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Autore: the_scream_of_silence    06/09/2016    1 recensioni
Sono innumerevoli i cambiamenti che Talia deve affrontare negli ultimi tempi: la fuga d'amore della sorella Giulia, il fidanzamento del padre con un'altra donna dopo la scomparsa della mamma anni prima, il trasloco per vivere insieme a lei e suo figlio Alessandro e - quindi - l'abbandono della vecchia casa in cui Talia ha trascorso momenti fondamentali della propria infanzia. E poi, come se non bastasse, ritorna a casa Giulia in compagnia del fidanzato Jacopo, ospiti del suo fratellastro.
Talia non vuole più avere nulla a che fare con lei, la persona più importante della sua vita che l'ha abbandonata all'improvviso, tantomeno con il ragazzo, ideatore della fuga, che disprezza al punto tale da ritenerlo l'unico responsabile di ogni suo problema. Ma tutto cambia quando una sera, per puro caso, i due si incontrano in giardino, sul vecchio dondolo, sfidando le stelle...
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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-Cosa significa “arriveranno i miei amici domani”?!- urlò Claudia, senza preoccuparsi questa volta di tenere a bada l’ira. Non aveva ancora dimenticato la discussione di qualche giorno prima e quella notizia, snocciolata da Alessandro a cena come se fosse qualcosa di assolutamente normale, non migliorava la situazione. Mio padre le strinse la mano che aveva poggiata sul tavolo, ma lei, come al solito, si ritrasse di scatto.

-Lo sai che tra meno di due mesi dobbiamo sposarci? Lo sai, Alessandro?-

Alessandro spezzò tranquillamente un pezzo di pane e se lo infilò in bocca. –Appunto, tra meno di due mesi. Domani siete liberi-.

Colpita e affondata.

Prima che potessi accennare un sorriso o qualcos’altro, Claudia mi fulminò con lo sguardo. –E per quanto tempo dovrebbero rimanere questi tuoi “amici”?- scandì con cautela, prendendo dei respiri profondi per calmarsi.

-Non lo so. Quanto vogliono-.

Mi fece l’occhiolino con un sorrisetto furbo dipinto sul viso ed io capii che stava tramando qualcosa.

-Stai scherzando, vero? Questa casa non è un albergo, Alessandro!-

-Ma è così grande che potrebbe esserlo-.

-Tu...- Gli rivolse un’occhiata di fuoco e sembrò quasi sul punto di scoppiare, ma poi, visibilmente esausta, scrollò la testa e poggiò una mano sulla fronte. –Sei proprio uguale a tuo padre-.

-Sto solo dicendo che potrebbero volerci diverse settimane. Sai, per i provini...- gettò l’amo con indifferenza, anche se era abbastanza evidente che l’avesse programmato già dall’inizio. Una delle sue solite furbate, in pratica. Io l’avevo sempre detto: era un dannato genio del male.

Lo guardai con aria interrogativa. Lui, per tutta risposta, scrollò le spalle e nascose un ghigno colpevole con una mano sulla bocca. Continuò a sbocconcellare il suo pane.

-Provini?- abboccò subito Claudia, rianimatasi all’improvviso. Stavo per scoppiare a ridere: quella situazione era assurdamente comica.

 

-Be’, sì, mamma. Il ragazzo studia Pianoforte nel mio conservatorio e ha deciso di venire a Firenze con la fidanzata per trovare una buona occasione lavorativa-. Alzò lo sguardo, fingendo innocenza.

-Incontrerà parecchi maestri d’orchestra e, chissà, magari qualche volta potrei accompagnarlo anche io, al posto della ragazza...-

-Uhm, ecco, mi sembra giusto- fece lei con un’espressione orgogliosa e trionfante sul viso. Pensava di averla avuta vinta senza sospettare neanche lontanamente di essere appena caduta nella trappola di Alessandro. –Quel ragazzo ha bisogno di un amico come te, che condivida i suoi stessi interessi. Quindi perché no?- Si raddrizzò contro lo schienale della sedia. –Tu sei d’accordo, Pietro?-

-Per me non c’è problema- confermò mio padre.

-Bene, allora è deciso. Però mi raccomando, Alessandro: serietà da parte tua e dei tuoi amici. Non voglio essere costretta a pensare anche ai vostri guai mentre sono impegnata con gli ultimi preparativi. Anzi, preferirei che se ne andassero almeno un paio di settimane prima del matrimonio, per sicurezza-.

–Mamma, hanno ventidue anni. Non sono bambini-.

-A proposito di preparativi...- finse di non averlo sentito. –Pietro, dovremmo scegliere tra la villa e la spiaggia per la cerimonia civile. Che ne dici della spiaggia? Conosco delle persone che potrebbero farci risparmiare sulla prenotazione e sul catering...-

Mentre discutevano di costi e prezzi e altre cose noiose che avrei preferito non sentire, continuavo a prendere cucchiaiate dalla “zuppa” che Claudia aveva preparato orgogliosamente per cena, cercando di controllare l’istinto di sputarla tutta sul tavolo. Il sapore mi ricordava tanto quello del latte rancido o del pesce andato a male.

Bleah.

Purtroppo la cucina non era il suo forte e lei non aveva mai avuto intenzione che lo diventasse, visto che pagava una cameriera per stare ai fornelli e sbrigare tutte le fastidiose e necessarie faccende di casa, ma siccome quella donna aveva deciso di prendere un aereo diretto in Albania all’ultimo minuto per andare a trovare i figli e trascorrere l’intera estate insieme a loro... be’, adesso Claudia indossava un grembiule e ci avvelenava senza saperlo. Avrei volentieri cucinato io al posto suo, visto che me la cavavo abbastanza in cucina e ne andava della nostra salute, ma lei non ne voleva sapere, testarda come un mulo nel dimostrare di essere capace anche in quello.

Prima o poi avremmo dovuto fare una lavanda gastrica di famiglia, ne ero sicura.

Ad un certo punto avvertii delle dita che mi scostavano i capelli dal viso e si facevano strada sulle guance, in una carezza così dolce e spontanea che mi fece pensare a quella di mia madre. Mi voltai perplessa: Alessandro sorrideva con tenerezza, come se si stesse occupando di una bambina.

Prima che potessi chiedere spiegazioni con un’occhiata eloquente e infastidita, avvicinò le labbra al mio orecchio e sussurrò con voce profonda, quasi ridendo: -I tuoi capelli stavano per finire nella zuppa-.

Rabbrividii, quasi dimenticando cos’avesse detto e, nel momento stesso in cui avvertii uno spasmo in zone del corpo che non pensavo neanche esistessero, capii che c’era davvero qualcosa che non andava. Insomma, fino a quel giorno ci eravamo comportati alla solita maniera, come se non fosse successo nulla e nessuno dei due avesse sperimentato quelle sensazioni inappropriate. O forse riguardavano solo me e stavo fraintendendo tutto. E lui non provava niente. E la colpa era soltanto mia e dei miei maledetti ormoni impazziti.

Attratta da Alessandro? Sul serio?

Sarei scoppiata a ridere se i suoi brevi e concitati respiri non avessero continuato a solleticarmi la pelle del collo. Okay, lo sapevo bene, non ci sarebbe stato nulla di strano a provare qualcosa per lui, visto che era un bel ragazzo e a Milano aveva il suo bel da fare per evitare di incontrare spasimanti indiscrete, ma... ecco, per me le cose erano diverse, faceva ormai parte della mia famiglia ed essere attratta da lui sarebbe stato come perdere la testa per un fratello.

Appunto, fratello. Solo un fratello. Perché eravamo solo questo: fratelli. E i fratelli si vogliono bene, si sostengono a vicenda, si aiutano l’un l’altro... Per il nervosismo i miei pensieri iniziarono a divagare fino ad arrivare chissà come al prezzo del tappeto della mia stanza, mentre provavo a tenere a bada la piacevole morsa al ventre che mi solleticava lo stomaco.

O mio Dio.

Mi sforzai di ironizzare per impedire alla situazione di prendere una piega pericolosa: -Fidati, il sapore sarebbe migliorato-.

-Ne sono sicuro. Meglio i tuoi capelli che il dado che usa mia madre!-

Io risi. Lui rise. Bene. La tensione si stava allentando e il mio corpo poteva testimoniarlo.

-Mi chiedevo se...- Iniziò a giocherellare con qualche ciocca di capelli e, dannazione, fui come attraversata da una scarica elettrica di mille volt che mi mandò il cervello completamente in pappa. Il mio corpo ed io avevamo parlato troppo presto. -...magari, una di queste sere, ti andasse di venire a sentire qualcosa con me in un locale che conosco. I proprietari sono gente in gamba, ti piacerebbero-.

“Appuntamento”, mi sussurrò una vocina fastidiosa nella testa che zittii all’istante. Ed io compresi con un moto di frustrazione che, sì, il problema riguardava solo me, perché non era la prima volta che Alessandro mi invitava ad uscire.

Presi un respiro profondo. Dio, mi sentivo così stupida.

-Ehm...- Lanciai un’occhiata a Claudia e mio padre, troppo impegnati a discutere sul colore delle bomboniere per accorgersi di me e delle mie crisi nervose. –Sì, certo. Mi farebbe piacere conoscerli-.

-Perfetto- sussurrò soltanto, accostando per un attimo le labbra al mio lobo.

E in meno di qualche secondo terminai il piatto di zuppa.

 

Il giorno successivo mi svegliai grazie al suono dell’aspirapolvere passato sulla moquette del soggiorno. Dopo aver salutato Alessandro che si era avviato verso l’aeroporto di Firenze intorno alle undici per accompagnare gli amici a visitare la città, mi ritrovai costretta a sistemare la mia stanza su ordine di una Claudia che era già passata in modalità “Donna di casa”, strillando di continuo a mio padre di darle una mano a spostare i mobili nuovi di zecca che non aveva disposto con attenzione in cucina, nel soggiorno e nelle stanze destinate agli ospiti. Solo che, con i guanti di gomma che continuava a pulirsi sul grembiule non appena sfiorava uno strato di polvere, non rappresentava il massimo dell’efficienza casalinga.

-Riuscite a capire sì o no che quei ragazzi arriveranno nel tardo pomeriggio e in casa c’è ancora molto da fare?- ci rimproverava senza sosta, spostandosi da una stanza all’altra con uno spolverino tra le mani.

-E cosa c’entra l’ordine della mia stanza con il loro arrivo?- replicai ad un certo punto, stizzita.

–Non penso che la useranno anche loro, no?-

-Non la useranno, ma potrebbero vederla di sfuggita passando per il corridoio. E non sarebbe carino se trovassero le tue cose... intime dappertutto-.

Un attimo. Aveva sul serio detto “cose intime”? Non riuscivo a crederci. Pensava che fossi una specie d’animale che marchia il proprio territorio?

Ma per favore.

Mi rinchiusi nella mia stanza senza neanche degnarla di una risposta decente e decisi che, prima di tutto, avrei iniziato a “sistemare” proprio le pareti, ancora immacolate e perfettamente bianche come le mie cose intime che secondo Claudia formavano un tappeto sul pavimento.

Assurdo. Ed era ancora più assurdo che mi venisse quasi da ridere per il nervosismo.

Due colpi alla porta che io riconobbi subito. Il suo tono di voce preoccupato, forse addirittura colpevole, era ovattato dal pannello di legno massiccio della porta mentre cercava di rimediare con l’unica parola in grado di peggiorare la situazione più del dovuto: -Tesoro...-

-Non ora, papà- risposi secca, con frustrazione, lasciandomi ricadere sul materasso e tendendo le orecchie per assicurarmi che i suoi passi pesanti si allontanassero nel corridoio e lui mi lasciasse finalmente in pace. Dopo un lungo, quasi interminabile, sospiro di sconforto che riuscii a cogliere benissimo anche attraverso le pareti. Un brivido sinistro mi percorse la spina dorsale.

Non c’era motivo per cui mio padre dovesse lamentarsi. Insomma, era stato lui a scegliersi una donna del genere come compagna per il resto della vita, con la speranza che io mi adattassi alla sua “nuova realtà” senza problemi. Insomma, era stato lui a comportarsi da padre superficiale e distratto e ad evitare di parlarne con me. Insomma... Era lui il colpevole di ogni cosa.

E allora perché mi sentivo così male, come se avessi appena preso a calci un innocente cucciolo di cane o di cerbiatto o di qualsiasi altro animale adorabile? Non era affatto giusto. Quel dannato senso di colpa non era giusto.

Poggiai una mano sul petto per alleviare le fitte di rimorso che mi comprimevano il petto e lo stomaco e continuavano a risalire sotto forma di colazione, e il mio sguardo cadde accidentalmente sulla foto che avevo sistemato sul comodino accanto al letto diverso tempo prima, forse addirittura lo stesso giorno del trasloco. Il cuore ebbe un fremito. Una donna dai capelli rossi, così lunghi da sfiorare il fondoschiena, sorrideva raggiante all’obbiettivo con un fiore tra le mani che si era appena chinata a cogliere in mezzo ad un prato, visibilmente sorpresa come se non si aspettasse di essere fotografata proprio in quel momento. Gli occhi grigi riflettevano la luce del sole, le fossette sulle guance la rendevano ancora più bella di quanto non fosse già e il cappello di paglia che schermiva il volto le stava d’incanto, nonostante fosse decisamente troppo grande per la sua testa. Passai un dito sulla cornice color argento e sussurrai così, senza riuscire a farne a meno: -Mamma-.

L’unica donna perfetta per mio padre era lei. Era sempre stata lei. Con un sorriso gentile, lo sguardo cordiale, un’innocenza dipinta sul volto che la ringiovaniva di diversi anni, la mamma costituiva da sempre il punto di riferimento principale della nostra famiglia. Non esisteva dolore che lei non potesse allontanare con una bella fetta di torta al cioccolato, credeva nel potere del destino e del riscatto e ripeteva di continuo che, se le bollette da pagare erano l’inevitabile ostacolo ad un futuro all’insegna della felicità... be’, allora ci saremmo rimboccati le maniche e avremmo sofferto un po’. Almeno all’inizio. L’ottimismo e la voglia di vivere di cui non era mai a corto illuminavano la casa e il piccolo negozietto di fiori dove lavorava come commessa, quasi da risultare contagiosi: non era un caso che molti parenti venissero a trovarci più spesso del dovuto o le persone di altri quartieri andassero a fare acquisti proprio lì.

Mio padre la amava più di se stesso. Era la sua ancora di salvataggio e non sarebbe mai riuscito a vivere senza i suoi abbracci, le sue carezze, i suoi baci che avevano sempre “un gusto dolce ed esotico”.

Eppure lo stava facendo.

Accarezzai la superficie di vetro della cornice, ricalcando i contorni del suo volto con un dito.

Successe diversi anni prima, quando non ero che una bambina di cinque anni incapace di contare i numeri da uno a dieci sulle mani e di pronunciare perfettamente la “r”, figuriamoci di sopportare una cosa del genere. Quel giorno afoso d’agosto, nel tardo pomeriggio, aspettavo che la mamma tornasse dal negozio per farmi un “bagnetto tutto schiuma e paperelle” e mi aggiravo per la casa con addosso soltanto una leggera maglietta intima e un paio di mutandine colorate, quasi pronta a tuffarmi nella vasca da bagno, quando sentii bussare alla porta e mio padre andò ad aprire. Io mi precipitai nel soggiorno perché credevo che la mamma fosse finalmente arrivata. Ma no, non era lei. Eppure il negozio aveva ormai chiuso. Mi chiesi per quale motivo ci fosse un uomo corpulento dalla divisa blu e il cappello ben calato sulla testa al suo posto. Ma soprattutto perché stesse parlando con tanta compassione nello sguardo e nella voce: -Sua moglie ha avuto un incidente. La chiedo di seguirmi per...-

Non ebbe neanche il tempo di terminare la frase che subito mio padre si precipitò fuori dalla porta, lasciandomi da sola a cercare di capire cosa fosse successo alla mamma. Che significava “incidente”? Perché papà era così preoccupato? Si trattava di qualcosa di brutto?

Dopo circa un quarto d’ora, arrivò la mia nonna paterna con i suoi inseparabili occhiali da sole e il foulard a motivi floreali che le avevamo regalato lo scorso Natale. Pensavo che mi avrebbe sorriso come al solito, che mi avrebbe rassicurata con uno di quei pizzicotti che indolenzivano le guance, e invece evitava anche solo di guardarmi. Piangeva. Non riusciva a trattenere i singhiozzi mentre mi accarezzava i lunghi capelli lisci con fare materno. Continuavo a non capire.

-Nonna, dov’è finita la mamma?-

Scossa da singhiozzi ancora più forti, mi cullò dolcemente dopo avermi presa tra le sue braccia e mi portò nella mia camera, sul lettino con le sbarre che nessuno si era ancora deciso a rimuovere. Mi agitai anch’io: iniziavo ad avere un brutto presentimento. –Dormi, tesoro- mi aveva detto lei dopo essersi accomodata sulla sedia lì vicino. –Adesso la mamma non c’è. Ci sono io con te e ci sarò per sempre, te lo prometto-.

-Ma io non ho ancora sonno, a quest’ora la mamma mi fa sempre il bagnetto. Quando torna a casa?-

A quelle parole innocenti e ingenue, la nonna affondò il viso tra le mani e il suo corpo tremò in maniera impercettibile, le lacrime che scorrevano libere sulle guance. –Non lo so, tesoro- sussurrò con una nota di disperazione nella voce. –Non lo so-.

Mia madre avrebbe voluto che papà fosse felice. Che tornasse ad amare qualcuno proprio come aveva fatto con lei. Mi avrebbe rimproverata per l’astio che serbavo nei confronti suoi e soprattutto di Claudia, non si sarebbe lasciata sfuggire il mio silenzio e i miei sguardi spenti, e qualcosa mi diceva che non avrebbe approvato nemmeno il comportamento che avevo assunto negli ultimi anni. Non era affatto orgogliosa di me. L’avevo delusa per aver deciso di chiudermi in me stessa e nel mio dolore, senza provare a condividerlo con la mia famiglia, e continuavo a deluderla adesso, perfino da adulta.

Il pensiero mi faceva stare malissimo e avrei voluto rimediare in qualche modo, ma io non ero come lei. Non sarei mai riuscita a fingere per la felicità di mio padre, perché l’altruismo non rientrava tra le mie doti. Non avrei avuto il coraggio di andare a cercare la mia, di felicità, legata com’ero ad un passato che mi aveva ferita profondamente. Sarei rimasta sempre la stessa ragazza dai lineamenti dolci e delicati, ereditati dalla mamma, che confondeva la gente sino a spingerla a credere che fossi una sorta di sua reincarnazione; e non era certo piacevole scoprire che quell’aspetto ingannevole nascondeva in realtà una persona tanto scontrosa e impulsiva quanto lei era affabile e razionale. Né per gli altri, né tantomeno per me.

Con una lacrima che mi bagnava le guance e ricadeva lenta sul cuscino, sistemai meglio la foto sul comodino e passai in rassegna tutti i modi che conoscevo per “decorare” le pareti della stanza.

 

-Ha appena chiamato Alessandro. Stanno per arrivare-. Erano soltanto le sette del pomeriggio e Claudia aveva già cominciato a preparare una tavolata degna del banchetto di una regina: il colore deciso del legno massello spiccava attraverso i ricami floreali della tovaglia in lino che aveva comprato in chissà quale negozio per snob, mentre al centro regnava una composizione di rose e rami d’abete destinata a circondare una candela rossa che creava un’insolita atmosfera natalizia. In fin dei conti, con le posate d’argento e le coppe di cristallo che lei aveva deciso di usare come bicchieri, l’occasione non poteva che sembrare tra le più solenni.

Uno dei tanti motivi per cui non mi andava così a genio la mia nuova posizione sociale era l’incapacità di apprezzare le cose più semplici. Insomma, cosa c’è di male nell’usare economici pezzi di stoffa colorati piuttosto che tovaglioli di alta fattura che non dovrebbero neanche avvicinarsi alle mani di una persona, figuriamoci alla bocca? Di sicuro non mi sarei sentita come una donna della foresta alle prese con un collier di perle da un miliardo di euro. Immaginavo che la cosa valesse anche per gli amici di Alessandro, chiunque fossero.

-Pietro, hai già preso il vino? Se il ragazzo suona il pianoforte in quel conservatorio, la sua famiglia dovrà essere molto importante e ricca-.

Già, molto importante e ricca.

-E che mi dici della ragazza? Anche lei fa parte del circolo oppure è una comune plebea come tutti noi?- la stuzzicai.

-Talia!- mi rimproverò mio padre dalla cima della scala di ferro, impegnato a sistemare una delle tante luci del lampadario gigantesco che sovrastava il soggiorno. Claudia liquidò le mie parole con un gesto della mano e mi rivolse uno sguardo a malapena infastidito: era proprio decisa a non lasciarsi rovinare la serata, a quanto sembrava. –Non ne so niente e non mi interessa. L’importante è che il suo fidanzato abbia una buona influenza su Alessandro-.

Certo, come no. Per poco non mi misi a ridere.

-Ho parlato con suo padre ed è d’accordo con me. Se non mette la testa a posto, non avrà una vita facile-.

-Forse è quello che vuole lui, non trovi?-

-Adesso basta, Talia...-

-No, Pietro, ha ragione Talia- lo interruppe tranquilla lei. Mi ci volle un po’ per elaborare il senso di quella frase. –È vero: i giovani vogliono l’esatto opposto di ciò di cui hanno bisogno. Un lavoro? No, meglio la bella vita. Una promozione? Inutile, perché sgobbare di più se si sta così bene? Mi chiedo spesso quando capirete che il mondo non gira in questa maniera-.

-Certo, perché la cosa più importante è il denaro, giusto?-

-No-. Claudia zittì mio padre con un dito e riprese a parlare, più decisa di prima: -È l’ambizione. Se non ce l’hai, non riusciresti mai a vivere al passo degli altri. Ti accontenteresti della mediocrità e non lo noteresti nemmeno-.

-Almeno non saresti un eterno insoddisfatto-.

-Dipende dai punti di vista, cara-.

Prima che potessi ribattere con un’altra frecciatina, il campanello suonò. –Eccoli- annunciò lei con un sorriso soddisfatto, felice di aver avuto l’ultima parola in quella discussione. Non ero abituata ad un risultato simile e non mi piaceva affatto, ma se avessi anche solo provato ad accennare qualcosa in presenza degli ospiti, Alessandro non mi avrebbe rivolto la parola per più di un mese e a ragione. Dovevo tenere a bada l’orgoglio e incassare il colpo. Almeno per questa volta. Almeno per lui.

Anche se lo sguardo di vittoria di Claudia continuava a bruciarmi dentro.

Mi sedetti sul divano, i nervi tesi e lo stomaco in subbuglio, e mi convinsi che alzarsi per le presentazioni era un inutile gesto di pura formalità. Mentre Claudia si apprestava ad aprire la porta ad Alessandro che le chiedeva di uscire in giardino e conoscere subito i due ragazzi, alle prese con le valigie da scaricare dall’auto, mio padre si accomodò accanto a me e mi circondò le spalle con un braccio. Notando che non opponevo resistenza come al solito, si azzardò a dire: -Sai, Talia, sei una delle poche persone in grado di tenerle testa. Be’, non mi sorprende più di tanto...- Raddrizzò orgoglioso la schiena. –Sei mia figlia-.

Era una battuta, vero?

-Il punto è che, sì, qualche volta il confronto va bene, a tutte le famiglie capita di litigare, ma tu lo fai di continuo. E questo non va bene. Sembra quasi che tu la veda come una rivale-.

Presi un respiro profondo, massaggiandomi lentamente le tempie. Non riuscivo davvero a credere che ne stessimo parlando proprio in quel momento.

-Io vorrei soltanto che tu iniziassi a considerare anche Claudia un membro effettivo della nostra famiglia, proprio come Alessandro. Insomma, non mi sembra che tu abbia avuto problemi con lui all’inizio, no? Perché non dare anche a sua madre una possibilità?-.

Questo era troppo.

-Papà, senti...- iniziai, ma fui interrotta all’improvviso dalla voce di Alessandro sulla soglia della porta, rivolto a qualcuno dietro di lui: -E questo è il soggiorno. Se ti sembra grande, aspetta di vedere il salone al primo piano che mia madre ha finito di arredare proprio ieri...-

Appena mi vide si bloccò con un grande sorriso dipinto sul volto, e il mio cuore cominciò a battere più forte.

-Jacopo, ho l’onore di presentarti la mia meravigliosa Musona, Talia-. E si inchinò in maniera teatrale con un braccio proteso davanti a sé, allontanandosi dall’ingresso per permettere al ragazzo che lo seguiva di entrare.

Ed io rimasi a bocca aperta.

Caspita.

Con il fisico slanciato e statuario, le spalle ben piantate ma non esageratamente massicce e le braccia dai muscoli scolpiti che sbucavano dal suo maglione di cashmere blu, che gli fasciava il busto in maniera perfetta, non sembrava il classico stereotipo del pianista che avevo immaginato al suo posto. Per niente. Succede sempre così: quando pensi di incontrare un dio greco, ti ritrovi alle prese con un bambino troppo cresciuto e pieno di brufoli; quando dai per scontato che il tipo in questione non rispecchierà la tua idea di “ragazzo dei sogni”, ecco che si materializza come per magia e compare in casa tua. Non che la cosa mi dispiacesse, certo, ma adesso cominciavo a pensare che la convivenza sarebbe stata più difficile del previsto. Soprattutto se aveva una fidanzata.

Continuai a fissarlo mentre sorrideva quasi imbarazzato, con la bava alla bocca come in uno degli episodi cliché delle sitcom americane, e doveva essere parecchio evidente perché ad un certo punto sentii qualcuno tossire per richiamare la mia attenzione. Sobbalzai dalla sorpresa. Qualcun altro rise, e non avrei saputo dire chi.

-Piacere di conoscerti-. Il ragazzo si avvicinò e tese una mano verso di me, abbandonando per qualche secondo la presa sulle due valigie-trolley che trascinava. Soltanto allora mi accorsi che il suo viso non era perfetto come il suo corpo: il naso, leggermente più grande del normale, tendeva verso un lato senza però dare nell’occhio, proporzionato alla bocca di un colore rosso quasi innaturale che presentava una spaccatura al centro, sul labbro inferiore. E il sorriso aveva un che di magnetico, sì, come se trasudasse tutto il suo fascino e il suo sex appeal, ma l’effetto era bruscamente interrotto da uno degli incisivi, inclinato di qualche millimetro verso un altro dente, e dai canini di dimensioni diverse. E gli occhi... be’, gli occhi erano di un comune castano scuro che si abbinava ai suoi capelli lisci e pettinati in modo da formare un ciuffo.

Insomma, niente di speciale nel dettaglio: era il complesso a provocare una crisi respiratoria. E rimaneva comunque uno dei ragazzi più belli che avessi mai visto.

-Piacere mio- riuscii a non balbettare. Adesso era il suo turno di guardarmi assorto, forse anche incuriosito, con la fronte corrugata in un’espressione che non riuscivo a decifrare. Speravo solo che fosse un fatto positivo.

Dopo aver presentato Jacopo a mio padre, Alessandro si sedette sul bracciolo in pelle del divano e mi strinse a sé con un braccio. –Sono sicuro che tu e la sua fidanzata andrete molto d’accordo. Ha conquistato anche mia madre!-

-Se è così, allora sarà molto semplice legare-. Mi costrinsi smettere di fissare quel ragazzo come in trance, prima di farmi beccare dalla fidanzata e giocarmi tutta la dignità di cui disponevo ancora, ma era quasi impossibile: attirava lo sguardo alla stessa maniera di una calamita. Okay, avevo bisogno di altro tempo.

-Entra pure. Puoi sistemare il borsone sulla poltrona-.

Come non detto.

Claudia fu la prima ad entrare, voltandosi all’istante verso una ragazza alta e snella poco distante da lei che continuava a camminare senza guardare dinanzi a sé.

Non appena la riconobbi, mi mancò il respiro.

Mio padre strabuzzò gli occhi.

Non è possibile.

Lei non si era ancora accorta della nostra presenza, continuava a ringraziare la mia matrigna con il solito sorriso di gratitudine che prima adoravo e che invece adesso consideravo così falso e scontato. Che detestavo con tutta me stessa.

Non può essere.

Strinsi i pugni lungo i fianchi.

Quando si voltò verso di noi, fu come se il tempo rallentasse e poi si fermasse all’improvviso, per inquadrare il volto dall’espressione sconvolta e dalle labbra rosee appena dischiuse, con alcune ciocche di capelli castani sfuggite alla sua coda che lo incorniciavano perfettamente.

I suoi occhi si riempirono di lacrime.

Sorrise di nuovo.

Mi ricordò tanto la mamma.

E in quel momento mio padre, ancora scioccato e con il fiato sospeso come in attesa del prossimo colpo di scena, pronunciò in un filo di voce l’unico nome che pensavo non avrei mai più sentito in vita mia:

-Giulia-.

 

Buonasera, popolo di EFP!

Mi scuso per aver pubblicato il capitolo con una settimana di ritardo: sono stata abbastanza impegnata con i compiti estivi e ho avuto a malapena il tempo di scrivere questo terzo capitolo. Un po’ troppo lungo, vero? Consideratelo un semplice modo per farmi perdonare.

Allora, che ne pensate? La storia ha iniziato ad “ingranare la marcia” e ad attirare la vostra attenzione? Siete curiosi di scoprire cosa succederà in seguito tra Talia e Giulia?

E con Jacopo?

Lasciate un vostro giudizio nei commenti ed io vi risponderò immediatamente.

P.S.: ho modificato i primi due capitoli per scrupolo, senza però apportare cambiamenti drastici: si tratta perlopiù di affinamenti lessicali e scelte stilistiche diverse. Avrei potuto lasciar correre, ma sono sempre stata una grande precisina e non mi piace affatto presentare lavori di cui non sono pienamente soddisfatta. Se vi va, passate a dare un’occhiata.

Al prossimo aggiornamento (spero di riuscire a farcela entro la prossima settimana, anche se non ne sono sicura: la scuola ricomincerà a breve e avrò meno tempo a disposizione per scrivere e pubblicare regolarmente. Chiedo venia),

the_scream_of_silence

  
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