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Autore: Cruel Heart    03/09/2016    3 recensioni
Sono passati molti anni dalla Seconda Guerra Magica.
C'è chi ha subito un lutto ed ha compianto il proprio caro defunto o chi, semplicemente, ha scelto di andare avanti con la propria vita, perché non aveva alternative.
Ed è così che, nella casa di un mago - ormai lontano ed isolato da tutti -, un passato importante, un presente doloroso ed un futuro troppo incerto si fonderanno in un'unica lettera.
"Non mi servivano più appuntamenti, orari, scadenze da rispettare; non mi servivano più consolazioni o sorrisi da parte di gente che non conoscevo. A che cosa serviva continuare a volere una vita normale, se tu non ne potevi più fare parte?"
(Non segue gli avvenimenti narrati in The Cursed Child)
[Storia partecipante al contest "L’amor che move il sole e l’altre stelle" indetto da S.Elric_]
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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La sua Hermione

 

Sheffield, South Yorkshire, 18 Settembre, molti anni dopo la II Guerra Magica, ore 22:37

 

Quella sera l’aria era fredda e pungente, nel South Yorkshire.

L’autunno era appena cominciato, ma tutto il vicinato aveva già iniziato a rintanarsi in casa, dove poteva facilmente trovare un ambiente più caldo e confortevole. Nonostante questo, però, i fiocchi di neve non erano i soli a sfidare le rigide temperature e a toccare il manto stradale.

Ron guardò un soffice fiocco di neve per un attimo, poco distante rispetto alla casa dei vicini. Era rapito dalla sua leggerezza e purezza. Lo fissò scendere dal cielo e posarsi delicatamente al suolo, senza fare il minimo rumore. Poi staccò gli occhi da terra, osservando il lungo viale. Riuscì a malapena a scorgere i profili delle piccole villette a schiera che si susseguivano rapidamente e non vide altre persone al di fuori di se stesso. Sebbene la strada fosse debolmente illuminata dalla luce fievole dei lampioni, Ron seppe all’istante di essere solo.

Era una sensazione a cui si era dovuto necessariamente abituare. Aveva imparato a conoscerla bene, la solitudine, da quando…

Da quando lei…

No.

Non voleva. Non voleva ricordarla così, non in questo modo.

Non era ancora arrivato il momento.

Fu scosso da brividi di freddo e respirò a fatica. Riuscì ad estrarre le chiavi di casa dalla tasca destra della sua giacca e solo in quel momento ricordò di reggere due buste della spesa con la mano sinistra. Doveva fare in fretta, se voleva rispettare gli orari di ciò che aveva organizzato.

Infilò rapidamente le chiavi nella toppa della serratura, aprì la porta, che aveva chiuso a doppia mandata prima di recarsi al supermercato, ed entrò nella sua abitazione. Accese la luce e passò velocemente in rassegna l’arredamento, che era sempre stato abbastanza scarno: la cucina e il salotto erano scarsamente illuminati dai raggi della luna, che filtravano dalle due finestre rispettivamente vicino al lavabo ed al frigorifero. Al centro del soggiorno torreggiavano un camino antico ed un grande tavolo ovale, in mogano, alle cui estremità erano disposte due sedie in legno massello scuro. Il divano, posizionato davanti alla vecchia tv – di cui, nonostante fossero passati parecchi anni, doveva ancora capire appieno il funzionamento –, era disfatto ed in disordine, esattamente come il letto situato nella sua camera da letto, dove si trovavano anche l’armadio ed il bagno. Come sempre, l’interno dell’abitazione era scarsamente illuminato: il polveroso lampadario non riusciva ad emanare tutta la luce di cui Ron aveva bisogno.

Appoggiò con cura le buste della spesa sul tavolo, insieme alle chiavi di casa. Mise le mani a coppa e se le avvicinò alla bocca, dalla quale fece fuoriuscire un piacevole soffio caldo. Poi le strofinò una contro l’altra, per produrre un po’ di calore, e le indirizzò verso la tasca posteriore dei suoi pantaloni: prese la sua bacchetta in salice con nucleo di crine di unicorno e la puntò verso la legna del camino.

 «Incendio» sussurrò flebilmente.

Numerose lingue di fuoco comparvero all’improvviso e riscaldarono immediatamente l’ambiente circostante. Ron si girò, poi, verso il tavolo e rivolse la bacchetta verso i sacchetti della spesa. Non pensò a sistemare i tanti generi alimentari che aveva comprato quella sera, per sopperire alla scarsità di cibo nel frigorifero semi-vuoto: il tempo che gli rimaneva a disposizione non era molto e doveva sbrigarsi.

«Accio pergamena, piuma ed inchiostro.»

Con la stessa velocità con cui aveva espresso l’incantesimo, un foglio di pergamena, una piuma ed una boccetta d’inchiostro uscirono fuori dalla busta ed arrivarono dritti nella sua mano. In seguito, posò la bacchetta sul tavolo, vicino alle buste e alle chiavi, avvicinò accanto al camino una delle due sedie e ci si sedette sopra. Intinse leggermente la punta della piuma nell’inchiostro e, forse per la prima volta in quella lunga giornata, sorrise.

Poteva finalmente iniziare a scriverle.

  

Cara Hermione,

prima che tu inizi a leggere questa lettera, vorrei dirti una cosa importante. E, per farlo, ho bisogno che tu ricordi della volta in cui Piton, durante il terzo anno, ci assegnò quel lunghissimo e noiosissimo tema su come si riconoscano e si uccidano i lupi mannari.

Devi avere solo un po’ di pazienza, ma, sì, so che ti starai già chiedendo dove diavolo voglia andare a parare con questo.

Immagino il tuo viso trasformarsi in una maschera di pura concentrazione, con le sopracciglia corrugate e delle piccole rughe d’espressione sulla fronte, mentre richiami alla mente l’episodio.

Bene, allora. Richiamiamolo insieme.

Come dicevo, Piton aveva assegnato a tutti ben due rotoli di pergamena sui lupi mannari. Ora, col senno di poi, è chiaro perché ci avesse dato quel compito. Sperava che qualcuno – cioè tu – fosse abbastanza intelligente – sempre tu – da capire che, in realtà, Lupin fosse un cavolo di lupo mannaro.

Che compito inutile. E no, non iniziare a blaterare cretinate come “Voleva che accrescessimo il nostro bagaglio culturale” oppure “L’ha fatto per metterti in guardia, Ron”, perché tanto non ci credo. Voglio dire, perché non dirci direttamente – o meglio, dirti direttamente, visto che eri l’unica in grado di capirlo per tempo – che Remus Lupin fosse un dannatissimo lupo mannaro?

Miseriaccia, Piton potrà anche essere stato un uomo eccezionale, ma, come insegnante, era decisamente sadico. Molto sadico, te lo dico io. So che avrai un’espressione indignata, a questo punto, ma non puoi assolutamente dire nulla per difenderlo. Vorrei ricordarti, cara signorina-so-tutto-io, che quello era un argomento trattato solamente alla fine del libro e a cui noi non eravamo arrivati neanche per sogno. Ma scherziamo?!

E poi, avremmo tutti risparmiato un sacco di sbuffi e di lamentele contro il nostro supplente di Difesa contro le Arti Oscure. Beh, forse, dicendo “tutti”, ho esagerato un po’. Infatti, a quanto ricordo, eri l’unica che, alla fine, l’avesse effettivamente finito, quel tema.

Non devi preoccuparti, comunque, sono sicuro che le mie maledizioni contro Piton valessero anche per te, che, mentalmente, non gliene avevi lanciata contro ancora nessuna.

Come ben ricorderai, non solo ci aveva ordinato di scrivere quei due rotoli di pergamena, ma mi aveva anche inflitto quella dannatissima punizione: pulire i vasi da notte dell’infermeria. E senza magia, per giunta!

No, mia cara, non iniziare a ridacchiare, perché non c’è proprio niente da ridere. Assolutamente niente di niente.

Devo ricordarti che mi ero beccato quella punizione solo perché avevo preso le tue parti? Già, esattamente: un Ron Weasley in miniatura, tutto capelli rossicci e lentiggini, aveva alzato la voce per difenderti davanti a Piton e all’intera classe. Miseriaccia, dovresti solamente esserne onorata.

Ricordo che non mi ero mai esposto così tanto con un professore. Non per una ragazza, almeno. Eppure, ero così seccato ed infastidito dal modo in cui Piton ti aveva definito “un’insopportabile so-tutto-io”, che sfidarlo mi venne abbastanza naturale.

Solo io potevo chiamarti così e non subire il mio stesso sguardo omicida.

Ciò che non fu affatto facile per me, invece, fu cercare di iniziare a scrivere quei maledetti rotoli di pergamena sui licantropi. Volevo davvero consegnarli a Piton – avevo anche paura che mi punisse un’altra volta, a dirla tutta  –, ma più i giorni passavano e più mi sembrava difficile mettere insieme le parole.

Non sapevo da dove iniziare, ecco tutto. Quello che sapevo, invece, era che tu, sin dall'inizio, mi avresti dato una mano a finirli, se solo te l’avessi chiesto. E volevo farlo, te lo giuro: per una volta nella mia vita, volevo provare la sensazione di essere un secchione alunno modello, ma non trovai mai il coraggio di dirti “Ehi, scusa se te lo chiedo, ma potresti aiutarmi con questa tema? Sai, con le parole sono una vera schiappa.”

Certo, durante gli anni, il mio orgoglio è diminuito e la pigrizia nel fare i compiti è aumentata di molto, ma c’è un aspetto che è rimasto costante e non è mai cambiato.

Con le parole sono ancora una vera schiappa.

Per cui, la cosa importante che voglio dirti è questa: mi dispiace per tutti gli errori che farò in questa lettera. E anche per tutti quelli che ho fatto in passato.

Sai, qualche settimana fa, Rose si è materializzata qui e mi è venuta a trovare. Abbiamo parlato un po' e mi ha raccontato del suo ultimo viaggio, in Italia: ha guidato un gruppo di ricerca per cercare tracce perdute di maghi e streghe all'epoca dell'Antica Roma.

Sono stato molto contento della sua visita. Ultimamente, abbiamo ricucito molto il nostro rapporto e ciò non può che farmi piacere. Pensa, mi ha addirittura portato dei manuali ed una raccolta di poesie tradotta in inglese!

Mi ricorda così tanto te: la voglia di scoprire cose nuove e la tendenza ad essere sempre la sapientona della situazione è la stessa.

Volevo farti conoscere una poesia in particolare: s'intitola "Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale" ed è di un autore sconosciuto qui in Inghilterra, un tale Eugenio Montale.

Scommetto che ne stai scoprendo l'esistenza solo adesso, eh? Miseriaccia, mi hai hermionizzato, ecco la verità.

Il poeta la dedica a sua moglie, con la quale ha trascorso gran parte della sua vita. Poi, però, deve imparare a vivere da solo, perché lei non c'è più.

Mi sembra che riassuma bene la nostra situazione, non trovi?

E... davvero, Herm, è bellissima. Riesce a racchiudere in poche e semplici righe la mancanza della moglie, il rimpianto ed il senso di smarrimento che prova. Le parole sono malinconiche, dolci, ma percepisci realmente tutto il dolore che le origina.

Cavolo, ormai per me non c'è più speranza. Sono davvero hermionizzato.

Bene, la poesia inizia così.

 

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

 

Wow, questo è solamente l'inizio, ma l'autore è già andato dritto al punto. Perché, non ci sono altre parole per descriverlo. All'inizio, quando te ne sei andata, non ho provato dolore o sofferenza. C'era solo questo vuoto enorme ed opprimente, al centro del mio petto. Ed il peso di tutto quello che c'era stato tra di noi minacciava di schiacciarmi, ogni volta che aprivo gli occhi.

 

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

 

Quanti anni abbiamo condiviso insieme? Cinquanta? Sessanta? Ormai, ho perso il conto, non saprei neanche dirtelo con precisione. Eppure, non conta per quanto tempo ci siamo stati l'uno per l'altra, non contano gli anni che abbiamo passato vedendo invecchiare l'uno negli occhi dell'altra, perché il nostro viaggio è stato comunque troppo breve.

Io vorrò sempre, sempre passare dell'altro tempo con te, anche si trattasse di un solo dannatissimo secondo.

Vorrò sempre stare tra le tue braccia.

 

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede.

 

Non mi servivano più appuntamenti, orari, scadenze da rispettare; non mi servivano più consolazioni o sorrisi da parte di gente che non conoscevo. A che cosa serviva continuare a volere una vita normale, se tu non ne potevi più fare parte?

Vivevo tra due mondi lontanissimi, eppure così vicini. Da un lato, ero intrappolato tra il nostro passato, fatto solo di ricordi, ed il nostro futuro, che non sarebbe mai esistito; dall'altro, invece, volevo solo dimenticare, volevo dimenticare tutto quello che c'era stato tra noi.

Perché pensavo che fosse il mio unico rimedio.

Perché pensavo... che fosse più facile.

Fu per questo che mi allontanai da tutti. Lasciai il mio lavoro al Ministero, lasciai la Tana e mi trasferii qui, in una cittadina quasi sconosciuta nel South Yorkshire. Lasciai anche Harry, Ginny e Percy. Lasciai persino Rose e Hugo.

Desideravo così tanto l'oblio, da non accorgermi che, per non ferire me stesso, stavo ferendo i nostri figli, la cosa più preziosa al mondo.

Da qualche anno, però, come ho già detto, abbiamo ricucito i rapporti. Mi vengono a trovare ogni Natale e pensa che Hugo mi lascia addirittura cambiare i pannolini al piccolo Fred Jr!

 

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue.

 

Sai, quando me ne andai dalla tenda e mi allontanai da te e da Harry, durante la ricerca degli Horcrux, mi chiesi se tornare indietro da voi avesse davvero un senso.

Voglio dire, era così chiaro che tu avessi scelto lui a me, che, in un primo momento, ripercorrere i miei passi mi sembrava un comportamento ingenuo, stupido ed inutile.

Esattamente come mi sentivo dentro.

Cos'ero di fronte ad Harry James Potter? Quali possibilità poteva avere il pigro, disattento, mangione ed idiota Ron Weasley in confronto al Prescelto?

Eppure, più mi ripetevo queste domande e più mi convincevo che c'era qualcosa che non andava. E, alla fine, fornutamente, capii: nonostante Harry fosse il mio migliore amico, in quel momento, non importava chi lui fosse, non importava che fosse il Prescelto o il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto. Miseriaccia, avrebbe anche potuto essere il Ministro della Magia, Tu-Sai-Chi, o addirittura Rita Skeeter, per quel che m'interessava.

Tutto ciò che importava era che tu avessi scelto me e che io avessi scelto te.

Ero lo strampalato amico di Harry Potter che nessuno notava, ma che tu, incredibilmente, avevi scelto. E anch'io avevo scelto te. Ti avevo scelto perché sapevo che saresti stata la mia guida e che mi avresti sostenuto in ogni occasione futura.

Sapevo che, per l'appunto, le sole vere pupille erano le tue.

E credimi, non sai cosa darei adesso per rivedere il tuo sorriso, o anche solo la montagna dei tuoi capelli scompigliati dal sonno, per un'ultima volta."

 

Ron posò, per un attimo, la piuma e la pergamena. Smise di scrivere e controllò l'ora. Si affrettò, poi, a prendere due ultimi oggetti dai sacchetti della spesa, che aveva precedentemente poggiato sul tavolo, ed a sussurrare un altro «Incendio» sulla candelina. Riprese la piuma in mano, la intinse per l'ultima volta in quella giornata nell'inchiostro e terminò la sua lettera.

 

Ti piace? È un piccolo muffin al cioccolato, so che ne vai pazza. Sarò pure invecchiato molto, ma, cara signorina-so-tutto-io, non potrei mai dimenticare questa data per nessun motivo al mondo."

 

Infine, Ron soffiò sulla piccola candelina posta sulla superficie del muffin e continuò a scrivere.

 

Sappi che ti scelsi tanti anni fa, Hermione Jean Granger-Weasley, e continuo costantemente ed incessantemente a sceglierti ogni giorno della mia vita.

Sono le ore 00:01 del 19 Settembre.

Buon compleanno, amore mio.

 

 

Con amore

E per sempre tuo,

Ron.

 

 

 

 

P.S. Mi raccomando, sorveglia mamma, papà, Bill, Charlie e quei due pazzi di Fred e George. Non vorrei che ne combinassero qualcuna delle loro, adesso che sono di nuovo e finalmente insieme."

 

Appena finì di scrivere, Ronald Bilius Weasley si appoggiò completamente allo schienale della sedia. Poi, chiuse gli occhi e sorrise.

Riusciva ancora a ricordare il suo volto.

Sì, riusciva ancora a ricordare la sua Hermione.

 

   
 
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