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Autore: serClizia    05/09/2016    3 recensioni
UARK, University of Arkansas, detta più comunemente l'Arca.
Clarke sta studiando per diventare medico, è parte importante della confraternita delle Theta Beta nonché figlia dell'illustrissima ex-alunna Abby Griffin, ora chirurga di fama nazionale. Alla UARK ci sono feste, matricole da controllare, etichette da rispettare. Quest'anno, però, la Prima Festa Primaverile non va come dovrebbe andare, e Clarke avrà bisogno di tutto l'aiuto possibile. Anche di quello di un irritante e altezzoso sconosciuto di nome Bellamy.
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Raven Reyes
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Bellamy
 
Certi giorni la vita è proprio uno schifo.
Ti svegli con il mal di… beh, il mal di tutto, uno dei tuoi bracci-destri ancora in clandestinità, il tuo secondo che ti salta sul letto facendoti scricchiolare le ossa ammaccate, e poi scopri pure che piove. Diluvia, altro che. Si vede che il tempo ha deciso di adattarsi al mio umore.
Mi trascino in cucina come uno zombie. Ho bisogno di un caffè, una dose di antidolorifici e probabilmente una dormita di una settimana. Ma non si può, certo che no.
Tra qualche giorno c’è un’altra celebrazione delle Theta Beta, il lavoro della campus security non si ferma mai. E Clarke probabilmente mi prenderebbe a mazzate, se mollassi.
Non che ne abbia intenzione.
Non voglio dare nessuna soddisfazione a Dax, a Murphy, a Kane, a Jaha… a nessuno.
Miller mi piazza una tazza di caffè fumante sotto il naso, interrompendo il mio rimuginare. Non mi ero neanche accorto che mi avesse seguito o che avesse messo su la caffettiera, alle mie spalle. Devo essere proprio di umore pessimo per isolarmi così. Peggiore del solito, almeno.
“Ehi, boss…”, Miller si siede all’altro lato del tavolo, serissimo in volto. “Che cosa facciamo con Dax e gli altri?”
Dio, è troppo presto per avere questo tipo di conversazioni.
“Che cosa vuoi dire?”, sorseggio il caffè, faccio una smorfia di dolore. Ho tirato la pelle di… non so, qualcosa, e la mia faccia ha protestato, tutta insieme.
“Dax non è più tornato, ok, ma i suoi amici? Quelli che erano sempre con lui? Che ne facciamo?”.
“Non ne facciamo niente.”
Miller si agita, stringe le labbra.
“Non abbiamo nessuna prova che fossero complici,” continuo. “E loro sono qui, lui no, mi sembra un indizio decisivo a loro favore.”
Non sembra andargli giù, contrae le mani sul tavolo senza rispondere. Sorseggio un altro po’, con cautela.
“Comunque, li terremo d’occhio.”
Annuisce, abbozzando un mezzo sorriso. Da dove mi viene fuori tutta questa voglia di compiacere i miei sottoposti, non lo so proprio. Forse mi sto rammollendo.
O saranno le botte in testa.
Sterling irrompe nel quadretto, spalancando la porta.
“Bellamy, è voluta entrare per forza, non so se…”.
Un inconfondibile lampo di capelli biondi alle sue spalle, e tiro su la schiena di colpo sulla sedia.
“Falla entrare, idiota.”
Miller è già di strada verso la soglia, guarda Clarke entrare a testa alta come le è consueto, e con un sorriso mesto prende Sterling per un braccio. Si piega a parlargli a un orecchio ma la porta si chiude alle loro spalle e non ho idea di cosa gli stia dicendo.
Clarke mi fissa, non si muove di un passo.
Mi sembra stia bene. Mi aspettavo che coprisse i lividi, invece risaltano sulla sua pelle candida come trofei di guerra. Li porta in bella mostra, con l’orgoglio dei sopravvissuti.
Il fatto che stia in silenzio mi fa rilassare, pensavo fosse piombata qui con un’altra tragedia, o un’altra richiesta assurda.
“Come stai?”, chiede invece.
“Bene.”
Risposta automatica. Sto da schifo. Mi lancia uno sguardo scettico. Gliene lancio uno anch’io. Se è chiaro che io non stia bene, è ovvio che anche per lei sia lo stesso. Sospira, e in un attimo si mette in moto.
La guardo, confuso, mentre armeggia nella cucina.
“Hai del ghiaccio?”
“Stai cercando del ghiaccio nella credenza?”
“No, sto cercando uno straccio,” si ferma. Mi guarda, le sopracciglia unite in un cipiglio serio e professionale. “Hai del ghiaccio?”
“Sei venuta a giocare alla dottoressa?”
Alza gli occhi al cielo. “In pratica sono una dottoressa, sì. E non vedo nessun altro a dirti come trattare le tue ferite, quindi stai zitto e dimmi dov’è il ghiaccio.”.
“Devo stare zitto o dirti dov’è il ghiaccio?”
Mi fulmina in un modo che mi fa pensare sia ormai sul punto di uccidermi.
Ridacchio. “Il ghiaccio è nel freezer,” lo indico, “chiaramente, e gli stracci non so dove siano, ma credo che Atom li peschi da uno dei cassetti laggiù.”
Si muove velocemente, apre e richiude le ante con decisione, trova uno straccio consunto nel terzo cassetto e lo avvolge attorno al ghiaccio. Siede nel posto accanto al mio e si allunga, tutto il pacchetto completo in viaggio verso la mia faccia.
Istintivamente le vorrei dire ‘Cosa stai facendo?', ma lo stomaco mi si è attorcigliato intorno alle corde vocali e riesco solo ad arretrare leggermente.
Il suo braccio si abbassa un pochino.
“Andiamo, sei ridotto malissimo. Se non metti qualcosa di freddo, ti gonfierai ancora più di così.”.
‘Posso metterlo anche da solo,’ in qualche modo, anche queste parole mi rimangono attaccate al palato.
Un lieve cenno di assenso, e si riavvicina.
Lo straccio è ruvido contro la pelle, ma dopo poco si raffredda. Chiudo gli occhi sotto quel sollievo.
“Il versamento può ancora peggiorare,” la sento dire. “Anche il giorno dopo la botta.”
“Mm.”
“E poi dovresti mettere delle bende, sulla mano. Hai le nocche sbucciate.”
“Sono l’ultimo dei miei problemi.”
“Possono infettarsi.”
“Non lo faranno.”
“Se mi dai la cassetta del Pronto Soccorso, posso farlo io…”.
“Clarke,” apro di nuovo gli occhi. “Perché sei qui?”
Questa piccola farsa deve finire. Non me la bevo questa improvvisa preoccupazione per la mia salute. Per le mie mani? Il suo complesso da crocerossina non è mai stato rivolto da questa parte. Ci dev’essere qualcosa sotto, qualche cosa che le serve.
Si acciglia. “Sono passata a vedere come stai.”
“E…?”
“E cosa?”
Allontano l’impacco con un gesto secco e incrocio le braccia. “Che cosa vuoi, Clarke?”
Batte le ciglia, sorpresa. “Volevo vedere come stavi,” ripete. “Perché pensi che sia venuta?”
“Non lo so. Forse volevi farmi rubare un altro campione di sangue. Il nome di un altro dei miei ragazzi. O forse una qualche missione suicida nei boschi, scegli tu.”.
Molla il ghiaccio sul tavolo, livida.
“Mi hai salvato la vita, stanotte. Forse ho fatto lo stesso, prendendo a sassate quello stronzo. Mi vuoi dire che non dovrebbe contare niente? Che non posso esserti grata?”.
“Non me ne faccio niente della tua gratitudine. Stavo facendo il mio lavoro.”.
Assottiglia lo sguardo. “Forse il problema, in realtà, è che mi sono preoccupata per te. Non devi esserci abituato, uh?”
Non rispondo. Ha centrato in pieno ma anzi che dirglielo, anzi che dirle che sono sempre stato io quello a mettere impacchi di ghiaccio sulle storte di Octavia, ad applicare cerotti, a prendermi cura, è meglio leccarmi le proverbiali ferite interiori senza aprir bocca.
Lei continua a fissarmi però, e il silenzio si protrae.
Sciolgo le braccia e mi avvicino. “Puoi cambiare lato? Anche di qua mi fa un male cane.”
Mostro la tempia destra, dove Dax mi ha tirato un pugno stratosferico. Le lancio un mezzo sorriso tentativo, che ricambia. Riprende l’impacco e me lo preme dove indicato. Il refrigerio è immediato e le palpebre vorrebbero chiudersi, ma non riesco a staccarle gli occhi di dosso. Ha uno sguardo strano.
Sembra voler tentare di dire qualcosa, e poi cambiare idea.
“Senti,” si decide alla fine. “C’è questa cena…”
La porta si spalanca di nuovo e trasaliamo entrambi.
Atom è lì, la mano chiusa sul pomello. Clarke nasconde il ghiaccio sotto al tavolo, come se fosse una bomba.
“Miller sta andando da Brian,” gli occhi di Atom si fissano finalmente su di me. “Pensavo di scroccargli un passaggio e di… ehm, chiederti se ti serviva qualcosa.”
“No, niente. Grazie.”
“No, infatti, penso che tu abbia già quello che ti serve.”
Sono tentato di lanciargli addosso il tavolo intero.
“Va via, idiota.”
Con un cenno del capo si dilegua, richiudendo.
Clarke si gratta il naso con un sorriso. “Sono carini a preoccuparsi per te.”
“Sì, beh…”
‘Carini’ non è proprio la prima parola a saltarmi alla mente in questo momento.
“Adesso devo andare,” annuncia, rigida sulla sedia.
“Giusto.”
“Raven mi aspetta all’ospedale.”
“Bene. Salutamela.”
“Lo farò.”
Si alza di fretta, appoggiando il ghiaccio vicino a me. In caso mi servisse ancora.
“Che cosa stavi dicendo…?”, tento.
“Uh? No, niente. Allora… ci vediamo. Alla cerimonia.”
“Certo.”
“Bene. Allora… ciao.”
“Ciao.”
In un attimo, lei e la sua treccia bionda si dileguano giù per il corridoio.


**
 
La Cerimonia.
La fottuta Cerimonia di cui mi ero quasi dimenticato, con tutto questo casino. Ma le Theta Beta no, oh no; come potrebbero mai lasciar correre un’altra delle loro stupide tradizioni del cazzo?
L’invito che Octavia mi ha piazzato tra le mani un mesetto fa – completamente rosa – urla a caratteri cubitali: “Big Sister / Little Sister Ceremony. Una sorella è per la vita.”.
Con tanto di foto correlata, in cui due ragazze (bionde) si abbracciano strettissime, sorridendo stile pubblicità di un dentifricio. Dopodiché parte la descrizione su cosa aspettarsi dall’evento, ma non l’ho mai letta. Vogliono avere dei legami… femminili? Okay, un po’ troppo anni ’50 per i miei gusti, però okay. Ma perché devono farci un’altra delle loro maledettissime Cerimonie? E soprattutto, perché devono invitare delle persone e farne un affare di stato?
Sia Sterling, che Atom, che Miller, cominciano a ridacchiare non appena metto piede in cucina. Fanculo, veramente. Sono tentato di tornare in camera e togliermi questo cazzo di vestito. L’avevo preso l’anno scorso per la Cerimonia di Maturità di O – quella sì che conta, cazzo! – ed è l’unico completo che abbia.
Comunque li ignoro, m’infilo una mano nei capelli sperando che siano almeno un po’ spettinati (col cavolo che mi presento tutto leccato come un damerino) e m’infilo la giacca sopra la camicia bianca.
Miller è l’unico in piedi, sta rovistando nel portaoggetti sul bancone. Mi lancia qualcosa – ah, le chiavi del cart – che afferro al volo e infilo in tasca. Sta ancora ridendo, l’idiota.
“Allora, appuntamento galante?”
“Finiscila.”
Mi sistemo il colletto e questo sembra farli ridere ancora di più; Atom si accascia letteralmente sul tavolo.
Riesco a non mandarli a quel paese solo perché non voglio dar loro nessuna soddisfazione.
“Vado. Cercatemi sul cellulare se succede qualcosa.”.
Sterling fa una risatina. “E tu, ci chiami se succede qualcosa?”
Lascio cadere quella che probabilmente crede sia un’allusione sessuale e mi avvio verso la porta. Non che mi dispiacerebbe, è passato… beh, da quando ho seguito Octavia qui è stata piuttosto fiacca la situazione, ma non mi lamento. Il Grounder ha offerto qualche piacevole passatempo, di tanto in tanto. È solo che queste ragazze sembrano poco propense a guardare nella direzione delle guardie criminali del campus, non che io abbia incontrato chissà quali personalità con cui mi facesse piacere passare il tempo. Un paio di bevute, la loro stanza, o a volte il bagno del Grounder, e il gioco è fatto. Ma no, non ho mai pubblicizzato la cosa, quindi Sterling non si merita nemmeno una risposta. Come se dovesse mai accadere una cosa del genere a una festa delle Theta Beta, poi.
Mi volto un’ultima volta verso Miller. “Fammi sapere com’è andata, il solito rapporto completo.”
È la solita frase che ripeto sempre prima di uscire quando non posso partecipare alle ronde con loro, e invece adesso sono piegati dal ridere come tre deficienti. Ma che avrò fatto di male… Octavia un giorno me le pagherà tutte.
Miller cerca di riprendersi tra le lacrime, annuisce e cerca di darmi una pacca sulla spalla, ma lo scanso – è più forte di me. Li sto odiando.
“Vai prima che sia troppo tardi, capo.”
Scuoto la testa e comincio ad allontanarmi, sconsolato.
“A più tardi!”, urla Atom.
“Non ti aspetteremo alzati!”, lo imita Sterling, facendo partire un altro giro di risate.
“Siete un branco di idioti,” e mi chiudo la porta alle spalle.


                                                                                      **
 

Mi accoglie un mormorio eccitato nel salone delle Theta Beta.
Un migliaio – perché devono essere almeno un migliaio – di ragazze in abiti eleganti si stringono in gruppetti, tra chiacchiericci e risate, e una piacevole musica d’atmosfera in sottofondo.
Pure la tonalità delle luci cerca di dare uno strano senso di rassicurazione alla scena. Strano, perché tutto ciò invece di calmarmi mi fa agitare ancora di più. Mi sento improvvisamente conscio di avere un vestito elegante, lungo – io! – sembra quasi mi sia incollato addosso. Dov’era quella portafinestra che dava sul giardino?
“Bellamy!”
Giro sui tacchi e, wow. Clarke sta scendendo le scale, un morbido vestito verde acqua senza spalline e ampia gonna, come una dama d’altri tempi… che corre nel suo modo mascolino e rigido, tirandosi su la gonna per non inciampare.
“Eccoti finalmente…”, si acciglia. “Perché stai sorridendo?”
“Cosa? Uhm, no niente. Mi è venuta in mente una cosa. Dicevi?”
Si acciglia ancora di più, poi deve decidere che non è un argomento altrettanto importante, e si riscuote.
“Devi assolutamente salire su.”
Mi indico. “Io? Su per le scale delle Theta Beta? È già la seconda volta, mi sento onorato, Principessa.”
Clarke sbuffa e s’infila una ciocca che le è uscita da una complicata acconciatura dietro l’orecchio.
“Non è il momento. Octavia ti cerca.”
Basta questa frase a catturare tutta la mia attenzione, e sono già in movimento. Clarke mi supera e sale le scale con, sebbene incerto sui tacchi, slancio.
“Che succede, sta male?”, facciamo slalom tra le centinaia di persone sulle scale.
“Male? No, no. Cioè, un po’.”
“Clarke…”
“Sta bene, fisicamente.”
“Clarke!”, un paio di ragazze si voltano, incuriosite, lunghi colli che si ritraggono quando capiscono chi è che parla, ragazze che si mettono a ridacchiare con le bocche coperte dalle mani. Oggi devo proprio far ridere, che gioia.
“Sta bene!”, Clarke si volta per farmi vedere tutta la roteazione che le compiono gli occhi. “È una crisi temporanea che le passerà appena sarai arrivato in camera sua.”
Sono stato solo una volta in camera di O, alla sua prima festa, ma la stavo mettendo al letto al buio e non mi ero soffermato a osservare l’arredamento – con tutto che c’erano pure altre matricole svenute e una Principessa molto irritante ad aspettarmi all’ingresso. È la seconda stanza a destra del corridoio, e appena varcata la soglia, l’unica cosa che riesco a pensare è: ‘Ma certo.’
Le pareti sono di un verde brillante, e completamente ricoperte di farfalle. La mia O, la mia sorellina… che adesso è seduta a una scrivania Ikea bianca spinta contro la parete in fondo, dal suo lato della stanza. L’altra ragazza – Monroe, la coinquilina – è in piedi con una spazzola in mano in un vestito argentato aderente. Le risalta gli occhi, forse dovrei dire qualcosa, fare un complimento all’amica di mia sorella, ma la mia attenzione è concentrata tutta su quest’ultima e i suoi occhioni spalancati e spaventati. Mi ricorda la prima nota che prese alle elementari, aveva la stessa faccia quando la portò alla mamma, impaurita di aver fatto un errore nella vita perfetta che la mamma voleva che O. conducesse.
Mi accuccio accanto a lei, facendo schioccare le ginocchia.
“O.? Va tutto bene?”.
È solo quando annuisce con decisione che riprendo un po’ di fiato. Qualunque cosa sia, non dev’essere così grave. Ho finalmente un momento per osservarla meglio. Ha una non so quale sfumatura di ombretto che le risalta gli occhi come due fari, e un vestito blu oggettivamente un po’ troppo scollato. Soprassiedo.
“Che succede, piccola?”
Octavia mi lancia uno sguardo ammonitore, posato solo per un momento su Monroe e Clarke, che devono ancora essere alle mie spalle. Va bene, niente epiteti di fronte alle amiche. Posso accettarlo.
Intanto O. deglutisce. “Ho una cosa da chiederti.”
“Una cosa?”
“Un favore.”
Beh, questa è facile. E soprattutto, quando mai ha dovuto chiedermelo così? Ha sempre dato per scontato che io… oh-oh. Comincio a preoccuparmi, adesso.
“Un favore di che tipo.”
“Un favorino. Ino.”
Sospiro. “Di che tipo, Octavia?”
Si sistema meglio sulla sedia, lanciando la mia preoccupazione alle stelle.
“Vedi, tutte le ragazze, qui, anche Monroe…”, fa un cenno verso la suddetta ragazza. “Hanno qualcuno. Che le… ehm, assista durante la cerimonia…”
Aspetta, cosa?
“Aspetta, cosa?”
“No, lo so, è una cosa stupida, ma vedi… tutte hanno una sorella – di sangue dico – che le accompagni, oppure la mamma. Per Zoe è venuta sua cugina…”
“Chi è Zoe?”
Octavia sbuffa. “Monroe!”, seguo il suo palmo della mano ed eccola lì, con la spazzola stretta in mano come un microfono. “È vero,” asserisce a occhi spalancati. “È venuta mia cugina da Austin…”
Clarke, invece, pare una statua di sale, col viso rivolto al pavimento e alla contemplazione dei suoi piedi.
Ritorno su mia sorella, che ha lo sguardo sempre più stralunato. “Ecco, e tutte hanno qualcuno, Harper ha la Madrina del suo Battesimo, Bell, la madrina!”
Mi trattengo dal chiedere chi sia Harper e annuisco. “La madrina, certo.”
Forse se fingo di seguire il filo, riesce a calmarsi un pochino.
Octavia annuisce di nuovo con decisione e stringe la mascella; come previsto si è tranquillizzata un po’. Mi posa addosso uno sguardo limpido e risoluto, sebbene accompagnato da una nota di tristezza.
“E io non ho nessuno…”
“…tranne me,” finisco per lei.
“Tranne te,” conferma.
Se non lo so, che ha solo me. È una cosa che mi dona insieme un senso di infinita tristezza e profondo orgoglio. Io ho tirato su mia sorella, questa meravigliosa creatura. Che a volte vorrei strangolare, come in questo preciso momento.
Sospiro, di nuovo.
“Quindi, cosa vuoi che faccia?”
La sconfitta. E lo sapeva, lo sapeva che non avrei detto di no. Come avrei potuto? Tutte le Theta Beta con qualcuno, e mia sorella da sola? Non l’avrei mai permesso. E non avrei mai e poi mai deluso lei.
Infatti strilla, la stronza. Mi getta le braccia al collo urlando una serie di grazie volta a perforarmi un timpano.
Lancio un’occhiata di lato, Monroe e Clarke hanno un sorriso smagliante gemello sulle labbra. Posso dire di aver accontentato tre ragazze in una volta sola, almeno.



                                                                                          **
 
A volte pensi che le cose non possano andare peggio di così, e invece no.
Ha! Il destino che ti deride, beffardo. Era già abbastanza umiliante presentarsi tutto agghindato a una inutile Cerimonia di una Confraternita. Ero già abbastanza nervoso solo alla prospettiva di passare una serata tra queste persone e osservarle fare questo strano rituale di passaggio, anche se con un bicchiere di champagne tra le dita. Il fatto di dover partecipare attivamente a suddetta cerimonia è solo la ciliegina sulla torta.
Oh, Octavia, l’ho già detto quanto me le pagherai?
Sono relegato insieme alle altre accompagnatrici – che mi guardano e sghignazzano, questa giornata deve finire prima o poi – in una stanzina al lato del Salone. A quanto pare veniamo chiamati uno alla volta quando la nostra Little Sister viene annunciata, e il mio compito sarà accompagnarla in mezzo alla sala, dove tutte le Little si disporranno in fila a metà sala, rivolte verso l’altra metà della stanza – dove probabilmente si piazzeranno le Big. Per fortuna è una cosa facile.
Guardo le altre signore in ghingheri venire chiamate e lasciare la stanzina, tutte emozionate. Credo che cercherò di continuare a tenere per me i commenti maligni su tutta questa situazione assurda.
Quando il nome Bellamy Blake viene chiamato, lo sguardo delle presenti si fa improvvisamente commosso. Incredibile, io queste donne non le capisco.
Esco dalla stanzina e sono accolto da un nugolo di persone disposte in cerchio – nessuna sta riprendendo, dev’essere una violazione alle regole di segretezza e posso solo ringraziare Dio e probabilmente Maya per questo. Mi guardano con attenzione mentre arrivo in fondo alla scalinata per prendere mia sorella e fare questa cosa che assomiglia inquietantemente a darla via in sposa, versione Confraternita.
Octavia, però, è raggiante. Ha in mano una candela spenta, e sul viso un sorriso talmente grande da essere sul punto di farle esplodere la testa.
Le porgo la mano, me la stringe, e tutto questo teatrino assume un senso completamente diverso. A Octavia piace stare qui. Si è trovata una famiglia, uno spazio, una felicità. E allora chi se ne importa se mi pare una cavolata. Mi emoziono un po’ quando la lascio in fila con le sue sorelle, come se la stessi davvero lasciando andare. Solo un po’.
Mi accodo al resto della folla e attendo insieme agli altri, senza mai staccarle gli occhi di dosso. È una piccola bolla di anticipazione pronta a scoppiare.
Finalmente tutte le ragazze sono in posizione, la musica cessa di colpo e le luci si fanno più soffuse. Wow.
Un mormorio eccitato pervade la sala, le matricole in fila con le loro candele in mano si guardano piene di aspettativa. Da quel che mi ha spiegato prima Octavia, non sanno chi sarà la loro Big Sister fino alla fine.
Un gruppo di ragazze incappucciate (sul serio?) scende la scalinata con fare solenne. Ognuna di loro porta una tunica bianca e una candela accesa. Sfilano nel completo silenzio generale, e si dispongono in fila perfetta davanti alle più giovani.
Con meticolosa e studiatissima tempistica, si levano il cappuccio tutte contemporaneamente. Esplodono urla di gioia, qualcuna piange, tra cui Octavia; anche se rimane immobile, due lacrime le scivolano giù dalle guance mentre guarda Clarke sorriderle con gli occhi lucidi.
Lascio vagare lo sguardo per la sala per distrarmi, che li ho sentiti pizzicare pure io.
In un attimo tutto finisce: le Big accendono la candela alle Little, fanno una promessa di eterna sorellanza e protezione, e baci e abbracci per concludere il tutto. La musica riparte, stavolta roba più energica, le incappucciate si tolgono velocemente le tuniche e stanno già tutte ballando in mezzo alla sala.
Una Cerimonia trasformata in un altro party da Confraternita. Facile così.


                                                                                       **
 
 
Clarke mi raggiunge mentre me ne sto in disparte a bere il mio agognato champagne.
Octavia sta legando con le sue consorelle, d’altronde sono momenti che si porterà dietro tutta la vita.
“Allora…”, comincia. Sotto queste luci non le si vedono i lividi, o forse è solo merito di qualche tecnica di trucco. I miei invece sono piuttosto in bella vista, anche se sbiaditi.
“Allora."
“Sei un fratellone orgoglioso?”
Ridacchio. Ho smesso di stupirmi di come riesca sempre a centrare il punto, anche quando faccio di tutto per nascondere ogni cosa dietro l’impassibilità. Mi accontenterò di sapere che ci sia una persona sola a saperlo fare. Una su sette miliardi è comunque una media a mio favore.
“E tu, una sorella orgogliosa?”
Clarke si stringe nelle spalle. “A dire il vero, sì, lo sono. È stata di grande aiuto in questa situazione, e non penso sia solo per la faccenda Lincoln.” Faccio una smorfia che la fa sorridere. “Davvero, il volerlo provare innocente è solo una parte. Ha aiutato con i sottobicchieri per sua volontà, per dare una mano sincera alle altre sorelle. È una in gamba.” Mi da una delle sue strane gomitate sul braccio.
Beh, lo so che è in gamba. Abbiamo fatto un buon lavoro, O. ed io, a crescerci. La morte della mamma avrebbe potuto avere delle conseguenze disastrose sulla nostra vita e invece eccoci qui. Octavia è all’università, mamma. Dannazione, dev’essere questo champagne.
“Sì, lo è. Come sta andando questa famosa situazione, intanto?”
Ho proprio bisogno di cambiare argomento. Clarke sembra stupita, solo per un millesimo di secondo, poi si butta a capofitto sul ragguaglio della situazione.
“Oggi hanno mandato a casa Raven dall’ospedale.”
“Ah, ottimo. Come sta?”
“Bene, bene. Ha una stampella di ferro ad un braccio e un’aitante stampella di nome Wick all’altro.”
E brava Raven, sono onestamente contento. Sembra una tosta.
“È passato anche Finn a trovarla.”
Il tono in cui lo dice cattura la mia attenzione. Evita il contatto visivo, e con un sorrisino che sembra quasi di scuse. Magari sa che Finn mi sta sul culo a prescindere.
“Ha detto qualcosa di interessante?”, lo chiedo per cortesia, perché ne dubito fortemente.
“Sì, ha… ha detto che aiuterà con la questione Murphy.”
Con la questione Murphy? Questo vuole piazzare il naso tra gli affari miei e dei miei ragazzi. Ci si deve davvero mettere così d’impegno per farmi girare le palle? E non stava studiando per fare l’avvocato? A che cosa mi serve, un avvocato?
“Non abbiamo bisogno di lui, lo so,” continua Clarke. Grugnisco, certo che non abbiamo bisogno di lui. “Ma si è offerto, e due paia di occhi in più male non fanno. Dice di avere dei contatti. È stato molto misterioso, come l’altra volta.”
La osservo toccarsi i capelli in imbarazzo. Per Finn? L’aveva definito una persona inaffidabile, me lo ricordo benissimo. ‘L’ultima persona di cui mi posso fidare’, o una cosa del genere. Cambia idea spesso, la Principessa. Appoggio il bicchiere di champagne sul tavolo dietro di me.
“Interessante. Sì. Sono sicuro che il suo aiuto sarà inestimabile.”
E con ciò la mollo lì, passo a dare la buonanotte ad Octavia, ancora sprizzante di felicità (“Ma perché non me l’hai chiesto prima, il favore?”, “Perché avresti detto di no. Chiaro.”), e mi lascio tutta questa farsa alle spalle.
Non fa neanche troppo freddo, stasera, sul cart.
 
 
 
Note dell’Autrice:
Benritrovati!
Bando alle ciance, ho postato!!! Finalmente!!!! Come mi mancava questa storia, e questi due. In questo capitolo, in particolare, mi sono voluta soffermare un po’ di più su Bellamy e Octavia, spero vi siano piaciuti quanto a me. (Sugli altri due non mi pronuncio, o sarebbero solo strilli acuti inarticolati). A prestissimo!
Ps: Credo proprio che il prossimo capitolo ci piacerà molto.
Pps: per la mia pagina autrice, cliccate 
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