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Autore: Helmyra    30/08/2016    4 recensioni
“Mi piace la musica,” commentava l’estraneo, nella vita e nel dolore di Elanilde, “e mi serve uno scudiero. Canterai per me di sera, quando i soldati saranno in congedo e noi due soli, in qualsiasi luogo che abbia attorno quattro mura. Ti terrò per questi motivi, e quando non sarai più utile... ti ucciderò”.
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Spin-off di "A wine of character". Nuovi personaggi e nuove situazioni, a parte la presenza di Dorisa e Sanguine.
Elanilde si prepara al suo debutto in società, attendendo l'assenso di Voranil, gentiluomo e mecenate di Cheydinhal.
La guerra è finita, ma le conseguenze del Concordato d'Oro Bianco forniscono ai Thalmor un'occasione di vendetta.
Genere: Fantasy, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dovahkiin
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
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- Questa storia fa parte della serie 'Daedric Maidens'
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 "Mia cara, nel bel mezzo dell'odio ho scoperto in me un invincibile amore. Nel bel mezzo delle lacrime ho scoperto in me un invincibile sorriso. Nel bel mezzo del caos ho scoperto in me un’ invincibile tranquillità. Ho compreso, infine, che nel mezzo dell'inverno vi era in me un'invincibile estate. E ciò mi rende felice. Perchè afferma che non importa quanto duramente il mondo mi vada contro, in me c'è qualcosa di più forte, qualcosa di migliore che mi spinge subito indietro."

 Albert Camus




“I polsi.”

Allungò le braccia, riluttante. La rabbia era palese sul suo volto inclemente. Di colpo le sembrò più vecchio, più afflitto. Costretto a svolgere uno dei tanti lavori sporchi che spesso gli toccavano, ma non quello, no. Non la tortura.

“I polsi, Elanilde. Sai che non l’avrei mai voluto, sai cosa ho cercato di dirti. Continui a dar di matto, a ribellarti inutilmente. A che serve, poi? Ti ho trattata bene. Non avresti mai accettato che, come tua madre... sì, sai cosa avrei potuto fare, ma ho chiuso un occhio su certe follie. Adesso basta.”

Stavolta non pianse, continuò solo a dargli filo da torcere scalciando e tentando di morderlo mentre le infilava la corda tra le gambe, ribadendo le sue ragioni a testa alta. Ah, se doveva accadere meglio che fosse lui. Se doveva accadere, meglio che sapesse cosa provava realmente. Rabbia, impotenza? Sarebbe stato discreto, veloce. Forse, il suo amor proprio avrebbe accusato un duro colpo.

Il codice morale era più importante... c'era da aspettarselo.

“No, non ti ucciderò.” Ondolemar strinse poi un nodo, reprimendo un ringhio tra i denti. “Meriteresti la pietà di Mara, come le prostitute, ma non arriverò a tanto. Passerai il resto delle notti qui, nella mia stanza e ai piedi del letto. Posso rischiare di far trapelare dicerie sul tuo conto? Che lo scudiero dell’Inquisitore e l’apprendista armaiolo Thalmor sia un fervente fedele di Talos? Oh, no.”

Elanilde trattenne un sorrisetto ironico. Dopo tutte le brutture a cui aveva assistito, credeva ancora che fosse lei quella ad aver bisogno di redenzione? Che sciocchezza, come la vecchia vita altmer a cui aspirava: chissà quanto doveva esser bella per il suo vecchio mentore di sciagure, e quanto piacere doveva provare la madre nell'averlo tra le braccia.

“Non potremmo essere più diversi, ma c’era d’aspettarselo... io, con un’elfa Imperiale. Qualcuno che considererei un antico o potenziale nemico. D’accordo, se Auri-el lo permette. Non riesco ad odiarti, e tu non riesci ad amarmi. Potrebbe essere più difficile di così?”

Scosse la testa e crollò sul pavimento. Nessuna collera da parte sua, solo la fredda razionalità di un uomo che si sente sconfitto. Tutto gli era contro, ma era deciso a vedere nelle avversità l’azione del divino. Eppure, quasi lo invidiava... ormai non aveva più fede in nulla.

“Il tuo amico Skald ci andrà di mezzo. Ho bisogno di prove per incastrarlo, stai certa che le troverò. Per il bene che ti voglio, so già come risolvere la faccenda. Sì, un altro peso che ti ritroverai sulla coscienza... magari non sarai più tanto testarda e accetterai di buon grado il tuo ruolo. Sono stato spregevole al santuario... ma non potevo permetterti di distruggermi la reputazione. Di distruggermi dentro, perché è ciò che vuoi, vero? Farmi patire, restituendomi angoscia su angoscia. Invece...”

Ti ho scelta quel giorno, avrebbe pronunciato, ma represse lo sfogo. Lo represse nel timore che potesse ritorcerglielo contro, più di quanto gli pesasse addosso la casacca scura dei Thalmor.

Non le serviva un bavaglio, solo un rozzo ammasso di briglie a tenerla avvinta al letto, a lui. Tremò al tocco delle sue dita, dentro di lei il tempo si era fermato – amava contraddirlo per il gusto di suscitargli una reazione. Si divertiva a stuzzicarlo, a smontarne la falsa contrizione.

“Sarà così ogni sera, devi farci l’abitudine.”

Farci l'abitudine. Solo una bestia da soma poteva tollerare una vita simile. O una giumenta bardata e indocilita, pronta a seguire il padrone ovunque, a farsi carico dei suoi pesi... Un essere stupido, affezionato all'irriconoscente che fustiga, urla e costringe all’obbedienza, fino allo stremo. Eppure, quell'animale vive solo per lui, o addirittura lo ama.

“Buonanotte, mia cara. Spero che il senno torni a farti visita domattina.” Elanilde fu costretta a sorbire una bevanda dolciastra, fruttata. Involontariamente ne leccò dalle dita dell'inquisitore, e il fiato gli si bloccò in gola, folgorato. Ne avrebbe voluto ancora, ma un'ultima goccia cadde dall'ampolla, mentre sospirava lentamente con le palpebre già pesanti.

Mara, veglia su di me! L’ultima sillaba si confondeva con la prima e alla fine fu incapace di distinguerne il suono. Quando se la ritrovò ai suoi piedi che sonnecchiava serena, Ondolemar lasciò la stanza e perlustrò la residenza dello Jarl, ansioso di poter stanare presto chi cercava.

L’ancella, la dunmer, il Sangue di Drago. Colei che sosteneva di essere stata scelta da Sanguine per riunire gli amanti nella spregiudicatezza dell’alcova.

Per la prima e l’ultima volta, Elanilde sarebbe stata più importante di Trinimac, di Auri-el, dell’etica morale che serviva. Sarebbe stata più importante di tutto, perché lei era tutto e solo il Divo sapeva quanto bramasse unirsi a lei. Di condividere un affetto represso da anni.

La mia reputazione l’hai già frantumata, sciocca creatura. Che i Supremi mi perdonino!

Avrebbe scommesso il resto della sua esistenza, se fosse bastato il voto di un momento a scioglierlo dall’infelicità.

 

 

“Devi rimanere sveglia.”

Dorisa lo ignorò totalmente, tirando su le coperte di pelliccia e girandosi verso il lato opposto del letto.

“Dovresti ascoltarmi, dolcetto adorato.”

“Smettila di darmi nomignoli insulsi!” Scatto in su e si mise a sedere. “Se volevi farmi passare il sonno, be’, ci sei riuscito!”

“Ho detto che avremo visite e sai che non sbaglio mai.” Sam strizzò un occhio. “O vuoi, piuttosto, che te lo dica con un bel tatuaggio rosso in viso e un paio di corna?”

“Non farebbe differenza.” L’ancella incrociò le braccia. “Va bene, hai vinto... leggerò qualcosa finché non arriverà questo ospite tanto importante. Hai sempre un vantaggio in queste situazioni...”

“Sono più abile a non fartelo pesare.” Sam le pizzicò una guancia, e sull’altra posò un bacio veloce. “Sarà qui tra uno, due...”

“Qualcuno bussa alla porta.” Aegis era tornato a custodire Vlindrel Hall, ma Dorisa sospettava che obbedisse al comando dello Jarl per evitare di suscitare trambusto a Markarth. Tra le mura della tenuta, Igmund credeva di tenerla sotto controllo... ma chi sarebbe riuscito ad eludere le guardie nel corridoio e ad avvicinarsi di soppiatto e con tanta disinvoltura? Scostò leggermente la lastra decorata, poi si fece coraggio e la spalancò ancora. Lentamente, per evitare che cigolasse.

Era un Thalmor in divisa, quello che tutti chiamavano l’Inquisitore. Le dita intrecciate fremevano, il cappuccio proiettava un’ombra inquieta sul volto, ma il naso era abbastanza imponente da esser in parte rischiarato dalla luce del candelabro.

“Buonasera, signore.”

L’altmer rispose con un cenno.

“Siete qui per interrogarmi.” Un sorriso incerto curvò le labbra di Dorisa. “Non ho nulla da dire su draghi e Manto della Tempesta. Le notizie girano veloci, ma non mi farò estorcere confessioni sotto il peso delle minacce. Mi spiace deludervi... se è un’alleanza quella che desiderate propormi, sono costretta a ribadire che non prendo le parti di nessuno.”

“Aspettate, signora.” L’elfo le afferrò la mano, proprio mentre stava per richiudere. “È vero, le apparenze ingannano... ma anch’io, come voi, sono qui a titolo personale.”

“In nome di chi?” Dorisa sbatté le palpebre, incredula.

“In nome dell’amore.” Sibilò l’altro, per quanto gli costasse ammetterlo.

“Entrate.” Lo fece accomodare senza indugio, mentre Sam scattava in piedi e gli offriva la sedia in un gesto di risentimento. “Quindi... un offerente, come tutti gli altri.”

“Già... come gli altri.” La situazione le appariva sempre più imbarazzante.

“Non dovete temere sotterfugi. Ciò che mi confiderete sarà un segreto, e tale resterà.” Dorisa gli versò un bicchiere di vino, nelle coppe d’argento che lo Jarl aveva procurato loro. Per pura precauzione, o deformazione di carattere, l’elfo annusò la bevanda e diede un breve sorso. Quando capì che nessuno dei due intendeva avvelenarlo, si mise a proprio agio.

Diamine, se è paranoico! Il pensiero di Sanguine le saettò in testa, e l’elfo alto aggrottò la fronte perché, senza motivo, Dorisa si era girata verso il giullare per guardarlo male.

“Dunque, qualcuno ha in pugno la vostra mente e non sa.” Strano che lo stesso concetto potesse essere applicato agli scambi telepatici tra lei e Sanguine. “Qualcuno di cui siete innamorato... prima di andare avanti, però, vorrei essere sicura...”

“Ho meditato a fondo sulla faccenda.” La interruppe, pizzicando la barba corta. “Ondolemar, se vi fa piacere. Sono stato incaricato dal dominio Aldmeri di tenere sotto controllo la provincia di Skyrim, e di diffondere e difendere l’ideale di perfezione in cui crediamo, ma...”

“Ma?” Lo incitò Dorisa. Sam li osservava in silenzio, a braccia conserte, con il fondoschiena poggiato sul ripiano del comò.

“Chiunque penserebbe che ho raggiunto lo scopo.” Sorrise, impacciato. “Mi sono distinto in guerra e come stratega, e in tutta sincerità basta poco per essere rispettati. Bisogna solo farsi temere, e colpire prima che ti colpiscano gli altri...”

“Nella vostra vita non c’è spazio per i sentimenti,” dedusse l’ancella. “e men che meno per l’amore.”

“Precisamente.”

“Quindi... desiderate che io preghi il Principe di farvi incontrare l’amante che accenda in voi la passione?”

L’Inquisitore scostò appena il cappuccio dalla fronte, leggermente bagnata di sudore.

“Oh, no. So già chi è...” Si aggiustò le maniche della palandrana, con la mano tremolante. “il mio servo.”

L’ancella impallidì, anche se aveva avuto uno strano presentimento.

Adesso viene il bello! Sam, alle loro spalle, non era nella pelle dall'emozione.

“No, non è come pensate.” Gli angoli della bocca si aprirono in un ghigno storto. “Per evitare che altri soldati approfittassero di lei, ho preferito travestirla da uomo; la notte dell’incontro. E per comodità l’ho obbligata a mantenere la copertura: avevo la mia compagna, sempre accanto e senza correre il rischio di venire accusato di licenziosità.”

“Molte elfe prestano servizio nei vostri eserciti, per quale ragione?” Chiese Sam, facendo il finto tonto.

“È moralmente inaccettabile e contro il contegno militare. Si suppone che le notti vengano trascorse dormendo, riposando... non in un tormento insonne verso chi è a portata di mano ma non puoi avere...”

“Che bella prigione dorata!” Concluse l’altro, scostandosi via dal mobile. “Siete tutti infelici perché tutto è un obbligo. Svegliarsi la mattina, mangiare... anche dormire. C’è qualcosa ad Alinor che non somigli ad un’esecuzione pubblica?”

“Sam!” Arrossì Dorisa, osservando l’ospite che brontolava.

“Ha ragione.” Concluse Ondolemar, facendosi avanti con la sedia. “Ho sempre fatto tutto per dovere, non mi sono mai goduto la vita. Da giovane... volevo diventare musico, ma la famiglia me l’ha impedito. Poi, è stata la volta dei tutori presso cui ero a carico, e dopo ancora dell’accademia. Adesso, penserete, sono libero e indipendente. Ah, non è vero!” E rise, rise mestamente. “Non è affatto vero. Se non avessi cucita addosso quest’uniforme, avrei iniziato a corteggiarla quella sera stessa. Mi sarei fermato alla locanda di Cheydinhal finché suo padre non avesse acconsentito al fidanzamento. Invece no...”

“Cos’è successo?” Dorisa era completamente avvinta dalla storia.

“All’epoca il mio superiore era Valermo, ora capitano supremo della Divisione Imperiale. Durante un banchetto abbiamo imprigionato e torturato l’intera comitiva, tranne lei e la madre. A dire il vero, l’elfa desiderava morire dopo aver visto il marito crollare davanti ai suoi occhi. L’invidia e il risentimento guidarono Valermo, fu il primo che uccise... si era invaghito della signora, e attese che i soldati portassero via i commensali per possederla nella sua stessa casa, senza riguardi...”

“Per quale ragione?” Chiedeva conferma, ma in fondo la conclusione era scontata.

“Un pretesto per averla come concubina... si sarebbe salvata grazie a una veloce conversione, per il gentiluomo invece non c’erano speranze. Li accusammo di empietà, eresia e dissolutezza. Esagerammo i loro crimini per coprirne uno maggiore... solo perché entrambi erano orgogliosi della figlia, che intratteneva gli ospiti con canzoni d’amore.”

Dorisa mise il dito nella piaga, con un’innocente leggerezza.

“Signore... ma il vostro servo non è muto?”

“Non ha più parlato da quel giorno.” Fissò un punto imprecisato della camera ma il principe intuì. Non voleva che lo vedessero nella debolezza, a rievocare il senso di colpa. “Ho trascinato nella mia infelicità quella creatura, ma intendevo salvarla. Lei mi odia, ma se non avessi agito in quel modo brusco... sarebbe morta, e mai me lo sarei perdonato.”

“Ecco cosa sei...” Sam gli puntò contro l’indice. “Un gufo che voleva essere un usignolo. Pensavi che, grazie ad una buona azione, avresti compensato un passato di sogni infranti. E come un gufo non fai altro che lamentarti, bu bu bu! Di’ un po’, cos’hai fatto nel frattempo per migliorarle la vita?”

La risata di Ondolemar sembrava un mugugno, un rantolo strozzato. Si alzò per raggiungere Sam, per guardarlo faccia a faccia. In quel momento lo sovrastava, ma era del tutto sconfitto.

“Non ho fatto nulla. Potrei lasciarla libera, ma non sarebbe abbastanza. Voglio che canti ancora, che capisca quanto la amo... che abbia di nuovo la voce. Sono pronto a rinunciare, ma non voglio più provocarle dolore. Non è troppo tardi, magari, per un futuro migliore... sono stato stolto ad insistere, a pretendere l’impossibile”.

“E che ci guadagneresti?” Sanguine conosceva già la risposta.

“Una notte, se basterà a convincerla. Una notte per sfogare il desiderio represso. Per farle tutto ciò che ho immaginato senza inibizioni. E se non mi amerà per quel che sono... pazienza.”

“Non è per niente semplice.” La voce del giullare si fece bassa, seria. “I ricordi e le ferite rimangono, e chiedi al principe di restituirle non la voce, ma il dono di cantante. Inutile parlare di grana, sono le informazioni dei Thalmor che cerco. Ciò che sapete riguardo i draghi.”

Quella divisa non era facile da sbottonare.

“La posta è troppo alta... Prima le prove contro un cittadino che mi sta dando filo da torcere. Sono fascicoli importanti, dovrei farvi accedere agli archivi segreti.”

“Hai paura di giocarti la reputazione, eh? Sei proprio un altmer.”

“No, di furbi come te ne ho visti parecchi. Mi fido della signora, cosa mi dice però di far lo stesso verso un lacchè? Potresti rivelare tutto al migliore offerente, tradiresti la mano che ti nutre, purché ti paghino bene...”

“Ammesso che io sia un bastardo.” Sorrise Sam, sollevandosi appena dal pulpito provvisorio. “Ammesso che di informazioni, in effetti, ce ne siano. Ne sei proprio sicuro?”

Non si aspettava una contrattazione: Ondolemar rimase in silenzio, ammirando l'audacia del giullare ma disprezzando l'aria fin troppo confidenziale con cui gli si rivolgeva. Un velo di diffidenza offuscava la sua lucidità, era come se non vi fossero più espedienti, risoluzioni, se non la segretezza appena strappata ad Elanilde, la sicurezza verso una docilità venuta a mancare o mai esistita.

Una smorfia di contrarietà, poi il viso si distese, arrendendosi all'evidenza. Che altre vie esistevano?

“E va bene, ho deciso di fidarmi.” Il tono della voce cambiò, sembrava che un altro Ondolemar avesse preso il posto del primo. “Sarà uno scambio su un terreno d'incertezza. Vi farò pervenire i documenti che ho inviato personalmente all'Ambasciatrice, quel che so nero su carta. Però... desidero mandar via il cittadino sgradevole che m'ha recato offesa. Lo voglio qui, davanti a me, con le prove schiaccianti della colpevolezza. Voglio l'amuleto di Ogmund lo Skald, nascosto negli angoli dei cassetti, o negli anfratti di casa. Non è un prezzo alto, se rifletti bene, giullare.”

“Mi auguro che non sia alto quanto la vita di un uomo.” Sam tornò ad eclissarsi dietro un paravento, dopo aver attraversato lo spazio che divideva Ondolemar dalla sua protetta. L'elfo lo vide sparire senza fiatare, e posò di nuovo lo guardo su Dorisa, rimasta muta sino ad allora.

“E sia.” Confermò lei, con un sorriso spento. “Lasciate, però, che faccia il possibile per mettere una buona parola tra voi e la ragazza. Sapete... desidero compagnia. Spesso sono circondata dalle persone, e pare che io abbia davvero il potere di influenzare pensiero ed emozioni altrui. In realtà, quando la giornata finisce, mi ritrovo sola come tutte le serve che, finito il lavoro, si tolgono gli abiti, danno un calcio alle scarpe e si stendono sul letto senza energia. Mi piacerebbe parlare con... qual è il suo nome?”

“Elanilde.” Pronunciò Ondolemar, con dolcezza.

“...Con Elanilde, se parlare è il verbo giusto. Ci sono cose che arrivano comunque al cuore, non importa in che modo vengono comunicate. Sono sicura che c'intenderemo benissimo. Potreste, dunque, mandarla per un po' qui?”

“Certamente.” Rispose l'altro, abbassando il capo. Sam scosse la testa, cogliendo dei sottintesi a lei oscuri.

“Mi fido.” Ribadì Dorisa, più al principe che a se stessa. Ondolemar aggrottò le sopracciglia, presto però tornò all'usuale compostezza, e si congedò in un saluto frettoloso.

“Sai meglio di me quanto è importante il dono della Voce, Sam.” La maga gli si rivolse ad alta voce, non temendo di destare i sospetti di chi era appena andato, o delle guardie dello Jarl. “Anch'io sono uno strumento per la gloria, la mia sorte non è molto differente. Cambiano solo i padroni.”

“Non hai visitato i Barba Grigia, quindi non conosci cosa significhi usarla,” Sanguine, nello splendore della sua armatura e la seduzione degli occhi le stringeva i polsi, non avendo nessuna intenzione di lasciarla andare. “È il tuo potere, hai preferito servire me e non quelle cariatidi che sprecano ciò che resta della vita mortale. Ti ho regalato avventure, piaceri e storie avvincenti da raccontare, puoi esser il bardo di te stessa senza aver bisogno di lodi a poco prezzo. Non è questo che sognavi, quando leggevi la notte, a lume di candela?”

“La realtà è diversa.” Dorisa venne meno, chinando il capo sui pettorali della corazza. “Nulla è eterno, solo il punto di vista del poeta più abile, che può tramutare un mascalzone in eroe. Sai, forse era solo superficialità. Hai presente, invece, quando pensi di aver fatto torto a qualcuno? Cosa ho tolto ai Barba Grigia, reclamando questo potere? Cosa ho tolto a Skyrim, ad un vero eroe? Esiste, piuttosto, qualcuno che può esserlo davvero e al posto mio?”

“Hai visto troppe cose e tutte insieme, ti ci abituerai, cara...”

“A quello che vuoi farmi credere, che non so. Di', allora, perché hai scosso la testa mentre l'inquisitore parlava? Cosa ti ha colpito, se ho deciso di considerare indizi rimasti in sospeso?”

“Ah, nulla di speciale, tortino alla cannella.” Sam si chinò a baciarle la nuca, appena sotto l'attaccatura dei capelli. Dorisa rabbrividì, stringendolo più forte. “Ho scosso la testa perché, come tutti gli uomini, quell'altmer ha un'unica cosa nella mente. Crede che tu insegnerai alla servetta metodi segreti per infiammare le ventose notti di Markarth e sciogliere un po' il ghiaccio, quello in mezzo alle gambe.”

Dorisa impallidì. “Come se ne fossi capace!” Esclamò, tornando in sé e recuperando le distanze.

“Sì, ma lui non lo sa.” Rise il principe dei bagordi, stuzzicandola ancora e tirando leggermente una ciocca di un nero quasi blu. “Sei troppo buona, non stiamo togliendo nulla a nessuno. Perlomeno, non puoi affermare di rubare, se non sai cosa e a chi rubi. Poi, se cerchi una guida al furto, ti stai rivolgendo alla divinità sbagliata...”

“Non so proprio cosa fare, con te...” Dorisa pose le mani sulle sue guance, avvicinò a sé il volto cornuto e ne baciò le labbra con timidezza e devozione. Aveva riportato il discorso su un terreno più solido, e riguardo l'arte dello scassinamento, era entrato nel suo cuore facendosi beffe della serratura. La vita dei Barba Grigia era inutile, ma la sua? Cambiavano i punti di vista, i dilemmi rimanevano gli stessi.

Trovare una risposta a quelle domande era il vero male. In quell'istante capì che spesso gli uomini trascurano i propri dubbi non per ignoranza, ma per il semplice fatto che rischiano di aggravarli con scelte di cui non conoscono le conseguenze.

 

 

La pietra sotto le sue dita era fredda, la sensazione non le era nuova, ma ben levigata. Poteva essere la stanchezza ad ingannarla, per convincersene aprì gli occhi e restò immobile, non sapendo che risoluzioni prendere. La stanza era bagnata da un lucore blu cobalto, profilava un candelabro, la statua di una divinità nuda, alcuni libri impilati alla rinfusa su uno scrittoio. Elanilde provò ad alzarsi e scoprì di non avere più le corde attorno ai polsi e alle caviglie, ma la ritrovata libertà non servì a tranquillizzarla. Dove fuggire? Non conosceva la casa, gli abitanti, né tanto meno dove si trovasse. In fondo al corridoio lo stesso scintillio del cielo notturno. Due ombre si materializzarono per poi convergere, rapide, verso di lei: dei servi che, svoltando l'angolo, discesero le scale verso la cucina e il ripostiglio. Non diedero affatto segno di notare la sua presenza.

Ancora stentava a riprendersi dallo spavento quando la luce riflessa su uno specchio si levò poco a poco, agglomerandosi in una sfera a mezz'aria. Abbandonò la stanza, saettò verso il lato opposto del corridoio, invitandola a seguirne la scia. Una piccola cometa, attratta dalle corde di un liuto e da una voce timida, lontana lontana.

Il globo svanì in particelle minuscole, in un salotto ricoperto di dipinti che facevano venire la voglia di sfiorarli, tanto che sembravano reali. Un tralcio d'edera s'arrampicava pigro su un'asta d'ottone ancorata a un cero profumato, e su un basso tavolino spartiti, carboncino sbriciolato e una sorta di righello.

“No, non così. Riprovaci ancora, ripeterai l'esercizio finché non ti sentirò sbagliare neanche una volta.”

Di fronte al maestro di musica, una figura slanciata dai capelli fulvi e lucidi, sedeva un ragazzetto chiaramente in difficoltà, dalla carnagione di un dorato smorto. Una goccia di sudore gli scese sulla fronte, e di primo acchito Elanilde pensò che stesse piangendo, tanto era lo sconforto provato nel riaccordare lo strumento e riprendere la melodia.

Non aveva una voce eccezionale, con i dovuti accorgimenti però avrebbe potuto arricchirla con qualche tocco personale, perché il timbro era particolare, roco e penetrante. Sapeva tener bene il tempo, magari sarebbe venuto fuori un buon musicista piuttosto che un menestrello. Purtroppo, era così spaventato dalla possibilità di sporcare la composizione con la minima imprecisione da attirarsi da solo la peggiore delle eventualità. Il maestro tollerò una volta, e una volta ancora. Al terzo errore, afferrò una bacchetta e picchiò sulle nocche.

L'allievo urlò di dolore.

“Tanto non ti servono a nulla quelle dita,” lo schernì l'altro, ma lei gli lesse sul volto i sensi di colpa, “non so quante volte te l'ho ripetuto. Devi essere più veloce, far vibrare meglio quelle corde. Ti rimane poco tempo e di questo passo non andremo da nessuna parte.”

“Ancora, per favore!” Lo supplicò il ragazzo.

L'altmer era attraente, aveva belle mani inanellate e un naso regolare e appuntito. L'esatto opposto del viso contratto, timido e sgraziato; messo in ombra da ciglia sotto le quali occhi freddi, sofferenti, non spiccavano. Il maestro scrutò l'allievo nelle profondità del suo scoramento, e già rimpiangeva l'obbligo a cui era sottoposto.

“Rassegnati, non è per te.” Gli tolse via lo strumento, con delicatezza. Non voleva trattarlo male, avrebbe solo squarciato più a fondo la ferita, la stessa che si stava procurando. “Dipende da me salvarti dal servizio per Alinor? No, non addossarmi una responsabilità tale. Non sei fatto per la musica, torna sui libri, Ondolemar. Hanno scelto per il tuo bene, compensi in entusiasmo ciò che difetti in lungimiranza. Segui i consigli, figliolo, hanno ragione.”

“On... Ondolemar?” Bisbigliò Elanilde avvicinandosi, provò a sfiorargli le guance, i capelli lunghi e chiari, era evidente però che non potesse udirla. Tuttavia, lei si sorprese a udire la sua voce dopo anni di silenzio. Cosa stava succedendo?

“Ancora...”

“Non c'è più tempo. Né adesso, né domani, nei giorni a venire. Ammiro la determinazione, però, meglio investire queste capacità laddove dimostri talento...”

“Se mi alleno, mattina e sera, posso riuscire. Devo crederci... credere è il primo passo, forse l'unica certezza che non mi strapperete. Ma non sono io il problema, è lui, vero?” Il ragazzino spaurito si trasformò, tirando fuori una rabbia frutto dell'incomprensione. “Mi giudicate severamente, maestro Undaril. Siete gelido e sprezzante come quei critici dalle logge, che macellano gli artisti con sarcasmo. Quanto vi ha pagato, eh?” Ondolemar scattò dalla panca. “Molto più delle ore spese ad insegnare. Quanto vi ha pagato, affinché rendeste un inferno i momenti in cui sono davvero me stesso?”

“La musica non è per i militari.” Le posizioni si erano capovolte, Undaril represse un fremito. “Hai una carriera promettente davanti agli occhi, sicurezza, prestigio. Non sprecarlo a cercare di elemosinare patronato, protezione e fama... fumo, tutto fumo.”

“Perché vi soffermate sui lati negativi. Ditemi del generale Vessarion, allora. Perché vi cerca, ogni volta che date luce ad una nuova ballata?”.

“Non parlare di ciò che non conosci.” Abbassò il capo e stritolò gli spartiti, dalla carta non sarebbe mai sgorgato sangue. “Credimi, Ondolemar, ti auguro il meglio. Se ne avessi avuto modo, ti avrei detto la verità diversamente.”

Il grande candeliere scolpiva il naso aquilino, faceva brillare gli occhi grigi, quasi bianchi per lo sdegno. Senza una parola marciò verso il corridoio, continuò a tenere il tempo, mentre i respiri affannati si trasformavano in singhiozzi smorzati. Il tamburo era un palpito celere, le note del liuto voci allegre divenute ingiuriose, stridenti e ostili. Trattenne le lacrime, e quando fu solo, afferrò la spada corta con l'emblema di famiglia e la gettò a terra. Si ritirò dietro alle cortine del letto, tra i libri, le figurine in bronzo di cavalieri e soldati, a vegliare sulla camera del ragazzo un'immaginetta di Mara e un insolito idolo cornuto.

L'aveva inseguito fin lì, anche se era un'ombra invisibile. Elanilde si accovacciò all'angolo, desiderando essere sorella o madre. Adesso capiva, sì... capiva quanto l'avesse invidiata, quella notte in cui tutto andò distrutto.

“Uh?” Si sporse da uno spiraglio fra i drappeggi di velluto, su cui aveva asciugato le lacrime. “Chi sei? Tu, all'angolo del letto.”

“Puoi vedermi?” Domandò lei, sorpresa.

“Sì.” Sorrise il ragazzo, meravigliato. “Scusami. Non sono un bello spettacolo, vero?”

“Non c'è nulla di male.” Finalmente, poté toccargli i capelli. “Ci sono momenti tristi, eppure passano. Abbiamo il potere di dimenticare, c'è chi ci riesce meglio e chi peggio. Credo che i più bravi alla fine riescano a sopravvivere comunque.”

“Ovvio.” Rispose il giovane.

“Un fallimento... può istigarti al male, al rancore. Oppure, può migliorarti... Scegliere chi essere dipende da te.” Strano che fosse una schiava a lanciarsi in simili osservazioni. “Tu che dici?”

“Sei un sogno.” Ondolemar conobbe emozioni nuove, lo sguardo s'incupì. “Sei bella.”

Si sentì afferrare le guance e strofinare contro un volto su cui la barba cominciava a spuntare. Cercò le sue labbra, e non era più lui. Un segno scuro gli marcava le palpebre, le dita dell'elfa si incrinavano sul cuoio lucido della divisa. Elanilde gli alitò sul viso, sopraffatta.

“Non lasciarmi adesso, Elan.” Ricordava quella sera, al bagno. “Non abbandonarmi.”

Si voltò. Nello sgomento, immaginava che l'idolo cornuto ghignasse, che li schernisse mentre cresceva, e cresceva ancora in dimensioni, superbia, maestosità.

“No.” Rantolò lei, e tutto si fece fosco, torbido e sfuggevole, nel baratro di un sonno profondo.

 


Presa dagli impegni, la mia routine è cambiata all'improvviso. Mi sono concentrata esclusivamente su quello che dovevo fare, promettendo a me stessa che, come premio, sarei tornata a scrivere... prima o poi. Questo capitolo è il frutto di mesi in sospeso, passati a immaginare come continuare questa storia quando dovevo staccare la spina. Ho annotato le idee sui quaderni o, più spesso, le ho fissate nella memoria. Dico sempre che nella mia mente c'è tutto, a volte anche gli eventi centrali e la fine di un racconto... il problema è trovare il tempo e la disposizione giusta per scrivere. Ho cambiato alcune cose, specialmente all'inizio. Il resto è venuto fuori da solo. Devo dire che poter pubblicare questo capitolo mi fa sentire meglio, come mi rende felice poter leggere le storie e i messaggi che sono rimasti senza risposta per un tempo indecente. Mi dispiace, so quanto faccia male aspettare.

Ondolemar continua a comportarsi da maniaco del controllo e amante degenere, per redimerlo almeno in parte ho inserito degli eventi che fanno luce su quanto siano stati generosi ed empatici i suoi genitori. :) A mia discolpa, dico che leggere troppi classici della letteratura inglese e saggi di psicologia mi ha fatto male. Ah, e anche guardare i documentari di storia della Seconda Guerra Mondiale su History Channel.

Molta musica ha ispirato questo capitolo. Love to hate di Tarja, e poi dei progetti dungeon synth ispirati a Skyrim e all'universo di Elder Scrolls (Moonshadow di Azurah ed Expanses of Skyrim di Elador).

Per la prima volta, le note sono lunghe quasi come una flashfic. Ma dopo tutto il tempo che è passato, per favore, concedetemelo! :) A presto!

  
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