La
sua Hermione
Sheffield, South
Yorkshire, 18 Settembre, molti anni dopo la II Guerra Magica, ore 22:37
Quella
sera l’aria era fredda e pungente, nel
South Yorkshire.
L’autunno
era appena cominciato, ma tutto il
vicinato aveva già iniziato a rintanarsi in casa, dove
poteva facilmente
trovare un ambiente più caldo e confortevole. Nonostante
questo, però, i
fiocchi di neve non erano i soli a sfidare le rigide temperature e a
toccare il
manto stradale.
Ron
guardò un soffice fiocco di neve per un
attimo, poco distante rispetto alla casa dei vicini. Era rapito dalla
sua
leggerezza e purezza. Lo fissò scendere dal cielo e posarsi
delicatamente al
suolo, senza fare il minimo rumore. Poi staccò gli occhi da
terra, osservando
il lungo viale. Riuscì a malapena a scorgere i profili delle
piccole villette a
schiera che si susseguivano rapidamente e non vide altre persone al di
fuori di
se stesso. Sebbene la strada fosse debolmente illuminata dalla luce
fievole dei
lampioni, Ron seppe all’istante di essere solo.
Era
una sensazione a cui si era dovuto
necessariamente abituare. Aveva imparato a conoscerla bene, la
solitudine, da
quando…
Da
quando lei…
No.
Non
voleva. Non voleva ricordarla così, non in
questo modo.
Non
era ancora arrivato il momento.
Fu
scosso da brividi di freddo e respirò a
fatica. Riuscì ad estrarre le chiavi di casa dalla tasca
destra della sua
giacca e solo in quel momento ricordò di reggere due buste
della spesa con la
mano sinistra. Doveva fare in fretta, se voleva rispettare gli orari di
ciò che
aveva organizzato.
Infilò
rapidamente le chiavi nella toppa della
serratura, aprì la porta, che aveva chiuso a doppia mandata
prima di recarsi al
supermercato, ed entrò nella sua abitazione. Accese la luce
e passò velocemente
in rassegna l’arredamento, che era sempre stato abbastanza
scarno: la cucina e
il salotto erano scarsamente illuminati dai raggi della luna, che
filtravano
dalle due finestre rispettivamente vicino al lavabo ed al frigorifero.
Al
centro del soggiorno torreggiavano un camino antico ed un grande tavolo
ovale,
in mogano, alle cui estremità erano disposte due sedie in
legno massello scuro.
Il divano, posizionato davanti alla vecchia tv – di cui,
nonostante fossero
passati parecchi anni, doveva ancora capire appieno il funzionamento
–, era
disfatto ed in disordine, esattamente come il letto situato nella sua
camera da
letto, dove si trovavano anche l’armadio ed il bagno. Come
sempre, l’interno
dell’abitazione era scarsamente illuminato: il polveroso
lampadario non
riusciva ad emanare tutta la luce di cui Ron aveva bisogno.
Appoggiò
con cura le buste della spesa sul
tavolo, insieme alle chiavi di casa. Mise le mani a coppa e se le
avvicinò alla
bocca, dalla quale fece fuoriuscire un piacevole soffio caldo. Poi le
strofinò
una contro l’altra, per produrre un po’ di calore,
e le indirizzò verso la
tasca posteriore dei suoi pantaloni: prese la sua bacchetta in salice
con
nucleo di crine di unicorno e la puntò verso la legna del
camino.
«Incendio»
sussurrò flebilmente.
Numerose
lingue di fuoco comparvero
all’improvviso e riscaldarono immediatamente
l’ambiente circostante. Ron si
girò, poi, verso il tavolo e rivolse la bacchetta verso i
sacchetti della
spesa. Non pensò a sistemare i tanti generi alimentari che
aveva comprato
quella sera, per sopperire alla scarsità di cibo nel
frigorifero semi-vuoto: il
tempo che gli rimaneva a disposizione non era molto e doveva sbrigarsi.
«Accio
pergamena, piuma ed inchiostro.»
Con
la stessa velocità con cui aveva espresso
l’incantesimo, un foglio di pergamena, una piuma ed una
boccetta d’inchiostro
uscirono fuori dalla busta ed arrivarono dritti nella sua mano. In
seguito,
posò la bacchetta sul tavolo, vicino alle buste e alle
chiavi, avvicinò accanto
al camino una delle due sedie e ci si sedette sopra. Intinse
leggermente la
punta della piuma nell’inchiostro e, forse per la prima volta
in quella lunga
giornata, sorrise.
Poteva
finalmente iniziare a scriverle.
“Cara
Hermione,
prima
che tu inizi a leggere questa lettera, vorrei
dirti una cosa importante. E, per farlo, ho bisogno che tu ricordi
della volta
in cui Piton, durante il terzo anno, ci assegnò quel
lunghissimo e noiosissimo
tema su come si riconoscano e si uccidano i lupi mannari.
Devi
avere solo un po’ di pazienza, ma, sì, so che ti
starai già chiedendo dove diavolo voglia andare a parare con
questo.
Immagino
il tuo viso trasformarsi in una maschera di
pura concentrazione, con le sopracciglia corrugate e delle piccole
rughe
d’espressione sulla fronte, mentre richiami alla mente
l’episodio.
Bene,
allora. Richiamiamolo insieme.
Come
dicevo, Piton aveva assegnato a tutti ben due
rotoli di pergamena sui lupi mannari. Ora, col senno di poi,
è chiaro perché ci
avesse dato quel compito. Sperava che qualcuno –
cioè tu – fosse abbastanza
intelligente – sempre tu – da capire che, in
realtà, Lupin fosse un cavolo di
lupo mannaro.
Che
compito inutile. E no, non iniziare a blaterare
cretinate come “Voleva che accrescessimo il nostro bagaglio
culturale” oppure
“L’ha fatto per metterti in guardia,
Ron”, perché tanto non ci credo. Voglio
dire, perché non dirci direttamente – o meglio,
dirti direttamente, visto che
eri l’unica in grado di capirlo per tempo – che
Remus Lupin fosse un
dannatissimo lupo mannaro?
Miseriaccia,
Piton potrà anche essere stato un uomo
eccezionale, ma, come insegnante, era decisamente sadico. Molto sadico,
te lo
dico io. So che avrai un’espressione indignata, a questo
punto, ma non puoi
assolutamente dire nulla per difenderlo. Vorrei ricordarti, cara
signorina-so-tutto-io, che quello era un argomento trattato solamente
alla fine
del libro e a cui noi non eravamo arrivati neanche per sogno. Ma
scherziamo?!
E
poi, avremmo tutti risparmiato un sacco di sbuffi e
di lamentele contro il nostro supplente di Difesa contro le Arti
Oscure. Beh,
forse, dicendo “tutti”, ho esagerato un
po’. Infatti, a quanto ricordo, eri
l’unica che, alla fine, l’avesse effettivamente
finito, quel tema.
Non
devi preoccuparti, comunque, sono sicuro che le
mie maledizioni contro Piton valessero anche per te, che, mentalmente,
non
gliene avevi lanciata contro ancora nessuna.
Come
ben ricorderai, non solo ci aveva ordinato di
scrivere quei due rotoli di pergamena, ma mi aveva anche inflitto
quella
dannatissima punizione: pulire i vasi da notte
dell’infermeria. E senza magia,
per giunta!
No,
mia cara, non iniziare a ridacchiare, perché non
c’è proprio niente da ridere. Assolutamente niente
di niente.
Devo
ricordarti che mi ero beccato quella punizione
solo perché avevo preso le tue parti? Già,
esattamente: un Ron Weasley in
miniatura, tutto capelli rossicci e lentiggini, aveva alzato la voce
per
difenderti davanti a Piton e all’intera classe. Miseriaccia,
dovresti solamente
esserne onorata.
Ricordo
che non mi ero mai esposto così tanto con un
professore. Non per una ragazza, almeno. Eppure, ero così
seccato ed
infastidito dal modo in cui Piton ti aveva definito
“un’insopportabile
so-tutto-io”, che sfidarlo mi venne abbastanza naturale.
Solo
io potevo chiamarti così e non subire il
mio stesso sguardo omicida.
Ciò
che non fu affatto facile per me, invece, fu
cercare di iniziare a scrivere quei maledetti rotoli di pergamena sui
licantropi. Volevo davvero consegnarli a Piton – avevo anche
paura che mi
punisse un’altra volta, a dirla tutta
–,
ma più i giorni passavano e più mi sembrava
difficile mettere insieme le
parole.
Non
sapevo da dove iniziare, ecco tutto. Quello che
sapevo, invece, era che tu, sin dall'inizio, mi avresti dato una mano a
finirli, se solo te l’avessi chiesto. E volevo farlo, te lo
giuro: per una
volta nella mia vita, volevo provare la sensazione di essere un secchione
alunno modello, ma non trovai mai il coraggio di dirti “Ehi,
scusa se te lo
chiedo, ma potresti aiutarmi con questa tema? Sai, con le parole sono
una vera
schiappa.”
Certo,
durante gli anni, il mio orgoglio è diminuito e
la pigrizia nel fare i compiti è aumentata di molto, ma
c’è un aspetto che è
rimasto costante e non è mai cambiato.
Con
le parole sono ancora una vera
schiappa.
Per
cui, la cosa importante che voglio dirti è questa:
mi dispiace per tutti gli errori che farò in questa lettera.
E anche per tutti
quelli che ho fatto in passato.
Sai,
qualche settimana fa, Rose si è materializzata
qui e mi è venuta a trovare. Abbiamo parlato un po' e mi ha
raccontato del suo
ultimo viaggio, in Italia: ha guidato un gruppo di ricerca per cercare
tracce perdute
di maghi e streghe all'epoca dell'Antica Roma.
Sono
stato molto contento della sua visita.
Ultimamente, abbiamo ricucito molto il nostro rapporto e ciò
non può che farmi
piacere. Pensa, mi ha addirittura portato dei manuali ed una raccolta
di poesie
tradotta in inglese!
Mi
ricorda così tanto te: la voglia di scoprire cose
nuove e la tendenza ad essere sempre la sapientona della
situazione è la
stessa.
Volevo
farti conoscere una poesia in particolare:
s'intitola "Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale"
ed è di un autore sconosciuto qui in Inghilterra, un tale
Eugenio Montale.
Scommetto
che ne stai scoprendo l'esistenza solo
adesso, eh? Miseriaccia, mi hai hermionizzato, ecco la
verità.
Il
poeta la dedica a sua moglie, con la quale ha
trascorso gran parte della sua vita. Poi, però, deve
imparare a vivere da solo,
perché lei non c'è più.
Mi
sembra che riassuma bene la nostra situazione, non
trovi?
E...
davvero, Herm, è bellissima. Riesce a racchiudere
in poche e semplici righe la mancanza della moglie, il rimpianto ed il
senso di
smarrimento che prova. Le parole sono malinconiche, dolci, ma
percepisci
realmente tutto il dolore che le origina.
Cavolo,
ormai per me non c'è più speranza. Sono
davvero hermionizzato.
Bene,
la poesia inizia così.
Ho
sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e
ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Wow,
questo è solamente l'inizio, ma
l'autore è già andato dritto al punto.
Perché, non ci sono altre parole per
descriverlo. All'inizio, quando te ne sei andata, non ho provato dolore
o
sofferenza. C'era solo questo vuoto enorme ed opprimente, al centro del
mio
petto. Ed il peso di tutto quello che c'era stato tra di noi minacciava
di
schiacciarmi, ogni volta che aprivo gli occhi.
Anche
così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Quanti
anni abbiamo condiviso insieme?
Cinquanta? Sessanta? Ormai, ho perso il conto, non saprei neanche
dirtelo con
precisione. Eppure, non conta per quanto tempo ci siamo stati l'uno per
l'altra, non contano gli anni che abbiamo passato vedendo invecchiare
l'uno
negli occhi dell'altra, perché il nostro viaggio
è stato comunque troppo breve.
Io
vorrò sempre, sempre passare
dell'altro tempo con te, anche si trattasse di un solo dannatissimo
secondo.
Vorrò
sempre stare tra le tue braccia.
Il
mio dura tuttora, né più mi occorrono
le
coincidenze, le prenotazioni,
le
trappole, gli scorni di chi crede
che
la realtà sia quella che si vede.
Non
mi servivano più appuntamenti, orari,
scadenze da rispettare; non mi servivano più consolazioni o
sorrisi da parte di
gente che non conoscevo. A che cosa serviva continuare a volere una
vita
normale, se tu non ne potevi più fare parte?
Vivevo
tra due mondi lontanissimi, eppure
così vicini. Da un lato, ero intrappolato tra il nostro
passato, fatto solo di
ricordi, ed il nostro futuro, che non sarebbe mai esistito; dall'altro,
invece,
volevo solo dimenticare, volevo dimenticare tutto quello che c'era
stato tra
noi.
Perché
pensavo che fosse il mio unico
rimedio.
Perché
pensavo... che fosse più facile.
Fu
per questo che mi allontanai da tutti.
Lasciai il mio lavoro al Ministero, lasciai la Tana e mi trasferii qui,
in una
cittadina quasi sconosciuta nel South Yorkshire. Lasciai anche Harry,
Ginny e
Percy. Lasciai persino Rose e Hugo.
Desideravo
così tanto l'oblio, da non
accorgermi che, per non ferire me stesso, stavo ferendo i nostri figli,
la cosa
più preziosa al mondo.
Da
qualche anno, però, come ho già detto,
abbiamo ricucito i rapporti. Mi vengono a trovare ogni Natale e pensa
che Hugo
mi lascia addirittura cambiare i pannolini al piccolo Fred Jr!
Ho
sceso milioni di scale dandoti il braccio
non
già perché con quattr'occhi forse si vede di
più.
Con
te le ho scese perché sapevo che di noi due
le
sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano
le tue.
Sai,
quando me ne andai dalla tenda e mi
allontanai da te e da Harry, durante la ricerca degli Horcrux, mi
chiesi se
tornare indietro da voi avesse davvero un senso.
Voglio
dire, era così chiaro che tu avessi
scelto lui a me, che, in un primo momento, ripercorrere i miei passi mi
sembrava un comportamento ingenuo, stupido ed inutile.
Esattamente
come mi sentivo dentro.
Cos'ero
di fronte ad Harry James Potter?
Quali possibilità poteva avere il pigro, disattento,
mangione ed idiota Ron
Weasley in confronto al Prescelto?
Eppure,
più mi ripetevo queste domande e
più mi convincevo che c'era qualcosa che non andava. E, alla
fine,
fornutamente, capii: nonostante Harry fosse il mio migliore amico, in
quel
momento, non importava chi lui fosse, non importava che fosse il
Prescelto o il
Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto. Miseriaccia, avrebbe anche
potuto essere il
Ministro della Magia, Tu-Sai-Chi, o addirittura Rita Skeeter, per quel
che
m'interessava.
Tutto
ciò che importava era che tu avessi
scelto me e che io avessi scelto te.
Ero
lo strampalato amico di Harry Potter
che nessuno notava, ma che tu, incredibilmente, avevi scelto. E anch'io
avevo
scelto te. Ti avevo scelto perché sapevo che saresti stata
la mia guida e che
mi avresti sostenuto in ogni occasione futura.
Sapevo
che, per l'appunto, le sole vere
pupille erano le tue.
E
credimi, non sai cosa darei adesso per
rivedere il tuo sorriso, o anche solo la montagna dei tuoi capelli
scompigliati
dal sonno, per un'ultima volta."
Ron
posò, per un attimo, la piuma e la pergamena. Smise di
scrivere e controllò
l'ora. Si affrettò, poi, a prendere due ultimi oggetti dai
sacchetti della
spesa, che aveva precedentemente poggiato sul tavolo, ed a sussurrare
un altro
«Incendio» sulla candelina. Riprese la piuma in
mano, la intinse per l'ultima
volta in quella giornata nell'inchiostro e terminò la sua
lettera.
“Ti
piace? È un piccolo
muffin al cioccolato, so che ne vai pazza. Sarò pure
invecchiato molto, ma,
cara signorina-so-tutto-io, non potrei mai dimenticare questa data per
nessun
motivo al mondo."
Infine,
Ron soffiò sulla piccola candelina posta sulla superficie
del muffin e continuò
a scrivere.
“Sappi
che ti scelsi tanti
anni fa, Hermione Jean Granger-Weasley, e continuo costantemente
ed incessantemente
a sceglierti ogni giorno della mia vita.
Sono
le ore 00:01 del 19 Settembre.
Buon
compleanno, amore mio.
Con
amore
E
per sempre tuo,
Ron.
P.S.
Mi raccomando, sorveglia mamma, papà,
Bill, Charlie e quei due pazzi di Fred e George. Non vorrei che ne
combinassero
qualcuna delle loro, adesso che sono di nuovo e finalmente insieme."
Appena
finì di scrivere, Ronald Bilius
Weasley si appoggiò completamente allo schienale della
sedia. Poi, chiuse gli
occhi e sorrise.
Riusciva
ancora a ricordare il suo volto.
Sì,
riusciva ancora a ricordare la sua
Hermione.