-Cosa
significa “arriveranno i miei amici domani”?!-
urlò Claudia, senza preoccuparsi
questa volta di tenere a bada l’ira. Non aveva ancora
dimenticato la
discussione di qualche giorno prima e quella notizia, snocciolata da
Alessandro
a cena come se fosse qualcosa di assolutamente normale, non migliorava
la
situazione. Mio padre le strinse la mano che aveva poggiata sul tavolo,
ma lei,
come al solito, si ritrasse di scatto.
-Lo
sai che tra meno di due mesi dobbiamo sposarci? Lo sai, Alessandro?-
Alessandro
spezzò tranquillamente un pezzo di pane e se lo
infilò in bocca. –Appunto, tra
meno di due mesi. Domani siete liberi-.
Colpita
e affondata.
Prima
che potessi accennare un sorriso o qualcos’altro, Claudia mi
fulminò con lo
sguardo. –E per quanto tempo dovrebbero rimanere questi tuoi
“amici”?- scandì
con cautela, prendendo dei respiri profondi per calmarsi.
-Non
lo so. Quanto vogliono-.
Mi
fece l’occhiolino con un sorrisetto furbo dipinto sul viso ed
io capii che
stava tramando qualcosa.
-Stai
scherzando, vero? Questa casa non è un albergo, Alessandro!-
-Ma
è così grande che potrebbe esserlo-.
-Tu...-
Gli rivolse un’occhiata di fuoco e sembrò quasi
sul punto di scoppiare, ma poi,
visibilmente esausta, scrollò la testa e poggiò
una mano sulla fronte. –Sei
proprio uguale a tuo padre-.
-Sto
solo dicendo che potrebbero volerci diverse settimane. Sai, per i
provini...-
gettò l’amo con indifferenza, anche se era
abbastanza evidente che l’avesse
programmato già dall’inizio. Una delle sue solite
furbate, in pratica. Io
l’avevo sempre detto: era un dannato genio del male.
Lo
guardai con aria interrogativa. Lui, per tutta risposta,
scrollò le spalle e
nascose un ghigno colpevole con una mano sulla bocca.
Continuò a sbocconcellare
il suo pane.
-Provini?-
abboccò subito Claudia, rianimatasi
all’improvviso. Stavo per scoppiare a
ridere: quella situazione era assurdamente comica.
-Be’,
sì, mamma. Il ragazzo studia Pianoforte nel mio
conservatorio e ha deciso di
venire a Firenze con la fidanzata per trovare una buona occasione
lavorativa-.
Alzò lo sguardo, fingendo innocenza.
-Incontrerà
parecchi maestri d’orchestra e, chissà, magari
qualche volta potrei
accompagnarlo anche io, al posto della ragazza...-
-Uhm,
ecco, mi sembra giusto- fece lei con un’espressione
orgogliosa e trionfante sul
viso. Pensava di averla avuta vinta senza sospettare neanche
lontanamente di
essere appena caduta nella trappola di Alessandro. –Quel
ragazzo ha bisogno di
un amico come te, che condivida i suoi stessi interessi. Quindi
perché no?- Si
raddrizzò contro lo schienale della sedia. –Tu sei
d’accordo, Pietro?-
-Per
me non c’è problema- confermò mio padre.
-Bene,
allora è deciso. Però mi raccomando, Alessandro:
serietà da parte tua e dei
tuoi amici. Non voglio essere costretta a pensare anche ai vostri guai
mentre
sono impegnata con gli ultimi preparativi. Anzi, preferirei che se ne
andassero
almeno un paio di settimane prima del matrimonio, per sicurezza-.
–Mamma,
hanno ventidue anni. Non sono bambini-.
-A
proposito di preparativi...- finse di non averlo sentito.
–Pietro, dovremmo
scegliere tra la villa e la spiaggia per la cerimonia civile. Che ne
dici della
spiaggia? Conosco delle persone che potrebbero farci risparmiare sulla
prenotazione e sul catering...-
Mentre
discutevano di costi e prezzi e altre cose noiose che avrei preferito
non
sentire, continuavo a prendere cucchiaiate dalla
“zuppa” che Claudia aveva
preparato orgogliosamente per cena, cercando di controllare
l’istinto di
sputarla tutta sul tavolo. Il sapore mi ricordava tanto quello del
latte
rancido o del pesce andato a male.
Bleah.
Purtroppo
la cucina non era il suo forte e lei non aveva mai avuto intenzione che
lo
diventasse, visto che pagava una cameriera per stare ai fornelli e
sbrigare
tutte le fastidiose e necessarie faccende di casa, ma siccome quella
donna
aveva deciso di prendere un aereo diretto in Albania
all’ultimo minuto per
andare a trovare i figli e trascorrere l’intera estate
insieme a loro... be’,
adesso Claudia indossava un grembiule e ci avvelenava senza saperlo.
Avrei
volentieri cucinato io al posto suo, visto che me la cavavo abbastanza
in
cucina e ne andava della nostra salute, ma lei non ne voleva sapere,
testarda
come un mulo nel dimostrare di essere capace anche in quello.
Prima
o poi avremmo dovuto fare una lavanda gastrica di famiglia, ne ero
sicura.
Ad
un certo punto avvertii delle dita che mi scostavano i capelli dal viso
e si
facevano strada sulle guance, in una carezza così dolce e
spontanea che mi fece
pensare a quella di mia madre. Mi voltai perplessa: Alessandro
sorrideva con
tenerezza, come se si stesse occupando di una bambina.
Prima
che potessi chiedere spiegazioni con un’occhiata eloquente e
infastidita,
avvicinò le labbra al mio orecchio e sussurrò con
voce profonda, quasi ridendo:
-I tuoi capelli stavano per finire nella zuppa-.
Rabbrividii,
quasi dimenticando cos’avesse detto e, nel momento stesso in
cui avvertii uno
spasmo in zone del corpo che non pensavo neanche esistessero, capii che
c’era davvero
qualcosa che non andava. Insomma, fino a quel giorno ci eravamo
comportati alla
solita maniera, come se non fosse successo nulla e nessuno dei due
avesse
sperimentato quelle sensazioni inappropriate.
O forse riguardavano solo me e stavo fraintendendo tutto. E lui non
provava
niente. E la colpa era soltanto mia e dei miei maledetti ormoni
impazziti.
Attratta
da Alessandro? Sul serio?
Sarei
scoppiata a ridere se i suoi brevi e concitati respiri non avessero
continuato
a solleticarmi la pelle del collo. Okay, lo sapevo bene, non ci sarebbe
stato
nulla di strano a provare qualcosa per lui, visto che era un bel
ragazzo e a
Milano aveva il suo bel da fare per evitare di incontrare spasimanti
indiscrete, ma... ecco, per me le cose erano diverse, faceva ormai
parte della
mia famiglia ed essere attratta da lui sarebbe stato come perdere la
testa per
un fratello.
Appunto,
fratello. Solo un fratello.
Perché
eravamo solo questo: fratelli. E i
fratelli si vogliono bene, si sostengono a vicenda, si aiutano
l’un l’altro...
Per il nervosismo i miei pensieri iniziarono a divagare fino ad
arrivare chissà
come al prezzo del tappeto della mia stanza, mentre provavo a tenere a
bada la
piacevole morsa al ventre che mi solleticava lo stomaco.
O
mio Dio.
Mi
sforzai di ironizzare per impedire alla situazione di prendere una
piega
pericolosa: -Fidati, il sapore sarebbe migliorato-.
-Ne
sono sicuro. Meglio i tuoi capelli che il dado che usa mia madre!-
Io
risi. Lui rise. Bene. La tensione si stava allentando e il mio corpo
poteva
testimoniarlo.
-Mi
chiedevo se...- Iniziò a giocherellare con qualche ciocca di
capelli e,
dannazione, fui come attraversata da una scarica elettrica di mille
volt che mi
mandò il cervello completamente in pappa. Il mio corpo ed io
avevamo parlato
troppo presto. -...magari, una di queste sere, ti andasse di venire a
sentire
qualcosa con me in un locale che conosco. I proprietari sono gente in
gamba, ti
piacerebbero-.
“Appuntamento”,
mi sussurrò una vocina fastidiosa nella testa che zittii
all’istante. Ed io
compresi con un moto di frustrazione che, sì, il problema
riguardava solo me,
perché non era la prima volta che Alessandro mi invitava ad
uscire.
Presi
un respiro profondo. Dio, mi sentivo così stupida.
-Ehm...-
Lanciai un’occhiata a Claudia e mio padre, troppo impegnati a
discutere sul
colore delle bomboniere per accorgersi di me e delle mie crisi nervose.
–Sì,
certo. Mi farebbe piacere conoscerli-.
-Perfetto-
sussurrò soltanto, accostando per un attimo le labbra al mio
lobo.
E
in meno di qualche secondo terminai il piatto di zuppa.
Il
giorno successivo mi svegliai grazie al suono
dell’aspirapolvere passato sulla
moquette del soggiorno. Dopo aver salutato Alessandro che si era
avviato verso
l’aeroporto di Firenze intorno alle undici per accompagnare
gli amici a visitare
la città, mi ritrovai costretta a sistemare la mia stanza su
ordine di una Claudia
che era già passata in modalità “Donna
di casa”, strillando di continuo a mio
padre di darle una mano a spostare i mobili nuovi di zecca che non
aveva
disposto con attenzione in cucina, nel soggiorno e nelle stanze
destinate agli
ospiti. Solo che, con i guanti di gomma che continuava a pulirsi sul
grembiule
non appena sfiorava uno strato di polvere, non rappresentava il massimo
dell’efficienza casalinga.
-Riuscite
a capire sì o no che quei ragazzi arriveranno nel tardo
pomeriggio e in casa
c’è ancora molto da fare?- ci rimproverava senza
sosta, spostandosi da una
stanza all’altra con uno spolverino tra le mani.
-E
cosa c’entra l’ordine della mia stanza con il loro
arrivo?- replicai ad un
certo punto, stizzita.
–Non
penso che la useranno anche loro, no?-
-Non
la useranno, ma potrebbero vederla di sfuggita passando per il
corridoio. E non
sarebbe carino se trovassero le tue cose... intime
dappertutto-.
Un
attimo. Aveva sul serio detto “cose intime”?
Non riuscivo a crederci. Pensava che fossi una specie
d’animale che marchia il
proprio territorio?
Ma
per favore.
Mi
rinchiusi nella mia stanza senza neanche degnarla di una risposta
decente e
decisi che, prima di tutto, avrei iniziato a
“sistemare” proprio le pareti,
ancora immacolate e perfettamente bianche come le mie cose
intime che secondo Claudia formavano un tappeto sul
pavimento.
Assurdo.
Ed era ancora più assurdo che mi venisse quasi da ridere per
il nervosismo.
Due
colpi alla porta che io riconobbi subito. Il suo tono di voce
preoccupato,
forse addirittura colpevole, era ovattato dal pannello di legno
massiccio della
porta mentre cercava di rimediare con l’unica parola in grado
di peggiorare la
situazione più del dovuto: -Tesoro...-
-Non
ora, papà- risposi secca, con frustrazione, lasciandomi
ricadere sul materasso
e tendendo le orecchie per assicurarmi che i suoi passi pesanti si
allontanassero nel corridoio e lui mi lasciasse finalmente in pace.
Dopo un
lungo, quasi interminabile, sospiro di sconforto che riuscii a cogliere
benissimo anche attraverso le pareti. Un brivido sinistro mi percorse
la spina
dorsale.
Non
c’era motivo per cui mio padre dovesse
lamentarsi. Insomma, era stato lui a scegliersi una donna del genere
come
compagna per il resto della vita, con la speranza che io mi adattassi
alla sua
“nuova realtà” senza problemi. Insomma,
era stato lui a comportarsi da padre
superficiale e distratto e ad evitare di parlarne con me. Insomma...
Era lui il colpevole di ogni cosa.
E
allora perché mi sentivo così male, come se
avessi appena preso a calci un
innocente cucciolo di cane o di cerbiatto o di qualsiasi altro animale
adorabile?
Non era affatto giusto. Quel dannato senso di colpa non era giusto.
Poggiai
una mano sul petto per alleviare le fitte di rimorso che mi
comprimevano il
petto e lo stomaco e continuavano a risalire sotto forma di colazione,
e il mio
sguardo cadde accidentalmente sulla foto che avevo sistemato sul
comodino
accanto al letto diverso tempo prima, forse addirittura lo stesso
giorno del
trasloco. Il cuore ebbe un fremito. Una donna dai capelli rossi,
così lunghi da
sfiorare il fondoschiena, sorrideva raggiante all’obbiettivo
con un fiore tra
le mani che si era appena chinata a cogliere in mezzo ad un prato,
visibilmente
sorpresa come se non si aspettasse di essere fotografata proprio in
quel
momento. Gli occhi grigi riflettevano la luce del sole, le fossette
sulle
guance la rendevano ancora più bella di quanto non fosse
già e il cappello di
paglia che schermiva il volto le stava d’incanto, nonostante
fosse decisamente
troppo grande per la sua testa. Passai un dito sulla cornice color
argento e
sussurrai così, senza riuscire a farne a meno: -Mamma-.
L’unica
donna perfetta per mio padre era lei. Era sempre stata lei. Con un
sorriso
gentile, lo sguardo cordiale, un’innocenza dipinta sul volto
che la ringiovaniva
di diversi anni, la mamma costituiva da sempre il punto di riferimento
principale della nostra famiglia. Non esisteva dolore che lei non
potesse
allontanare con una bella fetta di torta al cioccolato, credeva nel
potere del
destino e del riscatto e ripeteva di continuo che, se le bollette da
pagare
erano l’inevitabile ostacolo ad un futuro
all’insegna della felicità... be’,
allora ci saremmo rimboccati le maniche e avremmo sofferto un
po’. Almeno
all’inizio. L’ottimismo e la voglia di vivere di
cui non era mai a corto
illuminavano la casa e il piccolo negozietto di fiori dove lavorava
come
commessa, quasi da risultare contagiosi: non era un caso che molti
parenti
venissero a trovarci più spesso del dovuto o le persone di
altri quartieri
andassero a fare acquisti proprio lì.
Mio
padre la amava più di se stesso. Era la sua ancora di
salvataggio e non sarebbe
mai riuscito a vivere senza i suoi abbracci, le sue carezze, i suoi
baci che avevano
sempre “un gusto dolce ed esotico”.
Eppure
lo stava facendo.
Accarezzai
la superficie di vetro della cornice, ricalcando i contorni del suo
volto con
un dito.
Successe
diversi anni prima, quando non ero che una bambina di cinque anni
incapace di
contare i numeri da uno a dieci sulle mani e di pronunciare
perfettamente la
“r”, figuriamoci di sopportare una cosa del genere.
Quel giorno afoso d’agosto,
nel tardo pomeriggio, aspettavo che la mamma tornasse dal negozio per
farmi un
“bagnetto tutto schiuma e paperelle” e mi aggiravo
per la casa con addosso
soltanto una leggera maglietta intima e un paio di mutandine colorate,
quasi
pronta a tuffarmi nella vasca da bagno, quando sentii bussare alla
porta e mio
padre andò ad aprire. Io mi precipitai nel soggiorno
perché credevo che la
mamma fosse finalmente arrivata. Ma no, non era lei. Eppure il negozio
aveva
ormai chiuso. Mi chiesi per quale motivo ci fosse un uomo corpulento
dalla
divisa blu e il cappello ben calato sulla testa al suo posto. Ma
soprattutto
perché stesse parlando con tanta compassione nello sguardo e
nella voce: -Sua
moglie ha avuto un incidente. La chiedo di seguirmi per...-
Non
ebbe neanche il tempo di terminare la frase che subito mio padre si
precipitò
fuori dalla porta, lasciandomi da sola a cercare di capire cosa fosse
successo
alla mamma. Che significava “incidente”?
Perché papà era così preoccupato? Si
trattava di qualcosa di brutto?
Dopo
circa un quarto d’ora, arrivò la mia nonna paterna
con i suoi inseparabili
occhiali da sole e il foulard a motivi floreali che le avevamo regalato
lo
scorso Natale. Pensavo che mi avrebbe sorriso come al solito, che mi
avrebbe
rassicurata con uno di quei pizzicotti che indolenzivano le guance, e
invece
evitava anche solo di guardarmi. Piangeva. Non riusciva a trattenere i
singhiozzi mentre mi accarezzava i lunghi capelli lisci con fare
materno. Continuavo
a non capire.
-Nonna,
dov’è finita la mamma?-
Scossa
da singhiozzi ancora più forti, mi cullò
dolcemente dopo avermi presa tra le
sue braccia e mi portò nella mia camera, sul lettino con le
sbarre che nessuno
si era ancora deciso a rimuovere. Mi agitai anch’io: iniziavo
ad avere un
brutto presentimento. –Dormi, tesoro- mi aveva detto lei dopo
essersi
accomodata sulla sedia lì vicino. –Adesso la mamma
non c’è. Ci sono io con te e
ci sarò per sempre, te lo prometto-.
-Ma
io non ho ancora sonno, a quest’ora la mamma mi fa sempre il
bagnetto. Quando
torna a casa?-
A
quelle parole innocenti e ingenue, la nonna affondò il viso
tra le mani e il
suo corpo tremò in maniera impercettibile, le lacrime che
scorrevano libere
sulle guance. –Non lo so, tesoro- sussurrò con una
nota di disperazione nella
voce. –Non lo so-.
Mia
madre avrebbe voluto che papà fosse felice. Che tornasse ad
amare qualcuno
proprio come aveva fatto con lei. Mi avrebbe rimproverata per
l’astio che
serbavo nei confronti suoi e soprattutto di Claudia, non si sarebbe
lasciata sfuggire
il mio silenzio e i miei sguardi spenti, e qualcosa mi diceva che non
avrebbe
approvato nemmeno il comportamento che avevo assunto negli ultimi anni.
Non era
affatto orgogliosa di me. L’avevo delusa per aver deciso di
chiudermi in me
stessa e nel mio dolore, senza provare a condividerlo con la mia
famiglia, e
continuavo a deluderla adesso, perfino da adulta.
Il
pensiero mi faceva stare malissimo e avrei voluto rimediare in qualche
modo, ma
io non ero come lei. Non sarei mai riuscita a fingere per la
felicità di mio
padre, perché l’altruismo non rientrava tra le mie
doti. Non avrei avuto il
coraggio di andare a cercare la mia, di felicità, legata
com’ero ad un passato
che mi aveva ferita profondamente. Sarei rimasta sempre la stessa
ragazza dai
lineamenti dolci e delicati, ereditati dalla mamma, che confondeva la
gente
sino a spingerla a credere che fossi una sorta di sua reincarnazione; e
non era
certo piacevole scoprire che quell’aspetto ingannevole
nascondeva in realtà una
persona tanto scontrosa e impulsiva quanto lei era affabile e
razionale. Né per
gli altri, né tantomeno per me.
Con
una lacrima che mi bagnava le guance e ricadeva lenta sul cuscino,
sistemai
meglio la foto sul comodino e passai in rassegna tutti i modi che
conoscevo per
“decorare” le pareti della stanza.
-Ha
appena chiamato Alessandro. Stanno per arrivare-. Erano soltanto le
sette del
pomeriggio e Claudia aveva già cominciato a preparare una
tavolata degna del
banchetto di una regina: il colore deciso del legno massello spiccava
attraverso i ricami floreali della tovaglia in lino che aveva comprato
in
chissà quale negozio per snob, mentre al centro regnava una
composizione di
rose e rami d’abete destinata a circondare una candela rossa
che creava
un’insolita atmosfera natalizia. In fin dei conti, con le
posate d’argento e le
coppe di cristallo che lei aveva deciso di usare come bicchieri,
l’occasione
non poteva che sembrare tra le più solenni.
Uno
dei tanti motivi per cui non mi andava così a genio la mia
nuova posizione
sociale era l’incapacità di apprezzare le cose
più semplici. Insomma, cosa c’è
di male nell’usare economici pezzi di stoffa colorati
piuttosto che tovaglioli
di alta fattura che non dovrebbero neanche avvicinarsi alle mani di una
persona, figuriamoci alla bocca? Di sicuro non mi sarei sentita come
una donna
della foresta alle prese con un collier di perle da un miliardo di
euro. Immaginavo
che la cosa valesse anche per gli amici di Alessandro, chiunque fossero.
-Pietro,
hai già preso il vino? Se il ragazzo suona il pianoforte in quel conservatorio, la sua famiglia
dovrà essere molto importante e ricca-.
Già,
molto importante e ricca.
-E
che mi dici della ragazza? Anche lei fa parte del circolo oppure
è una comune
plebea come tutti noi?- la stuzzicai.
-Talia!-
mi rimproverò mio padre dalla cima della scala di ferro,
impegnato a sistemare
una delle tante luci del lampadario gigantesco che sovrastava il
soggiorno.
Claudia liquidò le mie parole con un gesto della mano e mi
rivolse uno sguardo
a malapena infastidito: era proprio decisa a non lasciarsi rovinare la
serata,
a quanto sembrava. –Non ne so niente e non mi interessa.
L’importante è che il
suo fidanzato abbia una buona influenza su Alessandro-.
Certo,
come no.
Per poco non mi misi a ridere.
-Ho
parlato con suo padre ed è d’accordo con me. Se
non mette la testa a posto, non
avrà una vita facile-.
-Forse
è quello che vuole lui, non trovi?-
-Adesso
basta, Talia...-
-No,
Pietro, ha ragione Talia- lo interruppe tranquilla lei. Mi ci volle un
po’ per
elaborare il senso di quella frase. –È vero: i
giovani vogliono l’esatto opposto
di ciò di cui hanno bisogno. Un lavoro? No, meglio la bella
vita. Una
promozione? Inutile, perché sgobbare di più se si
sta così bene? Mi chiedo
spesso quando capirete che il mondo non gira in questa maniera-.
-Certo,
perché la cosa più importante è il
denaro, giusto?-
-No-.
Claudia zittì mio padre con un dito e riprese a parlare,
più decisa di prima:
-È l’ambizione. Se non ce l’hai, non
riusciresti mai a vivere al passo degli
altri. Ti accontenteresti della mediocrità e non lo
noteresti nemmeno-.
-Almeno
non saresti un eterno insoddisfatto-.
-Dipende
dai punti di vista, cara-.
Prima
che potessi ribattere con un’altra frecciatina, il campanello
suonò. –Eccoli-
annunciò lei con un sorriso soddisfatto, felice di aver
avuto l’ultima parola
in quella discussione. Non ero abituata ad un risultato simile e non mi
piaceva
affatto, ma se avessi anche solo provato ad accennare qualcosa in
presenza
degli ospiti, Alessandro non mi avrebbe rivolto la parola per
più di un mese e
a ragione. Dovevo tenere a bada l’orgoglio e incassare il
colpo. Almeno per
questa volta. Almeno per lui.
Anche
se lo sguardo di vittoria di Claudia continuava a bruciarmi dentro.
Mi
sedetti sul divano, i nervi tesi e lo stomaco in subbuglio, e mi
convinsi che
alzarsi per le presentazioni era un inutile gesto di pura
formalità. Mentre
Claudia si apprestava ad aprire la porta ad Alessandro che le chiedeva
di
uscire in giardino e conoscere subito i due ragazzi, alle prese con le
valigie
da scaricare dall’auto, mio padre si accomodò
accanto a me e mi circondò le
spalle con un braccio. Notando che non opponevo resistenza come al
solito, si
azzardò a dire: -Sai, Talia, sei una delle poche persone in
grado di tenerle
testa. Be’, non mi sorprende più di tanto...-
Raddrizzò orgoglioso la schiena.
–Sei mia figlia-.
Era
una battuta, vero?
-Il
punto è che, sì, qualche volta il confronto va
bene, a tutte le famiglie capita
di litigare, ma tu lo fai di continuo. E questo
non va bene. Sembra quasi che tu la veda come una rivale-.
Presi
un respiro profondo, massaggiandomi lentamente le tempie. Non riuscivo
davvero
a credere che ne stessimo parlando proprio in quel momento.
-Io
vorrei soltanto che tu iniziassi a considerare anche Claudia un membro
effettivo della nostra famiglia, proprio come Alessandro. Insomma, non
mi
sembra che tu abbia avuto problemi con lui all’inizio, no?
Perché non dare
anche a sua madre una possibilità?-.
Questo
era troppo.
-Papà,
senti...- iniziai, ma fui interrotta all’improvviso dalla
voce di Alessandro sulla
soglia della porta, rivolto a qualcuno dietro di lui: -E questo
è il soggiorno.
Se ti sembra grande, aspetta di vedere il salone al primo piano che mia
madre
ha finito di arredare proprio ieri...-
Appena
mi vide si bloccò con un grande sorriso dipinto sul volto, e
il mio cuore
cominciò a battere più forte.
-Jacopo,
ho l’onore di presentarti la mia meravigliosa Musona, Talia-.
E si inchinò in
maniera teatrale con un braccio proteso davanti a sé,
allontanandosi
dall’ingresso per permettere al ragazzo che lo seguiva di
entrare.
Ed
io rimasi a bocca aperta.
Caspita.
Con
il fisico slanciato e statuario, le spalle ben piantate ma non
esageratamente
massicce e le braccia dai muscoli scolpiti che sbucavano dal suo
maglione di
cashmere blu, che gli fasciava il busto in maniera perfetta, non
sembrava il
classico stereotipo del pianista che avevo immaginato al suo posto. Per
niente.
Succede sempre così: quando pensi di incontrare un dio
greco, ti ritrovi alle
prese con un bambino troppo cresciuto e pieno di brufoli; quando dai
per
scontato che il tipo in questione non rispecchierà la tua
idea di “ragazzo dei
sogni”, ecco che si materializza come per magia e compare in
casa tua. Non che
la cosa mi dispiacesse, certo, ma adesso cominciavo a pensare che la
convivenza
sarebbe stata più difficile del previsto. Soprattutto se
aveva una fidanzata.
Continuai
a fissarlo mentre sorrideva quasi imbarazzato, con la bava alla bocca
come in
uno degli episodi cliché delle sitcom americane, e doveva
essere parecchio
evidente perché ad un certo punto sentii qualcuno tossire
per richiamare la mia
attenzione. Sobbalzai dalla sorpresa. Qualcun altro rise, e non avrei
saputo
dire chi.
-Piacere
di conoscerti-. Il ragazzo si avvicinò e tese una mano verso
di me, abbandonando
per qualche secondo la presa sulle due valigie-trolley che trascinava.
Soltanto
allora mi accorsi che il suo viso non era perfetto come il suo corpo:
il naso,
leggermente più grande del normale, tendeva verso un lato
senza però dare
nell’occhio, proporzionato alla bocca di un colore rosso
quasi innaturale che
presentava una spaccatura al centro, sul labbro inferiore. E il sorriso
aveva
un che di magnetico, sì, come se trasudasse tutto il suo
fascino e il suo sex
appeal, ma l’effetto era bruscamente interrotto da uno degli
incisivi,
inclinato di qualche millimetro verso un altro dente, e dai canini di
dimensioni diverse. E gli occhi... be’, gli occhi erano di un
comune castano
scuro che si abbinava ai suoi capelli lisci e pettinati in modo da
formare un
ciuffo.
Insomma,
niente di speciale nel dettaglio: era il complesso a provocare una
crisi
respiratoria. E rimaneva comunque uno dei ragazzi più belli
che avessi mai
visto.
-Piacere
mio- riuscii a non balbettare. Adesso era il suo turno di guardarmi
assorto,
forse anche incuriosito, con la fronte corrugata in
un’espressione che non
riuscivo a decifrare. Speravo solo che fosse un fatto positivo.
Dopo
aver presentato Jacopo a mio padre, Alessandro si sedette sul bracciolo
in
pelle del divano e mi strinse a sé con un braccio.
–Sono sicuro che tu e la sua
fidanzata andrete molto d’accordo. Ha conquistato anche mia
madre!-
-Se
è così, allora sarà molto semplice
legare-. Mi costrinsi smettere di fissare
quel ragazzo come in trance, prima di farmi beccare dalla fidanzata e
giocarmi
tutta la dignità di cui disponevo ancora, ma era quasi
impossibile: attirava lo
sguardo alla stessa maniera di una calamita. Okay, avevo bisogno di
altro
tempo.
-Entra
pure. Puoi sistemare il borsone sulla poltrona-.
Come
non detto.
Claudia
fu la prima ad entrare, voltandosi all’istante verso una
ragazza alta e snella
poco distante da lei che continuava a camminare senza guardare dinanzi
a sé.
Non
appena la riconobbi, mi mancò il respiro.
Mio
padre strabuzzò gli occhi.
Non
è possibile.
Lei
non si era ancora accorta della nostra presenza, continuava a
ringraziare la
mia matrigna con il solito sorriso di gratitudine che prima adoravo e
che invece
adesso consideravo così falso e scontato. Che detestavo con
tutta me stessa.
Non
può essere.
Strinsi
i pugni lungo i fianchi.
Quando
si voltò verso di noi, fu come se il tempo rallentasse e poi
si fermasse
all’improvviso, per inquadrare il volto
dall’espressione sconvolta e dalle
labbra rosee appena dischiuse, con alcune ciocche di capelli castani
sfuggite
alla sua coda che lo incorniciavano perfettamente.
I
suoi occhi si riempirono di lacrime.
Sorrise
di nuovo.
Mi
ricordò tanto la mamma.
E
in quel momento mio padre, ancora scioccato e con il fiato sospeso come
in
attesa del prossimo colpo di scena, pronunciò in un filo di
voce l’unico nome
che pensavo non avrei mai più sentito in vita mia:
-Giulia-.
Buonasera,
popolo di EFP!
Mi
scuso per aver pubblicato il
capitolo con una settimana di ritardo: sono stata abbastanza impegnata
con i
compiti estivi e ho avuto a malapena il tempo di scrivere questo terzo
capitolo.
Un po’ troppo lungo, vero? Consideratelo un semplice modo per
farmi perdonare.
Allora,
che ne pensate? La storia
ha iniziato ad “ingranare la marcia” e ad attirare
la vostra attenzione? Siete
curiosi di scoprire cosa succederà in seguito tra Talia e
Giulia?
E
con Jacopo?
Lasciate
un vostro giudizio nei
commenti ed io vi risponderò immediatamente.
P.S.:
ho modificato i primi due
capitoli per scrupolo, senza però apportare cambiamenti
drastici: si tratta
perlopiù di affinamenti lessicali e scelte stilistiche
diverse. Avrei potuto
lasciar correre, ma sono sempre stata una grande precisina e non mi
piace
affatto presentare lavori di cui non sono pienamente soddisfatta. Se vi
va,
passate a dare un’occhiata.
Al
prossimo aggiornamento (spero di
riuscire a farcela entro la prossima settimana, anche se non ne sono
sicura: la
scuola ricomincerà a breve e avrò meno tempo a
disposizione per scrivere e
pubblicare regolarmente. Chiedo venia),
the_scream_of_silence