seguirò Lindsey per ingannare il tempo.”

“Ok… - restò a fissarlo per qualche secondo, stranito dal suo comportamento insolito – Beh, io vado!” indicò la porta, dirigendosi verso di essa.

“A dopo!” gli sorrise quello.

Quando la porta si chiuse, Rider smise di sorridere. Il suo volto assunse una smorfia seccata, quasi disgustata. Il telefono iniziò a squillare.

“Che vuoi?” rispose, sapendo già di chi si trattava: fu ancora più scocciato.

[…]

“Grazie per il libro, ma non posso imparare tutto a memoria nel giro di poche ore.”

[…]

“Pff, figurati, non hanno idea di chi tu sia. Pensano che A sia Brakner e invece sono totalmente fuori strada, dico bene?”

[…]

“Sto facendo del mio meglio, non è facile fingere di essere qualcun altro.”

[…]

“D’accordo, mi tengo pronto per stasera. Tu, però, devi promettermi che avrò il tempo necessario per ottenere ciò che voglio e che Rider dovrà rimanere lì fino a quel momento.”

[…]

Il ragazzo sorrise: “Bene, allora torno a studiare.” e chiuse la chiamata.

Subito dopo, si diresse verso il letto e prese in mano quel libro. Quando lo aprì, dentro c’erano degli appunti scritti a mano e non il romanzo di Richard Stuart: si trattava di informazioni riguardanti il gruppo dei quattro ragazzi, delle persone a cui erano collegati e di tutto ciò che era successo dalla morte di Albert.

Sulla pagina su cui mise gli occhi, c’era un appunto riguardante Nathaniel.

 

-      Recentemente ha fatto delle analisi e ha scoperto che gli ho fatto assumere delle pillole per il cambio di sesso. Suo cugino Tyler lavora in ospedale, sua zia Courtney l’ha accompagnato.

 

*

 

In centro, Lindsey era appena entrata in un locale. Ferma all’ingresso, scrutò i vari tavoli per individuare la persona con cui aveva appuntamento.

Quando finalmente la trovò, la raggiunse al tavolo e si tolse gli occhiali da sole: era Chloe la persona che la stava aspettando.

“Ti aspetto già da un quarto d’ora, che fine hai fatto?”

L’altra appese la borsa alla spalla della sedia e si sedette, seccata: “Scusa, ho avuto un contrattempo.”

“Colpa del ragazzo più grande con cui ti frequenti? – fu invadente - E’ sempre lo stesso di quella notte?”

“Non sono affari tuoi, siamo qui per parlare di altro.” le lanciò un’occhiata che non cercava troppa confidenza.

“Tranquilla, non ho detto niente alla polizia. Come avrei potuto dire di averti  vista dentro quella macchina con Albert se ho raccontato di essere rimasta a casa a guardare telefilm?”

“Io non so nemmeno se ho fatto bene a mentire. – si mostrò preoccupata – E se lo scoprissero? Cosa penserebbero?”

Chloe fu sarcastica: “Che magari Albert l’avete ucciso tu e il tuo ragazzo?”

“Non scherzare, sai perfettamente che mi sono incontrata con lui per ricattare Anthony e fargli sapere che avevamo quel video.”

“Ma se Albert è morto, allora chi ha caricato quel video online?” pensò a quel punto, dubbiosa.

“E se fossero stati i ragazzi?” ipotizzò, mentre il viso le si impallidiva.

“Perché avrebbero dovuto farlo?”

“Non so tu, ma sono settimane che mio fratello è strano, per non dire stranissimo.”

Chloe ci riflettè su: “Beh, anche Sam è diventato strano. Non siamo più legati come prima da quando…”

“Albert è scomparso?” suggerì l’altra.

Le due si guardarono, atterrite. Chloe trovò il coraggio di dare voce a ciò che entrambe stavano pensando.

“Pensi che l’abbiano ucciso loro?”

“Aspetta, tu sai se fossero in giro quella notte? Quando sono tornata a casa, Rider non c’era.”

“Io sono uscita per seguire Sam, ma l’ho perso di vista.”

“Quindi erano tutti fuori… - pensò Lindsey, insospettita – Dev’essere successo qualcosa tra Albert, i ragazzi e Anthony. Forse hanno scoperto che aveva il video.”

“Lo penso anch’io, ma…  - si preoccupò - A questo punto ci siamo dentro anche noi, abbiamo mentito alla polizia sui nostri alibi. Esattamente come hanno fatto Sam e Rider.”

“Sì, ma non credo che la polizia sospetti qualcosa.”

A quel punto, Chloe pensò di confidarle una cosa: “Ascolta, non voglio spaventarti, ma una volta ero in macchina con Sam e ha ricevuto un messaggio da qualcuno che si firmava A. Gli chiedeva di guardare il notiziario.”

Lindsey sgranò gli occhi: “Oh mio Dio… - ricordò un dettaglio – La sera prima del ballo qualcuno ha lasciato fuori da casa mia una busta con dentro un vestitino da neonato. Si congratulava per la mia gravidanza ed era firmato da A.”

“Aspetta un secondo… - sbigottì – Sei incinta?”

“NO! – ci tenè a sottolinearlo – Era solo una frecciatina contro la mia relazione, questa A conosce il mio segreto.”

“Ma si può sapere chi è questo ragazzo più grande? Perché ci tieni così tanto a nasconderlo?”

Quella abbassò lo sguardo, tirando un grosso sospiro poco prima di rispondere: “E’ il professor Brakner la persona con cui mi frequento…”

“OH – MIO –DIO! – sgranò gli occhi, scioccata – Stai con un insegnante???” quasi urlò.

“Vuoi chiudere quella bocca?  – la zittì, guardandosi attorno – Non farmi già pentire di avertelo detto!”

Quella si ricompose: “Ok, ammetto che è molto affascinante, ma…  - lo trovò comunque pericoloso – Lindsey, è troppo grande!”

“Lo amo, ok? – mise in chiaro, sicura di ciò che provava - Ed è per questo che lo sto proteggendo. Hai idea dei guai che passerebbe se la polizia scoprisse che quella notte era in macchina con due minorenni? Anche se non ha ucciso Albert, verrebbe comunque arrestato.”

Chloe fu comprensiva: “D’accordo, non ti giudico. Avrei fatto la stessa cosa, probabilmente… - decise poi di tornare al discorso precedente – Senti, quel pomeriggio ho visto il notiziario che A ha chiesto a Sam di vedere. Parlava dell’omicidio di Anthony e dell’arresto del suo assassino: Jasper Laughlin!”

“Perché A voleva che guardasse quel notiziario?”

“E se A fosse qualcuno che ha assistito a ciò che è successo?”

“Credi che voglia incastrare mio fratello e i suoi amici?”

“Forse erano tutti insieme quella notte: loro, Anthony, Albert e questo Jasper.”

“Ma non gli hanno uccisi loro Anthony e Albert, giusto? – non ci voleva credere - E’ stato questo Jasper, no?”

“Non ne ho idea, ma il corpo di Albert non l’hanno lasciato loro su quella strada...”

Lindsey sgranò nuovamente gli occhi: “E’ stato A!”

Le due si guardarono: molto confuse e molto spaventate.

“Hai idea di chi possa essere? – le chiese Chloe – Vivi con Rider, l’avrai pur sentito parlare di questo almeno una volta.”

Quella scosse la testa: “Mi dispiace, non ho idea di chi sia. So solo che mio fratello si comporta in maniera strana e ora tutto ha un senso.”

“Dobbiamo andare a fondo di questa storia. Anche noi due eravamo fuori quella notte e rischiamo di essere incastrate anche noi, ora che la polizia sta indagando sul serio. Abbiamo già mentito, sembreremo colpevoli quanto i veri responsabili.”

L’altra annuì, nervosa: “ Va bene, cercherò di scoprire qualcosa.”

Entrambe abbassarono lo sguardo, precipitando ognuna nei propri pensieri.

 

*

 

Dopo aver lasciato la casa di Rider, però, Nathaniel non andò direttamente dal francese. Bensì, da Sam.

Quando parcheggiò, lo vide che stava salendo le gradinate del portico. Scese immediatamente dalla macchina e lo raggiunse.

“Ehi, Sam!” lo chiamò, facendolo voltare.

L’altro si guardò attorno, confuso, le chiavi di casa fra le mani: “Che ci fai qui? E’ successo qualcosa?”

“Tuo padre è in casa?”

“No, è in centrale a quest’ora.” rispose, turbato dalla sua presenza.

“Bene, entriamo in casa. Fa presto!” gli intimò, mentre quello apriva, fissandolo di tanto in tanto, ansioso.

Una volta dentro, con la porta chiusa, Nathaniel spiegò il motivo della sua visita.

“Stamattina ho fatto visita a Jasper e c’era anche tuo padre.”

Sam granò gli occhi: “Oh Dio, che ci faceva lì?”

“Sa che siamo andati a fargli visita la volta scorsa, ma la cosa peggiore è che pensa che tu sia complice di Jasper nell’omicidio di Anthony e suo padre.”

“M-ma… - abbassò lo sguardo, scioccato – Come è arrivato a questa conclusione?”

“Non lo so, dimmelo tu.”

Quello allora si voltò di spalle, appoggiandosi alla porta. Fu in quel momento che capì: “Wesam…”

“Wesam?” ripetè Nathaniel, pensando di aver sentito male.

“Alla seduta di oggi, Wesam mi ha raccontato di avermi sentito al telefono con Jasper. – si voltò a spiegare - Sospetta che sia complice dell’omicidio, ma non in maniera diretta.”

L’altro rimase basito, passandosi velocemente una mano sui capelli: “Ok, questo vuol dire che Wesam l’ha detto a tuo padre e che…”

Sam chiuse gli occhi, mettendosi le mani in testa, setendosi stupido: “Eric pensa che lavori per mio padre e a questo punto lo penso anch’io. – gli riaprì, gonfi di lacrime – Ogni seduta era per scoprire qualcosa su di me, su ciò che nascondevo: era tutta una bugia.” tuttavia, quelle di Sam, erano lacrime amare non solo per essere stato ingannato, ma anche per essere stato baciato da qualcuno che lo stava solamente usando: di nuovo.

“Sam, non lo sapevi. – cercò di non appesantire il suo senso di colpa, in pena per lui – Tuo padre è un poliziotto, non è come i nostri genitori. Io, Eric e Rider siamo riusciti ad ingannarli per bene in queste settimane, ma tuo padre ha capito che c’era qualcosa che non andava in te.

“E adesso che faccio? – domandò con la voce rotta - Ora si spiega come mai è così nervoso e pallido. – scoppiò in un pianto sofferente - Pensa che io sia un assassino, Nat.”

L’altro subito lo abbracciò.

“Devi continuare ad andare da Wesam o sembrerai ancora più sospetto. Devi guadagnare tempo, finchè non tiriamo Jasper fuori di prigione e capiranno entrambi che non c’entri nulla.”

“D’accordo. – annuì, pulendosi le lacrime – Allora va’ da quel francese e risolviamo questa storia. Se il detective Costa dovesse vedere mio padre così preoccupato, capirebbe che c’è qualcosa sotto e saremo ancora di più nel mirino della polizia.”

“Hai già detto a qualcuno di Wesam?”

“Solo Eric, ci siamo visti per un caffè. Abbiamo anche incontrato Quentin, ma ti aggiorno più tardi al telefono. Ora trova quel francese, l’udienza di Jasper è alle porte.”

Nathaniel aprì la porta: “Ok, ma credo sia meglio tenere Eric e Rider allo scuro su tuo padre. Non vorrei che si allarmassero troppo, dobbiamo sembrare il più calmi possibili.”

I due si scambiarono un ultimo sguardo, che mise entrambi a disagio. Il bacio scattato tra i due durante la sera del ballo era ancora una ferita aperta per Sam.

“Ehm, ancora una cosa. Ho incontrato Julie, sta per lasciare Rosewood, ma ci ha dato un ultimatum per la farla rimanere: dirle tutta la verità. Sono passato da Rider e ha ceduto, perciò…appena torno dal francese, passiamo da lei e progetteremo insieme un piano per sconfiggere A una volta per tutte.”

“…E’ la cosa che desidero più al mondo.” pensò, a braccia conserte, esausto nello sguardo.

“Anch’io!” esclamò, per poi uscire.

 

*

 

Eric si affrettò a raggiungere Alexis, che lo stava aspettando davanti al Brew. Infreddolita, si strofinava le braccia sopra alla felpa.

“Ehi, ho fatto più in fretta che potevo. Aspetti qui da molto?” le accarezzò la spalla, vedendola tremare.

“Qualche minuto, ma ho preferito stare qui fuori che dentro al Brew.”

Quello buttò un occhio dentro locale: “C’è Todd?”

“Non c’era quando sono venuta a parlare con tuo padre, poi quando sono scesa l’ho visto al bancone e sono sgattaiolata via prima che mi vedesse. Non voglio più averci nulla a che fare con quello stronzo.” spiegò, ancora con l’amaro in bocca.

Eric tirò un sospirò di sollievo, scoprendo che non si erano incrociati: “Dai, tanto hai trovato un nuovo lavoro a quella tavola calda.” la consolò.

“Sì, ma da domani il mio posto di lavoro non sarà più così vicino: mi trasferisco qui!”

“Non è un problema, Rider può darti un passaggio visto che la tavola calda è sulla stessa strada che farà per andare a scuola.”

“Ok, ma devi aiutarmi con il trasloco. Domani puoi passare con me al campus a prendere le mie cose e portarle qui?”

Le sorrise, ben disposto: “Ma certo, prendo in prestito l’auto di uno dei ragazzi e carichiamo tutta la tua roba.”

Quella, però, non ricambiò il suo sorriso, turbata da qualcos’altro: “Ehm, ascolta, trascoloco a parte, non ti ho chiamato per questo. Il favore riguarda…beh…devi accompagnarmi alla polizia!”

“Eh? – fece una smorfia confusa – Per quale motivo?”

“Credo di aver scoperto chi mi ha investita.”

Eric la prese per le spalle, eccessivamente curioso dal momento che sapeva che alla guida c’era A: “E chi è stato? Quando l’hai scoperto?”

“L’ho scoperto la sera del ballo, dopo l’esplosione. Ho accompagnato Tasha alla macchina di Rider ed era talmente barcollante che sono caduta contro l’auto di fianco.”

“E allora?”

“Beh, quando mi sono appoggiata a quella macchina con la mano, l’ho accidentalmente graffiata con un’unghia. La cosa più strana è che nel punto dove l’ho graffiata, ho rimosso come una sorta di rivestimento.”

“Tesoro, non ti seguo.” scosse la testa, strizzando gli occhi.

“Quella macchina era blu, ma in realtà è rossa. Sotto è rossa, e la macchina che mi ha investito era rossa!” spiegò convinta.

L’altro rimase assai perplesso: “E ti sei basata solo su questo?”

“Chi altro farebbe una cosa del genere? E’ una copertura, l’ho vista con i miei occhi. – insistette - Era come staccare un adesivo.”

“Sai a chi appartiene questa auto?”

“Julian Brakner, uno degli insegnanti del tuo liceo.”

Eric impallidì al suono di quel nome:” Sì, lo conosco, ma…”

“Ma cosa? – lo riprese, notando il suo cambio repentino – Sapevo che avresti reagito così, visto che non è la prima volta che sento questo nome. In ospedale ti ho sentito nominarlo al telefono e l’ho sentito nominare anche dai tuoi amici Sam e Nathaniel quando sono venuti a cercare te e Rider al Brew, qualche settimana fa.”

“Ti sarai confusa, stai prendendo fischi per fiaschi.” cercò di convincerla del contrario, sperando di farle cambiare idea.

“Che razza di storia c’è dietro fra voi e lui? – non si lasciò abbindolare – Cos’è che non mi dici? Perché lo so che è stato lui ad investirmi, ne sono certa.”

La bloccò nuovamente per le spalle, continuando la recita: “Alexis, ascolta, lascia perdere questa tua assurda convinzione. Perché un professore di liceo vorrebbe investirti?”

Quella si svincolò, testarda: “NO, questo non funziona con me! Julian Brakner mi ha investita con la macchina e io lo dirò alla polizia, perciò decidi che programmi hai per stasera: sei con me oppure no?”

Eric si lasciò andare, mostrando un’espressione seria e d’avvertimento: “Lascia perdere, Alexis. Fidati di me.”

“Ma allora ho ragione… - indietreggiò di qualche passo, incredula – C’è qualcosa, vero?”

“Fidati di me, ho detto. Lascia stare.” continuò.

“Dammi una buona ragione, Eric. Una sola. – quello esitò, deludendola – Ricordi cosa ti ho detto sul pianerottolo di casa tua, dopo aver fatto i complimenti a tua madre per il suo primo giorno da Valeriè?  - aveva gli occhi lucidi - Ti ho detto che non sono il genere di persona che ama ufficializzare una relazione quando non è sicura di ciò che sta facendo. Beh, in quel momento non ero sicura di niente, perché c’è questa parte di te che non mi permette di esserlo e che non mi permette di capire perché esiste e cosa nasconde. – le lacrime iniziarono a scendere copiose, facendo soffrire anche lui – Tuttavia ho voluto continuare a crederci, a credere che quella parte misteriosa di te non fosse così rilevante. Ma lo è!”

“Alexis, io…” cercò di dire qualcosa, ma lei non glielo permise.

“Eric, continuerò ad amarti e a stare con te; nonostante i segreti, non si può smettere di amare qualcuno da un momento all’altro o pretendere che sia sincero con te. Io, però, andrò comunque alla polizia: con o senza di te…A meno che tu non dica qualcosa adesso.”

Lui, però, non disse nulla e il silenzio si dilungò. Alexis non si sentì affatto sopresa e se ne andò, sotto il suo sguardo malinconico.

 

*

 

Era ormai calata la sera a Rosewood, Nathaniel stava salendo all’appartamento del francese. Quando arrivò davanti alla sua porta, però, fece una scioccante scoperta; tant’è che dovette chiamare i suoi amici.

Venti minuti più tardi, Rider, Sam ed Eric stavano uscendo dall’ascensore. Mentre Eric camminava avanti a loro, Sam osservava gli abiti di Rider.

“Un po’ casual per un emergenza, non credi?”

“Ehm, ho messo la prima cosa che ho trovato.” replicò con nonchalance.

“Un paio di Jeans strappati e un cardigan nero sono la prima cosa che si trova nel tuo armadio?” sollevò un sopracciglio, perplesso.

“Siamo venuti qui per Nat o per farmi un terzo grado sulla moda?” divenne leggermente suscettibile.

Eric, intanto, chiamava il nome dell’amico: “Nathaniel?”

“Sono al piano di sopra!”  si udì dall’alto.

“Abbiamo sbagliato piano!” Eric tornò verso i suoi amici, prendendo con loro le scale.

Finalmente giunsero da Nathaniel, abbastanza agitato.

“Ma quanto ci avete messo? – fissò Rider, poi, stranito – E tu che cavolo indossi?”

Tutti si girarono a guardarlo, opprimendolo.

“Che c’è? Tutto d’un tratto volete aprire un blog sui i miei outfit?”

Eric preferì passare oltre, tornando a guardare Nathaniel: “Sì, ok, ma perché siamo qui?”

L’altro si tolse da davanti alla porta, rivelando il foglio che vi era attaccato sopra.

Sam si avvicinò e lo staccò, poi lo lesse ad alta voce: “Se Laughlin di prigione volete far uscire, giocare a nascondino con il francese sarà divertente da morire. –A!”

“Me lo sentivo che andava a finire così. – pensò Eric - Avete insistito troppo con questa storia di voler aiutare Laughlin.”

“E’ innocente!” ribadì  Nathaniel.

“E’ una pedina di A, Nat. E se A decide che una delle sue pedine deve stare in prigione, allora resterà in prigione.”

Sam scosse la testa, incredulo: “Ha ragione Eric, ora abbiamo solo creato un altro casino. Cosa credete che farà al francese?”

“Beh, dobbiamo giocare per scoprirlo. – intervenì Rider – Dice così il messaggio, no?”

“Ma non sappiamo neanche che cosa dobbiamo fare!” aggiunse Nathaniel.

Un messaggio arrivò al telefono di Rider. Quelli lo fissarono tutti con impazienza, mentre lo leggeva.

Sam fu il primo a voler sapere: “Beh?

“Mi ha dato un indirizzo!” spiegò.

“Bene, andiamo con la mia macchina. – suggerì Nathaniel, scavalcando tutti - Cerchiamo di non attirare troppo l’attenzione.”

Eric, rimasto indietro, fece un commento sarcastico oltre che seccato: “Ridefinisci Non attirare troppo l’attenzione, perché sono due giorni che mi sembra di portare in testa un insegna al neon con scritto sopra Arrestatemi, sono colpevole.”

 

*

 

Dopo essersi aggiornati su ogni cosa, eccetto sul padre di Sam, che quest’ultimo e Nathaniel decisero di non rivelare, i ragazzi erano appena giunti a Scranton: una città a pochi minuti da Rosewood.

“Che Anthony sia vivo direi che è da escludere. A l’ha ucciso e siamo andati al suo funerale.” mormorò Nathaniel, mentre guidava.

“Ma Sam ha detto che su quella parete c’era una foto di Anthony all’interno della panic room. Come lo spieghi questo?” intervenne Eric, mentre Rider si teneva estraneo alla conversazione, voltato verso il vetro del finestrino, seduto accanto a Nathaniel.

“Beh, forse A l’ha semplicemente ucciso nella panic room. Questo spiegherebbe perché Rider e Sam non hanno trovato alcuna macchia di sangue quando sono andati in stazione a controllare. – decise di non volersi mettere in testa questa idea - Anthony non è vivo, non ho voglia di impazzire ulteriormente con questa assurda teoria.”

Dubbiosi, tutti si voltarono verso Rider in cerca della sua solita opinione risoluta. Quel silenzio tombale fece voltare il ragazzo, che in difficoltà, cambiò discorso.

“Allora Quentin ha un fidanzato molto forte che vi ha intimiditi?” esordì con molta ironia.

Sam gli lanciò un’occhiataccia, per nulla divertito.

“Che c’è? – sussultò - Siete voi che non avete scoperto nulla.”

Eric smorzò la tensione a quel punto: “Ehm, secondo voi perché A ci ha fatto venire fino a Scranton? Quando da piccolo giocavo a nascondino, gli altri bambini non andavano a nascondersi così lontano.”

“E’ di A che stiamo parlando. – commentò Rider, nuovamente – Probabilmente i bambini che dovremo stanare sono i pezzi del francese nascosti qua e là!”

“Rider, non sei divertente! – Sam gli lanciò un’altra occhiataccia – A ha rapito un uomo innocente e tu fai battute?”

Eric si unì a Sam nella predica: “Non sembri più tu dalla sera del ballo, ma che ti succede?”

Quello restò lì a fissarli impassibile, mentre Nathaniel fermava la macchina.

“Ragazzi, l’indirizzo è questo…” li avvertì, osservando il posto.

Rider ne approfittò per scendere immediatamente, in modo da non dover più sostenere lo sguardo ancora insistente di Eric e Sam.

“Ma... – Nathaniel non aveva ancora spento il motore – Rider, aspettaci!”

“Mi mette ansia quando si comporta così!” esternò Sam, aprendo la portiera per uscire.

Una volta fuori dall’auto, i ragazzi si avvicinarono a Rider, in piedi davanti alle porte della recinzione davanti a cui si fermarono. Nathaniel fece le sue prime congetture, guardandosi attorno.

“Ma questo è un’autodemolizioni.”

“Non mi piace per niente…” rabbrividì Sam, vigile con lo sguardo.

Rider si voltò con un lucchetto in mano: “Ragazzi, è già aperto!”

Eric sfilò il catenaccio: “Direi che siamo nel posto giusto. A ci ha risparmiato la scavalcata almeno.”

A quel punto spinsero le porte verso l’interno per avere libero accesso. Sam, rimasto dietro di loro, era succube della paranoia.

“Un secondo, stiamo entrando davvero in questo posto buio?”

Quelli si voltarono, mentre il polverone si diradava, e fu Rider a rispondergli.

“Se non lo facciamo, ucciderà il francese. – si girò a guardare gli altri due – O  mi sbaglio?”

Nathaniel avanzò verso la macchina, passando accanto all’amico: “Sam, se ti può far sentire meglio, ho delle torce in macchina.”

“Non è un po’ di luce in più che mi farà stare più tranquillo. Parlo di come potrebbe concludersi questa serata, ho seriamente paura.”

“Abbiamo paura anche noi, Sam. – disse Eric, mentre Rider annuiva e Nathaniel frugava nel bagagliaio – Ma questa cosa riguarda noi quattro, come sempre. Finchè non finisce il gioco.”

“Dio, perché non siamo come le persone normali…” pensò Sam, volgendo lo sguardo altrove, impaurito.

Nathaniel, intanto, stava tornando con le torce, che distribuì ad ognuno di loro.

“Ecco, ora siamo a posto.”

“Io voglio la torcia da giardino! – Sam gliela prese dalle mani prima ancora di riceverla – Fa più luce!”

Nathaniel accennò un sorriso, cercando di rasserenarlo: “Tutto quello che vuoi, Sam.”

Rider spostò lo sguardo tra i due, catturato dal loro rapporto.

Ora che erano finalmente equipaggiati, si addentrarono in quel posto: imponenti cumuli di macchine distrutte, una sopra l’altra, e varie parti di esse, ne facevano da scenario.

Più avanti, dopo aver fatto qualche passo, e le torce puntate ovunque, si ritrovarono ad un incrocio. Il vento faceva scricchiolare il metallo delle vetture e la luna era in alto e brillante.

“Forse dovremmo dividerci. – suggerì proprio Rider - A non ci da altri indizi e questo posto è enorme.”

Nathaniel fu d’accordo: “Sì, forse è meglio.” e soffermò il suo sguardo su Sam, come se stesse per chiedergli di unirsi a lui.

Quello lo intuì e lo precedette, prendendo Eric per un braccio.

“Ehm, io ed Eric andiamo a vedere da questa parte. – indicò alle sue spalle - Voi fatevi l’altro lato.”

“…ok. – Nathaniel restò spiazzato, così come Eric – Ci rivediamo qui fra quaranta minuti?”

Sam annuì, freddo. Subito dopo, lui ed Eric si staccarono e Nathaniel restò a fissarli per qualche secondo, mentre si allontanavano, prima di essere scosso da Rider.

“Forza, andiamo?”

“Si si… - annuì deluso e imbronciato – Andiamo!”

 

*

 

Mentre puntavano le loro torce verso ogni angolo o ovunque ci fosse un rumore sospetto, Eric cercò di capire cosa stesse succedendo a Sam.

“C’è ancora tensione fra te e Nathaniel?”

“Abbastanza…” replicò, mantenendosi vigile.

“Sai, potrei anche abituarmici ad essere la prima scelta di qualcuno. Con Rider, però, che problemi hai?”

“Sono contento che sia riuscito a salvarsi dall’esplosione, ma ciò non cancella le parole che ha usato con me quando abbiamo litigato. In più, è cambiato radicalmente.”

Eric riflettè su quanto detto: “Già, sono d’accordo. Sembra quasi che abbiano nascosto Rider da qualche parte e che l’abbiano sostituito con qualcuno che gli somiglia molto.”

“O magari è solo bipolare! - esclamò, per poi notare che Eric non lo stava più ascoltando e che controllava il telefono con molta apprensione – Ehi, ci sei? Va tutto bene?”

L’altro tornò ad ascoltarlo, uscendo da quello stato: “Ehm, sì… - ma non riuscì ad essere credibile – Cioè, non lo so. Prima di incontrarvi ho avuto una piccola discussione con Alexis. Mentirle sta diventando sempre più complicato per me e lei è troppo in gamba!” spiegò, senza accennare di cosa avessero discusso.

“Ti capisco perfettamente. Per colpa delle bugie e di A ho perso Chloe e ora anche mio padre. E non parliamo di ciò che ho fatto a Quentin, mi sono sentito una persona orribile. Il modo in cui mi guardavano, era come chiunque guardava…”

“Anthony?” completò Eric, certo di aver indovinato.

“Non c’è giorno in cui io mi senta una persona di cui andare fiero. Vorrei potermi sentire una persona migliore, ma c’è questa assurda forza contraria che rema contro di me.”

“Questa forza contraria si chiama A. E quella prima si chiamava Anthony. Non è una forza, ma una persona: sono le persone che non ci permettono di essere fieri di noi stessi, ma questo non è il tuo caso. Non è il caso di nessuno di voi tre.” si sfogò, come se odiasse se stesso per qualcosa.

“Che vuoi dire?”

“Tu e Nathaniel siete sempre stati così, anche quando c’era Anthony: buoni, altruisti, con le vostre opinioni...Rider, eccetto questo suo periodo strano, è anche lui la stessa persona di prima. Mentre io ero la persona che Anthony voleva che fossi.”

“Ma non eri quella persona fino in fondo, fortunatamente.” gli mise una mano sulla spalla, cercando di alleviare il suo senso di colpa.

“La verità è che sono stato debole, mentre voi no. – si vergognava di se stesso - Se potessi tornare indietro mi comporterei diversamente, ma…immagino che sia inutile fare il gioco dei se e dei ma quando ormai il passato è passato, no?”

“Come hai detto tu, il passato è passato. – cercò di dimostrargli quanto valesse in realtà - Non conta più chi eravamo, ma conta chi siamo riusciti a diventare oggi. E, credimi, non sono mai stato così fiero di avere un amico come te in un momento così buio della nostra vita. – gli sorrise – Sei la parte straordinaria che Anthony ha sempre cercato di oscurare.”

Finalmente anche Eric se ne convinse, sorridendo a tali parole.

“Grazie, Sam. Mi serviva sentire questo.”

Improvvisamente, però, furono interrotti dal suono di un telefono. Puntarono le torce ovunque, girandosi ad ogni squillo.

“Ma da dove viene?” chiese Sam, ancora in alto mare.

Eric, invece, sembrò aver individuato l’origine del suono: “Quell’auto, in alto! – volse verso di essa la luce della torcia – Lo senti? Proviene dal suo interno.”

“Ehm, sì, lo sento. – si concentrò – Ma è troppo in alto, come ci arriviamo?”

L’altro aveva già in mente qualcosa, consegnando la sua torcia all’amico: “Mi arrampico sopra le auto, ok? Tieni la luce puntata su di me, così riuscirò a vedere dove mettere le mani.”

“Dev’essere il telefono del francese, non può aver portato il suo corpo fin la sù, no?” si agitò, paranoico, mentre Eric stava già scalando i rottami.

Nel frattempo, dall’altra parte della proprietà, Nathaniel e Rider vagavano con le loro torce senza successo. Quest’ultimo, però, sembrò volersi interessare più al ragazzo che alla ricerca del francese.

“Ehi, come va con il tuo problema?”

“Problema? – ripetè, distraendosi – Quale problema?”

“Quello con le pillole, no?”

Ora ricordò: “Ah, sì, scusa. Con tutto quello che ci succede l’avevo dimenticato. Ho fatto delle analisi ieri, le ritiro lunedì. Purtroppo devo tenermi sempre sottocontrollo, non so se A sta continuando ancora a farmele assumere.”

“Dev’essere dura convivere con quello che ti ha fatto. Dopo la nostra lite non ne abbiamo parlato molto.”

Nathaniel preferiva non parlarne, restio: “Ognuno di noi convive con qualcosa, Rider. Non facciamone una questione di stato, ora voglio solo trovare Edward sano e salvo.”

Vedendolo seriamente provato, Rider non trovò il coraggio di aggiungere altro.

 

*

 

All’interno dell’auto, Eric continuava a sentire il telefono squillare, ma non capiva dove fosse. Continuava a frugare ovunque, mentre Sam teneva ancora la luce puntata verso di lui.

Improvvisamente, quest’ultimo udì come un suono meccanico, che lo costrinse a scrutare altrove e a distogliere la sua attenzione dall’amico: un braccio meccanico spuntò al di sopra della vettura in cui si trovava Eric.

“Oh mio Dio… - Sam puntò la luce su di esso, avanzando – Eric, esci dall’auto!” iniziò ad urlare.

L’altro, distratto, trovò finalmente il telefono, nascosto sotto ad uno dei sedili. Subito rispose.

“Pronto? – sperò di aver preso la chiamata in tempo – Edward?”

“Ritenta!”  rispose una voce camuffata.

Eric intuì immediatamente chi gli stava parlando: “…Dove l’hai portato?”

“Avete venti minuti per arrivare al prossimo indirizzo. Se il francese muore, la prossima è Alexis.”

A quel punto, Eric non ci vide più e fu minaccioso: “Brakner, se sei tu…”

“Se non esistessero gli specchi ti userei come riflesso della mia immagine.” concluse A, chiudendo la chiamata in maniera criptica.

“Pronto??? – tolse il telefono dall’orecchio, urlando – Stronzo!”

Il messaggio arrivò, con scritto l’indirizzo. Eric si apprestò ad uscire dalla macchina, ma all’improvviso tutte le porte furono bloccate.

Sam, intanto, si stava arrampicando pur di farsi sentire: “Eric, devi uscire! – urlò anche agli altri – Nathaniel, Rider, aiuto!”

L’altro cercava di aprire in vano la portiera, battendo la mano contro il vetro, scrutando Sam più in basso. Il braccio meccanico agganciò la macchina e quella tremò, facendo cadere Eric sui sedili.

A bocca aperta, fermandosi nella scalata, Sam vide l’auto sollevarsi in aria; quel braccio la stava trasportando all’interno di una pressa, proprio lì accanto.

Quando realizzò cosa stesse per accadere, cercò di scendere.

“EERIC!” urlò, per poi cadere.

Rider e Nathaniel che avevano sentito le urla, giunsero sul posto. Quest’ultimo si avvicinò a Sam, sdraiato a terra con una gamba ferita e che sanguinava.

“Sam, ma che succede?”

A vuole schiacciare Eric nella pressa, fermatelo!” indicò la pressa, mentre soffriva per la sua gamba.

“Come fermiamo una pressa? – Nathaniel, inginocchiato vicino a Sam, sgranò gli occhi, fissando Rider – Ci saranno dei comandi, no?”

“Ci penso io!” esclamò Rider, correndo verso la gabbia di comando della pressa. L’auto con dentro Eric era ormai all’interno del macchinario e veniva schiacciata lentamente. Si poteva sentire il metallo accartocciarsi.

Arrivato davanti ai comandi, Rider sembrò sapere cosa fare: “Tasto rosso e giallo, poi giro la chiave…” ed eseguì.

La pressa fece uno strano rumore, subito dopo, fermandosi di colpo. Rider alzò lo sguardo su di essa, sorridendo quando notò che la parte superiore si stava riaprendo.

Un messaggio arrivò al suo telefono.

 

“Ottimo lavoro, Nolan.”

-A

 

Dopo essersi rimesso il telefono in tasca, contento di aver soddisfatto A, scese dal gabbiotto e corse davanti alla pressa.

Poco lontani da lui, Nathaniel si sincerava delle condizioni di Eric: “Sta bene? E’ vivo?”

Rider, che a questo punto non era lui ma qualcuno di nome Nolan, scosse la testa, provando a chiamarlo: “Eric, stai bene?”

Improvvisamente, quello fece spuntare fuori la sua testa, uscendo dal finestrino e salendo sul tettuccio.

“Sto bene, sto bene. – rispose abbastanza scosso - Ma ci è mancato poco!” riprese fiato, per poi saltare giù, accanto a Rider.

“Sicuro di stare bene?” continuò Nolan, mentre camminavano verso gli altri due.

“Sì, ho detto che sto bene. – era teso - Ora dobbiamo pensare al francese, abbiamo meno di un quarto d’ora per raggiungere il prossimo indirizzo, oppure lo ucciderà e passerà ad Alexis. Me l’ha detto al telefono, aveva la voce modificata.”

“Un altro?  - Sam non credette alle sue orecchie, reggendosi su Nathaniel – Lasciatemi qui, vi farei solo perdere tempo.”  aveva una fasciatura alla gamba, fatta con un pezzo strappato dal suo stesso pantalone.

Nathaniel, allora, lo prese in braccio, contrario: “La natura non mi ha donato questo corpo per abbandonare gli amici quando sono feriti.”

I due si guardarono: Sam leggermente a disagio da distogliere subito il suo sguardo.

Eric si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla, riconoscente: “Grazie per aver cercato di avvisarmi. – poi si rivolse a tutti  – Ora, però, dobbiamo sbrigarci. Guido io.”

Nathaniel li passò le chiavi, mentre Nolan continuava ad assistere ai loro momenti di unità, in disparte.

 

*

 

Il vero Rider, a questo punto prigioniero altrove, aprì gli occhi da quello che sembrava essere stato un lungo sonno: un soffito bianco era tutto ciò che vedeva, sopra la sua testa. La vista era poco nitida, la mente stordita. Il suo sguardo scese lentamente verso il basso, sul proprio corpo disteso sul letto. Cercò di alzare le braccia, ma quelle erano come bloccate: notò dei centurini ai polsi.

Schiarì la voce, quasi non riusciva a parlare in quella stanza così cupa e le sbarre alle finestre: sembrava un ospedale, visti il camice che aveva addosso e i comodini d’acciao accanto al letto.

Qualcuno improvvisamente entrò nella stanza: un uomo con la divisa verde addosso e un vassoio con sopra dei medicinali. Sembrava un infermiere da come si presentava.

“Ti sei svegliato, eh?”

Rider riuscì a dire qualcosa finalmente, assai debole e confuso: “Dove sono? Che cos’è questo posto?”

“Anche ieri hai detto la stessa cosa, prima di scoppiare in una crisi isterica.” si sedette accanto al suo letto, poggiando il vassoio sul comodino.

Cercò di liberarsi, alzando ripetutamente i polsi: “Un momento, mi avete drogato di nuovo?” si ricordò di cosa era successo il giorno prima.

“Sta calmo, ti abbiamo dato solo qualcosa per fermare le tue crisi. – spiegò, preparando le pillole da farli ingurgitare - Non appena i dottori vedranno che stai meglio, decideranno se toglierti quei cinturini.”

“Ector Sherman…” abbassò lo sguardo, leggendo il suo nome sul badge identificativo.

“Sì, mi chiamo così. – gli sorrise, mettendogli la pillola in bocca – Un consiglio: cerca di fare il bravo o non ti faranno tornare nella sala ricreativa con gli altri.”

Ora gli fece bere un sorso d’acqua. Rider continuò a guardarsi attorno, spaventato.

“Voglio uscire, non mi piace stare qui dentro.”

Ector si alzò dalla sedia, pronto ad uscire.

“Te l’ho detto: non andare fuori di testa e potrai tornare nella sala ricreativa.” gli sorrise ancora una volta, per poi uscire e chiudere a chiave.

Rider lasciò passare qualche secondo prima di iniziare a tirare i polsi fuori dai cinturini più forte che poteva. Posizionò le dita in un certo modo, affinchè la mano potesse rimpicciolirsi e scivolare fuori.

Dopo aver insistito per più di dieci minuti, riuscì finalmente a liberarsi. Le sue mani erano rosse, ferite e livide, il suo respiro affannato. Quando mise i piedi a terra e si alzò in piedi, sputò la pillola. La osservò, poi, notando che aveva qualcosa di strano: era tempestata di lettere A in rosso.

Vide anche che c’era una linea in mezzo alla pillola. Poteva letteralmente separare le due estremità, e lo fece, rivelando un minuscolo bigliettino arrotolato.

“Sapevo che non l’avresti ingoiata, benvenuto al Radley. Sotto al materasso ti ho lasciato un piccolo regalo.”

-A

“Radley…” Rider incantò il vuoto, riflettendo sul nome di quel luogo.

Subito dopo, scosse la testa e si diresse verso la porta, cercando di aprila: ovviamente invano.

Cercando di tenere i nervi saldi, si grattò la fronte e finalmente si voltò a guardare il letto. Come ordinato da A, lo sollevò e con grande sorpresa ci trovò un portatile.

Immediatamente lo recuperò e poi se lo mise sulle ginocchia. Lo accese: era tutto nero.

Un messaggio, all’improvviso, apparve al centro della schermata.

“Possiamo comunicare tra noi, ma tu non puoi comunicare con l’esterno.”

Rider provò a scrivere qualcosa.

“Sono in un manicomio, vero? Perché mi hai portato qui?”

“Avrai più risposte qui dentro che lì fuori. La cosa ti interessa?”

“Che vuoi dire? Basta giochetti, arriva al punto.”

“Una partita a scacchi. Una al giorno. Se mi batti, ti darò qualcosa in cambio.”

“Chi ti dice che so giocare?”

“Sai giocare.

“Chi è la donna con l’impermeabile rosso che c’è in quella foto che ho trovato?”

“Non funziona così.”

“Perché sono qui dentro?”

“I ladri vanno puniti, non lo sai?”

“Anche gli assassini!”

“Touchè!”

“D’accordo, accetto la sfida.”

“Non che tu abbia scelta…”

 

*

 

Alla centrale di polizia, il detective Costa si trovava ancora nel suo ufficio; deteneva tutti i casi irrisolti di Rosewood dalla notte dell’esplosione.

Con i fascicoli sotto i suoi occhi, in particolare quello di Albert, non riusciva a capire quale mistero si nascondesse dietro a tutto ciò.

Improvvisamente, il tenente Jacobson irruppe nella stanza, dopo aver bussato: aveva un fascicolo tra le mani.

Michael alzò lo sguardo: “Buonasera, tenente.”

“Vedo che sei ancora all’opera… – notò – Ti porto alcune novità!”

“L’autopsia sul corpo del presunto Albert Pascali?”

“Non più presunto, a quanto pare. – spiegò, sedendosi davanti alla sua scrivania – E’ Albert Pascali!”

Gli passò il fascicolo, finalmente. Costa iniziò a sfogliarlo immediatamente, mentre quello continuava.

“Sono davvero senza parole su quanto è stato scoperto. Questo è un caso assai interessante!”

Michael mostrò già le sue prime smorfie da perplessità: “La stima della morte risale ad almeno due mesi fa… - controllò immediatamente la data della scomparsa nell’altro fascicolo – E coincide perfettamente con il periodo della scomparsa.”

“Il ragazzo dev’essere morto subito dopo essere sceso da quell’auto.”

“Non è possibile che non ci sia un’inquadratura che mostri la targa o chi ci sia dentro l’auto!” trovò assurdo.

“Sono le telecamere di un supermercato, che ti aspettavi? In più, l’auto in cui era dentro il ragazzo era assai lontana da quella telecamera e le luci dei lampioni erano molto deboli.”

“Ok, un secondo. – trovò altre stranezze nel referto medico – Qui dice che il corpo presenta numerose fratture e aggiunge che la vittima è stata sicuramente investita da un’auto, prima di essere bruciata.”

“E anche di questo presunto incidente, non c’è alcun filmato da nessuna telecamera della città.” aggiunse il tenente.

“Tutte cose avvenute in un punto cieco, dove non ci sono le telecamere.” trovò sospetto.

“Cosa ne pensi, allora?”

Quello incantò il vuoto, riflettendo: “Anthony e Kevin Dimitri sono morti quella stessa notte, no? Quella in cui Albert è scomparso…”

“E sono morti bruciati!” precisò.

“A questo punto c’è un collegamento evidente.”

Entrambi si guardarono negli occhi, pensando alla stessa cosa.

Il tenente, però, fu il primo a proferire parola in merito: “Hai già verificato l’alibi dei quattro ragazzi?”

“Sono stati confermati, ma fondamentalmente non sono abbastanza forti. Di loro si ricorda il proprietario del Rumors club, ma non mi è sembrato molto affidabile. Stessa cosa per Sam Havery: l’amica può aver mentito per proteggerlo e anche suo padre ha confermato che era a casa quella sera.”

“Conosco Carter, non mentirebbe mai su una faccenda così delicata. Sa che peggiorerebbbe solo le cose.”

“Un figlio rimane sempre un figlio. Anche se hai la divisa!”

Michael abbassò nuovamente lo sguardo sulla sua scrivania, piena di fogli, fascicoli e foto. Quel caos lo infastidì a tal punto da lamentarsi: “Così non riesco a lavorare, accidenti. Ho bisogno di portare tutto a casa e attaccare questa roba ad una parete, fare dei collegamenti, avere un quadro ben dettagliato e compatto.”

“Sono d’accordo con te, Michael. Porta tutto a casa e lavoraci sopra. Domani mattina ne riparleremo.”

L’altro chiuse immediatamente tutto, ammucchiando i fascicoli uno sopra l’altro, pronto ad alzarsi. Il tenente aveva ancora una domanda per lui.

“Esattamente, di cosa stiamo accusando questi quattro ragazzi?”

“Di niente, per ora. Ma se ti dovessi rispondere in base a ciò che penso, ti direi omicidio!”

“E a cosa hai pensato?”

“Il corpo presenta delle fratture, no? Mi fa pensare che il ragazzo sia stato investito, come suppone anche il medico legale. E alla guida di questa macchina potevano esserci loro.”

Il tenente rise: “Non ha senso, perché avrebbero dovuto far ricomparire il corpo quando Pascali era per tutti scomparso? L’avevano fatta franca, ormai. Nessuno è così stupido da tirarsi la zappa sui piedi.”

Costa tentennò, ma aveva già una risposta da dargli: “Forse c’è un testimone che si cela nell’oscurità e che sta remando contro di loro per portare a galla la verità.”

“E totalmente assurdo! E che collegamento ci sarebbe con l’omicidio dei Dimitri?”

“Beh, il fuoco!” replicò, avvicinandosi alla porta.

“Non ti seguo, il coroner ha trovato sulla scena del crimine solo due cadaveri e non tre.”

“Dammi un po’ di tempo per capirci qualcosa, poi ti esporrò meglio il mio quadro generale… - si apprestò ad uscire, ma si fermò per un’ultima cosa – Ah, mi serve una copia del registro delle visite a Jasper Laughlin. Si trova nel penitenziario di Philadelphia, giusto?”

“Ehm, sì, si trova lì. Te lo farò avere.” rispose abbastanza disorientato, chiedendosi cosa avesse in mente.

“Ok!” ribattè sollevando le sopracciglia, misterioso, uscendo con i suoi casi sottobraccio.

 

*

 

Dopo aver girato per Screanton con l’indirizzo impostato sul navigatore, il gruppo sembrava essere quasi giunto a destinazione. Mentre Eric guidava con Rider accanto, Sam teneva la gamba ferita distesa sulle ginocchia di Nathaniel.

Quest’ultimo lo stava fissando e Sam se ne accorse nel momento in cui incrociò il suo sguardo, sentendosi nuovamente a disagio.

“Smettila, per favore.” bisbigliò, abbassando lo sguardo gradualmente.

“Come sta la tua gamba? - lo ignorò, rivolgendosi a lui premuroso - Fa ancora male?”

“Fa male!” sollevò le sopracciglia, sottilineando qualcosa che non c’entrava solo con la sua gamba ma anche con il loro rapporto.

Nathaniel capì, abbassando lo sguardo. Nolan, intanto, guardava la strada ma in realtà era più concentrato ad ascoltarli e a capire come erano fatti.

“Ci siamo! – annunciò Eric, parcheggiando – Questo è l’indirizzo che mi ha dato A…” controllò l’orologio, subito dopo aver spento il motore.

Il gruppo si guardò intorno attraverso il vetro dei loro finestrini, abbastanza spaesati.

“Ma questa è una strada di negozi tutti chiusi, non c’è nessuno.” pensò Sam.

Nolan, però, fece notare loro qualcosa: “C’è un vicolo laggiù! Di solito non ci sono dei cassonetti nei vicoli?”

“Aspetta, intendi dire che troveremo il francese in un cassonetto? – Nathaniel sobbalzò lievemente – Rider, nei cassonetti ci metti un corpo e non una persona viva!”

Eric preferì non perdersi in chiacchiere e aprì la portiera: “Sentite, non c’è più tempo. Troviamo il francese o Alexis è la prossima!”

Nolan lo fermò per il braccio: “Forse dovremmo entrare in quel vicolo con la macchina, non credi?”

“Ma è proprio qui davanti, Rider.”

“Sì, ma se A avesse una pistola e questa fosse una trappola? Mi sentirei più al sicuro in macchina.” spiegò.

Nathaniel si trovò subito d’accordo con lui: “Sì, ha ragione. E poi Sam non può sforzarsi troppo.”

A quel punto, Eric richiuse la portiera e si lasciò convincere dai suoi compagni. Nel giro di un istante erano già dentro a quel vicolo, la macchina che marciava lenta e i loro occhi fissi ovunque.

“Rider aveva ragione, c’è un cassonetto alla fine della strada…” commentò Nathaniel, mentre Eric fermava l’auto.

“Direi che possiamo proseguire a piedi!” suggerì quest’ultimo.

Ma non potè fare un movimento che tutti i telefoni vibrarono contemporaneamente. Dopo essersi scambiati uno sguardo agghiacciato, finalmente lessero il messaggio.

 

“Forse è meglio restare in macchina: si prevedono precipitazioni! Tranquillo Eric, non farò nulla ad Alexis se sai come tenerla a bada.”

-A

 

“Eric, di che sta parlando?” gli domandò Nathaniel.

Quello, allora, pensò di vuotare finalmente il sacco sulla denuncia che voleva sporgere Alexis: “Ehm, lei…”

Ma non potè continuare, perché improvvisamente qualcosa fece impatto contro il tettuccio dell’auto, costringendo tutti ad abbassare la testa per lo spavento.

“Cosa diavolo è stato?” urlò Sam, cercando di riprendere fiato, incontrando gli occhi sgranati e confusi dei suoi compagni.

Eric scese immediatamente a vedere, seguito da Nolan e Nathaniel. I tre si trovarono davanti a qualcosa per cui non si erano preparati, restando letteralmente scioccati: il corpo del francese completamente insaguinato, disteso a braccia aperte sul tettuccio e a pancia su.

Sam, rimasto in auto, riusciva perfettamente a scrutare i loro volti e a chiedersi cosa stessero guardando con così tanto terrore.

“Che cos’è?” domandò, atterrito.

Eric fu l’unico a rivolgergli lo sguardo, non sapendo cosa dire. Sam si girò a guardare il parabrezza, dove stava colando del sangue lungo il vetro. A quel punto, non fu poi così difficile intuire quale sarebbe stata la risposta e così si mise una mano sulla bocca.

Nathaniel riuscì a tornare in sé, alzando subito la testa e vedendo un cappuccio nero affacciato alla terrazza dell’edificio.

“E’ ancora lì sopra!” urlò con gli occhi colmi di rabbia, per poi salire sulla coda dell’auto e arrampicarsi sulla scala antincendio.

“Nathaniel, NO! - cercò di fermarlo Sam, aggrappandosi alla portiera – Eric fermalo!”

E quello non perse tempo, mentre Nathaniel si trovava già in alto.

 

SCENA FINALE

 

Al Radley, nel cuore della notte, Rider stava intraprendendo la prima partita a scacchi contro A. Seduto davanti al computer, nella sua stanza, aveva appena vinto.

“Non è stato così difficile batterti. Ora dovrai darmi qualcosa in cambio, come promesso.”

Gli scrisse, attendendo la sua risposta.

“A volte vincere è come perdere.”

“Basta giochetti, dammi quello che voglio. Ho vinto, voglio delle risposte.”

 

A non rispose più, ma dopo qualche secondo si aprì una schermata con quelle che sembravano essere due opzioni tra cui scegliere: una era la foto di Anthony e l’altra era la foto di Rider.

“Te l’ho detto, non sempre vincere è positivo: vuoi scoprire qualcosa sul passato di Anthony o sul tuo passato?”

“Dov’è il tranello?”

“Il passato che sceglierai di non scoprire non ti verrà più rivelato. Per questo vincere non è sempre positivo. Ora scegli!”

“E chi ti dice che sceglierò il mio passato e non quello di Anthony? ”

Avanti, non ti sei ancora chiesto come mai nessuno ha capito che non sei un paziente del Radley? Ti trattano come se fossi lì da sempre, come se la tua faccia non fosse nuova. C’è qualcosa sotto e tu lo sai.”

 

Combattuto dalla scelta, una delle due opzioni avrebbe potuto allontanarlo o avvicinarlo alla risoluzione del mistero. Tuttavia, A aveva ragione: Rider sentiva che c’era qualcosa che non quadrava nel suo passato.

Finalmente, poi, prese una decisione e iniziò a spostare la freccia verso una delle due foto.

Era fatta: aveva scelto. La schermata scomparve e ora Rider voleva delle risposte.

“Ho scelto! Ora dammi ciò che voglio sapere.”

“Ops, non te l’ho detto? L La partita di oggi era solo per vincere la possibilità di scegliere. Per scoprire qualcosa su ciò che hai scelto devi battermi di nuovo anche domani e…non sarà facile come oggi sconfinggermi. Sogni d’oro!”

-A

E dopo questo ultimo messaggio, il computer si spense di colpo, lasciando Rider con il fiato sospeso e gli occhi sgranati. Provò a riaccenderlo, pigiando sul tasto di accensione più e più volte, disperato. Quando si rese conto che A aveva il totale controllo di tutto, diede un colpo al tavolo con un pugno.

 

CONTINUA NEL DODICESIMO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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