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Autore: The Princess of Stars    04/09/2016    1 recensioni
*SEQUEL DE "IL PRINCIPE E L'ASSASSINA"*
Ormai ritrovata la madre perduta, scoperto di essere l'erede al trono di Scizia, felicemente sposata e madre di due figli, Annabeth sperava di proseguire la sua vita in modo tranquillo. Ma diventare la Gran Maestra del Clan non ha tutti i suoi lati positivi, soprattutto se per diventarlo si ha ucciso Crono, il vecchio Gran Maestro malvagio e carismatico, e si è la futura regina dell'Attica e di Scizia.
Un 'vecchio' nemico è tornato e Annabeth e Percy dovranno affrontarlo, non solo per salvare il regno, ma anche la loro famiglia.
Annabeth stessa ha detto che tutti hanno un lato oscuro e quello dell'assassina era il suo, ma ha anche detto che Percy era la sua forza. Percy riuscirà ancora a farle da ancora e trattenere il suo nascosto istinto d'assassina? Fin dove può spingersi l'amore di una madre per i propri figli?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annabeth Chase, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: AU, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Annabeth’s POV:

Glenn non aveva fiatato da quando siamo partiti, se non per spronare i cavalli. Era serio, con un’espressione militare che contrastava la postura rilassata che aveva in sella, molto diversa da quella rigida ed elegante di un reale o di un soldato. Ogni tanto, in quel quarto d’ora di passo che facevamo per far riprendere fiato ai cavalli, mi voltavo a guardarlo. Mi fece una strana impressioni vedere che accanto a me non c’era mio marito, ma uno sconosciuto come compagno di viaggio. Non ebbi mai l’occasione di provare questa sensazione di conforto, ma allo stesso tempo di diffidenza. Quando lavoravo per Crono viaggiavo sempre da sola, oppure con Luke e i miei soliti compagni: Alecto, Tammy, Ethan, Gerione… al solo pensiero di loro provai come una strana sensazione di nostalgia. Non ero mai stata in buoni rapporti con loro, eccetto Luke, anzi noi ci odiavamo, ma in un qualche modo forse perverso eravamo legati. Eravamo compagni ed ora io ero l’unica superstite tra loro, ed ero la Gran Maestra.
Con Percy era stato diverso, lui era la mia preda. Io dovevo viaggiare con lui, non per vivere avventure insieme, ma per portarlo alla morte. La sua presenza era rassicurante per un motivo solo: stavo per portare a termine una missione, lui era la missione… e poi mi sono innamorata. Non so neanche come, ma Percy era riuscito a farmi vedere che la vita è altro. Io avevo imparato che la vita è sopravvivenza, è violenza, e che i sentimenti come l’amicizia e l’amore erano una debolezza. Percy mi ha fatto vedere quanto mi stessi sbagliando: l’amore è forza. Era proprio l’amore che mi stava guidando in questa missione: l’amore per i miei figli, che è stato anche ciò che ha spinto Percy a lasciarmi andare senza di lui.

La presenza di Glenn mi era aliena. Avrebbe dovuto rassicurarmi, ma non lo conoscevo. Stavo per andare a rischiare la vita con uno sconosciuto che si è offerto volontario ad accompagnarmi, senza che io gli chiedessi niente. Glenn non aveva motivo di venire con me. Non glielo aveva chiesto o ordinato nessuno. Non era un soldato e non era suo dovere. Forse la devozione alla famiglia reale di Atene? Oppure sentito il mio racconto aveva provato compassione e con gesto da cavaliere aveva deciso di accompagnarmi. Avrebbe fatto lo stesso se Percy si fosse rimesso subito in piedi? Non sapevo e non potevo spiegarmelo.
Oltre a farmi tutte quelle domande, fu in quelle occhiate che notai finalmente quanto Glenn fosse diverso dai suoi genitori. Jane era minuta, con la pelle molto chiara, i capelli rossi e lisci striati da qualche ciocca bianca e grandi occhi verdi segnati ai lati da qualche ruga dell’età. Era più giovane del marito, ma anche lei era entrata nella mezz’età. Alexander invece era di altezza media e di corporatura esile ma leggermente irrobustita da una vita di lavoro da allevatore. La pelle era chiara e abbronzata sulle braccia dove non era coperto dalle maniche, gli occhi azzurri e i capelli lisci e biondi, anche lui con qualche ciocca bianca come la barba folta.

Glenn era bello, ma tutto il contrario dei genitori. Aveva la carnagione olivastra ed era alto quasi quanto Percy. Ripensai a quando quella mattina era entrato nelle stalle, sudato e con la camicia raggomitolata in mano per asciugarsi il sudore. Aveva le spalle larghe, il bacino stretto e un fisico disegnato, insomma, era statuario. I capelli erano neri e ondulati, lasciando gli occhi castani l’unico tratto un po’ più chiaro. Lì per lì avevo pensato avesse preso i tratti di qualche nonno, o i tratti migliori di Jane e Alexander, ma non notai niente di simile a loro. Un pensiero mi passò per la mente, ma prima di giungere a tale conclusione avrei dovuto parlargli.

“Sì, è come la state pensando” disse Glenn all’improvviso con un piccolo sorriso. Io lo guardai in faccia presa un momento di sorpresa. Glenn sembrò capire subito “Avete notato che non somiglio per niente ai miei genitori e vi stavate chiedendo come fosse possibile. Io vi dico che è come l’avete pensata”

“Vuoi dire che…?” disse io incerta.

“Sì, sono adottato” rispose lui come se niente fosse “Io li chiamo ‘mamma’ e ‘papa’, ma non sono figlio loro. I miei veri genitori sono morti quando avevo 11 anni. Alexander mi ha trovato e mi ha portato a casa. Da allora lui e Jane sono diventati la mia famiglia”

“Ah… mi dispiace per la tua perdita” gli dissi.

“Anche a me…” disse lui con un’ombra di tristezza nel suo sguardo “Ma sono fortunato, i miei genitori mi hanno cresciuto come se fossi davvero loro figlio. Non avrei potuto chiedere di meglio” Non dissi niente ma gli sorrisi. Glenn ricambiò con altrettanto sorriso. Ci fu un momento di silenzio, poi alzando lo sguardo vidi da lontano una città “Cheronea” disse Glenn “Principessa, possiamo fermarci lì e prendere delle provviste, inoltre dobbiamo far riposare i cavalli per un po’ o non arriveremo mai” Annuì e con un colpo di talloni galoppammo fino dentro alla città.
Fuori le mura di Cheronea, ordinai ad Ortro di aspettarci fuori e non allontanarsi troppo dalla città. Non potevamo portarlo con noi, avrebbe dato troppo nell’occhio. All’ingresso della città, camminammo fino ad una locanda dotata di stalla dove lasciammo i cavalli per farli riposare. Guardai il sole e vidi che non potevamo restare a lungo, ma dovevamo far riposare i cavalli per circa un paio d’ore. Così ci aggirammo per la città cercando di sembrare più normali possibile, una coppia di viaggiatori. Glenn mi stava dietro guardandosi intorno, ammirando le strutture come un bambino che vede una grande città per la prima volta. Gli occhi gli brillavano entusiasti, rubando la vista del tempio, della piazza e dei vari edifici.

“Non sei mai andato in una città, vero?” gli chiesi con un piccolo sorriso.

“Confermo. In quasi 22 anni di vita non sono mai entrato in una città. Io mi occupo dei lavori pesanti nell’allevamento.  Papà vende i cavalli lì e mamma va nel paesino a fare visite” rispose lui sorridente.

“Come ti sembra?”

“E’ bellissima! Le infrastrutture, le statue, la piazza, la gente. E’ fantastico!”  io guardai altrove ma non potei fare a meno che ridacchiare al suo entusiasmo. Gli occhi gli brillavano come quelli di un bambino, uno sguardo che avevo già visto. Glenn mi guardò quasi divertito “Che c’è?”

“Niente” risposi “E’ solo che… mio figlio ha avuto la stessa reazione quando è uscito dal palazzo per la prima volta… e mia figlia non è stata tanto diversa” confessai, ricordando con quale entusiasmo i miei bambini avevano visto l’agorà per la prima volta. Al solo pensiero subito la preoccupazione per loro mi ricadde addosso come un macigno. Non avevamo tempo da perdere, Pallante avrebbe mantenuto la sua parola e li avrebbe uccisi se non fossi arrivata in tempo. Improvvisamente sentì l’anello del Clan rovente e pesante sul mio dito, stringeva come una morsa.

“Principessa?” sentì Glenn chiamarmi a bassa voce per non farsi sentire, posando gentilmente una mano sul mio braccio.

“Andiamo, Glenn. Non abbiamo tempo da perdere” dissi io aumentando il passo.

“Principessa, per almeno un paio d’ore siamo bloccati qui, correre a fare quelle due commissioni non serve a niente” disse e io mi bloccai, sospirando. Mi stavo lasciando andare di nuovo.

“Giusto… ascolta, dobbiamo prendere delle provviste. Stiamo finendo l’acqua e a meno che tu non voglia diventare cibo per cani, dobbiamo prendere della carne per le due teste di Ortro, non abbiamo tempo per cacciare” gli dissi autoritaria. Sapevo che aveva notato il mio cambio d’umore, ma non disse niente, o meglio, la sua risposta fu del tutto diversa dalla mia aspettativa.

“Perché Ortro dovrebbe mangiare me? Le teste sono due” protestò lui.

“A parte il fatto che sei più grosso di me? Nessun cane mangia il proprio padrone” risposi “Pensavo che un contadino lo sapesse”

Allevatore” corresse Glenn con nonchalance “E perdonate la mia ignoranza, Principessa, ma non abbiamo mai avuto cani a casa”

“Sei perdonato. E, Glenn, chiamami Annabeth” gli dissi. Glenn mi fece un altro sorriso.

“Certo, Annabeth” Gli feci cenno di approvazione con la testa e poi camminammo verso la piazza del mercato. Fortunatamente per noi, nessuno mi riconobbe e i modi di fare amichevoli di Glenn ci permisero di fare i nostri acquisti senza problemi. Una volta presi i viveri, tuttavia, c’era un altro acquisto che dovevamo fare, o meglio, che avevo deciso di fare il momento in cui accettai veramente di avere un nuovo compagno di viaggio. Glenn e io ci aggirammo per ancora un po’ per la città, poi vidi il negozio che cercavo: l’armeria. Glenn era rimasto sorpreso quando mi vide dirigermi come un ariete verso l’armeria. Ero armata e lui aveva quel coltello e il suo bastone, senza contare la sua magia. Entrata nell’armeria, mi si ripropose la solita scena pietosa di quando una donna entra in un negozio di armi con un uomo, nonostante tutti sappiano che anche le donne possono essere esperte guerriere, e nonostante il mio essere armata: fui bypassata completamente e l’uomo si rivolse direttamente a Glenn che rimase per qualche secondo a boccheggiare come un pesce. Quando parlai io, l’uomo ovviamente tentò di fregarmi rifilandomi una spada decente a vedersi, ma decisamente squilibrata. Io me lo guardai alzando un sopracciglio, era evidente che quest’uomo non sapeva con chi stesse parlando, ossia, un ex-assassina esperta. Feci un paio di passi più lontano e sfoderai la lama, facendola volteggiare con giochi di polso eseguiti perfettamente, prima di puntarla a sorpresa sull’armaiolo, chiarendo che quella era una spada equilibrata. Rinfoderai la spada e l’armaiolo cambiò atteggiamento. In breve io e Glenn uscimmo dall’armeria con una spada bastarda, bella a vedersi e ben equilibrata, con tanto di fodero.

“Allora…” cominciò Glenn incerto “A cosa vi serve un’altra spada?”

“Non è per me. E’ per te” risposi io. Glenn rimase sorpreso.

“Eh? Ma io non ho bisogno di una spada! Ho i miei poteri e il mio bastone, bastano” protestò.

“Fidati Glenn, contro Pallante potrebbero non bastare. Tra assassini la propria spada diventa la tua migliore amica” risposi “E poi, abbiamo ancora un’ora. Ti insegno io ad usarla” Glenn mi sorrise soddisfatto ed entusiasta.

“Di bene in meglio!” commentò. Glenn ed io trovammo un giardinetto appartato e gli diedi la spada. Ci mettemmo subito all’opera e come mi aspettavo, Glenn finì per terra almeno sette volte, prima di ficcarsi in testa come doveva posizionarsi in guardia. L’ottava volta arrivò un po’ più tardi, fortunatamente. Una volta appuntata la guardia, gli insegnai delle parate base che gli avrebbero salvato la vita più volte in battaglia. Ovviamente non era abbastanza per una guerra, ma sicuramente lo avrebbero aiutato in una missione di infiltrazione. A seguire gli spiegai delle tecniche di attacco.
Glenn era un ottimo allievo, ascoltava e rubava con gli occhi tutti i miei movimenti quando gli mostravo la tecnica. Faceva domande precise e utili per l’apprendimento e ci prese la mano abbastanza rapidamente. Gli era quasi naturale, ma ovviamente, un’oretta di lezione non gli bastava. Avrei voluto chiederli di mostrarmi cosa sapesse fare, ma in città, usare la magia sarebbe stato veramente da incoscienti.

Finita la lezione andammo a riprenderci i cavalli. Glenn mi sembrava particolarmente entusiasta della lezione di scherma e orgoglioso di sfoggiare una spada nuova attaccata alla cintura. Camminava per la città lottando con sé stesso per nascondere il sorriso che minacciava di scappargli. In passato o in un’altra situazione mi avrebbe dato fastidio avere vicino uno che sorrideva per nulla, ma considerando la mia situazione, in fin dei conti era bello avere accanto qualcuno che sorrideva e riusciva a trovare del positivo nella situazione. Era di conforto.
Giunti alla locanda sellammo nuovamente i cavalli e uscimmo da Cheronea. Avevamo circa tre ore prima del tramonto e avremmo dovuto coprire più terreno possibile. Appena fummo qualche metro fuori dalla città, richiamai Ortro con un fischio. L’enorme can a due teste non si fece attendere più di tanto e arrivò di corsa, io  non persi tempo e tirato fuori dalla tracolla lo spadino di Leon glielo feci annusare. Ortro fiutò l’aria e cominciò a correre trovando una traccia; io e Glenn gli galoppammo dietro. Se avevo dedotto bene, Leon e Sabina erano nella fortezza a qualche kilometro da Cheronea. Sapevo dove si trovasse la fortezza, ma non potevo permettermi di sbagliare. L’ olfatto di Ortro era infallibile e il mio fido compagno mi avrebbe portata dritta dai miei bambini. Sfruttammo le poche ore di luce che avevamo a dovere, ma quando cominciò a fare buio, ordinai ad Ortro di fermarsi e cercammo un posto dove accamparci. Lungo la strada trovammo un piccolo spiazzo aperto, ma dove era caduto un alberello solitario a cui potevamo legare i cavalli. Ci fermammo e scendemmo da cavallo. C’era ancora luce, ma l’aria si faceva più gelida e si stava alzando il vento. Stanotte farà freddo. Improvvisamente mi venne un’idea. Mi avvicinai a Glenn e gli presi le briglie dalla mano. Lui mi guardò perplesso un momento.

“Fammi vedere cosa sai fare” gli dissi “Costruisci un rifugio” Glenn mi fece un sorrisetto compiaciuto capendomi perfettamente.

“Tieni forte i cavalli e dì al cucciolone di stare buono” rispose lui “Tuttavia, non aspettarti un lussuoso palazzo dalle bandiere fluttuanti, dobbiamo pur sempre non farci notare troppo” disse facendo passi avanti, mentre io dissi ad Ortro di stare buono. Guardai il mio compagno. Le mani di Glenn si illuminarono di un’ aura gialla che gli fluttuava fin tutti gli avambracci e con gesto deciso lanciò un getto magico davanti a pochi metri davanti a sé. Dal getto apparvero subito un grosso macigno di terra, ma Glenn non aveva finito. Con un gesto rapido dell’altra mano lanciò un altro raggio magico sul macigno che nel battito di un ciglio modellò la terra in modo tale da levigarla, formando un’apertura concava che ci avrebbe riparato dal vento e dalla possibilità di pioggia, oltre a levigarne l’esterno in modo tale che sembrassero i resti di una collina erosa nei millenni. Tuttavia Glenn non aveva finito, con un ultimo getto di magia, creò il posto per il focolare. Una volta completato il tutto, incrociò le braccia sul petto e mi guardò soddisfatto.

“Ottimo lavoro. Rapido, discreto, pulito…” commentai ridandogli le redini del suo cavallo.

“Mi assumi?” rispose lui con un sorrisetto.

“Lo sei da quando sei partito” gli dissi, Glenn mi rispose posandosi il pugno sul petto e facendomi un piccolo inchino col capo, a imitazione dei cavalieri. Sorrisi e andai a legare Starlight al tronco, seguita da Glenn. Ortro rimase seduto scodinzolando in attesa. Glenn ed io seguimmo ad andare a cercare della legna per il fuoco e poco dopo ci incontrammo nuovamente con ciò che avevamo trovato. Anche Ortro si era dato da fare e anche lui tornò all’accampamento, scodinzolando allegramente, con le sue due teste piene di pezzi di legno… forse anche troppi e pieni di bava. Mentre Glenn sistemava la legna extra e si toglieva l’armatura di cuoio, io pensai alla legna. Una volta messa su quel focolare che aveva fatto Glenn, mi apprestai ad accenderla, sfortunatamente, Ortro, per rendersi utile, aveva preso le pietre focaie accanto a me e me le aveva passate, bagnandole con la sua saliva. Esitando e un po’ schifata, presi le pietre focaie dal cane e tentai di accendere il fuoco. Il primo tentativo fu vano, il secondo pure, il terzo… arrivò una fiammata che accese il fuoco. Alzai lo sguardo e vidi Glenn con la mano ancora tesa verso il fuoco, che mi sorrideva compiaciuto.

“Stai cercando di fare colpo?”  gli dissi alzando un sopracciglio.

“Ti starò pur dando del ‘tu’, ma resti sempre la Principessa Amazzone. Devo essere all’altezza” disse ironico avvicinandosi a me offrendomi la mano per alzarmi.

“E io che dicendoti di darmi del ‘tu’ credevo mi vedessi come una persona comune” risposi io, prendendogli la mano ruvida, alzandomi.

“Fidati Annabeth, non sarai mai ‘comune’ ai miei occhi” rispose lui lasciandomi la mano.

“Ti stai già innamorando di me, Glenn?” dissi scherzando.

“Ahh… vedo che qualcuno ha un’alta considerazione di sé stessa!”

“Parlo solo per esperienza, non saresti il primo sedotto dal mio fascino nel giro di poche ore. E poi sei tu che hai usato una tipica frase da rimorchio!” dissi io dandogli un colpetto sul petto col dorso della mano.

“Beh, io mi riferivo esattamente al tuo curriculum. Non passa certo inosservato” rispose lui.

“Ah, sì? E tu cosa ne sai del mio curriculum?”

“Che le storie sulla tua bellezza sono vere, che eri il famigerato Angelo della Morte, assassina di molteplici reali e svariate altre persone, che ti sei costituita quando hai deciso di tradire il Clan e che sei celebrata come un’eroina per aver salvato l’alleanza dei dodici regni insieme a tuo marito” ripose lui sicuro, fissandomi negli occhi “Non sarò mai stato in città fino ad oggi, ma certe notizie raggiungono persino un piccolo allevamento di cavalli in campagna. Alcune cose poi non si dimenticano tanto facilmente” rimasi in silenzio un secondo.

“Già… non passa inosservato…” risposi abbassando la voce, guardando altrove, assorta nei miei pensieri. Non c’era malizia nella sua voce, forse aveva parlato così senza neanche pensare, ma il modo profondo in cui mi guardò mi fece bruciare l’anello del Clan che avevo al dito. Era quella la mia fama. Avevo salvato l’alleanza, ma era l’unica nota positiva che seguiva una vita da assassina, piena di tranelli e disseminata di omicidi. Era questo quello che la gente sapeva di me, eppure mi ero accorta di venir acclamata come un’eroina, ma forse lo facevano solo perché il popolo si fidava ciecamente di Percy. Come era successo anni fa durante la battaglia con il Clan, Silena non mi aveva liberata perché si fidasse di me, ma di Percy e perché sapeva che io ero l’unica che potesse convincere mia madre a combattere e cessare la secessione. Quando mi sono costituita, i principi e i monarchi di Atene, non hanno messo il veto in  io favore per me, ma per Percy, perché era lui a fidarsi di me e loro sapevano che non lo avrebbe fatto senza un motivo valido. Forse, nonostante il matrimonio e la nascita dei miei bambini, la cosa più bella che mi potesse mai capitare, io non sono mai stata la Principessa Annabeth di Scizia, o semplicemente Annabeth. Ero solo un’assassina vestita da principessa, L’Angelo della Morte nascosta sotto una veste istituzionale.  

“Annabeth?” La mano calda di Glenn sulla mia spalla mi svegliò dal mio trance e incontrai il suo sguardo gentile “Tutto bene?”

“Sì. Tutto bene, non preoccuparti” dissi.

“Non va tutto bene, avevi la stessa faccia mentre aspettavi che il principe si riprendesse. Ho detto qualcosa che non va?” disse lui. Ero davvero diventata così trasparente? Solo Percy riusciva a capire in un attimo come mi sentissi davvero e adesso arriva questo sconosciuto a cui improvvisamente bastava un’occhiata per capire come mi sentissi, o forse era semplicemente Glenn ad essere così percettivo e attento.

“No, hai solo detto come stanno le cose” risposi “E’ la reputazione che mi sono costruita” dissi con un sorriso amaro, per poi andare verso una delle sacche e tirare fuori due tranci di carne che avevamo comprato a Cheronea da dare Ortro che già si era messo a scodinzolare e le sue due teste ad abbaiare con l’acquolina in bocca. Sapendo quanto non fosse delicato quando si trattava di cibo, gli lanciai i due tranci e lui ci si abbuffò subito. Poi mi voltai verso Glenn e lo vidi estrarre la spada che gli avevo dato, lanciandomi un’occhiata di sfida.

“Lezione numero due?” propose. Io gli feci un piccolo sorriso ed estraendo la mia spada ci mettemmo a duellare, nel tentativo di preparare il più possibile il mio nuovo amico ad un’ardua battaglia.

 
Ed è così che inizia la seconda parte del viaggio di Annabeth con questo 'intrigante Glenn', per citare Qualcuno *ahem* AnnabethJackson22 *ahem*!
Che ve ne pare? Come vi sembra questo baldo giovine che ha deciso di aiutare la nostra Annabeth? Come andrà il loro viaggio? Che ne pensate dei pensieri di Annabeth? C'è qualcosa che non va? L'assenza di Percy già si fa sentire? Riuscirà Glenn a mantenere la sua promessa al principe? Ditemi cosa ne pensate di loro e del futuro dell'impresa con i vostri fantastici commenti!
Al prossimo capitolo!
  Un bacio!

Stella 
  
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