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Autore: xiaq    02/09/2016    1 recensioni
Vorrebbe dire:
Se Pablo Neruda avesse visto i tuoi occhi avrebbe dedicato loro venti poemi d'amore ed uno di disperazione.
Ma non ci si aspetta che le persone dicano cose del genere. Quindi non lo fa.
Au:
John e' stato congedato anticipatamente dal servizio militare , sta lavorando all’ospedale quando Sherlock viene ricoverato al pronto soccorso.
Autrice: xiaq
Traduttrice: 86221_2097
Genere: Angst, Avventura, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO 8
 
Sono le quattro di mattina e John è di turno da ormai sedici ore quando il suo cellulare squilla. E' un numero che non riconosce. lo ignora ficcando nuovamente il viso nel cuscino ruvido nella sala dei turnisti. Qualche secondo dopo lo schermo si riaccende.

Risponde con fastidio malamente celato.

"Pronto?"

"Sì, salve. Conosce per caso Sherlock Holmes?"

John prende in considerazione l'idea di lanciare il telefono contro il muro più vicino, ma si contiene.

"Sì. Chi parla?"

"Sono l'Ispettore Lestrade. Non sono riuscito a contattare la signora Hudson e lei è l'unico altro contatto registrato sul cellulare, oltre a Mycroft." c'è una pausa. "E chiamare Mycroft non sarebbe l'idea migliore al momento, non credo."

John si alza, stropicciandosi con dita arrabbiate -con troppa violenza- gli occhi. "Scusa, cosa?"

"Io-" si sente il microfono strofinarsi su del tessuto e la voce sull'altra linea si interrompe. "Senta, potrebbe passare alla stazione a prenderlo per caso? Di solito lo porto a casa con me ma sono nel bel mezzo di un lavoro e non voglio lasciarlo chiuso qui tutto il giorno. Specialmente non così. E' completamente fatto."

"Cazzo." dice John, perchè, onestamente,cos'altro c'è da dire.

"Questo è un si?" risponde l'Ispettore.

John comincia a mettersi la maglietta, dimenticandosi di avere il cellulare all'orecchio, e poi interrompe il movimento.

"Sì, certo. Sto arrivando."

"Dica che sta cercando me quando arriva, va bene?"

"Sì. Ok, ciao."

John finisce di mettersi la maglietta e schiaffa i piedi nelle scarpe, mentre compone il numero di Stamford.

Risponde al secondo squillo. "John? Che succede?"

"Hey, ti compro il pranzo per un mese se copri il resto del mio turno, che inizia tra..." lancia un'occhiata all'orologio, "dieci minuti."

"Andata. Ce la fai per il giro di visite o devo coprirlo al posto tuo?"

"Non ne ho idea," risponde.

"Va bene. Buona fortuna, qualunque cosa sia," dice il suo amico.

"Grazie."

John riattacca e corre verso l'anscensore domandandosi perchè diavolo stia tirando fuori dei soldi dal portafoglio per un taxi alle quattro di mattina per recuperare un uomo che non ha nessuna interesse ad essere salvato.

Il commissariato è quasi vuoto quando arriva, mani infilate con forza nelle tasche, sbattendo le palpebre contro la luce improvvisa mentre entra.

"Sto cercando l'Ispettore Lestrade?" dice, l'affermazione che viene fuori come una domanda.

La donna alla reception annuisce distrattamente, poi gira la sedia per urlare dietro di sè. "Hey Lestrade! Il tuo uomo è qui."

Pochi secondi dopo un uomo attraente con capelli prematuramente grigi arriva correndo da dietro l'angolo, sembrando sollevato.

"John?" chiede, sporgendosi sulla scrivania per stringergli la mano. "Greg Lestrade."

"Sì, piacere di conoscerti, senti....vuoi spiegarmi cosa sta succedendo qui, perchè sono davvero confuso."

"Giusto, sì." Greg piega la testa da un lato ed un attimo dopo apre il tramezzo, facendo passare John dietro la scrivania. "Seguimi, ti spiego mentre andiamo."

Vagano per un labirinto di scrivanie vuote, poi passano per una doppia fila di cubicoli prima di incamminarsi su di una scala.

"Cerco di controllarlo una volta a settimana o quasi," dice Lestrade, " Niente di formale o cose del genere, solo se sono vicino al suo appartamento, sai, no? La maggior parte del tempo è al lavoro ma quando non lo è... be', quando non ha qualche puzzle da risolvere diventa un po' ingestibile."

"Ti riferisci all'eroina?" chiede John bruscamente. L'altro uomo sussulta, tenendo aperta la porta della tromba delle scale. "A volte, sì. Ma andava meglio ultimamente, pulito per mesi, da quando gli è successo l'ultima volta, venire pugnalato e tutto. E' per questo che sono rimasto sorpreso quando l'ho visto così, be' così com'è, stanotte."

Indica a John di attraversare le porte scorrevoli di fronte a se', che conducono ad un altro corridoio semi-fluorescente.

"Come sta, esattamente?" chiede John, nonostante non voglia veramente sentire la risposta.

"Fuori di se'. Molto. E' ancora nella fase tranquilla, ma in poche ore starà male sul serio. Ho chiamato la signora Hudson per vedere se poteva controllarlo, ma non ha risposto e, in ogni caso, dubito che dovrebbe essere lasciata a gestirlo mentre è in questo stato. Non so che ruolo tu abbia nella sua vita, ma devi essere qualcuno di importante se sei nel suo elenco telefonico."

"Importante," ripete John, "certo."

L'altro uomo non sembra notare il sarcasmo.

"Comunque, tecnicamente dovrei sbatterlo dentro ma," scuote la testa con un'espressione imbarazzata. "be', facciamo tutti delle eccezioni per Sherlock, credo."

Greg apre la porta di un ufficio, e poi accende le luci. "Se non menzionassi questa faccenda a nessuno, lo apprezzerei."

John smette di prestare attenzione all'imbarazzato poliziotto non appena vede Sherlock nell'angolo. E' rannicchiato su se stesso, un lenzuolo di feltro arrotolato sulle curve del suo corpo magro. La guancia destra poggiata sul ginocchio sinistro. I suoi occhi sono tutti pupilla.

"John," dice, sorprendentemente lucido.

"Sherlock," risponde John, accucciandosi vicino a lui.

Sherlock non protesta quando John passa le nocche sulla sua fronte ne' quando gli controlla il battito.

"Puoi camminare?" chiede John.

Sherlock non risponde, si limita a guardarlo, gli occhi enormi e malinconici.

"Ho dovuto portarlo io," dice Greg dietro di lui, "il che è probabilmente una cosa buona in realtà. Se non fosse ridotto in queste condizioni, non sarei mai riuscito a farlo entrare nella mia auto."

John si muove in avanti, passando un braccio dietro la schiena di Sherlock, e facendolo alzare. Greg tiene la porta aperta, poi afferra Sherlock dall'altro lato mentre tornano nella sala principale.

"Ha qualcosa contro la tua auto?" chiede John, "O contro di te personalmente?"

Lestrade ride. "Non gli piacciono le auto. Da di matto se lo infili dentro una macchina. Cammina ovunque o prende la metro."

"Cazzate," borbotta John, "passava tantissimo tempo nei taxi con me quando eravamo ragazzini."

"Be'," Greg scuote le spalle mentre scendono le scale, lentamente questa volta. La sua espressione è improvvisamente attenta. "Non lo fa più."

"Come lo hai conosciuto a proposito?" chiede John. Quasi cade quando Sherlock improvvisamente volta il viso verso il collo di John. Strofina il naso avanti e dietro due volte, poi incava la fronte più vicino, respirando sulla pelle di John.

"Lunga storia," dice Greg. C'è un po' di incredulità nel suo tono, mentre tiene aperta la seconda porta. "storia strana. Magari te la racconto quando finisco il turno, se ti va. Non ho tempo ora. Già così, sto sfidando la fortuna abbastanza."

Accompagna John ed il suo carico all'uscita, e poi tira fuori il cellulare. "Vuoi darmi il tuo indirizzo? Posso passare quando finisco il turno per dargli un'occhiata e, credo, spiegarti un paio di cose." guarda John di nuovo con il suo sguardo attento. "Sembra che tu non sia a conoscenza di alcune cose."

"Cosa?" John aggrotta le sopracciglia, guardando la testa riccioluta di Sherlock, e poi di nuovo l'ispettore. "Quali cose?"

"Senti," dice Greg scusandosi, mentre chiama un taxi. "devo davvero andare...indirizzo?"

John glielo da', e poi sistema Sherlock nel taxi che si ferma frenando.

Sherlock ride, e poi si ricompone immediatamente quando John gli solleva il mento.

"Qualcosa di divertente?" chiede John.

Sherlock allunga una mano, e tocca il sopracciglio destro di John, lasciando cadere le dita sul suo viso, lasciandole vagare sul braccio disteso di John, fino a posarle sulla mano del medico che riposa sulla sua stessa guancia. "John," dice semplicemente, e John sospira, scanandosi.

"Ti sto portando nel mio appartamento," mormora, spostandosi verso l'altro lato. "so che probabilmente non sei abbastanza coerente per capirlo, ma suppongo tu debba saperlo."

Sherlock non risponde ma John non si aspettava che lo facesse.

Gli occhi di Sherlock rimangono fissi sul volto di John per l'intera durata del viaggio.

John praticamente trascina Sherlock al piano di sopra, ricevendo un'occhiata di riprovazione dalla vicina del primo piano, che siede sul piccolo portico sorseggiando tè mentre passano. Una volta dentro, John prende in considerazione l'idea di lasciare Sherlock sul divano, ma scaccia il pensiero prima ancora che questo abbia il tempo di formarsi del tutto. Invece John lo sistema, con il lenzuolo logoro e tutto, sul letto ancora sfatto, dove Sherlock trascina al petto uno dei cuscini di John, producendo strani suoni di appagamento. I suoi occhi finalmente si chiudono e John guarda Sherlock arrotolarsi attorno al cuscino, la testa pressata sulla parte superiore, le ginocchia nascoste sotto.

John lo lascia così, la porta della camera aperta, e torna in cucina per preparare una colazione. Sicuramente sarà una lunga giornata.

Quando Sherlock incespica fuori dalla camera di John quattro ore dopo, sembra distrutto.

E non appena vede John, che sta leggendo sul divano, si ferma, vacillando, un'espressione di totale smarrimento sui lineamenti marcati. "John?"

"Sherlock," risponde John. Poggia il libro verso cui stava aggrottando le sopracciglia e si alza mentre Sherlock tenta di compiere un altro passo senza realmente riuscirci. Finisce sul pavimento prima che John abbia la previdenza di afferrarlo.

Sherlock lancia un'occhiataccia a John mentre questo lo osserva, braccia conserte, un metro più in là.

"Sembra che tu abbia avuto una ricaduta," dice John giovialmente.

"Fottiti," risponde Sherlock. La veemenza intesa nell'affermazione si è tuttavia persa da qualche parte, considerando che il detective si trova in una pila di lenzuola a terra. "dov'è il mio cellulare?"

"Immagino l'abbia ancora l'Ispettore Lestrade," dice John, offrendogli una mano. "E' quello che ti ha affidato a me. Un tuo amico?"

Sherlock arriccia il labbro superiore, ignorando la mano offerta da John, e dopo un momento John la lascia cadere.

"In ogni caso, non sono sicuro di capire cosa si aspetti che io faccia. Probabilmente dovrei semplicemente chiamare tuo fratello."

Il volto di Sherlock impallidisce al di sotto dei rimasugli di un'abbronzatura che ancora indugia sulla sua pelle. Deglutisce una volta prima di rispondere con una voce considerevolmente intimidita. "Per favore, no."

"Lo prenderò in considerazione se mi spieghi qualche cosa."

Sherlock trascina le ginocchia al petto, il mento poggiato nella piega tra di queste e devia lo sguardo dalla luce che proviene dalle persuane aperte. Chiaramente non ha intenzione di abbandonare il pavimento. "Chiedi," mormora, chiudendo gli occhi.

John sospira, spostandosi per sedersi vicino a lui.

"Cosa hai preso?"

"Eroina," risponde piatto. "domanda stupida."

"Come?"

"Endovena."

"Quanta?"

"150 milligrammi."

"Maledizione, Sherlock." John inspira lentamente attraverso il naso, espira dalla bocca. Si passa le mani sulla fronte. "Prima di oggi, quando è stata l'ultima volta che ti sei drogato? E intendo qualsiasi cosa, non solo eroina."

"Io uso solo eroina," mormora, sembrando insultato.

"Da quanto?" ripete.

"Cinque mesi, tre settimane, quattro giorni. Dimmi che ore sono e ti calcolo anche ore e minuti."

John ignora il tono maligno dietro le parole. "Perchè oggi?" chiede, "Quasi sei mesi pulito, cosa ha causato questo?"

"E' un Martedì," risponde Sherlock, come se questa sia una risposta accettabile.

"Perchè dovrebbe importarti?"

"Perchè sì. I martedì sono noiosi."

John resiste, seppure a fatica, all'impulso di schiaffeggiarlo. "Sono serio, Sherlock."

"Lo sono anche io."

"Spiegami allora. Perchè questo Martedì? ci sono stati altri martedì negli ultimi sei mesi."

Sherlock avvicina le ginocchia ancora più vicino, dondolandosi leggermente sulle punte. "Non posso spiegarlo. Non a te. Non hai idea di come sia, essere torturati dalla propria stessa mente."

"Davvero?" dice bruscamente, e il tono di voce di John deve sbloccare qualcosa in Sherlock perchè questo apre leggermente gli occhi, osservando il volto di John.

"Mi dispiace," sussurra, e sembra che sia sincero.

Sherlock osserva John, gli occhi socchiusi più del necessario alla luce del pomeriggio e poi sbatte le palpebre, lentamente.

"Ti hanno sparato."

E' un'affermazione, non una domanda, e non c'entra assolutamente nulla con la situazione in cui si trovano, ma John risponde comunque.

"Sì."

"A distanza ravvicinata."

"Sì," concorda nuovamente.

"Dove?"

John alza un sopracciglio. "Suppongo che tu, tra tutti, sia in grado di capirlo da solo."

"Spalla." risponde prontamente. "Ovvio." i suoi occhi spaziano, catalogando il corpo di John con una serie si veloci movimenti. "Zoppichi quando sei stanco però. Psicosomatico?"

"Questo è quello che dice la mia terapista."

"Oh." e la lieve esalazione è quasi impercettibile. "Posso vedere?"

"No."

"Perchè no?"

"Perchè no."

John si alza, muovendosi verso la cucina così da non dover più guardare Sherlock. Usa come scusa l'ospitalità.

"Vuoi qualcosa da bere? Da mangiare?"

Non risponde e John gli lancia un'occhiata. "Sherlock?"

"Acqua," dice, e poi, piuttosto a disagio, "penso di avere bisogno di dormire ancora un po'."

"Bene."

John gli riempie un bicchiere, poi si muove verso di lui, porgendogli la mano. "Ti aiuto a tornare a letto."

Questa volta le dita di Sherlock si stringono intorno alle sue senza domande.

"Hai intenzione di chiamare Mycroft?" chiede.

John lo osserva, appoggiato al suo fianco, mentre si tiene in piedi più grazie a John che a se stesso, e sospira.

"No. Non adesso, almeno."

Sherlock non dice grazie mentre viene sistemato sotto le coperte, ma l'espressione sul suo volto basta come ringraziamento.

"Dormi bene. Sono in salotto sei hai bisogno di me."

Non ricevendo una risposta nemmeno a questo, ritorna al suo libro con un sospiro, le dita che inconsciamente si muovono a stringere il ciondolo.

Che diavolo stai facendo? Si chiede.

Per quanto gli riguarda, non sembra essere in grado di darsi una risposta soddisfacente.









 

   
 
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