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Autore: Roxar    04/09/2016    1 recensioni
"Pare che io sia destinato a doverti salvare, ancora e ancora e ancora."
Brienne ha trenta giorni per cercare di saldare un debito che rischia di portarle via tutto e zero voglia di chiedere aiuto a Jaime.
Eppure, di punto in bianco, eccolo a Tarth.
[Mini-long | Jaime/Brienne]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Jaime Lannister
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. Il salvataggio

 

 

La chiamavano Green Road.

Era la vecchia strada che, molti anni prima, chi attraccava al porto doveva necessariamente percorrere per arrivare a Evenfall Hall e al suo piccolo borgo abitato da commercianti, marinai e pescatori. Poi un devastante terremoto aveva scosso la piccola isola fin nelle sue fondamenta e una delle sue scogliere si era come disgregata in mille rocce taglienti, che, con il sudore della fronte e il lavoro della schiena, molti uomini avevano trasformato in un sentiero praticabile, fino ad inaugurarla come Main Road, adombrando giorno dopo giorno, scalata dopo scalata, la vecchia, cara Green Road.

Brienne, per contro, aveva sempre prediletto il sentiero affossato tra centinaia di alberi e decine di rocce ammantate di ciuffi d’erba e muschio umido. Ricordava ancora – sebbene all’epoca fosse molto piccola – che Galladon era solito prenderla per mano e condurla fin laggiù solo per fermarla nel mezzo del sentiero incolto e dirle: “Guarda, Brienne, guarda quanti verdi. Riesci a vederli tutti, sorellina?”

E Brienne sorrideva e batteva le mani, le piccole gonne che le frusciavano attorno alle caviglie accompagnando ogni suo piccolo passo, ogni gesto del braccio che si levava per indicare ora un verde, ora l’altro.

Quella mattina, che mancavano già solo venti giorni al pagamento di un debito troppo grande, aveva sentito come il bisogno di sentire la terra battuta e disseminata di macchie d’erba sotto le suole morbide degli stivali, di respirare l’aria salmastra intrecciata a quella della boscaglia, così fresca, così pura, così familiare.

Venti giorni, pensò con un nodo in gola, e non avrò mai più niente di così familiare.

Posò una mano sul cuore, perché c’era come un dolore vivo e pulsante che non poteva essere solo frutto della sua fantasia, non poteva solo essere solo pura immaginazione. Sentiva come se il suo intero essere fosse solcato da un’unica, netta crepa da cui se ne diramavano altre mille e ancora mille. Sarebbe bastato un piccolo colpo e Brienne non ci sarebbe più stata.

Sarebbero bastati altri venti giorni e Brienne non ci sarebbe stata più comunque.

I suoi piedi inanellarono passi lenti e pesanti mentre i suoi occhi abbracciavano ogni verde, come per imprimerne ogni sfumatura nella memoria.

Ogni sfumatura di verde...

Abbandonò il sentiero per inoltrarsi nella boscaglia, fino ad accasciarsi contro il primo albero. Circondò il tronco sottile con un braccio, premendo la guancia lesa contro la corteccia ruvida.

In quei dieci giorni aveva sempre badato di tenere la testa ben alta, aveva quasi perseguitato Matteck e Yuran per spronarli a trovare qualche altra soluzione e, nel mentre, aveva dovuto mantenere la facciata con i servi e le serve alle sue dipendenze e soprattutto con Pod, il quale aveva iniziato a fiutare i primi sentori della catastrofe. L’aveva allora spronato ad allenarsi, tenendolo impegnato quanto più possibile per non permettergli di fare domande.

Ma quel giorno aveva sentito il bisogno fisico di ritrovare i luoghi della sua infanzia, i luoghi che sentiva le appartenessero fin nel midollo delle ossa, i luoghi in cui era nata e in cui credeva sarebbe morta.

Si era perfino inoltrata fin nelle cripte sotto Evanfall e recato visita a suo padre, carezzando distrattamente la lapide ricavata dagli scogli di Tarth. Non sapeva bene perché fosse scesa fin laggiù; forse per domandargli scusa o per domandargli perché.

Alla fine, tuttavia, si era solo limitata a sedere sul pavimento, le gambe raccolte al petto e la testa rivolta ad un soffitto buio che non riusciva a vedere. E quando la cecità forzata le era diventata intollerabile si era finalmente rialzata, intenzionata ad inoltrarsi nei boschi di Tarth e, possibilmente, non riemergerne mai più.

“Pare che io sia destinato a doverti salvare ancora e ancora e ancora.”

Brienne spalancò gli occhi appannati di lacrime, guardando fisso davanti a sé e non trovando altro che vegetazione e spazio vuoto tra un tronco e l’altro. Eppure era sicura d’aver ascoltato quella voce. Era sicura che non fosse solo un prodotto della sua immaginazione, dei suoi nervi a pezzi.

Poi, delicatissimo e improvviso, il tocco di una mano sulla spalla.

“Brienne.”

Brienne sobbalzò e si voltò bruscamente, sgomenta e incredula... e immensamente leggera, come se ogni peso fosse stato tolto dalle sue spalle.

“Jaime,” esalò, non osando battere le palpebre nel timore che lui potesse scomparire così, semplicemente così, in un battito di ciglia.  Se quello era il risultato della sua mente stanca e sovreccitata, allora voleva farlo durare il più possibile. Voleva godere di quel momento anche solo per un altro secondo, godere del suo bellissimo viso per un attimo ancora.

“Piantala di guardarmi a quel modo, donzella,” la ammonì ironicamente, guardandosi brevemente attorno.

“Guardarti come?” riuscì a chiedere, seguendolo con lo sguardo.

“Come se il sole fosse improvvisamente sorto a ovest,” replicò distrattamente, muovendosi lentamente in circolo, chiaramente affascinato da ciò che lo circondava. Non poteva biasimarlo; Tarth faceva quell’effetto a chiunque.

Al pensiero, il suo cuore sbatté contro il petto, spezzandole il respiro.

“Perché sei qui?”

“Ah, mi domandavo quando me l’avresti chiesto,” rispose criticamente e si limitò ad estrarre un biglietto dalla tasca del mantello, porgendoglielo.

Confusa, lo dispiegò con dita tremanti e riconobbe immediatamente la grafia. Quanti pomeriggi aveva speso con lui nel solarium? Quante volte gli aveva ordinato di appuntare questa o quella cosa? Quante volte l’aveva fissato chino sul foglio, persa nei propri pensieri?

“Pod,” disse mestamente, scuotendo la testa.

“Non prendertela con lui; chiaramente si è dimostrato molto più saggio di te,” osservò tagliente, smettendo finalmente di ammirare il piccolo bosco per concentrarsi unicamente su di lei. I suoi occhi erano assottigliati in un’espressione vagamente irritata e vagamente delusa.
Infastidito dal suo silenzio, continuò.

Chiaramente il ragazzino sa riconoscere quando è il caso di chiedere aiuto. E adesso, attestata l’assennatezza del tuo scudiero, posso sapere di quale aiuto necessiti, esattamente?”

Brienne si stropicciò il viso, lasciandosi cadere su un masso basso punteggiato qua e là dal muschio morbido e umido. Dell’esatta sfumatura di verde dei suoi occhi, rilevò scioccamente, passandovi sopra i polpastrelli.

Aveva bisogno di qualche minuto per metabolizzare la sua improvvisa e quanto mai inattesa – insperata – comparsa. Era trascorso così tanto tempo che, dentro di sé, aveva finito per convincersi che non l’avrebbe mai più rivisto. Dovette tornare a fissarlo – non negli occhi, mai negli occhi – per accertarsi che fosse davvero lì, a casa sua.

Jaime si avvicinò di un paio di passi, incrociando le braccia al petto.

Brienne smosse il terreno con la punta dello stivale, prendendo un profondo respiro. Lentamente e in maniera decisamente confusa e frammentaria, iniziò a ragguagliare l’uomo, interrompendosi molte volte, le stesse in cui le parole rifuggivano da lei e non si lasciavano afferrare. Non osò guardarlo e i suoi occhi azzurri rimasero saldamente inchiodati ai propri stivali.

“È colpa mia,” concluse. “Ho fallito in tutto. Con lady Catelyn, con te e adesso anche con Tarth.”

Jaime mosse qualche passo lento in circolo, pensoso.

“Tu avresti fallito,” disse infine e Brienne percepì il suo sguardo, senza trovare il coraggio di ricambiarlo.

“Io ho fallito.”

“E che mi dici di Sansa Stark? Che mi dici del fatto che io sia ancora qui, vivo e incolume?”

Capì dove stesse andando a parare e scosse la testa, sempre più freneticamente, fino ad alzarsi e passarsi disperatamente le dita tra i capelli.

“Vincere una battaglia non significa vincere una guerra.”

“Eppure perderne una sembra sufficiente a perdere tutta la guerra.”

Brienne sollevò lo sguardo, incontrando il suo. Restarono in silenzio per un lungo momento, limitandosi a fissarsi. Senza sorprendersi e biasimandosi un poco, fu lei ad interrompere il contatto visivo, intenzionata a chiudere quella conversazione spinosa.

“Mi dispiace che tu sia stato disturbato per nulla. Farò preparare una stanza per te e domattina uno dei miei capitani ti riporterà a Casterly Rock.”

“Ah, davvero?” domandò sardonicamente, divertito ma chiaramente irritato.

“Non c’è niente che tu possa fare, Jaime.”

“Non sono d’accordo. Posso, per esempio, scrivere a mio fratello. Posso, per esempio, procurarti il denaro di cui hai un disperato bisogno. Posso, per esempio, salvare una fanciulla vergine nuovamente gettata nella fossa dell’orso.”

“No, non puoi,” ribatté Brienne più duramente di quanto avrebbe voluto.

“Questa è la parte in cui dovremmo comportarci come due bambini e tirarla per le lunghe fino a capire se posso o meno?”

“Non voglio il tuo denaro, Jaime.”

“Per questo voglio offrirtelo.”

“Non potrei mai restituirtelo.”

“Non te l’avrei chiesto comunque.”

“Non insistere, ti prego.”

Insisto.”

“Ho con te un debito che non posso ripagare; non voglio contrarne un altro.”

“Questo è sorprendente: un punto di contatto tra te e Cersei, chi l’avrebbe mai immaginato? Entrambe date al denaro fin troppo peso.”

“Ti sono grata per l’aiuto,” iniziò Brienne, ignorando quel paragone che le aveva procurato un nodo fastidioso alla bocca dello stomaco, “ma non intendo accettare il tuo denaro. Se tuttavia vorrai trattenerti a Tarth, sarai il benvenuto.”

Jaime sollevò le mani in segno di resa.

“Non ho intenzione supplicarti. Se questa è la tua scelta, e sia. E, sai, credo che accetterò l’invito, dopotutto; voglio avere il piacere di visitare la celeberrima Tarth prima che Noho Dimittis venga qui per cacciarti via a calci,” aggiunse velenosamente, non curandosi neppure dall’espressione ferita dei suoi occhi, non voltandosi mentre metteva insieme i passi per raggiungere la Green Road, scomparendo alla sua vista.

 

 

Riabituarsi alla presenza di Jaime fu inaspettatamente difficile.

Aprire la porta e trovarlo in attesa a ridosso del muro le procurava sempre una strana vertigine allo stomaco, come se nella fretta di scendere le scale avesse mancato un gradino; impiegava sempre un secondo e un battito di ciglia di troppo prima di chinare il mento in cenno di saluto, invitandolo poi tacitamente a seguirla nell’enorme sala da pranzo e consumare la colazione.

Durante i primi tre giorni l’uomo aveva insistito per visitare l’isola e, tra un’escursione e l’altra, aveva concesso piccoli brandelli di sé, ragguagliandola confusamente sull’anno che avevano trascorso separati.

Aveva scoperto che era tornato a Casterly Rock e che, in qualche modo, era riuscito a trovare un compromesso con Tyrion che aveva permesso ad entrambi di convivere sotto lo stesso tetto senza la minaccia di un rosso sorriso nel cuore della notte. Che aveva speso gran parte del suo tempo ad esercitarsi con la mano sinistra, fino a padroneggiare la spada in maniera accettabile. Che aveva scelto di non rintracciare Cersei e i bambini; questo, tuttavia, l’aveva dedotto dai suoi atteggiamenti vaghi e lievemente ostili. Non era incline a parlare della sorella, come se il solo pensiero gli procurasse un dolore insopportabile. E forse, pensò Brienne, era davvero così.

Sorprendentemente, la vita di Jaime non era stata poi così differente dalla sua. Più volte fu tentata di chiedergli perché non avesse mai cercato di mettersi in contatto con lei e ogni volta aveva finito per tacere. In qualche modo, non le sembrava giusto chiedere; neppure lei, d’altra parte, aveva mai effettuato alcun tentativo per rintracciarlo e il pretesto di non conoscere la sua ubicazione era ormai una scusa che non reggeva più.

La spada di Jaime la colpì violentemente sul fianco, strappandola ai suoi pensieri.

“Avrei potuto ucciderti almeno quattro volte. Esci dalla tua testa e vieni qui a danzare, Brienne,” l’ammonì ironicamente, tornando immediatamente all’attacco. Brienne sollevò la propria spada da torneo, mandandola ad impattare contro la sua. Il clangore delle lame spuntate risuonò nel cortile, attirando lo sguardo dei pochi presenti. Quella mattina Jaime aveva proposto di muovere qualche passo di danza e Brienne, nonostante l’umore incerto e l’ansia crescente e soffocante, aveva annuito, scortandolo fin nel cortile dove Pod stava perfezionando il suo sgualmbrato contro un fantoccio di legno.

Pur contenta di potersi finalmente misurare con un valido avversario e fare un allenamento degno di esser definito tale, la sua testa aveva sempre finito per dirottarsi altrove, distogliendo la sua attenzione dal combattimento e rendendola goffa e imprecisa come uno scudiero alle prime armi.

Concentrandosi esclusivamente sulla spada dell’uomo, non poté non notare quanto effettivamente fosse migliorato; non sarebbe mai stato al livello del suo vecchio sé, ma adesso era un avversario da non sottovalutare. Jaime aveva imparato a sfruttare la debolezza, rendendola il suo punto di forza: non cercava, come avrebbe fatto un tempo, di mantenere la sua danza più offensiva possibile, ma badava ora di renderla quanto più imprevedibile possibile, mettendo insieme combinazioni di mosse insolite e stravaganti, eppure inattese e quindi vincenti.

L’aveva colta alla sprovvista abbastanza volte da farla irritare e vergognare, instillandole la consapevolezza che, in un reale combattimento, l’avrebbe uccisa senza non troppe difficoltà.

Scosse la testa, fingendo un affondo e sollevando immediatamente la spada per mandarla a colpire la giuntura morbida tra collo e spalla. Jaime sorrise beffardo, chinandosi in un inchino canzonatorio.

“Basta così,” disse lui. “Potrei allenarmi con Podrick e ne trarrei una soddisfazione più grande.”

Brienne fissò il cuoio impolverato dei propri stivali, stringendo la presa sull’elsa della spada.

“Il tuo maestro mi ha detto che giù in paese c’è una taverna che serve dell’ottimo vino speziato. Fai strada, donzella,” ordinò, sfilandole la spada di mano e riponendo entrambe le armi su una pila di casse alla sua sinistra.

La donna ordinò al suo stalliere di sellare un paio di cavalli e quando il ragazzo tornò con le due cavalcature Brienne fece strada fino in paese. Sotto di loro, raccolti sulla sabbia chiara e pulita, un gruppo di bambini giocava rumorosamente; cinque di loro, presi per mano, giravano attorno a due bambine, cantando a gran voce The bear and the maiden fair.

He smelled that girl, in summer air... The bear, the bear  and maiden fair.”

Jaime ghignò, arrestando il suo cavallo per guardare meglio. Brienne si fermò al suo fianco, fissando accigliata i ragazzini. Per un attimo, il ruggito dell’orso rimbombò nelle sue orecchie, coprendo il rumore del vento e quello del mare.

“Una scelta quanto mai infelice, non trovi?”

Brienne si strinse nelle spalle. “Non per loro.”

“No,” convenne Jaime, scoccandole una lunga, penetrante occhiata che, come al solito, non venne ricambiata, “non per loro.”

“Procediamo?” chiese Brienne e senza attendere risposta diede di speroni, inoltrandosi sul sentiero che conduceva fino a Evenfall Port, un agglomerato di casupole – alcune di mattoni, altre di legno – abitato unicamente da pescatori e marinai di passaggio. Jaime la raggiunse poco dopo, cavalcandole al fianco, in assoluto silenzio.

 

 

La locanda era affollata.

Un paio di navi avevano calato l’ancora solo un’ora prima e le rispettive ciurme sentivano ora il bisogno di concedersi un buon boccale di birra scura e il calore di una donna tra le braccia. Il locale, ampio e gremito di marinai, era pervaso da una forte cacofonia, venata dall’eccitazione d’aver finalmente fatto porto.

Jaime e Brienne scelsero un tavolo premuto contro il muro, sprofondato nella penombra e lontano da tutto quel gran vociare.

Per un attimo fu come se fossero tornati ad essere compagni d’arme, sbalzati indietro nel tempo, a quando, dopo una lunga cavalcata, erano soliti cercare riparo per la notte in qualche locanda sulla strada principale, condividendo il desco e, talvolta, la camera da letto.

Quei ricordi l’avevano perseguitata per molto tempo, tanto che, nelle prime notti dopo il suo ritorno a Tarth, le capitava spesso di svegliarsi nel cuore della notte e voltarsi su un fianco per incontrare la figura immobile e rilassata di Jaime, finendo invece per trovare solo spazio vuoto.

In quei pernottamenti condivisi Jaime aveva preso l’abitudine, in caso di penuria di camere, di offrirle il proprio letto, finendo poi col sistemarsi sul pavimento, talvolta accanto al focolare acceso e scoppiettante, e addormentarsi in un lasso di tempo brevissimo, la propria spada ben sistemata accanto a sé.

Paradossalmente, quelle erano state le notti migliori della sua vita, in cui il sonno l’aveva tenuta con sé per tutto il tempo, un sonno innocuo, senza sogni o incubi. La sola presenza di Jaime era stata sufficiente a farla sentire al sicuro e permetterle di dormire serenamente.

“Ti mancherà molto tutto questo,” disse Jaime, strappandola ai propri pensieri. Brienne lo guardò di sottinsù, ammonendolo. Conosceva abbastanza chi le stava davanti per intuire dove volesse andare a parare. E quella, per lei, era una questione assolutamente chiusa. Jaime storse le labbra prima di scuotere la testa e attingere dal proprio bicchiere, mandando giù una generosa dose di birra scura.

“Non ti hanno insegnato ad accettare un regalo senza ribattere?”

“Non sarebbe un regalo.”

“Pensavo amassi la tua casa molto più di così,” l’accusò, rilassandosi contro lo schienale della sedia. Brienne, per contro, si irrigidì come un ciocco di legno, accusando pesantemente quel colpo basso. Il viso sprezzante e odioso di Noho Dimittis baluginò nella sua mente e la sua voce melliflua le sussurrò che mancavano solo quindici giorni. Deglutì, sfregando piano le dita contro le tempie.

Jaime dovette cogliere la sua improvvisa vulnerabilità poiché si chinò in avanti, assumendo una posizione eccessivamente confidenziale che, se in tempi di guerra non aveva destato alcun mormorio indiscreto, adesso aveva richiamato l’attenzione dei vicini marinai, che scoccarono loro occhiate brevi accompagnate da un sorriso canzonatorio e irriverente.

“Se non accetti quel denaro, perderai ogni cosa. Sotto il tuo piccolo, accogliente castello riposano tutti i tuoi cari: tuo padre, tua madre, le tue sorelle  e tuo fratello. Questo non conta niente, per te? Non li hai amati abbastanza da poter accettare i miei maledetti soldi e farla finita una volta per tutte?”

Sapeva cosa stava facendo. Jaime non conosceva altro modo per piegare l’altrui volontà alla sua se non facendo leva sui loro punti di debolezza, sulle loro insicurezze e sui loro dubbi. E sebbene Brienne avesse imparato da tempo a proteggersi da tali, subdole strategie, in quel momento era davvero troppo vicina all’orlo di quel buco nero che si apriva a pochi pollici dai propri piedi per mostrarsi sorda alle sue parole.

“Non posso,” sussurrò in un rantolo soffocato, “non sarebbe onorevole.”

“Bene. Non vuoi considerarlo un regalo? Vuoi rendermi indietro ogni singolo dragone? E sia. Consideralo un prestito senza scadenze e avrai l’intera vita per ripagarmi di ogni moneta.”

Brienne sollevò lentamente lo sguardo; l’invito nei suoi occhi verdi, all’improvviso, le sembrò molto più suadente di quanto mai fosse stato. Perfino il mezzo sorriso di scherno sulle sue labbra era una curva morbida e allettante.

Perché quest’uomo è qui, sulla mia piccola isola, a sprecare il proprio tempo con me?, si chiese, avvertendo l’estemporaneo bisogno di domandarglielo, di domandargli perché non era al di là del Narrow Sea, a spendere quanto restava della sua vita con la sua bellissima, dorata, amata sorella e i loro figli.

“Perché non sei con lei? Perché sei qui?”

Ogni traccia di caldo cameratismo scivolò via dal suo viso, sostituito da una maschera rigida e impassibile. Perfino i suoi occhi persero parte del loro insolito calore, fissandola intensamente, senza battere ciglio.

“Quando il corvo di Pod è arrivato a Casterly Rock,” iniziò lentamente, le parole scandite con attenzione, “ero nei miei alloggi, pronto a salpare per Pentos. È curioso, in effetti, come ogni volta che io riceva un messaggio da mia sorella, ecco che appari tu, direttamente o meno. Avevo due lettere in mano, due richieste pressoché identiche, e potevo sceglierne solo una. Ora come allora, ho bruciato la sua e ho scelto la tua.”

Brienne trattenne involontariamente il respiro, avendo come l’impressione di essere giunta ad un punto di svolta. Sarebbe bastata un’altra domanda a cambiare ogni cosa, la stessa che aveva sempre indugiato tra loro e che volontariamente entrambi avevano sempre ignorato, seppur per motivazioni decisamente diverse. La stessa domanda che adesso premeva sulla sua bocca, desiderosa di farsi pronunciare e ostacolata solo dalla paura di ricevere una risposta negativa.

Schiuse le labbra per parlare, ma Jaime si alzò improvvisamente in piedi.

“Torniamo. Ho una lettera da scrivere e spedire a Casterly Rock quanto prima.”

   
 
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