Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama
Segui la storia  |       
Autore: futacookies    05/09/2016    5 recensioni
{Longfic • Duncan/Courtney • accenni Trent/Gwen e Alejandro/Heather • commedia romantica}
Duncan Nelson, scapestrata rockstar, nota al pubblico e ai paparazzi per l'eccesso con cui conduce la propria esistenza, viene citato in causa dal direttore dell'Ottawa Royal Palace, di cui - si dice - avrebbe distrutto numerose stanze durante la propria permanenza.
Al suo agente non resta che rivolgersi allo studio legale Fleckman&Fleckman&Strauss&Cohen, per cui toccherà alla sua storica ex, Courtney, tirarlo fuori dai guai.
Dal capitolo 5:
Ma la voleva davvero, la sua attenzione? Oppure era unicamente uno stupido capriccio, l’ombra semisvanita di quello che una volta era stata, con lui? Non lo sapeva, ed era terrorizzata dall’idea di scoprirlo – non ci sarebbe ricascata in alcun modo, le ci erano voluti anni per liberarsi completamente di lui e adesso, che ci era finalmente riuscita, avrebbe fatto qualunque cosa per proteggersi.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Heather, Trent | Coppie: Alejandro/Heather, Duncan/Courtney, Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

NdA: lo so, lo so, sono in un ritardo mostruoso! Due settimane e un giorno di ritardo, ma spero almeno che il capitolo vi piaccia! Spiegherò tutto nelle note finali! E risponderò il prima possibile alle recensioni!
Come al solito ringrazio tutti coloro che hanno recensito/letto/seguito la mia storia!
Buona lettura,
Fede ♥
___________________________________________________________________________________________

«Every sailor knows that the sea is a friend made enemy.»
 
  • Capitolo III
 
«Se mi spezzo una gamba per colpa vostra…», iniziò a dire Courtney, ma fu interrotta da Duncan: «Sì, sì, non vogliamo sapere le cose terribili che ci farai…»
Lì sulle scale antincendio, Courtney si lamentava continuamente – “E se cado?”, “E se mi faccio male?”, “E se i paparazzi ci scoprono lo stesso?”. Duncan sapeva che lo stava facendo soltanto per esasperarlo, e ci stava davvero riuscendo: se avesse sentito anche una sola altra parola che non avesse avuto un tono entusiasta, l’avrebbe spinta e le avrebbe risparmiato i restanti dodici piani.
«Duncan, probabilmente non ti preoccupi della tua eventuale dipartita, perché nessuno sentirebbe la tua mancanza – ma io sono importante! Qui c’è un disperato bisogno di me.»
Appena terminò la frase Duncan allungò una gamba e le fece uno sgambetto, costringendola a aggrapparsi al corrimano per evitare di cadere.
«Duncan!», strillò, un po’ inviperita e parecchio terrorizzata.
«Sì?», le rispose, ignorando palesemente quanto aveva appena fatto. A Courtney non restò che emettere un verso di stizza e arrivare quanto prima possibile al parcheggio – borbottando continuamente su come avrebbe potuto ucciderlo nel sonno e avvelenargli il cibo, facendo avverare tutte le sue paranoie.
«Andiamo, principessa, un po’ d’animo! Mi avrai come ospite a cena – e poi a colazione, a pranzo e ancora a cena per chi sa quanto tempo
Si aspettava che gli rivolgesse un’occhiata in tralice, che lo spingesse a sua volta, che lo prendesse di nuovo a schiaffi, ma si limitò a sbattersi una mano sulla fronte e a scrivere freneticamente sul telefono, ripetendosi che Gwen l’avrebbe uccisa.
«Uh, ci sarà anche Gwen?», le chiese – la situazione stava diventando interessante.
«Certo che ci sarà anche Gwen.», ruggì in risposta. Duncan guardò John e mimò con le mani una papera che parlava, sillabando un “qua qua qua” per non essere sentito.
Courtney, ignara dello spettacolo alle sue spalle, marciava imperterrita, sbattendo i piedi sugli scalini e facendo risuonare un clangore metallico. Dal momento che non si era resa conto della presa in giro, rimase in silenzio per il restante tragitto, concedendosi un sospiro di sollievo una volta arrivata a terra.
«E adesso?», domandò Duncan.
Courtney gli fece cenno di tacere mentre cercava un punto di riferimento – il parcheggio era immenso, e visto da quella nuova prospettiva sembrava ancora più grande. Tuttavia, piuttosto che ammettere di fronte a Duncan di essersi persa in un luogo che conosceva, avrebbe preferito farsi tagliare la lingua, perciò cominciò a muoversi in qualche ignota direzione pregando che il duo alle sue spalle la seguisse senza fare troppe storie – anche se, dopo il sesto tentativo andato a vuoto, era quasi sul punto di crollare. Essendo in procinto di confessare la propria incapacità, quasi esplose dalla contentezza nel momento in cui riconobbe la sua auto.
«Adesso, Duncan, sarei più che felice di ficcarti nel bagagliaio e lasciarti lì. Nonostante ciò mi sento buona e quindi dovrete soltanto nascondervi tra il sedili anteriori e posteriori.»
Di certo non sarebbe riuscita ad evitare quella massa di giornalisti che assediavano l’ingresso se i due non avessero accettato di non farsi vedere da nessuno. Duncan protestò lievemente, ma considerando l’insistenza della ragazza decise di fare come voleva lei – non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto succedere durante la loro convivenza forzata, gliene avrebbe fatte vedere di tutti i colori.
 
***
 
«Be’, a questo punto, direi che posso anche andarmene.», sentenziò John e Courtney era sicura che Duncan avrebbe iniziato a piagnucolare a momenti.
«Ma, John, sei proprio sicuro che questo sia necessario? Insomma, adesso potrei anche tornare a casa, in fondo abbiamo evitato i giornalisti, no?», tentò il ragazzo, ma il suo agente gli diede  una pacca sulla spalla, gli sorrise sornione e si girò per chiamare un taxi.
«Cosa vi dice che non scapperò di qui?», disse ancora, al che Courtney lo afferrò per le orecchie e cominciò a trascinarlo nell’atrio del palazzo. «Ahia, ahia, ahia. Donna, non ho più sedici anni, potresti anche smetterla di trattarmi come ai vecchi tempi.»
«Infatti, Duncan», gli rispose seccata, «non hai sedici anni, ne hai quattro – quando va tutto bene
Sperava di essere riuscita a zittirlo, ma ovviamente lui trovava ogni volta un nuovo pretesto per parlare. «Abbiamo comunque un problema: tutte le mie cose sono a casa mia, quindi lì ci devo tornare per forza!»
Emise un verso di stizza e gli rivolse un’occhiataccia – praticamente non aveva fatto altro nelle ultime tre ore. «Smettila di comportarti come un bambino, John ha detto che ti farà avere l’indispensabile. Questa è una soluzione momentanea, quando le acque si saranno calmate sarò più che felice di sbatterti fuori da casa mia a calci nel sedere!»
Dopodiché arrivò l’ascensore e rimasero in silenzio mentre salivano i diversi piani – Courtney non sapeva se attribuire il silenzio di Duncan ad una tacita arresa, oppure alla tensione che si era creata tra loro.
Nel dubbio, avrebbe voluto dire qualcosa di acido o cattivo, giusto per testare la sua reazione, ma si rese conto che il suo comportamento in quella situazione non era stato affatto appropriato – arrivata alla soglia dei trent’anni, le era bastato rivederlo per riassumere l’atteggiamento di una ragazzina viziata e capricciosa. Sarebbe dovuta essere una donna affascinante e sicura di sé, matura e controllata, invece in quel momento dava l’idea di qualcuno che non era mai cresciuto. A malincuore, decise che da quel momento non avrebbe più assecondato Duncan, né tanto meno gli avrebbe dato filo da torcere: l’avrebbe semplicemente ignorato, e avrebbe collaborato con lui per amore di carriera. Era inutile perdersi in quel circolo vizioso dato dall’abitudine – battibeccavano perché era l’unico modo che conoscevano per comunicare, ma non era di certo il migliore.
«Gwen, sono tornata!», annunciò aprendo la porta, e l’amica la raggiunse mostrandole il vestito nero che stava indossando – lo stesso vestito nero che le aveva detto di non comprare l’ultima volta che erano andate a fare shopping insieme.
Arricciò un po’ il naso, poi aggiunse: «Sai che non mi piace.»
«Be’», le rispose, facendo una piroetta, «non deve piacere a te. Deve piacere a…», si fermò e si sporse oltre la spalla di Courtney, da cui compariva un cresta verde. «Duncan?», chiese, poi guardò Courtney interrogativamente.
«A me il vestito piace.», sentenziò il ragazzo, venendo completamente ignorato da Courtney e ricevendo un “Grazie” distratto da parte di Gwen.
Tra le due, intanto, aveva preso luogo un muto dialogo fatto perlopiù di smorfie e occhiate, al termine del quale Courtney, con voce stanca, mormorò: «È una lunga storia.»
«Io non vado da nessuna parte», commentò Gwen e si allungò un attimo in cucina a prendere una busta di popcorn, per poi buttarsi sul divano.
«Duncan, siediti da qualche parte.», gli ordinò Courtney e poi prese posto accanto all’amica, riprendendo il racconto delle sue peripezie da dove lo aveva interrotto all’ora di pranzo. Il ragazzo, stravaccato su una poltrona di fronte alle due, si proferiva ogni tanto in commenti volti a correggere il resoconto di Courtney – “Io non ho detto così”, “Io non ho fatto quella faccia”, “In realtà non mi ricordo niente. Lei proseguiva nel suo intento di ignorarlo, mentre Gwen si lasciava scappare un sorriso, ogni tanto.
«Quindi, dobbiamo tenercelo qui. Almeno per un paio di settimane.», terminò Courtney.
«Dai, poteva andarci peggio. Ti ricordi quando le campagne furono invase dalle cavallette e Scott si trasferì da noi per tutto l’inverno?»
«Come dimenticarlo?», le rispose sarcastica. Scott era davvero simpatico – e davvero innamorato di lei –, ma le sue abitudini rustiche non si incastravano perfettamente con il loro stile di vita metropolitano.
«E quando trovammo un topo e lui per ucciderlo si presentò con una mazza da baseball?», Gwen si girò verso Duncan e, tra le risate, aggiunse: «Distrusse quasi tutta la casa, ma non riuscì ad uccidere il topo. Quindi l’abbiamo adottato.», indicò una gabbietta poggiata su uno dei ripiani della libreria, «Lo abbiamo chiamato Alejandro. In realtà avrebbe dovuto chiamarsi Chris, ma Heather era all’epoca del suo primo divorzio», si fermò e guardò Courtney, «o secondo?». Courtney le rispose facendo cenno con la mano.
«Il primo, allora. Be’, in quel momento c’era tanto odio per Alejandro, che era un essere viscido e cattivo e blablabla, quindi lo abbiamo onorato dando al topo il suo nome.»
«E le tue lucertole?», domandò Duncan. Courtney lo guardò furente e gli fece capire di cambiare argomento – troppo tardi, ovviamente.
«Morte.», sentenziò, con un velo di malinconia. «Ne ho prese dell’altre, però: Angus e Vampira III.»
Duncan fu sul punto di chiedere cosa fosse successo alle seconde, di lucertole, ma capì che forse non era il caso di dilungarsi su quell’argomento. Gli fu tuttavia risparmiata la fatica di cercarne uno nuovo, poiché suonò il citofono.
«Aspettavate qualcuno?», chiese, incuriosito. Courtney continuò a ignorarlo e Gwen si avventò sul citofono, pertanto non ebbe alcuna risposta – risposta che si materializzò sotto forma di Trent. «Aspettavate qualcuno.», affermò in tono velatamente polemico, rispondendo alla sua domanda. Courtney fece finta di non aver sentito, Gwen era completamente assorbita dal nuovo arrivato.
«Ho portato il gelato!», esclamò quest’ultimo, che non aveva ancora visto Duncan – ma aveva notato l’espressione inviperita di Courtney. «Court, cos’è quella faccia?», si interruppe e poi aggiunse, come se avesse avuto un’illuminazione: «È tornato Scott?»
«Peggio.», gli rispose con irritazione la ragazza. Trent si girò verso Gwen e le sussurrò: «Fleckman ha ripreso a farle la corte?». La ragazza non poté trattenere una risata di fronte all’espressione seccata dell’amica, quindi rispose al fidanzato: «Peggio.»
Duncan, che aveva ascoltato la conversazione dal salottino dov’era seduto, si sentì lievemente offeso: «Io ci sento, eh!». Courtney praticamente scappò in cucina per non dover stare troppo a contatto con lui, e a Trent quasi venne un colpo. «Duncan? Davvero?», disse sconvolto, inconsapevole di ricalcare quanto Heather le aveva detto quella mattina. «È una questione prettamente lavorativa!», strillò Courtney furiosa dalla stanza vicina, «Gwen, muoviti! Sta per iniziare Caccia alle celebrità
Trent emise un verso disperato, e Duncan non poté davvero trattenersi: «Davvero guardate quella stronzata?». Gwen non rispose, limitandosi a indicare la cucina. «Da quando Chris ha cominciato a fare da spalla a Blaineley, è diventato divertentissimo – trova sempre un motivo per prenderlo in giro!», spiegò la ragazza. «E poi», aggiunse Courtney appena li vide, «ci sono sempre ospiti interessanti. Giusto l’altro giorno c’era Harold che raccontava la sua esperienza di meteora nel campo del beat box…»
«Sfigato!», esclamò Duncan tra le risate. Stava per aggiungere qualcos’altro, ma venne interrotto dalla voce squillante di Blaineley alla televisione.
“Allora, Chris, hai qualche scottante novità per i nostri spettatori, oltre al tuo cambio di parrucchino?”
Non è un parrucchino. Comunque – dato che almeno io faccio il mio lavoro –, sì. Il nostro inviato sul campo, Topher, ha pronto un succulento servizio su una rock star molto amata dal pubblico, che sembra però essere finita nei guai…”
“Regia, vai col servizio!”
Nel momento in cui avevano nominato la “rock star molto amata dal pubblico finita nei guai”, Courtney si era girata e aveva cominciato a guardarlo minacciosamente – non gli restò che sedersi e pregare che quel servizio finisse. In fretta.
Dopo un’interminabile introduzione riguardante la sua ascesa musicale e i più o meno numerosi scandali di cui era stato protagonista, arrivarono finalmente al punto in cui si annunciava che il direttore del Ottawa Royal Palace gli aveva fatto causa e che quindi sarebbe presto stato visto in tribunale.
“A riguardo, Duncan Nelson ha rilasciato la seguente dichiarazione…”
E partì il video – registrato dalle telecamere durante l’assedio all’ora pranzo – in cui affermava che in fondo era una questione di poco conto, che quel pallone gonfiato del direttore aveva esagerato e che dal canto suo non avrebbe rimesso piede in quella topaia da quattro soldi.
«Duncan…», sibilò Courtney furiosa, «cosa ho appena sentito?»
«Andiamo, Courtney, sono paparazzi, è quel che vogliono sentirsi dire…», tentò di risponderle.
«È quello che vogliono sentirsi dire?», strillò indemoniata. «Come posso riuscire a toglierti dai guai, se non fai altro che peggiorare la situazione? Questo filmato è andato in onda in diretta nazionale, pochi minuti e sarà sulla bocca di tutti, poche ore e raggiungerà le orecchie dell’avvocato dell’accusa!», fece una breve pausa e poi sillabò, mantenendo lo stesso tono irato: «Io ti uccido!»
Dopodiché allungò una mano verso Gwen, facendo segno di passarle qualcosa.
«Niente coltelli, Courtney, non voglio essere complice di un omicidio.», sentenziò, sgridando sottilmente l’amica.
«E io non voglio esserne testimone.», aggiunse Trent.
«E io non voglio esserne la vittima!», si accodò Duncan.
«Gwen…», la richiamò Courtney, indicando con la testa qualcosa alla sua destra.
«Oh, be’, in tal caso…», commentò l’altra, e si limitò a staccare il mattarello che avevano appeso in cucina come decorazione e glielo diede.
«Tu!», esclamò Courtney con un urlo belluino, e cominciò a rincorrerlo, brandendo come un’arma l’apparentemente innocente utensile da cucina. Duncan fu dunque costretto a una poco dignitosa ritirata in giro per un appartamento che nemmeno conosceva.
«Pizza?», chiese Trent alla sua fidanzata.
«Pizza.», gli rispose lei, rassegnata alle urla della coinquilina.
 
***
 
Steso nello scomodo divano letto del soggiorno, Duncan non poteva fare a meno di rimpiangere il suo splendido letto che lo aspettava in una casa in cui non avrebbe rimesso piede per un bel po’. Inoltre, data l’immane quantità di lividi che si stavano formando o che si erano già formati, non riusciva a trovare un posizione abbastanza comoda per addormentarsi – dopo averlo colpito più volte con quell’arnese infernale, Courtney gli aveva gentilmente concesso il suo perdono, se non altro perché un avvocato che malmenava il proprio cliente non si era mai visto.
Tuttavia, dopo aver concesso il proprio perdono, Courtney aveva seguitato ad ignorarlo, cercando di sembrare quanto più disinteressata possibile – anche ai tempi della loro relazione aveva l’abitudine di ignorarlo quando litigavano, per giorni e anche settimane, se necessario, ma nella freddezza con cui lo trattava c’era qualcosa di diverso.
Qualcosa che lui non sarebbe riuscito a spiegarsi, perché ormai non aveva alcuna idea di quanto le fosse successo negli anni in cui non si erano visti – aveva avuto una relazione fallimentare con Scott, ed era diventata un avvocato di successo. Fine. Niente che potesse aiutarlo a capire come maneggiarla, il che era davvero frustrante. Era sempre stata una ragazza “difficile”, criptica, impossibile da accontentare. Si chiese se non fosse il caso di cominciare a muoverle guerra come una volta, per quantificare quanto di lei era rimasto.
Poi si disse che non era il caso di sbattersi tanto per una pazza isterica – e si disse anche che era inaudito il modo in cui era stato trattato, il modo in cui il suo agente lo voleva costringere a vivere, separato dal lusso a cui ormai era abituato e dagli eccessi di cui non riusciva a fare a meno. Avrebbero dovuto capire che una celebrità del suo calibro – a cui era impossibile negare qualcosa – non avrebbe retto a lungo in un appartamento in cui perfino il topo Alejandro riceveva più attenzioni di lui.
Ma, dato che il suo agente, quando voleva, era anche più testardo e capriccioso del suo avvocato, avrebbe dovuto trovare un modo plateale e allo stesso tempo estremamente discreto per far giungere il messaggio a destinazione – e avrebbe piegato entrambi alla sua volontà, infine.
Intanto, però, quel letto restava il più scomodo che avesse mai provato.
 
***
 
Quel giorno non si mostrava essere migliore del precedente, per Courtney – oltre a dover sopportare l’idea di quel buzzurro in giro per casa sua, avrebbe dovuto interrogare un numero non meglio quantificato di persone che avevano la sua stessa intelligenza. Perfetto.
La serata non si era conclusa nel migliore dei modi, ma doveva ammettere che sarebbe potuta andare molto peggio – avrebbe dovuto, nell’ordine, rendere Gwen, Trent e Duncan, complice, testimone e vittima di un omicidio. E l’avrebbero meritato. Perché nessuno si sforzava di capirla? Era non solo costretta a lavorare per il suo ex, che l’aveva tradita con la sua migliore amica e umiliata in mondovisione, ma anche ad ospitarlo ed essere civile con lui.
Stava aspettando l’ascensore, quando, sentendo la serratura della porta della sua vicina scattare, tentò una rapida fuga per le scale – che dovette però interrompersi nel momento in cui le parlò.
«Courtney, cara!»
La signora Tobloskij era un’adorabile vecchietta, con una smodata passione per i gatti, una pessima vista, e un udito finissimo – e finiva sempre per lamentarsi del volume della loro televisione, talmente alto, secondo lei, da disturbare il suo sonno. Solo lei ci mancava.
«Sì?», disse, cercando di apparire quanto più accondiscendete possibile.
«Spero non abbiate adottato un altro topo! Sai, ieri, con tutta quella confusione, il piccolo Pimplebottom si è agitato moltissimo!»
Il piccolo Pimplebottom era un gatto di dimensioni gigantesche, il cui unico scopo nella vita era riuscire ad intrufolarsi in casa sua per mangiarsi Alejandro. Aveva perso il conto di tutte le volte che la signora Tobloskij era sopraggiunta gridando: «James August Peregrin Pimplebottom! Lascia stare quel topo!». Sperava vivamente che non accadesse di nuovo, specie con Duncan in giro, ma quel maledetto gattaccio già stava grattando contro la sua porta.
«Nessun nuovo topo, non vorremmo far agitare il piccolo Pimplebottom per nulla al mondo.», si sforzò di dire sorridendo. La signora Tobloskij stava evidentemente per chiedere qualcos’altro, ma, per sua fortuna, l’ascensore arrivò e la salvò da quell’improbabile interrogatorio.
 
***

«Altro che piccolo Pimplebottom!», sbraitò a telefono con Gwen, mentre entrava nel suo ufficio, «io le stermino l’allevamento di gatti se mi ritrovo quel coso peloso in giro per casa di nuovo!»
Gwen provò a ribattere che in fondo era una vecchietta inoffensiva, ma inutilmente. «Inoffensiva! Con quell’esercito pulcioso che si ritrova ho più paura di lei che di qualunque altro essere umano al mondo!»
John Smith, che la stava aspettando, nel vederla si alzò per salutarla, ma fu prontamente messo a tacere. «Cosa sta facendo quel troglodita?», chiese all’amica.
«Dorme.», rispose laconicamente l’altra. «Dorme?!», esclamò indignata. «Ancora? Invece di rendersi utile, dorme! Senti, fammi un favore, quando esci di casa, chiudilo dentro. Non voglio che apra a Pimplebottom quando riprenderà a graffiare la nostra povera porta. E, soprattutto, non voglio che esca!», le strillò. Poi le augurò una buona giornata e fulminò John con lo sguardo.
«Il suo cliente è un piantagrane. Un essere inutile. Andrebbe soppresso. Consuma l’aria che altra gente potrebbe respirare. Ma, soprattutto, ha potenzialmente distrutto qualunque accordo avrei potuto prendere basandomi sul suo inesistente pentimento!», disse irritata. Si era imposta di non gridare, per riuscire a mantenere un alone di professionalità, ma non poteva nascondere troppo a lungo la sua acredine.
«Certo, capisco.», disse John, desolato. Attese un istante prima di cominciare a parlare, per assicurarsi che Courtney non lo interrompesse. «Le ho portato una lista parziale dei presenti al momento del disastro, e inoltre è già qui la band di supporto di Duncan.»
Nel momento in cui terminò di parlare, due ragazzi alle sue spalle – che lei non aveva notato, presa com’era ad inveire contro Duncan – si alzarono e uno dei due le tese la mano.
«Miss Barlow», cominciò John con un tono ancora più desolato di quello usato un attimo prima, «le presento i “Vomitanti”»
 
***
 
«Ed è stato tipo boom
Quello che aveva davanti era un duo quanto mai improbabile e, soprattutto, incapace di esprimersi con un linguaggio che non le desse il mal di testa. Tutto quello che era riuscita a cavare da loro era stata una serie di boom, bang, splash, wow e altri suoni onomatopeici che lasciavano intendere che la festa era stata distruttiva. Grazie tante.
«Sì, certo.», commentò gelida.
«E poi siamo saliti sui letti ed è stato tipo tonf!, tonf!, tonf!»
«Sui… letti?», chiese, ormai disperata.
«Sì! È stato wow. E Duncan ha spaccato la sua chitarra! È stato tipo sbam! Fortissimo! Vero, Spud?»
Spud, che fino a quel momento non aveva pronunciato una sola parola, alzò lo sguardo e chiese: «Cosa?»
«Amico, la festa! Quella dopo il concerto di Ottawa!», esclamò quello che, se aveva capito bene, doveva essere Rock. Ci fu un lungo momento di imbarazzante silenzio, dopo il quale Spud si riebbe e disse con enfasi: «Aah, la festa! Quella tipo…», cominciò a far finta di suonare una chitarra, emettendo versi più o meno riconducibili al suono delle corde.
Avrebbe dovuto mollare tutto e partire per una vacanza. A meno di ventiquattro ore dell’inizio di quel caso aveva già voglia di mollare tutto – ma Courtney Barlow era una vincente, sempre e comunque. Quindi, avrebbe cavato di bocca a quei due scemi qualcosa di utile, avrebbe schiacciato completamente l’accusa e, con un po’ di fortuna, la parcella dello psicanalista non l’avrebbe lasciata a secco.

___________________________________________________________________


Note dell’autrice: come ho già detto all’inizio di questo capitolo, sono in un ritardo mostruoso! Tuttavia, è stato per una causa maggiore di me – ossia, mio padre che prenota una vacanza a sorpresa e ci porta al mare, ma in realtà la casa era sul cucuzzolo di una montagna E NON C’ERA CONNESSIONE DI ALCUN TIPO! Uno shock, vi giuro. Comunque, siamo tornati giovedì scorso, quindi ho avuto appena il tempo di scrivere il capitolo e correggerlo, per poi pubblicarlo oggi!
Per quel che riguarda il capitolo stesso, ci sono alcuni avvenimenti che saranno importanti per lo sviluppo della storia (no, Pimplebottom non mangerà il topo Alejandro). Che poi, tanto per la cronaca imbarazzante, ho scoperto – dopo che mia sorella mi aveva costretto a mettere al gatto quel nome, che dovrebbe essere un personaggi di una delle sue saghe preferite –, che significa “sedere brufoloso”. Cioè. Ho appena chiamato un gatto James August Peregrin Sedere Brufoloso. Please, send help.
Comunque, nonostante ci abbia impiegato tre capitoli per descrivere più o meno ventiquattro ore, dal prossimo capitolo la narrazione dovrebbe velocizzarsi – più o meno. La convivenza di Duncan e Courtney e Gwen continuerà a fornirci scenette di banale comicità almeno per un altro po’ – poi c’è un plot twist che non vi potete nemmeno immaginare, ma che adorerete. Spero.
Per quanto riguarda i personaggi nominati in questo capitolo, be’, sono sicura che li conoscete tutti. Ho adorato scrivere la parte tra Chris e Blaineley (anche perché sono una grande estimatrice della ship), e non vi dico quanti problemi mi ha dato la scena tra Courtney, Rock e Spud (btw, spero di aver centrato la loro caratterizzazione, perché mentre scrivevo ho sacrificato tutti i miei principi di “autrice”).
Detto ciò, vi lascio perché vi ho ammorbato con delle note lunghissime e vi ringrazio se siete arrivati fin qua giù!
Alla settimana prossima,
Fede

P.s.: sto pensando di scrivere una one shot sul primo divorzio di Heather e Alejandro e conseguente adozione del topo, dite che potrebbe interessarvi?
P.p.s.: momento di pubblicità occulta – ma non troppo –, giusto perché mi piace abusare della pazienza delle persone :) La mia sorellina ha appena debuttato da “scrittrice”, nel fandom di Percy Jackson, quindi, se magari vi interessa e shippate Solangelo, potreste dare un’occhiata qui.
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama / Vai alla pagina dell'autore: futacookies