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Autore: Vekra    30/04/2009    2 recensioni
"... Al buio, il silenzio ti porta al centro di tutto. Ci sei solo tu e i tuoi pensieri, non puoi fuggire e non puoi mentire. Solo lì, in quel limbo di parole e suggestioni, il bambino riusciva a trovare chiarezza. E quando avrebbe riaperto gli occhi, sapeva che la luce gli avrebbe donato un po' di speranza..."
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia Dursley, Harry Potter
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il Parco dei Sogni
Disclaimer: Harry Potter e tutti i personaggi della saga sono di proprietà di JK Rowling e di chiunque ne possieda i diritti. Questa storia non ha alcun fine di lucro, né intende infrangere alcuna legge su diritti di pubblicazione e copyright.

NdA: Questa piccola shot è nata da un sogno e vaghi pensieri su di esso e, quindi, va letta come tale.



IL PARCO DEI SOGNI


Il cielo era terso e pallidi i raggi del sole. Rosse le foglie sugli alberi, marroni quelle sull’erba. Il Parco, quella mattina, sorgeva come la soglia di due mondi, uno freddo e libero, l’altro caldo e opprimente. Nessun suono li distingueva, tutto era nel silenzio.

In quello splendido mezzo si trovava un ragazzo, poco più che ventenne. Sedeva ad una delle panchine, le gambe leggermente allargate e la testa reclinata all’indietro. Le sue mani era chiuse su quella che sembrava una foto. Le sue palpebre abbassate.

Aveva un aspetto normale, banale perfino. Capelli neri, occhiali rettangolari, mento pronunciato, naso dritto. Indossava una giacca nera sopra una maglietta bianca. Portava scarpe da ginnastica chiare e jeans scuri. Quasi non si vedeva, quello strano segno sulla sua fronte. La classica persona che non noti più, dopo averla appena vista passare per strada.

Eppure, in quel contesto, era protagonista assoluto. Perché era l’unico elemento che disturbava quell’equilibrio, perché stonava in quel quadro perfetto. Catturava l’attenzione, come un’increspatura in un tessuto liscio e vellutato.

Il bambino non poteva fare a meno di guardarlo. Quella presenza non era prevista ma, inaspettatamente, non gli procurava alcun fastidio, anzi. Era incuriosito, terribilmente incuriosito. Perché uno come quello era lì?

Si avvicinò di qualche passo. Il rumore delle sue scarpe echeggiò lentamente per il parco. Il ragazzo non si mosse. Il bambino esitò. Quello era un perfetto sconosciuto… e se si fosse trattato di uno di quei malintenzionati che urtavano tanto la suscettibilità dei suoi zii? E se fosse stato pericoloso? Però non sembrava cattivo…

Gli sembrava anche di averlo già visto da qualche parte. Era famigliare… quasi. Sempre che lui potesse sapere cosa significasse quella parola, “famigliare”. Si sentiva al sicuro e questo era strano. Non avrebbe dovuto aver paura?

Avanzò fino alla panchina. Il dubbio e l’incertezza presero nuovamente vita in quegl’occhi verdi. Sedersi o andare via? Il ragazzo non si era mosso, non aveva nemmeno aperto gli occhi. Si ritrovò seduto prima ancora di rendersene conto. Anche lui chiuse gli occhi, come sempre.

Al buio, il silenzio ti porta al centro di tutto. Ci sei solo tu e i tuoi pensieri, non puoi fuggire e non puoi mentire. Solo lì, in quel limbo di parole e suggestioni, il bambino riusciva a trovare chiarezza. E quando avrebbe riaperto gli occhi, sapeva che la luce gli avrebbe donato un po’ di speranza.

Il bambino pensò che anche il ragazzo la cercasse. Nessun altro andava mai lì, se non per quello. Ed era molto brutto che non ci fosse mai nessuno. Il ragazzo era il primo che aveva incontrato in quel parco. Sorrise perché non era più solo.

Il respiro tranquillo dell’altro accompagnò le sue riflessioni.



***



Il bambino si alzò dalla panchina e, subito dopo, si pentì di non essere rimasto seduto. Gli sarebbe piaciuto vedere la foto che quel ragazzo continuava a tenere in mano ma, da dove si trovava adesso, riusciva soltanto a notare che aveva i bordi molto stropicciati. Si disse che sarebbe stato scortese chiedergli di vederla visto che non lo conosceva.

“Spero che verrai ancora” non poté tuttavia impedirsi di sussurrargli. Il ragazzo, rimasto immobile fino a quel momento, si sedette un po’ più compostamente ed annuì nella sua direzione. Senza mai aprire gli occhi. Si rafforzò nel bambino la sensazione di averlo già visto. Annuì anche lui, sapendo che, anche senza vederlo, il ragazzo avrebbe capito.

Tornò alla casa dei suoi zii.



***



Il Parco, quel giorno, era differente. Giaceva, instabile, sul confine tra splendore e tormento. Da un lato fronde rigogliose accarezzavano la terra, dall’altro arbusti irti di spine trafiggevano fiori. Un cielo al tramonto rendeva l’atmosfera romantica e inquieta al tempo stesso. Un leggero soffio dell’aria curvava placidamente le foglie e cercava di donare una forma alle corolle schiacciate.

Il bambino corse verso il gradino di pietra. Lacrime ferivano quella povera anima. Non aveva nessuno. Nessuno gli voleva bene, nessuno si sarebbe occupato di lui, Era solo, solo da sempre e solo per sempre. Grida di pianto e d’orrore lo scossero fino a farlo inginocchiare a terra. Sempre umiliato e maltrattato, senza qualcuno che gli rivolgesse un gesto d’affetto. Urlò e urlò ancora, con le mani sulle orecchie, come a non voler più sentire.

Il ragazzo si sedette sul gradino e lo tirò a sé, stringendolo dolcemente. Il bambino soffocò sulla maglietta bianca i suoi singhiozzi e il suo dolore. Nubi color fumo e argento gareggiarono fra loro per coprire meglio la finestra sull’universo. Una pioggia lieve e pungente piegò i rami folti e donò vigore alla terra arsa. Lavò via l’angoscia dal viso del bambino.

E lentamente venne il sole.


***


Lo sguardo verde del bambino si posò dapprima sui vestiti bagnati del ragazzo, per poi sfiorare le morbide forme del Parco. I rovi lentamente appassivano, mentre la sensazione di calore aumentava quando il ragazzo se lo sistemò meglio sulle gambe. Il sole sfiorava i suoi nuovi figli, colorandoli di tinture tenui e delicate. Era bello farsi accarezzare i capelli, anche se quel ragazzo sembrava farlo così distrattamente. Di nuovo quella sensazione di familiarità entrò prepotentemente dentro il bambino, come se fosse l’unica certezza sostenibile: sentiva di conoscerlo, sapeva che gli era vicino. Ma era sicuro di non averlo mai visto prima di quella mattina.

Si rilassò completamente fra quelle braccia, consapevole che non lo avrebbero lasciato. Si sentiva un po’ stupido per affidarsi così ad un estraneo, ma non poteva ignorare che non era mai stato meglio in vita sua. Le iridi verdi indugiarono su quel volto dagli occhi chiusi. Il bambino pensò che fosse molto strano che non li aprisse mai. Pensò che era un peccato non poter guardare quei fiori.

“Perché non apri gli occhi?” la domanda venne pronunciata ancor prima che il più piccolo se ne potesse accorgere. Le labbra del ragazzo si curvarono appena.

“Non c’è niente che non abbia già visto, almeno qui” anche la voce era famigliare, per quanto non l’avesse mai sentita.

“Ci conosciamo?” il bambino esitò. Il più grande scosse la testa.

“Però tu mi conosci” affermò l’altro con sicurezza “altrimenti perché mi terresti in braccio?” il ragazzo lo strinse un po’ più forte.

“Non è necessario conoscere un bambino per desiderare che non possa mai soffrire” il bambino posò la fronte contro quella maglietta bianca. Si sentiva sempre meglio, si sentiva rassicurato. L’erba era rigogliosa e sempre più verde, i fiori bellissimi e al sicuro. Il cielo era azzurro e il sole asciugava i loro vestiti bagnati. Allora era vero che in quel parco si poteva trovare la speranza…

“Tu mi conosci” insistette. Di nuovo, la bocca del ragazzo si piegò in un mezzo sorriso ma nessun suono uscì da essa. Il bambino rinunciò e si accoccolò meglio su quelle gambe. Il ragazzo lo strinse più forte e continuò ad accarezzargli i capelli.

“Perché piangevi? Me ne vuoi parlare?” al bambino sembrò che il suo cuore fosse diventato troppo grande per stare nel suo corpo. Intanto, quello strano calore lo rassicurava e lo metteva a suo agio, seguendo il ritmo di quelle mani sulla sua testa. Si sentì protetto e amato per la prima volta in vita sua e pensò che fosse la cosa più bella del mondo. Il dolce odore dei fiori di magnolia lo avvolse teneramente.

Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalla speranza.

Quando li riaprì, si rese conto di dover andare.

E, all’improvviso, la consapevolezza che non sarebbe mai durato, che quello era solo un sogno, assalì il bambino con violenza. Pianse e gridò ancora, disperato, annullato  da quel peso più grande di lui. Fra quelle braccia non trovò più calore.

E il Parco cambiò di nuovo.


***


I pensieri del ragazzo turbinavano inquieti nella sua mente. Non sapeva esattamente come aiutare il bambino. Quel semplice desiderio intanto si stava trasformando in un bisogno pressante e consapevole.

Non poteva lasciarlo andare prima di averlo fatto stare meglio. Non prima di avergli detto di non arrendersi, di non lasciarsi trascinare del dolore.

La grandine iniziava a fargli male. Si curvò il più possibile per proteggere il piccolo corpo che stringeva fra le braccia. Il ragazzo urlò per sovrastare il rumore di tutta quella sofferenza.

“NON TI LASCERO’ DA SOLO!” il bambino si contorse nella sua stretta e il vento si levò, furioso e indomabile.

“Sei solo un sogno! Tu non sei reale, NON SEI REALE!” l’angosciata creatura corse lontano dal ragazzo che tentò, invano, di trattenerlo. Non voleva che si facesse male, non voleva che soffrisse ancora.

Tuttavia, il suono di quei passi disperati era velocemente scomparso e, con esso, la grandine aveva smesso di ricordare quanto entrambi avessero sofferto.

Il ragazzo aprì gli occhi.

Erano verdi, proprio come quelli del bambino.

Il cielo era stranamente terso e pallidi i deboli raggi del sole. Rosse le foglie sugli alberi spezzati, marroni quelle sull’erba bagnata. Il Parco, in quel preciso istante, sorgeva come un mondo distrutto. Nessun suono lo distingueva e tutto era nel silenzio.

Le iridi del ragazzo scivolarono lentamente su quei colori che conosceva alla perfezione, su quelle forme che, per lui, non avevano segreti.

Tirò fuori, da una tasca interna della giacca, una foto dai bordi consunti. Vi era un grasso bimbo biondo dietro una torta enorme, insieme ai suoi amici. Nell’angolo più buio della foto, ritratto per sbaglio, un bimbo dagli occhi verdi si asciugava le lacrime con la manica della maglietta. Si riusciva a notare il suo sguardo risoluto.

Il ragazzo non si sarebbe arreso.

Sarebbe tornato ancora.
  
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