Era una notte buia, le
ombre avvolgevano tutto, non c’era il minimo movimento nel giardino del palazzo
della contessa Josefine Parlmore. La contessa possedeva un palazzo gigantesco
circondato da un giardino e una cinta muraria e sorvegliato da un centinaio di
guardie che si davano il cambio ogni tre ore.
Era
sempre così prima che entrasse in azione: investigava sulle abitudini della
vittima da derubare a lungo prima del colpo. Sapeva che le guardie non
sarebbero arrivate prima di un quarto d’ora, era il momento propizio. Saltò
dalle mura al tetto facendo meno rumore possibile. Entrò dalla finestra che
aveva visto aperta, si guardò in giro e si trovò di fronte uno specchio: era
una ragazza minuta di circa quindici anni alta circa un metro e mezzo, dai
corti capelli corvini, gli occhi castano intenso, il viso era quasi
perfettamente tondo, il colorito era leggermente pallido, messo ancora più in
risalto dai capelli; era lei la ladra che si apprestava a derubare la dimora
della contessa, era colei che cercava di impossessarsi del più grande tesoro di
tutti i tempi, la rosa di Iduseta: un rubino grande quanto un pugno avente la
forma di rosa, era la migliore ladra di tutto il mondo fino ad allora
conosciuto, lei era Alelte Digona . Nessuno prima di lei era riuscito a sapere
la precisa ubicazione del tesoro all’interno del palazzo fino a quel momento ed
anche per lei era stato difficile venirne a conoscenza.
Aveva
dovuto farsi assumere come sguattera all’interno del palazzo e poteva soltanto
avere notizie di dicerie da parte dei servitori della contessa. Farsi amiche le
guardie non era stato difficile, e così aveva appreso le misure di sicurezza
del palazzo: la sera vi era una guardia appostata all’esterno di ogni stanza
che riceveva il cambio ogni tre ore, la contessa aveva cinque stanze da letto e
decideva il giorno stesso dove sarebbe andata a dormire, cambiando così la
posizione dell’ultima luce che si spegneva per scoraggiare eventuali ladri,
davanti alle stanze più importanti le guardie davanti la porta erano due e
c’erano cinque guardie che giravano per i corridoi. Di giorno la sorveglianza
era altrettanto stretta, se non maggiore, poiché in giro per il palazzo c’era
anche la servitù.
Aveva
scoperto che la rosa di Iduseta era custodita nella stanza da letto della
contessa, ma il fatto che ce ne fossero molte complicava il suo compito.
Era
entrata dalla stanza degli ospiti: aveva uno specchio in un angolo, un letto a
baldacchino a due piazze, un baule-guardaroba davanti al letto e un divano; per
terra c’era un tappeto pregiato e dall’altro lato della stanza rispetto la
finestra c’era una porta che conduceva a un bagno adiacente, la porta
d’ingresso era a destra del letto, Alelte corse subito in quella direzione e
ascoltò i rumori provenienti dall’esterno.
C’erano
due guardie che stavano discutendo sull’inutilità del loro servizio, in quanto
fino a quel momento nessuno si era neanche avvicinato a quel palazzo. Alelte
rise tra se al pensiero di quello che si apprestava a fare, appena sentì che le
guardie si erano allontanate a sufficienza per il cambio, aprì di poco la porta
e uscì via.
Il
corridoio era deserto, arrivò fino all’angolo e lo voltò giusto in tempo per
non farsi vedere dalle altre guardie che stavano arrivando
“Devo fare più attenzione,
potrebbero scoprirmi”
Si
appostò all’angolo e, appena vide che le guardie davanti a una delle stanze da
letto della contessa si stavano allontanando, si appiattì al muro.
Le
guardie passarono avanti senza accorgersi di nulla, lei entrò e iniziò ad
ispezionare la stanza, per fortuna la contessa non dormiva lì quella sera.
Era
per molti versi simile alla stanza degli ospiti se non per la parete piena di
specchi, il baule-guardaroba che era tre volte quello della stanza degli ospiti
e per gli arazzi alle pareti. Iniziò subito a controllare quelli alla ricerca
di un qualsiasi indizio: bussò su ogni centimetro dell’arazzo per sentire un
rumore diverso, controllò i disegni dell’arazzo per vedere simboli particolari,
ma non trovò nulla, così decise di passare alle altre stanze, ma per non
rischiare di essere viste dalle guardie in corridoio uscì al balcone e camminò
sul cornicione fino ad arrivare al balcone di un’altra stanza da letto.
Vi
entrò e questa volta vi trovò dentro anche la contessa: era una donna robusta
sulla quarantina, non molto alta, i capelli iniziavano a diventare bianchi, il
viso mostrava già i segni del tempo e in quel momento dormiva un sonno agitato.
“Starà sognando un
ladro che le ruba nell’appartamento”
Iniziò
a controllare anche questa stanza ma questa volta cercò di fare meno rumore
possibile.
Anche
in questa stanza vi erano arazzi, ma su uno di questi Alelte vide un disegno
particolare.
Vide
una rosa rossa in mano ad un cavaliere.
Impugnò
il coltello dalla cintura e taglio la parte di arazzo raffigurante il
cavaliere. Dietro trovò una nicchia chiusa da una porticina di legno.
La
aprì e dentro vi trovò la rosa. Era bellissima, una rosa scolpita perfettamente
in un rubino gigantesco, ed ora era nelle sue mani.
Fu
a questo punto che fece un passo falso, si era dimenticata della contessa che
nel frattempo si era svegliata e aveva notato una figura scura aggirarsi per la
stanza.
-
Guardie!!! - urlò e i due soldati appostati fuori dalla porta entrarono
correndo - Prendete il ladro!-
Alelte
si mise il rubino in un sacchetto appeso alla cintura, sgusciò via dalla
finestra e saltò dal balcone atterrando nel giardino. L’urto fu violento ma non
abbastanza da provocare danni.
Corse
per tutto il cortile fino ad arrivare ad un albero vicino il muro.
Nel
frattempo le guardie stavano accorrendo in quella direzione.
Si
arrampicò sull’albero agile come un gatto e saltò prima sulla cinta muraria,
poi fuori dalla casa.
Nonostante
tutto ce l’aveva fatta, era riuscita a fuggire con il prezioso tesoro e senza
essere riconosciuta.
Si
allontanò il più velocemente possibile dalle zone alte della città e andò nei
vicoli dei quartieri del mercato.
Poi
si diresse verso il cancello della città, Gudrensin era la capitale dello stato
di Fendrom, una tra le più importanti città commerciali del mondo, e di notte
il cancello rimaneva chiuso, perciò dovette scavalcarlo aggirando le guardie e
finalmente si ritrovò fuori dalla città, lontana da ogni pericolo.
Si
diresse verso una caverna oltre il bosco, che ora per lei era come una casa.
Entrò
e l’odore di muschio la prese subito alla gola, ma lei ormai c’era così
abituata che le sembrò odore di casa. Si distese nel letto che aveva sistemato
in un angolo, un cumulo di paglia con sopra un lenzuolo. E lì si addormentò,
sfinita per il lavoro appena portato a termine e stanca di quella vita fin
troppo movimentata, ma che nonostante ciò era l’unica vita che conoscesse, e
iniziò a sognare.
Era nella
cucina di una casa piena di luce, un ambiente sereno, il posto ideale per far crescere
una bambina.
Lei era
felice quel giorno perché aveva smesso di piovere e il tempo era l’ideale per
andare a giocare con i suoi amici.
Così
Alelte scese in cucina e dopo aver fatto colazione chiese alla madre
- Posso
andare a giocare con i miei amici? -
- Sì, ma
solo se prima mi aiuti in casa -
- Ma ci
metto tutta la mattina… -
- Se non
mi aiuti non ti faccio uscire, e poi prima cominci prima finisci -
- E va
bene… -
La madre
sapeva che Alelte avrebbe preferito uscire subito, ma le serviva aiuto e la
bambina diligentemente si mise ad aiutare la madre nei lavori di casa.
Finirono
poco prima di mezzogiorno e cinque minuti dopo arrivò il padre di Alelte,
insieme pranzarono e appena finito la bambina domandò
- Adesso
posso andare dai miei amici a giocare? -
- E va
bene, ma sta attenta –
Ma la
bambina era uscita ancora prima che la madre finisse la frase.
Era
andata in riva al fiume vicino al villaggio di Fontos, il suo villaggio, nel
punto in cui i suoi amici erano soliti riunirsi nelle belle giornate.
Gli altri
bambini la videro arrivare e le domandarono
- Perché
non sei venuta questa mattina? -
- Perché
ho dovuto aiutare mia madre a casa, ma adesso sono qui, cosa stavate facendo? -
- Abbiamo
appena trovato una spada!!! -
-
Veramente?!?!?!? -
Era al culmine
della gioia, tutte le volte che si vedeva con i suoi amici lottavano con dei
bastoni facendo finta che fossero spade e ogni volta riusciva sempre a battere
tutti gli altri, a parte il “capo” del loro gruppo, Ervont, anche se le ultime
volte era riuscita a pareggiare.
- Sì,
diciamo sul serio, Micha l’ha trovata in riva al fiume -
Micha era
il più piccolo del gruppo e anche il più abile nel trovare oggetti per loro
straordinari, come il vecchio elmo che conservavano nel loro rifugio.
- E chi
la userà negli scontri? - chiese Alelte.
-Naturalmente
io – rispose burbero Ervont - Io sono il capo e spetta a me di diritto –
- Non è
giusto, anch’io la voglio usare - replicò risoluta Alelte - Non puoi fare quel
che ti pare solo perché pensi di essere il più forte, io ti potrei battere
quando voglio –
-
Vedremo. Facciamo così, ora ci sfidiamo alla lotta, il primo che dichiara la
resa perde. –
- Per me
va bene -
Andarono
nello spiazzo sulla riva del fiume poco distante da dove si trovavano e
iniziarono.
All’inizio
entrambi avevano un bastone per combattere ma dopo svariati colpi parati e
andati a segno da entrambe la parti il bastone di Ervont si spezzò e Alelte per
correttezza buttò il suo.
- Siamo
di nuovo pari -
- Adesso
che hai buttato il tuo unico vantaggio non mi batterai - detto questo cercò di
colpirla con un pugno alla mandibola che lei schivò prontamente e a cui rispose
con un calcio allo stinco.
Ervont
indietreggiò con i lucciconi agli occhi e le si gettò addosso dandole una
spallata, lei cadde a terra e si rialzò dolorante tenendosi una spalla.
- Questa
me la paghi -
E
cominciò a dare pugni, calci e schiaffi alla rinfusa cercando di colpirlo.
Lui non
riuscì a schivarli tutti e dopo aver incassato molti colpi allo stomaco e vari
schiaffi riprovò a caricarla di nuovo come aveva fatto prima.
Ma questa
volta Alelte non si fece trovare impreparata e lo schivò e così facendo lo fece
andare verso il fiume, inciampò in una roccia e batté la testa contro un sasso
nell’acqua.
Il fiume
iniziò a tingersi di rosso ed Ervont non si rialzava più, Alelte iniziò ad
indietreggiare mentre i suoi amici le dicevano
- Che hai
fatto?!?!? -
Poi corse
a casa e dopo essere salita in camera sua iniziò a piangere pensando alla scena
del suo amico che dava quel colpo al masso.
A
questo punto del sogno si svegliò, era l’incubo che la tormentava da anni, era
il ricordo di quello che era successo sette anni prima.