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Autore: Scorpio 94    01/05/2009    0 recensioni
Questa è la storia di un paese, sotto il dominio di un tiranno, che cerca di ribellarsi. Questa è la storia di un'amore, oppresso dalla guerra. Questa è la storia di una lotta, per poter sopravvivere. Questa è la storia di Alelte e Gredo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il colpo

Era una notte buia, le ombre avvolgevano tutto, non c’era il minimo movimento nel giardino del palazzo della contessa Josefine Parlmore. La contessa possedeva un palazzo gigantesco circondato da un giardino e una cinta muraria e sorvegliato da un centinaio di guardie che si davano il cambio ogni tre ore.

Era sempre così prima che entrasse in azione: investigava sulle abitudini della vittima da derubare a lungo prima del colpo. Sapeva che le guardie non sarebbero arrivate prima di un quarto d’ora, era il momento propizio. Saltò dalle mura al tetto facendo meno rumore possibile. Entrò dalla finestra che aveva visto aperta, si guardò in giro e si trovò di fronte uno specchio: era una ragazza minuta di circa quindici anni alta circa un metro e mezzo, dai corti capelli corvini, gli occhi castano intenso, il viso era quasi perfettamente tondo, il colorito era leggermente pallido, messo ancora più in risalto dai capelli; era lei la ladra che si apprestava a derubare la dimora della contessa, era colei che cercava di impossessarsi del più grande tesoro di tutti i tempi, la rosa di Iduseta: un rubino grande quanto un pugno avente la forma di rosa, era la migliore ladra di tutto il mondo fino ad allora conosciuto, lei era Alelte Digona . Nessuno prima di lei era riuscito a sapere la precisa ubicazione del tesoro all’interno del palazzo fino a quel momento ed anche per lei era stato difficile venirne a conoscenza.

Aveva dovuto farsi assumere come sguattera all’interno del palazzo e poteva soltanto avere notizie di dicerie da parte dei servitori della contessa. Farsi amiche le guardie non era stato difficile, e così aveva appreso le misure di sicurezza del palazzo: la sera vi era una guardia appostata all’esterno di ogni stanza che riceveva il cambio ogni tre ore, la contessa aveva cinque stanze da letto e decideva il giorno stesso dove sarebbe andata a dormire, cambiando così la posizione dell’ultima luce che si spegneva per scoraggiare eventuali ladri, davanti alle stanze più importanti le guardie davanti la porta erano due e c’erano cinque guardie che giravano per i corridoi. Di giorno la sorveglianza era altrettanto stretta, se non maggiore, poiché in giro per il palazzo c’era anche la servitù.

Aveva scoperto che la rosa di Iduseta era custodita nella stanza da letto della contessa, ma il fatto che ce ne fossero molte complicava il suo compito.

Era entrata dalla stanza degli ospiti: aveva uno specchio in un angolo, un letto a baldacchino a due piazze, un baule-guardaroba davanti al letto e un divano; per terra c’era un tappeto pregiato e dall’altro lato della stanza rispetto la finestra c’era una porta che conduceva a un bagno adiacente, la porta d’ingresso era a destra del letto, Alelte corse subito in quella direzione e ascoltò i rumori provenienti dall’esterno.

C’erano due guardie che stavano discutendo sull’inutilità del loro servizio, in quanto fino a quel momento nessuno si era neanche avvicinato a quel palazzo. Alelte rise tra se al pensiero di quello che si apprestava a fare, appena sentì che le guardie si erano allontanate a sufficienza per il cambio, aprì di poco la porta e uscì via.

Il corridoio era deserto, arrivò fino all’angolo e lo voltò giusto in tempo per non farsi vedere dalle altre guardie che stavano arrivando

“Devo fare più attenzione, potrebbero scoprirmi”

Si appostò all’angolo e, appena vide che le guardie davanti a una delle stanze da letto della contessa si stavano allontanando, si appiattì al muro.

Le guardie passarono avanti senza accorgersi di nulla, lei entrò e iniziò ad ispezionare la stanza, per fortuna la contessa non dormiva lì quella sera.

Era per molti versi simile alla stanza degli ospiti se non per la parete piena di specchi, il baule-guardaroba che era tre volte quello della stanza degli ospiti e per gli arazzi alle pareti. Iniziò subito a controllare quelli alla ricerca di un qualsiasi indizio: bussò su ogni centimetro dell’arazzo per sentire un rumore diverso, controllò i disegni dell’arazzo per vedere simboli particolari, ma non trovò nulla, così decise di passare alle altre stanze, ma per non rischiare di essere viste dalle guardie in corridoio uscì al balcone e camminò sul cornicione fino ad arrivare al balcone di un’altra stanza da letto.

Vi entrò e questa volta vi trovò dentro anche la contessa: era una donna robusta sulla quarantina, non molto alta, i capelli iniziavano a diventare bianchi, il viso mostrava già i segni del tempo e in quel momento dormiva un sonno agitato.

“Starà sognando un ladro che le ruba nell’appartamento

Iniziò a controllare anche questa stanza ma questa volta cercò di fare meno rumore possibile.

Anche in questa stanza vi erano arazzi, ma su uno di questi Alelte vide un disegno particolare.

Vide una rosa rossa in mano ad un cavaliere.

Impugnò il coltello dalla cintura e taglio la parte di arazzo raffigurante il cavaliere. Dietro trovò una nicchia chiusa da una porticina di legno.

La aprì e dentro vi trovò la rosa. Era bellissima, una rosa scolpita perfettamente in un rubino gigantesco, ed ora era nelle sue mani.

Fu a questo punto che fece un passo falso, si era dimenticata della contessa che nel frattempo si era svegliata e aveva notato una figura scura aggirarsi per la stanza.

- Guardie!!! - urlò e i due soldati appostati fuori dalla porta entrarono correndo - Prendete il ladro!-

Alelte si mise il rubino in un sacchetto appeso alla cintura, sgusciò via dalla finestra e saltò dal balcone atterrando nel giardino. L’urto fu violento ma non abbastanza da provocare danni.

Corse per tutto il cortile fino ad arrivare ad un albero vicino il muro.

Nel frattempo le guardie stavano accorrendo in quella direzione.

Si arrampicò sull’albero agile come un gatto e saltò prima sulla cinta muraria, poi fuori dalla casa.

Nonostante tutto ce l’aveva fatta, era riuscita a fuggire con il prezioso tesoro e senza essere riconosciuta.

Si allontanò il più velocemente possibile dalle zone alte della città e andò nei vicoli dei quartieri del mercato.

Poi si diresse verso il cancello della città, Gudrensin era la capitale dello stato di Fendrom, una tra le più importanti città commerciali del mondo, e di notte il cancello rimaneva chiuso, perciò dovette scavalcarlo aggirando le guardie e finalmente si ritrovò fuori dalla città, lontana da ogni pericolo.

Si diresse verso una caverna oltre il bosco, che ora per lei era come una casa.

Entrò e l’odore di muschio la prese subito alla gola, ma lei ormai c’era così abituata che le sembrò odore di casa. Si distese nel letto che aveva sistemato in un angolo, un cumulo di paglia con sopra un lenzuolo. E lì si addormentò, sfinita per il lavoro appena portato a termine e stanca di quella vita fin troppo movimentata, ma che nonostante ciò era l’unica vita che conoscesse, e iniziò a sognare.

 

Era nella cucina di una casa piena di luce, un ambiente sereno, il posto ideale per far crescere una bambina.

Lei era felice quel giorno perché aveva smesso di piovere e il tempo era l’ideale per andare a giocare con i suoi amici.

Così Alelte scese in cucina e dopo aver fatto colazione chiese alla madre

- Posso andare a giocare con i miei amici? -

- Sì, ma solo se prima mi aiuti in casa -

- Ma ci metto tutta la mattina… -

- Se non mi aiuti non ti faccio uscire, e poi prima cominci prima finisci -

- E va bene… -

La madre sapeva che Alelte avrebbe preferito uscire subito, ma le serviva aiuto e la bambina diligentemente si mise ad aiutare la madre nei lavori di casa.

Finirono poco prima di mezzogiorno e cinque minuti dopo arrivò il padre di Alelte, insieme pranzarono e appena finito la bambina domandò

- Adesso posso andare dai miei amici a giocare? -

- E va bene, ma sta attenta –

Ma la bambina era uscita ancora prima che la madre finisse la frase.

Era andata in riva al fiume vicino al villaggio di Fontos, il suo villaggio, nel punto in cui  i suoi amici  erano soliti riunirsi nelle belle giornate.

Gli altri bambini la videro arrivare e le domandarono

- Perché non sei venuta questa mattina? -

- Perché ho dovuto aiutare mia madre a casa, ma adesso sono qui, cosa stavate facendo? -

- Abbiamo appena trovato una spada!!! -

- Veramente?!?!?!? -

Era al culmine della gioia, tutte le volte che si vedeva con i suoi amici lottavano con dei bastoni facendo finta che fossero spade e ogni volta riusciva sempre a battere tutti gli altri, a parte il “capo” del loro gruppo, Ervont, anche se le ultime volte era riuscita a pareggiare.

- Sì, diciamo sul serio, Micha l’ha trovata in riva al fiume -

Micha era il più piccolo del gruppo e anche il più abile nel trovare oggetti per loro straordinari, come il vecchio elmo che conservavano nel loro rifugio.

- E chi la userà negli scontri? - chiese Alelte.

-Naturalmente io – rispose burbero Ervont - Io sono il capo e spetta a me di diritto –

- Non è giusto, anch’io la voglio usare - replicò risoluta Alelte - Non puoi fare quel che ti pare solo perché pensi di essere il più forte, io ti potrei battere quando voglio –

- Vedremo. Facciamo così, ora ci sfidiamo alla lotta, il primo che dichiara la resa perde. –

- Per me va bene -

Andarono nello spiazzo sulla riva del fiume poco distante da dove si trovavano e iniziarono.

All’inizio entrambi avevano un bastone per combattere ma dopo svariati colpi parati e andati a segno da entrambe la parti il bastone di Ervont si spezzò e Alelte per correttezza buttò il suo.

- Siamo di nuovo pari -

- Adesso che hai buttato il tuo unico vantaggio non mi batterai - detto questo cercò di colpirla con un pugno alla mandibola che lei schivò prontamente e a cui rispose con un calcio allo stinco.

Ervont indietreggiò con i lucciconi agli occhi e le si gettò addosso dandole una spallata, lei cadde a terra e si rialzò dolorante tenendosi una spalla.

- Questa me la paghi -

E cominciò a dare pugni, calci e schiaffi alla rinfusa cercando di colpirlo.

Lui non riuscì a schivarli tutti e dopo aver incassato molti colpi allo stomaco e vari schiaffi riprovò a caricarla di nuovo come aveva fatto prima.

Ma questa volta Alelte non si fece trovare impreparata e lo schivò e così facendo lo fece andare verso il fiume, inciampò in una roccia e batté la testa contro un sasso nell’acqua.

Il fiume iniziò a tingersi di rosso ed Ervont non si rialzava più, Alelte iniziò ad indietreggiare mentre i suoi amici le dicevano

- Che hai fatto?!?!? -

Poi corse a casa e dopo essere salita in camera sua iniziò a piangere pensando alla scena del suo amico che dava quel colpo al masso.

 

A questo punto del sogno si svegliò, era l’incubo che la tormentava da anni, era il ricordo di quello che era successo sette anni prima.

  
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