Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: IrethTulcakelume    02/09/2016    3 recensioni
Park Jimin, 21 anni, testa sempre tra le nuvole – sì, se le nuvole hanno i capelli neri e tre anni in meno di lui.
Jeon Jungkook, 18 anni, mente brillante versata per lo studio, un po’ meno per gli affari di cuore.
Min Yoongi, 22 anni, passione per il basket, ma qualche problemino con i blackout.
Kim Namjoon, 29 anni, uno studio di psicologia tutto suo che spesso ospita un paziente in via in guarigione.
Kim Seokjin, 31 anni, cattedra universitaria di economia e un incorreggibile complesso del salvatore.
Kim Taehyung, 18 anni, tante foto, incubi abituali e un paio di conti in sospeso con il passato.
Jung Hoseok, 21 anni, una sorella fortunatamente ficcanaso e vigliaccheria a profusione.
Non si sentono i suoni se non c’è silenzio.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Park Jimin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolo autrice:
Salve persone! Dunque, questa volta vi ho fatti aspettare un po' di più, ma c'è una spiegazione, davvero: ho passato una settimana in Irlanda (che tra l'altro è bellissima, andateci se potete, sembra un sogno quando sei lì), e non mi sono potuta portare dietro il computer. Sono tornata ieri, quindi eccomi qui con il nuovo capitolo! Spero davvero che vi piaccia, perché a me è piaciuto molto scriverlo, ma ora vi lascio alla lettura.








 
Did you lose what won't return?














A Taehyung era sempre piaciuta la finestra di camera sua. Forse perché quando si era trasferito a Seoul con i suoi genitori, a soli cinque anni, quella finestra era stata l’unica cosa che gli aveva ricordato la sua vecchia vita: il colore del legno, lo spessore del vetro, il modo in cui il suo riflesso spariva quando ci schiacciava il naso contro... tutto gli sembrava tremendamente simile a ciò che si era lasciato alle spalle – anche se probabilmente qualunque finestra lo sarebbe stata. Ma cosa poteva saperne un bambino di cinque anni? Era rimasto talmente colpito da quella finestra che aveva passato ore intere davanti a essa nei primi mesi nella nuova città, e quell’abitudine l’accompagnava tutt’ora.
Stava giusto ripensando al sé bambino privo di preoccupazioni, a cui bastava la vista di una finestra per essere più felice, quando sentì il proprio telefono squillare. Rimase ancora qualche secondo a osservare il semaforo, che da verde era appena divenuto giallo, poi, preso dalla curiosità, corse sul letto – dove l’apparecchio giaceva abbandonato da alcune ore – per leggere chi fosse a quell’ora.
Un’espressione di sorpresa e, perché no, di sollievo si dipinse sul suo viso mentre rispondeva alla chiamata.
- Pronto?
- Ciao Tae, come va?
Domanda di riserva?, pensò ironicamente Taehyung. Come andava? Abbastanza a scatafascio, in realtà, ma non era abbastanza in confidenza con il suo interlocutore per raccontargli i suoi problemi esistenziali. Aveva conosciuto Sehun al corso di fotografia che aveva frequentato l’anno prima, e si erano scambiati i numeri per restare in contatto anche al termine delle lezioni. A volte si sentivano, magari quando si incrociavano all’università si fermavano a scambiare due chiacchiere, ma non avevano mai sentito il bisogno di approfondire la loro amicizia.
- Abbastanza bene – decise invece di rispondere. – Tu?
- Tutto okay. Senti... tu domani sera hai da fare?
A parte deprimermi e pensare a quanto la mia vita faccia schifo? – No, direi di no, perché?
- Mi hanno invitato a una festa, ma quel bacchettone di Kyungsoo mi ha dato buca, dice che deve studiare. Vieni con me?
Una festa? Taehyung non era sicuro di essere dell’umore adatto per una cosa del genere. Gente, musica, magari altre coppiette svenevoli come quella che aveva incontrato di mattina... probabilmente si sarebbe sentito male e basta, gli sarebbe venuta l’iperventilazione e avrebbe rovinato la serata anche a Sehun. Quindi optò per la scusa che tutti puntualmente usavano – e che, forse, aveva usato anche quell’altro suo amico di cui aveva già dimenticato il nome.
- Non saprei, anche io ho parecchio da studiare, è un periodo un po’ incasinato questo...
- Dai, non farti pregare, non voglio andarci da solo, e poi è solo un’innocente festa di compleanno! – lo implorò Sehun dall’altro capo del telefono. – Sarà divertente! È al Dark & Wild, lo conosci, no?
Taehyung ci pensò su per un po’, poi riconobbe quel nome: era un locale niente male, tutti quelli che ci erano stati ne avevano parlato più che bene. Ora che ci pensava, anche Hoseok ci era andato una volta.
Smettila di pensare a lui, ti prego. Sei patetico. Taehyung era abbastanza indeciso: non era proprio dell’umore giusto per una festa, ma forse sarebbe stata una buona occasione per distrarsi. Forse una serata di svago gli avrebbe fatto bene, e almeno per qualche ora sarebbe riuscito a non pensare a Jungkook o, ancora peggio, a Hoseok. Alle feste c’era sempre l’alcol, no? A volte quello serviva più dei sonniferi che prendeva qualche mese prima. E poi, se proprio la festa gli avesse fatto schifo, sarebbe potuto tornare a casa a piedi – se non si ricordava male, il Dark & Wild non distava troppo dalla sua abitazione. Rifletté che, però, così facendo avrebbe lasciato da solo Sehun, che gli aveva appena offerto quella che avrebbe potenzialmente potuto essere una scappatoia a ciò che stava vivendo. Tuttavia non si soffermò troppo sul quel particolare: era un tipo in gamba, avrebbe saputo come cavarsela.
- Taehyung, sei vivo?
La domanda di Sehun risvegliò il ragazzo dai suoi pensieri. Senza neanche rendersene conto, aveva iniziato ad arrovellarsi su mille elucubrazioni, lasciando libera la linea telefonica e insoddisfatto il suo interlocutore.
- Sì, sì, ci sono.
- Ci sei alla festa o ci sei con la testa?
- Ehm... entrambe. – Credo.
- Ottimo! Allora ti passo a prendere io domani sera verso le otto e mezza.
- Va bene, ciao.
Senza aspettare che l’altro rispondesse al saluto, Taehyung chiuse la chiamata e tornò davanti alla finestra, appoggiando il telefono sul davanzale. Osservò per qualche minuto le automobili che andavano avanti e indietro sotto di lui, chiedendosi se non avesse fatto male ad accettare la proposta dell’amico. Gli tornò in mente ancora una volta la coppia di ragazzi che aveva visto la mattina precedente, e in un attimo di malinconia si domandò se un giorno anche lui avrebbe avuto qualcosa di simile con qualcuno. Non necessariamente Hoseok o Jungkook, qualcuno. Qualcuno con cui bisticciare e fare pace con un bacio, qualcuno che lo portasse a fare colazione al bar la mattina, che non lo abbandonasse dopo qualche mese e che non tradisse la sua fiducia.
Improvvisamente, sentì il rumore della porta di casa che si apriva e veniva richiusa.
- Tae, sono a casa! – disse sua madre dall’ingresso, dirigendosi verso la cucina. Taehyung, allora, decise di chiudere tutte le sue domande e i suoi pensieri in un ipotetico cassetto nella sua testa – se c’era una cosa che odiava fare, era far preoccupare sua madre, che nonostante avesse un figlio ormai quasi diciottenne, lo considerava ancora il suo “bambino” – e si godette gli ultimi istanti di quiete e solitudine, conscio che di lì a poco la sua presenza sarebbe stata richiesta per l’imbastimento della cena.
- Taehyung! Vieni ad aiutarmi in cucina!
Come previsto, pensò sorridendo appena mentre usciva dalla propria stanza. Alcune cose non sarebbero mai cambiate – e non sapeva se questo fosse del tutto un bene o un male.
Un’altra cosa che Taehyung non sapeva, inoltre, era che pochi minuti prima Jung Hoseok aveva ricevuto una telefonata analoga alla sua da parte di un certo Kwon Jihae, che aveva sostenuto con convinzione di essere un suo compagno di corso, di essere stato invitato alla medesima festa e di avere un disperato bisogno che qualcuno di sua conoscenza oltre alla persona che lo aveva invitato fosse presente. Hoseok, durante tutta la telefonata, ebbe la sensazione di aver già sentito la sua voce, ma non all’università... dopo alcuni minuti di tentennamento, però, mise da parte le domande e accettò l’invito. In quel medesimo momento, a qualche chilometro di distanza, un alquanto soddisfatto Min Yoongi chiuse la chiamata.
Altra cosa a cui Kim Taehyung non aveva minimamente pensato – e perché avrebbe dovuto? – mentre apparecchiava la tavola, era la possibilità che il ragazzo che gli aveva chiesto una sedia al bar, tale Byun Baekhyun, avesse ripetuto le medesime parole, circa nel medesimo istante, a un assonnato Jeon Jungkook, spacciandosi per Park Moonbin, innocente ragazzo che frequentava effettivamente il suo corso di fisica, ma di cui Jungkook non riusciva minimamente a ricordare la voce, dato che il sopracitato Park Moonbin era la persona più silenziosa che conoscesse – particolare che aveva notevolmente agevolato il lavoro del suo interlocutore. Una volta messo via il telefono, vedendo che anche Jimin si era svegliato, l’aveva informato dell’evento. Quello aveva detto che ne sapeva già qualcosa, e che si era già organizzato con Yoongi. Un po’ rattristato per il fatto di non potersi recare alla festa insieme all’amico, Jungkook aveva sorriso, e aveva detto: “Allora ci vediamo lì domani sera”. E anche se non riusciva ancora a identificarla come tale, quella stilettata che aveva sentito proprio lì, al cuore, era indubbiamente gelosia.
Quante cose che Taehyung ignorava, però stava meglio così, masticando il riso con il pollo che la madre gli aveva cucinato pensando alla sua cara finestra. Magari l’avrebbe guardata ancora un po’ prima di andare a dormire. Pensò che quando avrebbe trovato quel qualcuno gli sarebbe piaciuto portarlo in camera sua e passare un po’ di tempo davanti alla sua finestra – non l’aveva mai fatto con Hoseok, non sapeva perché. Per un attimo gli passò davanti agli occhi la scena di un’ipotetica rappacificazione con lui, di un ritorno a quella normalità che gli piaceva così tanto, magari gli avrebbe potuto parlare della sua finestra, ma scacciò subito quell’idea mandando giù un’altra cucchiaiata.
 
***


Uno sgangherato concerto di clacson svegliò bruscamente Jung Hoseok dal suo sonno. Si rigirò per un po’ nel letto, ma non riuscendo a riaddormentarsi, decise di alzarsi. Si stropicciò un po’ gli occhi e a passo lento si diresse verso la cucina, intenzionato a prepararsi la colazione. Giunto di fronte al frigorifero, si accorse della presenza di vari post-it giallo canarino – erano parecchi perché il messaggio era tanto lungo da necessitare la presenza di più foglietti - con sopra scritto: “Sono all’università, torno oggi pomeriggio. Se ti azzardi ad andare a lezione in questo stato quando ti vedo ti picchio. Se hai bisogno di qualcosa chiamami. Ti voglio bene, Jiwoo” Il tutto terminava con una faccina sorridente e un cuoricino. Hoseok sorrise: sua sorella lo capiva quasi meglio quando lui capisse se stesso. Staccò i post-it e li andò a sistemare accuratamente in un cassetto della sua scrivania, poi tornò in cucina. Guardò l’ora: anche volendo, sarebbe stato comunque troppo tardi per arrivare in tempo all’università, e poi aveva parecchio mal di testa, sarebbe stato controproducente. Si fece il suo solito tè con i biscotti, poi andò in bagno per prendere una pastiglia contro il mal di testa – era sicuro di averne qualcuna da qualche parte. Si guardò allo specchio: era parecchio pallido, ma stava già meglio rispetto al giorno prima. Dopo un paio di minuti di ricerca, trovò finalmente ciò che cercava, ingerì la pastiglia e tornò in camera sua.
Giunto lì, fece qualcosa che non aveva mai fatto da quando viveva con la sorella in quell’appartamento: mise a posto tutto, e meticolosamente. Non lasciò da parte nemmeno il più piccolo granello di polvere, sistemò ogni singolo libro nel giusto scaffale, rifece il letto con una cura che non si sarebbe mai aspettato da se stesso. Quando ebbe terminato, circa un’ora e mezza dopo, prese un libro che gli aveva regalato la sorella qualche tempo prima, e iniziò a leggerlo. Doveva dire di essere un po’ confuso: non capiva se era scemo lui, o se lo era lo scrittore. Per le prime trenta pagine circa – e le pagine erano in tutto centocinquanta -, l’argomento del libro era decisamente oscuro, e Hoseok non vedeva alcun collegamento logico con il titolo. Andando avanti con la lettura, si rese conto che le cose si ingarbugliavano mano a mano: a volte lo scrittore scriveva in terza persona, poi, senza preavviso, passava alla prima. La protagonista, una ragazza di diciotto anni, fidanzata con un ragazzo più grande di lei che però non si decideva a comparire, prima baciava la sorella di quest’ultimo, e poi, non contenta, faceva lo stesso – e non solo – anche con la madre. Il tutto condito con abili metafore e parole poetiche che rendevano ogni scena a luci rosse vagamente surreale e artistica, questo all’autore bisognava concederlo.
Nonostante la stranezza del libro, Hoseok ne fu tanto preso da finirlo tutto d’un fiato. Senza preoccuparsi del tempo che passava, cercò subito un altro libro: scoprì di averne due, sempre dello stesso autore, entrambi in formato tascabile. Ne prese uno a caso e si immerse nella lettura, senza prestare alcun tipo di attenzione al tempo che scorreva intorno a lui. In realtà non prestò attenzione a nulla fuorché al libro: si dimenticò anche di fare pranzo, e riuscì in quello che era il suo vero intento, anche se e livello inconscio: non pensare a niente se non alle parole stampate sulla carta. I ricordi malsani che in genere lo schiacciavano si erano come dissolti tra le pagine, donandogli una pace che però sapeva destinata a terminare. Tuttavia, non era disposto a rinunciare a quella tranquillità – seppur illusoria -, quindi ogni volta che il viso di Taehyung o scene della notte che aveva passato ad aspettarlo tornavano a fare capolino nella sua mente, li scacciava con decisione, concentrando tutte le sue energie sul libro che stava leggendo. Libro che, come l’altro, presentava argomenti bizzarri, ma sempre con quella particolare e aggraziata esposizione che rendeva apprezzabile anche la scena più grottesca.
Fu quasi comico il modo in cui, non appena il fratello giunse all’ultima pagina, Jiwoo entrò in casa. Hoseok non se ne accorse subito: aveva ancora poche righe da terminare, non poteva permettere a niente e a nessuno di distrarlo. Così, quando la ragazza annunciò che era tornata e non ricevette alcuna risposta, si preparò a dirne di cotte e di crude al fratello maggiore, credendo che fosse uscito. Certo non si aspettava di entrare in camera sua e vederlo sul letto mentre chiudeva un libro con espressione afflitta.
L’unica cosa che Hoseok le disse, appena la vide, fu: - Rachel non ce l’ha fatta.
Il suo viso esprimeva autentica tristezza, e Jiwoo si sciolse in un attimo vedendo quel broncio adorabilmente curvato in giù, da bambino. Si andò a sedere vicino a lui. – Dai, è solo un libro, queste cose succedono nei libri.
- Sì, ma Rachel era una persona forte, una di quelle che non si arrendono – Il tono del ragazzo si incupì, divenne più serio, più consapevole di quanto ciò che aveva letto gli potesse servire da lezione. – Ma non ce l’ha fatta lo stesso... aveva troppa paura anche lei.
Per qualche istante nella stanza ci fu un silenzio leggero, grigio. Hoseok pensò che avrebbe tanto voluto essere come Rachel, la protagonista del libro che aveva appena terminato: aveva tutta quella forza e quel coraggio che gli mancavano. L’unica cosa che non gli quadrava era che fosse morta: le persone così non muoiono, non nei libri. Quell’autore era decisamente strano... o forse no. Forse davvero non bastava mettere da parte le paure per farcela, in qualsiasi cosa: sarebbero rispuntate da sole, quando meno ce lo si sarebbe aspettato. Pensò a come si era comportato con Taehyung: era stato un vero codardo, talmente prigioniero delle proprie fisime che aveva lasciato andare l’unica persona che davvero contasse per lui – escludendo sua sorella e i suoi genitori.
Alzò lo sguardo su Jiwoo, e in quel momento un pensiero gli piombò addosso come una secchiata d’acqua gelida.
- Che ore sono? – chiese allarmato alla sorella, alzandosi dal letto per andare a mettere a posto il libro su uno scaffale.
- Ho fatto un po’ tardi... sono quasi le otto, perché?
- Le otto? Di già? Stai scherzando vero? – disse sempre più alterato Hoseok, lasciando ancora più perplessa la sorella. Aprì con fare disperato l’armadio, riflettendo sul fatto che il luogo in cui doveva andare distava almeno una quarantina di minuti se avesse voluto raggiungerlo con i mezzi e che non aveva mai preso la patente perché non ne aveva mai avuto bisogno – e perché, inutile negarlo, se ci avesse provato avrebbe provocato la distruzione di buona parte della città in cui viveva –, quindi non disponeva neanche di un’automobile per velocizzare le cose.
Aspetta, si disse mentalmente. Quel problema forse poteva essere risolto senza troppo sforzo: lui in effetti conosceva una persona dotata di patente e di automobile, ed era seduta sul suo letto a circa un metro da lui. Si girò di scatto verso Jiwoo, che lo stava ancora guardando eufemisticamente incuriosita dal suo bizzarro comportamento.
- Sorellina... stasera non hai degli impegni vero?
- Ehm, no, ma...
- Molto bene, perché un mio amico mi ha invitato a una festa, ma io sono spaventosamente in ritardo...
- ...e ti serve la macchina altrimenti non arriverai mai a un orario decente?
- Questo è quello che intendo con “telepatia tra membri della famiglia Jung”! – esclamò soddisfatto Hoseok, stendendo le sue labbra in un sorriso. Jiwoo lo guardò per un po’ senza dire niente, sorridendogli di rimando.
- Ehi, tutto bene? – le chiese dopo alcuni istanti il fratello maggiore.
- Sì... hai sorriso, era un sacco di tempo che non lo facevi – rispose semplicemente la ragazza. Per un attimo Hoseok restò interdetto: non se n’era nemmeno reso conto, ma effettivamente era vero. Aveva sorriso, e, almeno per il momento, si sentiva stranamente di buon umore. La guardò, e lei capì: sapeva che non era una condizione permanente, ma andava bene così.
- Allora? Ci vieni con me?
 
***
 
Dopo un’oretta che si trovava al Dark & Wild – senza aver ancora trovato Park Moonbin –, Jungkook poteva affermare con sicurezza due sole cose: che il barista era uno stronzo, e che quel posto era un casino. La prima constatazione era dovuta al fatto che, una volta avvicinatosi al piano bar, lui si era innocentemente azzardato a ordinare una bevanda analcolica. Questo perché, in fondo, lui era sempre stato un bambino, e l’alcol non gli era mai piaciuto. Più volte i suoi amici, e anche lo stesso Jimin, avevano cercato di fargli bere qualcosa di più alcolico della coca-cola: in quelle occasioni, Jungkook aveva diligentemente accettato l’offerta, buttato giù un sorso - più che un sorso una goccia – e aveva detto: “No grazie” con un sorriso tirato. Dopo di che era sempre corso a cercare dell’acqua per sciacquarsi la bocca da quel sapore amarognolo.
Il barista, a quella richiesta, gli aveva riso in faccia chiedendogli quanti anni avesse. A quel punto, capendo l’antifona, Jungkook aveva tolto le tende ed era andato nell’angolo riservato ai regali per il festeggiato, un certo Chanyeol, se non si ricordava male. Dal suo angolino, Jungkook aveva potuto fare la sua seconda constatazione: c’era un sacco di gente, non aveva mai visto così tante persone raggruppate in un unico posto solo per una festa di compleanno. Molti li conosceva solo di vista, frequentavano l’università. Pensò che probabilmente Chanyeol dovesse essere una persona molto felice e con un mucchio di soldi, per avere così tante persone alla sua festa e aver affittato un locale così grosso. Nella sua innocenza e ingenuità, Jungkook non pensò minimante che quella festa fosse stata indetta solo formalmente per il compleanno di Chanyeol: tutta quella gente, in realtà, era solo un diversivo. Era lui la causa di tutto, il movente che aveva portato uno studente universitario, uno psicologo e un professore di economia a mettere in piedi tutta quella farsa, perché lui era troppo cieco per vedere alcune cose totalmente ovvie. Una, tanto per fare un esempio, era il fatto che Jimin fosse innamorato di lui. Un’altra, era che anche Jimin non gli era del tutto indifferente, solo che non se ne rendeva conto.
- Ehi, stai bene?
Una voce molto delicata, che quasi strideva con tutto il rumore assordante che c’era in quel luogo, lo fece riscuotere. Sollevò lo sguardo – prima si era seduto contro il muro raccogliendo le gambe al petto, in una posa che forse sarebbe potuta risultare strana o addirittura vagamente inquietante – verso il ragazzo che gli aveva parlato: poteva avere circa la sua età, se non qualche anno in meno, ed era abbastanza gracile. Aveva dei lineamenti gentili, e quasi sicuramente non era coreano: aveva un modo strano di pronunciare alcune lettere, forse era cinese.
- Sì, sì, sto bene. È solo che... tutte queste persone – dicendolo, Jungkook indicò con la testa la folla nel locale – mi mettono un po’ di ansia, ecco.
- Anche a me, sai? – accennò con voce vagamente infastidita il ragazzo. – E il barista è proprio uno stronzo.
A quell’affermazione, incuriosito, Jungkook gli chiese il motivo.
- Due minuti fa ho ordinato una coca-cola, e quello mi ha praticamente riso in faccia! È un delitto adesso essere astemi?
Sentendo la risposta del ragazzo, Jungkook scoppiò a ridere in maniera talmente fragorosa che quasi andò a sbattere con la testa contro la parete. Dato che non accennava a smettere, l’altro gli chiese: - Be’, che hai da ridere? Anche tu pensi che la gente dovrebbe andare in giro a ubriacarsi senza ragione? Sei ubriaco anche tu magari?
Jungkook cercò di trattenere le risa, e quando si fu sufficientemente calmato, rispose: - No, no, è solo che mi è successa esattamente la stessa cosa. Curioso, no?
Il ragazzo cinese lo guardò stupito, ma dopo pochi secondi iniziò a ridere anche lui: in fondo era sempre bello trovare qualcuno con i propri medesimi problemi, o che veniva deriso per le stesse ragioni.
Mal comune, mezzo gaudio.
- Dai, siediti qui con me – gli disse Jungkook, facendogli segno di prendere posto di fianco a lui con la mano. L’altro ci pensò un attimo, poi fece come gli era stato detto, ma il gesto che compì alla fine lasciò un po’ perplesso Jungkook: dopo essersi chiuso in una sorta di posizione riccio, appoggiò una guancia sulle ginocchia in modo da poterlo guardare. Era più inquietante di lui, quello era sicuro, ma stranamente la cosa non lo turbava minimamente. Forse avrebbe passato una serata carina anche senza Moonbin.
- Comunque io sono Lu Han, piacere di conoscerti – concluse con un sorriso.
Proprio in quel momento, un altro ragazzo varcò la soglia del Dark & Wild, attirando nel giro di pochi secondi l’attenzione del “Comparto speciale”, così denominato da Min Yoongi, coordinatore in capo delle operazioni. Fu proprio quest’ultimo a prendersi l’incarico di dirottare il suo percorso verso la felicità. Una cosa che non si immaginava assolutamente, però, era che il suo obiettivo fosse accompagnato da una ragazza.
 
***


Taehyung era certo che Sehun, pochi secondi prima, fosse a cinque centimetri di distanza da lui. Eppure, se la vista non lo ingannava, il ragazzo era appena improvvisamente scomparso. Si era voltato un attimo perché un particolare – non ricordava più nemmeno quale – aveva casualmente attirato la sua attenzione, e il suo amico si era come volatilizzato. Di colpo si rese conto della quantità esorbitante di gente raccolta nel locale, e che non sarebbe mai riuscito a rintracciarlo. Tutta quella folla gli ricordò quella volta in cui aveva partecipato a un concorso di fotografia, tema “confusione”: se avesse fatto una foto in quel momento sarebbe stata perfetta. Quel concorso però era ormai terminato da tempo, lui era arrivato solo terzo e in quel periodo aveva appena conosciuto Hoseok, quindi si affrettò ad accantonare quel ricordo.
Invece, armatosi di buona volontà e cercando di non andare in iperventilazione per la paura di rimanere solo lì dentro, andò alla ricerca di Sehun, nonostante avesse asserito poco prima che sarebbe stato improponibile tentare di farlo.
Iniziò a farsi largo a gomitate a destra e a manca, biascicando irritati “Permesso” ogni volta che qualcuno restava caparbiamente nella propria posizione impedendogli il passaggio. La musica gli rimbombava nelle orecchie, la sentiva picchiare contro le sue tempie come un martello pneumatico. Cercava di non badare al tempo che passava: l’unica cosa che contava era trovare Sehun. L’ansia aveva iniziato ad assalirlo, e la ricerca del suo amico era divenuta di vitale importanza e di impossibile quanto indispensabile riuscita.
Gli sembrò di essere stato bruscamente risvegliato da un incubo quando qualcuno lo afferrò per una spalla.
- Ehi, stai bene? Hai una faccia pallidissima.
Taehyung si girò verso la persona che lo aveva bloccato: era un ragazzo alto circa quanto lui, con i capelli castani e due occhi abbastanza preoccupati. Guardandolo meglio, però, si rese conto che proprio un ragazzo non era: sembrava anzi avere diversi anni in più di lui. Più che un ragazzo, in effetti, sembrava un uomo, e stargli vicino gli procurava una strana sensazione: gli sembrava di averlo già visto, ma non riusciva a ricordare né quando né dove...
- Sto-sto bene, sì, benissimo, da Dio, mai stato meglio – rispose balbettando, dando esattamente l’impressione contraria. L’altro infatti lo guardò scettico, e badò a non lasciare la presa sulla sua spalla, perché temeva che Taehyung sarebbe rovinosamente caduto a terra. Senza accorgersene, aveva addirittura iniziato a tremare.
- A me non sembra tanto... senti, vuoi uscire un attimo?
Questo qui è palesemente un angelo venuto dal cielo per salvarmi, pensò Taehyung mentre annuiva energicamente all’uomo. Quello gli chiese ancora se riusciva a camminare da solo, e quando ricevette una risposta affermativa, gli disse di seguirlo, e lo lasciò andare con cautela. Mentre lo guidava attraverso la folla, Taehyung – questa volta facendo attenzione a non perderlo mai di vista – iniziò a pensare al fatto che era strano che qualcuno della sua età si trovasse a una festa del genere: era sicuramente troppo giovane per essere il padre del festeggiato; magari era un parente, ma in genere i parenti stanno incollati ai festeggiati, non si mischiano alla folla degli invitati. Quella storia continuava a sembrargli strana, ma una volta che fu finalmente fuori dal locale smise di farsi troppe domande: tanto non sarebbe venuto a capo di niente.
- Meglio? – gli chiese, mentre entrambi si appoggiavano con la schiena alla parete esterna del Dark & Wild.
- Decisamente – rispose Taehyung sospirando. Sì, fuori si stava decisamente meglio: almeno lì c’era aria respirabile. Per un po’ nessuno dei due disse nulla, e un’atmosfera di imbarazzo calò tra loro; Taehyung iniziò a guardarsi la punta delle scarpe, giocando con i ciottoli, aspettando che l’uomo di fianco a lui facesse qualcosa.
Infatti fu proprio lui a rompere quel silenzio. – Non dovresti venire a feste del genere se la folla ti fa stare così male, sembrava che tu stessi svenendo lì dentro.
- Un amico mi ha chiesto di venire con lui, io non sarei mai venuto di mia spontanea volontà – ribatté ridacchiando il ragazzo. – Tra l’altro l’ho perso di vista... non mi piace essere lasciato da solo – continuò poi, continuando a guardare in basso. Quella frase lo fece inevitabilmente pensare a Hoseok. Già, non gli piaceva per niente essere lasciato da solo.
- Non l’avrà sicuramente fatto di proposito... non preoccuparti, okay? – Il tono comprensivo che l’uomo sconosciuto usava con lui lo tranquillizzava, lo faceva sentire... piccolo, ma in maniera piacevole. Finalmente si decise a voltarsi verso il suo interlocutore.
- Come ti chiami?
- Kim Seokjin. Tu inve...
- Ma io so chi sei! – lo interruppe subito Taehyung, prima che potesse terminare la sua domanda. – Tu insegni economia all’università, sei quello giovane! – Esclamò puntando il dito verso Seokjin, sempre più stupito del fatto che si trovasse a quella festa. Non appena si fu reso conto che stava parlando con un professore, si maledì per la confidenza che aveva usato fino a pochi secondi prima, e riprese a balbettare come nel locale. – Tu, insomma, lei, cioè...
- Per stasera sono solo Seokjin, stai tranquillo – rispose quello, esibendo la sua solita espressione rassicurante. – E tu sei?
- Kim Taehyung... sì, beh, però sono solo Taehyung – Il ragazzo si maledì per le sue reazioni sempre più maldestre: non riusciva a infilare un discorso per il verso giusto, ogni risposta era sgangherata e inconcludente. E poi, continuava a chiedersi perché quell’uomo fosse lì: non capiva perché fosse diventato così importante saperlo, ma la curiosità lo stava divorando. Così, prima che potesse bloccarle, le parole gli uscirono spontanee dalla bocca.
- Perché un professore dovrebbe venire a una festa del genere?
Quando realizzò che aveva posto quella domanda a un professore, diamine, e che probabilmente non avrebbe avuto alcun motivo concreto per conoscere la risposta, cercò di rimediare: - Sì, be’, se può dirmelo, non vorrei essere ind...
- Ti prego, smettila di darmi del lei, mi fai sentire vecchio! – lo interruppe Seokjin ridendo. Poi rimase qualche secondo in silenzio, come se stesse pensando a che risposta dare. – Ehm... è una lunga storia – disse alla fine, incrociando le braccia al petto.
Taehyung rimase un po’ perplesso: si era aspettato una risposta qualunque, a esempio “Mi sono imbucato”, o “Sono un parente”, come aveva ipotizzato prima, oppure “Il fratello del migliore amico del figlio di un mio collega mi ha costretto a venire”, non un evasivo “E’ una storia lunga”. Non lo convinceva, non lo convinceva assolutamente, però non poteva azzardare altre domande, altrimenti sarebbe risultato troppo strano. E okay, lui effettivamente strano lo era, e anche parecchio, ma non ci teneva a sembrarlo troppo davanti a un professore universitario.
- Senti, mi sembri ancora un po’ pallido, torno un attimo dentro a prenderti qualcosa da bere – disse poi in un tono un po’ strano. Si voltò e fece per tornare nel locale, ma all’ultimo secondo, quando aveva già fatto un passo oltre l’entrata, gli fece un’ultima raccomandazione: - Tu resta qui.
Dopo di che scomparve all’interno del Dark & Wild.
Sei di nuovo solo, eh?
 
***


Dopo pochi minuti che era entrato nel locale, Hoseok vide un ragazzo con i capelli tinti di un rosso acceso che osservava lui e sua sorella. Diede una gomitata a Jiwoo per attirare la sua attenzione.
- Senti, ma secondo te quello lì ha qualche problema con noi?
La ragazza lo guardò stranita, poi seguì con gli occhi la direzione indicata dal fratello.
- Hobi, hai anche le traveggole adesso? Non c’è nessuno lì.
- Ma cosa dici? Guarda ben... oh – Con grande disappunto e incredulità da parte di Hoseok, il ragazzo era come scomparso. Probabilmente si era reso conto di essere stato notato e si era mischiato tra la folla.
- Io l’ho sempre detto che soffri  di manie di persecuzione, fratellone, – continuò la sorella – e adesso hai anche le visioni, magari diventerai un medium o qualcosa del genere.
Tempo di fare qualche altro sproloquio su Hoseok, di gesticolare un po’ guardando per aria, che il quello le sparì da sotto il naso. Ovviamente Jiwoo non poteva sapere che l’ex di suo fratello stava avendo il suo stesso problema, e non poteva neanche sapere che di lì a pochi secondi avrebbe rivisto una persona che non sarebbe dovuta essere nella maniera più assoluta in quel locale.
Hoseok, invece, era più che altro sbalordito, in quanto il tizio con i capelli rossi che aveva visto poco prima lo stava trascinando via dalla sorella per condurlo in un luogo imprecisato.
Io l’avevo detto che quello lì aveva dei problemi con noi, pensava intanto, anche un po’ preoccupato. Che diamine stava succedendo? E poi... cavolo, quel ragazzo lo stava trascinando per un polso, e gli faceva male. Probabilmente se l’avesse voluto sarebbe riuscito a liberarsi, c’era talmente tanta gente che avrebbe impiegato ben poco a dare un bello strattone e confondersi in mezzo al casino. Però... però era curioso. Sapeva che era stupido, e che avrebbe fatto meglio ad andarsene subito, perché quello poteva perfettamente essere un delinquente, o un serial killer, ma ormai era lì, no? Cosa aveva da perdere?
E poi qui non c’è nessuno che mi conosce, a parte mia sorella. A nessuno interessa quello che potrebbe succedermi.
Quindi smise di opporre quella pur lieve resistenza di prima e attese che lo sconosciuto lo portasse dove voleva. A un certo punto arrivarono in un punto che Hoseok riconobbe essere l’entrata del locale, e si fermarono. Il ragazzo si guardò intorno, poi guardò fuori. Dopo aver assunto un’espressione vagamente pensierosa, cambiò brutalmente direzione dirigendosi verso il piano bar.
Cos’è, mi rapisce e poi mi offre un drink?, si chiese ironico, sempre più incuriosito di scoprire che cosa avesse intenzione di fare il rosso. Quello si sedette su uno degli sgabelli e, per la prima volta da quando aveva iniziato quel bizzarro percorso attraverso il Dark & Wild, aprì bocca.
- Su, siediti anche tu.
Hoseok strabuzzò gli occhi: lui sapeva di chi era quella voce. Riuscì finalmente a guardare in faccia il ragazzo, e comprese l’identità dello sconosciuto: era quel ragazzo che, di punto in bianco, quando l’aveva visto svenuto per terra pochi giorni prima – gli sembravano passati anni -, se l’era caricato sulle spalle e l’aveva portato in un campo da basket alquanto malconcio. Era sicuro che avrebbe dovuto sapere il suo nome, ma l’aveva totalmente rimosso.
Come se gli avesse letto nel pensiero, quello gli rivolse uno sguardo divertito – c’era anche qualcos’altro in quegli occhi, ma Hoseok non riusciva a capire cosa fosse – e gli disse: - Sì, sono io, sicuramente non ti ricorderai il mio nome ma non è poi così importante in questo momento. – Ci fu qualche secondo di silenzio dopo quella frase, in cui nessuno dei due aveva idea di cosa fosse giusto fare. Come era ovvio pensare, fu Yoongi a interromperlo, con una frase che lasciò lievemente interdetto Hoseok. - E ora siediti, che cavolo, sei strano.
Il ragazzo scosse la testa e prese posto, poi appoggiò i gomiti sul bancone. L’altro ordinò qualcosa al barista, ma Hoseok non comprese cosa fosse. Decise di non indagare e di affidarsi alla sorte. Ascoltando meglio la sua voce, però, tutto il quadro gli fu improvvisamente chiaro: la telefonata da parte di un compagno con cui non aveva mai parlato, il fatto che gli sembrasse familiare anche se era sicuro di non averlo mai sentito all’università, e ora quel rapimento in mezzo al locale. Si diede mentalmente dell’ingenuo, chiedendosi come avesse fatto a non arrivarci appena aveva visto in faccia il ragazzo che in quel momento era seduto alla sua destra e stava aspettando un drink di dubbia natura. Sorrideva ironico mentre parlava.
- Ho solo una domanda... Kwon Jihae è davvero un mio compagno di corso o te lo sei inventato tu?
A Yoongi per poco non prese un infarto: no, non rientrava nei piani che Hoseok si rendesse conto del piano. Poco male, avrebbe inventato – sperando che niente andasse storto nella sua testa.
Vedendo come era trasalito il ragazzo e dato che non accennava a rispondere, Hoseok si convinse di aver effettivamente fatto centro. Trascorsero di nuovo alcuni secondi di silenzio. Il barista portò un grosso bicchiere con un liquido trasparente e una fettina di limone e lo depositò davanti a Yoongi. Quello lo fissava indifferente, chiedendosi cosa fosse meglio fare in quel momento: Jimin gli aveva parlato di Hoseok, e sapeva che non era il tipo che iniziava da solo conversazioni che avrebbero potuto metterlo in difficoltà o farlo riflettere sulle sue azioni. Questo, agli occhi di Yoongi, era stata una delle cause principali che avevano portato la sua relazione con Taehyung al tracollo, e prima di mandarlo tra le fauci del leone voleva almeno provare a farlo parlare più o meno spontaneamente. Decise di stare zitto: avrebbe aspettato che dicesse qualcosa. Se non riusciva a farlo con lui, come avrebbe fatto con il suo ex?
Trascorse del tempo. Yoongi si rigirava il bicchiere tra le mani, osservando le impronte delle dita sulla condensa. Hoseok tamburellava sul bancone, le parole come imprigionate all’interno della bocca. Il ragazzo dai capelli rossi aveva quasi perso le speranze. Prese un sorso del suo drink.
- Perché sono qui?
Yoongi posò il bicchiere. Quella roba faceva davvero schifo.
Si girò per guardare Hoseok: stava fissando il bancone, le sue dita tenevano il tempo della musica all’interno del locale. – Sei qui perché Taehyung ha bisogno di te, e tu di lui. So che adesso vorrai andartene: hai paura. Paura che non gli interessi più niente di te, o che non possa perdonarti per quello che hai fatto. Anzi, forse temi ancora di più che possa perdonarti davvero.
Hoseok si irrigidì, le sue dita si bloccarono all’istante. Taehyung era lì? Dove?
- Ma sai cosa? Non l’hai perso, non ancora.
- Come puoi esserne sicuro? Tu non sai niente, non lo conosci... io l’ho ferito, l’ho abbandonato, è tutto inutile ormai. – Mentre pronunciava quelle parole, la sua testa si abbassava sempre di più, così come il suo tono di voce, la forza con cui parlava. Ripensava alla notte che aveva passato sotto il salice ad aspettarlo, inutilmente: aveva fatto tanto male che era stato quasi tentato di farla finita, se lo ricordava.
- Se non gliene fregasse più niente non sarebbe venuto. Anche lui ha ricevuto un invito un po’ strano, con motivazioni un po’ posticce. Sicuramente gli è venuto il dubbio che potesse esserci qualcosa sotto, ma ha accettato lo stesso.
- Non vuol dire niente – rispose sempre più scoraggiato Hoseok. – Magari non gli è nemmeno passato per la mente che ci potessi essere io. Tu dici che dovrei ancora sperare, ma dimmi una cosa: ti è mai successo di non riuscire a respirare per il dolore? Di piangere tanto da non riuscire nemmeno a vedere oltre il tuo naso? Di... di aver amato, ma non aver capito che l’amore è la più grande bugia di questo mondo di merda. Ci sono ferite che non posso curare, né sul mio cuore, né su quello di Taehyung.
Yoongi incassò il colpo. Sapeva che insistere immediatamente sull’argomento sarebbe stato controproducente. Doveva distrarlo, e per distrarlo gli serviva un diversivo.
Dai Yoongi, pensa... un diversivo, non dovrebbe essere troppo complicato.
- Vuoi assaggiare? – gli propose nel tono più neutrale che poté, porgendogli il bicchiere. Hoseok lo guardò un po’ stupito, poi prese cautamente un sorso. La sua reazione fu immediata.
- Bleah! Ma questa roba fa schifo!
Yoongi ridacchiò un po’. – Anche secondo me.
Per la prima volta in tutta la serata, si guardarono negli occhi – si guardarono davvero, e Yoongi vide un’infinita tristezza, una paura incolmabile, una terribile sfiducia nel mondo e in se stesso. Non poteva lasciarlo così, cazzo, non poteva: doveva impedire che vivesse per sempre in quel modo, con quella fottuta paura di fare anche un solo passo, nessuno meritava una vita del genere.
- No, non ho mai amato come dici tu. Ma tutte le altre cose le ho sentite, eccome se le ho sentite, e ho imparato una cosa: c’è sempre una luce in fondo al tunnel. In qualche modo l’uscita si trova, Hoseok, e magari in questo momento tu non riesci a vederla, ma c’è, esiste, ed è qui, appena fuori dal locale, che ti sta aspettando. Non hai perso questa battaglia, perché non l’hai ancora nemmeno combattuta: puoi farlo tornare, ma prima devi avere il coraggio di alzare il culo da questo sgabello e andare a parlargli – Fece una pausa e prese un bel respiro: non voleva rischiare che il suo cervello gli facesse brutti scherzi in quel momento, e l’agitazione non l’avrebbe aiutato nel suo intento. Chiuse un attimo gli occhi, poi li riaprì. – Non ho mai amato così intensamente, ma so che l’amore esiste davvero, perché l’ho visto con i miei occhi. Non c’era nulla di finto, posso assicurartelo: quei due si farebbero prendere sotto da un treno per l’uno per l’altro, e qualcosa mi dice che anche tu faresti lo stesso per Taehyung.
Strano a dirsi, ma Hoseok non abbassò mai lo sguardo mentre Yoongi parlava. A ogni parola, a ogni frase, sentiva come una strana... speranza, nascere dentro di lui, anche se cercava ancora di negarlo a se stesso. Non si stette nemmeno a chiedere come fosse possibile che un ragazzo di cui non ricordava nemmeno il nome ci fosse riuscito: non era assolutamente necessario in quel momento.
- Quindi tu adesso ti alzi, esci da questo posto e vai a riprenderti ciò che è tuo, okay?
Hoseok non rispose. Semplicemente si alzò, uscì da quel posto, e andò a riprendersi ciò che era suo.








Angolo autrice (parte 2):
Allora, vi è piaciuto? Spero davvero tanto di sì :) Come al solito, lasciate una recensione se avete tempo e voglia, e... ci rivediamo al prossimo capitolo!
Ireth
  
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