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Autore: Lost In Donbass    07/09/2016    3 recensioni
Tom è un traduttore di romanzi, squattrinato, disordinato, con la memoria particolarmente corta e la mania di cacciarsi in casini molto più grandi di lui.
Bill è un giornalista, geniale, psicologicamente instabile, dotato di una memoria elefantiaca e affetto da nevrosi acuta.
Si sono visti e rivisti, questi due ragazzi, ma solo ora si decideranno a parlarsi, a riconoscersi, a entrare in un contatto che di sano non ha proprio niente. E in una Berlino misteriosa, tra amici inconcludenti, grunge degli anni 90, ricordi che vengono a galla, crisi di nervi e perle filosofiche di periferia, riuscirà Tom a salvare Bill da se stesso? O lo perderà di nuovo, forse per l'ultima volta?
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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CAPITOLO SETTE: CREDO DI AVERLO UCCISO

Ora, Tom non era affatto contento di non essersi lavato i capelli, non essersi vestito in maniera un po’ più decente e soprattutto di aver perso tutto il suo coraggio non appena arrivato di fronte alla porta di Bill. Si sentiva terribilmente impacciato, indecente e cretino a starsene lì piantato davanti alla porta senza avere il coraggio di suonare il campanello ma nemmeno la codardia di prendere e andare a dormire da Georg. Era in quel limbo che probabilmente solo lui al mondo era costretto a sperimentare, sempre troppo piscia sotto per buttarsi davvero in azioni completamente sconsiderate ma anche troppo fuori di melone per non starsene seduto al suo posto come un normale uomo di ventisette anni senza famiglia (a parte il fatto che già sognava come sarebbe stato mettere su famiglia con Bill, ma quello doveva aspettare. Doveva aspettare tanto tempo). Si fregò le mani, deciso oramai a suonare quel dannato campanello, già pronto a snocciolare qualunque scusa possibile e immaginabile, anche che gli era andata a fuoco la casa pur di non sembrare un perfetto maniaco, premendo il dito sopra quel vecchio sonaglio cadente che penzolava fuori dal portoncino scrostato. Tese l’orecchio, avvertendo che all’interno dell’appartamento gli Smashing Pumpkins venivano drasticamente abbassati e che qualcuno si stava inciampando nelle miriadi di oggetti e fogli sparpagliati dappertutto per raggiungere la porta. Una parte di lui avrebbe voluto mettersi a correre giù per le scale, fuggendo come una lippa da quello che temeva fosse il più grande errore della sua miserabile vita, mentre una vocina martellante nella sua testa tentava con scarsi risultati di rassicurarlo, che sarebbe andato tutto a meraviglia, sarebbe filato liscio come l’olio, avrebbero passato una di quelle serate che manco nei telefilm per sedicenni in calore …
-Oh, Tom! Ma che ci fai qui a quest’ora?
La vocina squillante che più desiderava ma che più temeva in quel momento si fece sentire, vagamente stupita ma con una nota di piacere percepibile sul fondo, accompagnata dalla scheletrica presenza del biondo appoggiato allo stipite, avvolto in una specie di pelliccia sintetica di foca, una miriade di collanine di giada avvolte attorno al collo da cigno. Tom si prese un secondo ad ammirare estasiato la bellezza eterea ma allo stesso tempo materialistica di Bill, i piedini nudi che si accartocciavano al freddo del pavimento, quella pelliccia grossa e rozza che cadeva sgraziatamente su quelle forme anoressiche ma perfette, i capelli un po’ arruffati e i piercing che rilucevano sinistramente alla luce soffusa del lampadario Tiffany. Sì, era bello, di una bellezza sporca e puttanesca, proletaria e sboccata, memore di un antico fulgore morto e sepolto in una Belle Epoque dimenticata di cui si trascinano ancora gli stralci delle meraviglie dell’epoca, bizzosa e volubile, grottesca e incantevole nella sua volgare imposizione sui canoni estetici di questo secolo.
-Ehi, Bill, ciao, io … - Tom sapeva di essere semplicemente ridicolo, con quei pezzi sciolti di torta in mano e la borsa del postino ottocentesco sulla spalla, ma non ci poteva fare niente. – Non voglio assolutamente darti dei fastidi, ma, vedi … sono stato cacciato di casa.
-Oddio, mi dispiace!.- Bill si mise una mano perfettamente curata e inanellata davanti alla boccuccia atteggiata in una smorfia desolata – Povero caro, ti hanno sfrattato?
-No! Sarò anche squattrinato ma l’affitto stracciato riesco ancora a pagarlo, eh!- sbottò Tom, spalancando comicamente gli occhi. Bene, ma che belle figure che riusciva inesorabilmente a fare, pure quella dello scalcinato senza un soldo appena buttato a calci fuori di casa dalle vecchia e arcigna padrona stanca dei suoi continui ritardi sul pagare l’affitto. Poteva essere fiero di se stesso, sicuramente Bill lo aveva già catalogato come straccione da frequentare per pietà, ma bene. – La mia coinquilina, Julia, mi ha detto di andarmene per stanotte solamente perché voleva avere la casa vuota. Deve chiedere alla sua fidanzata di sposarla. Ho le Polaroid dell’anello e della torta, se non ti fidi!
-Oh, meno male. Mi stavo già preoccupando che dovessi andare a vivere sotto un ponte.- Bill rise con quella sua risata isterica e nervosa – Ovviamente, ti avrei ospitato, sia chiaro.- qui il cuore di Tom fece due giravolte e rischiò di esplodergli nel petto per andare a stamparsi sull’altro e non staccarsi più – Però che cosa carina, Julia deve essere una ragazza così dolce- “oh, non sai quanto. Dolce come un barracuda affamato la notte di capodanno” pensò Tom, ma non lo disse, aspettando pazientemente che lo facesse entrare in casa. Finalmente Bill si rese conto che erano ancora impalati uno di fronte all’altro sull’uscio e si affrettò a farlo entrare, chiudendogli la porta alle spalle – Dio, scusa il disordine tesoro, non mi aspettavo che mi venissi a trovare.
-Figurati, piuttosto grazie di doverti sobbarcare la mia presenza.- Tom cercò di non mettersi a ballare felice sulle note del disco che subito venne spaventosamente rialzato di volume. Bill lo aveva accettato senza porsi problemi. Quello poteva anche essere il paradiso, per quello che ne sapeva. Sì, sicuramente era rimasto ucciso in un incidente mentre andava in quella casa e ora era direttamente volato in Paradiso.
Bill gli saltellò attorno, prendendogli di mano la torta, strillando estasiato
-Mi hai portato la torta?! Come sei caro, Tom, sei un pasticcino.
-Magari da mangiare dopo cena, se vuoi posso cucinare io. Cioè, l’unico piatto che so fare è il couscous, ma se ti piace sarei felice di cucinartelo, vado a compare il couscous a un 7-11. Ti va?- disse il ragazzo, ributtandosi a peso morto sul divano verde in compagnia del fido vocabolario e della fida borsa buttata a caso sul pavimento coperto di articoli e di libri. In cuor suo, sperava che Bill gli lasciasse cucinare il suo couscous, tanto per sdebitarsi dell’intrusione, ma la mancata risposta alla sua offerta lo fece vagamente insospettire e voltare verso il cavalletto dove torreggiava un’enorme tela con quelle che, non ci poteva credere, erano gli schizzi per quel dannato cartellone di buon compleanno per Becca. E dove, soprattutto, sedeva tranquillamente il suo meraviglioso biondo che mangiava tranquillamente ben una fetta di Sacher e una di Foresta Nera contemporaneamente, la punta del naso sporca di panna e le lunghe dita macchiate di cioccolato. Non doveva aver intuito che quelle avrebbero voluto essere parte della loro cena, perfetto. Addio torta; non che da un lato non fosse particolarmente soddisfatto del vedere il sorrisone infantile che ornava le labbra di Bill e la gioia segreta con cui si ingozzava spudoratamente di torta, ma una vocina antipatica gli ricordava che era così tanto tempo che anche lui non toccava un dolce simile … ma per Bill, anche quello. Avrebbe digiunato, ceduto tutte le Sacher del mondo pur di vederlo felice, o di vederlo anche solo sorridere. Gli pareva così allegro, in quel momento, impegnato a divorare letteralmente le due fette, che interromperlo gli sarebbe sembrato un delitto bello e buono. Se c’era una cosa che aveva colto da tutti i libri che leggeva, era che non bisognava mai e poi mai interrompere un fulgente momento di spensierata bellezza come quello che stava avvenendo sotto i suoi occhi, perché un istante di vera Bellezza non si sarebbe mai più potuto ripetere nei secoli a venire, sarebbe rimasto unico, prezioso e inestimabile, impossibile da ricopiare per la sua fantasmagorica purezza dell’attimo, la divinità che addirittura gli antichi Romani veneravano, per l’incarnazione del momento che non avrà e aveva eguali in tutto il mondo. Quella scena, per Tom, sarebbe stato uno degli Attimi; meraviglioso e indimenticabile, così straordinario nella sua gaia felicità da non poter essere dimenticato. O meglio, cancellato. Forse, non se ne sarebbe ricordato ma avrebbe potuto collegarvi le immagini della torta e di un nasino sporco di panna insieme a una sirena della Polizia e al volume imbarazzante del vinile. Una composizione di suoni e colori che gli avrebbero in qualche modo ricordato quella scenetta familiare avvenuta in un triste appartamento di una bollente serata berlinese.
-Però non ho una stanza degli ospiti, mi dispiace.
Bill lo guardò indispettito, togliendosi la panna dal naso, finendo di leccare via dalle dita il cioccolato e la marmellata rimasti.
-Scherzi? Dormo sul divano.- Tom, a essere sinceri, si era già parcheggiato sul vecchio divano verde, considerandolo, come tutti i divani in cui incappava, di sua esclusiva proprietà. E poi, in fondo, come gli ricordava l’antipatica coscienza, non si erano abbondantemente baciati fino a poche ore prima? Quindi, acquisiva ancora più diritti sul divano. – Anche a casa dormo in salotto, non lo tocco il letto.
Omise accuratamente di dire che non toccava il letto per il semplice fatto che vivendo letteralmente attaccato alla televisione non aveva il tempo materiale di dormire seriamente, bensì di dormicchiare alcune ore con il caffè in una mano e il computer nell’altra, con mezza traduzione fatta e le ultra ripetute battute dell’ennesima stagione di “Criminal Minds” in testa a cullarlo nei suoi confusionari sogni prodotti da una mente stanca e drogata di patatine fritte.
-Io non ti farò mai dormire sul divano, Tom.- Bill scosse fermamente la testa, scompigliandosi i capelli – Fa male alla schiena; non posso permettere che ti venga la scoliosi per colpa mia.
-Non ti preoccupare, Bill, davvero, io non ho nessun problema.
E poi senti da che pulpito, pensò il ragazzo. Uno che se ne sta abbarbicato come una scimmietta per ore su uno sgabelletto microscopico in una posizione che farebbe invidia al Kamasutra. Sicuramente a lui non sarebbe venuta una scoliosi da paura.
-Ti ho detto di no!- Bill si alzò di scatto, come colpito da un’improvvisa idea geniale, per poi scagliarsi e spalmarsi sopra Tom e stampargli un bacio piuttosto pieno di foga sulle labbra. Bacio a cui Tom, ancora troppo instupidito dalla rapidità con cui si era svolta l’azione, non rispose se non con un vago boccheggio che fece staccare il biondino e gli valse un’occhiata divertita e vivace – Scusa, tesoro, ma quando sei entrato ero così stupito di vederti che non mi sono ricordato in tempo di salutarti come si deve.
Beh, Tom considerò che se essere degli sociopatici disadattati comprendeva essere così terribilmente dolci e figli dei fiori, allora sapeva di essersi immediatamente innamorato della psicosi mondiale. Ma quale persona che non fosse quel demonio angelicato di Bill avrebbe chiesto scusa per una cosa del genere e si sarebbe prodigato a sbaciucchiarlo come fosse l’ultimo giorno delle loro vite? Nessuno, appunto. Solamente quel delicatissimo fiore di cristallo infarcito di dolcificante. Si limitò a ridere e a baciarlo di nuovo, dolcemente, accarezzandogli i capelli, beandosi per un secondo delle mani magre di lui avvolte attorno ai bordi della sua maglietta.
-Puoi dormire con me, stanotte.- disse Bill non appena si furono staccati, sedendoglisi a cavalcioni, ignorando evidentemente lo sconcerto che colse improvvisamente Tom. Oh, non che sentire una cosa simile lo imbarazzasse o altro, ma sussisteva il problema di quanto avrebbe resistito psicologicamente a letto con lui senza fare esattamente nulla di sconcio, visto che il tono fanciullesco di Bill sembrava una di quelle scenette da Jane Austen, con l’innocente fanciullina campagnola ignara della mente perversa dell’avvenente marchese. Ecco, non si sentiva pronto a fare l’eroico cavaliere. Però Bill glielo aveva chiesto, e questo era già un passo avanti. Avrebbero potuto addirittura dormire insieme. – Tanto ho un letto matrimoniale, ci stiamo io e te.
-Uh, cioè … grazie dell’offerta, Bill. Magari, se non disturbo … - disse Tom, tentando di non fare proprio la figura di quello che si sarebbe buttato anche immediatamente in quel letto matrimoniale, e al diavolo il suo lettino con le coperte di Spiderman.
-Affatto, tesoro. Sarà fantastico dormire insieme, sicuramente meglio che dormire con Hansi, sì.
Per un unico, terrificante, intensissimo attimo, Tom ebbe il terrore che ricadesse in quella strana trance bipolare in cui era precipitato qualche ora prima, mentre tentava nervosamente di leggere dentro agli occhioni piantati nei suoi la vuota dolcezza madreperlacea e non la rabbia infuocata e stralunata. Ma Bill non diede alcun segno di una nuova crisi, si limitò a dargli un buffetto sulla guancia con un sorriso entusiasta, come quello di una bambina con il suo nuovo bambolotto a cui preparare la culla, per poi afferrarlo per il polso e cinguettare
-Vieni in cucina, adesso si cena. O meglio, adesso tu ceni. A me è bastata quella torta deliziosa.
Tom si ritrovò quindi, senza quasi nemmeno accorgersene, appollaiato su una poltrona con le frange rosso carminio che emergeva gloriosamente nella cucina più incasinata che avesse mai visto in vita sua, una stanza che faceva quasi apparire asettica la disordinatissima casa che condivideva con Julia. L’odore di chiuso e di fritto che aleggiava era quasi nauseabondo, come il frigo completamente decorato con impronte di mani immerse nella pittura, un sacco di piatti giacevano dappertutto, non lavati, insieme a quelle che a Tom sembravano bamboline voodoo sparpagliate sul pavimento. Gli sportelli della piccola cucina erano tutti spalancati, le posate buttate dovunque, come le pentole, pezzi di cibo semi marciti ammucchiati negli angoli polverosi, una colata di pittura gialla che colava dal muro, il forno aperto, incrostato, dove sbucavano alcune barbie mezze bruciacchiate. Sembrava l’incubo di un folle, un luogo infernale senza la minima logica fisica e psichica, un impatto mostruoso di luridume, colori, sporcizia e infantilità. Tom boccheggiò un attimo, mentre Bill lo spingeva su quella poltrona bassa e signorile, lurida come il resto, solitaria in  mezzo a quel marasma dilagante di stoviglie varie. Uno sportello si aprì tetramente mostrando ancora un triste vuoto e qualche ragnatela. Il ragazzo seguì con lo sguardo il biondo che saltellava tranquillamente in giro e infilava le mani ingioiellate in uno scolapasta tirando fuori una manciata di patatine fritte, le guardava stralunato e le buttava in un piatto sbeccato e mai lavato, con rimasugli di quelle che potevano essere melanzane alla parmigiana, per poi prendere un paio di posate meno luride del resto e porgergli questo capolavoro nauseante con un sorriso, acciambellandosi ai suoi piedi. Solo in quel momento Tom realizzò che non c’era un tavolo e nemmeno delle sedie, esclusa la poltrona su cui stava seduto
-Scusa, tesoro, non ho nient’altro da offrirti che delle patatine fritte.
Cercò di fare buon viso a cattivo gioco, con un sorriso tirato e rimise il piatto in mano a Bill, cercando di sembrare convincente
-Grazie, ma credo che salterò la cena. Non ho molta fame.
Il biondo lo scrutò attentamente da sotto le lunghe ciglia ricoperte di un accecante mascara rosa shocking, per poi riprendersi il piatto e cominciare a mangiarsele lui
-Mi dispiace, allora le mangio io. Sei sicuro che non vuoi niente? Forse posso cercarti qualcos’altro nel frigo.
Nel terrore di scoprire cosa si nascondeva nel frigo, Tom fu rapido a scuotere la testa con un sorriso imbarazzato, cercando qualcosa di cui parlare, e il suo sguardo venne catturato da quelle bambole nel forno. Aguzzò lo sguardo e distinse meglio almeno due o tre barbie mezze rapate, con le gambe spalancate e le braccia quasi divelte, un po’ bruciacchiate, inquietanti nella loro vivida morte. Lo inquietavano oltremodo quelle figure che li osservavano dal forno, come morti pronti a saltare loro addosso con uno dei coltellacci che decoravano il pavimento della cucina. Lui vedeva troppa televisione, ok, ma quella casa non faceva che imboccare la sua già eccitabile fantasia. Deglutì rumorosamente, chiedendo con voce fioca
-Ehm, Bill, ma quelle bambole nel forno … hanno un uso pratico?
In realtà, la sua coscienza lo stava bastonando perché in fondo non voleva approfondire l’orrore che l’angelo covava dentro di lui, avrebbe volentieri preferito lasciarlo chiuso in quelle collane e in quei bracciali tribali, senza farlo scaturire come onde infernali attorno a lui, eppure voleva sapere. La sua curiosità era perennemente assetata di sapere, e in quel pozzo di incubi non poteva non essere sopraffatto da domande morbose che voleva rompere il guscio che circondava il suo buffo anfitrione. Gli sembrava quasi di vederle, quelle enormi ali da pipistrello che si aprivano, immense e bagnate di sangue, dalle scapole sporgenti di Bill, insieme alle sue unghie smaltate che si allungavano a dismisura. Un diavolo, il diavolo più bello di tutto il Paradiso, l’angelo più luminoso di tutto l’Inferno. Brillava di una luce potente e sanguigna, accecante e oscura allo stesso tempo, riversando fuori da sé l’orrore di un serpente e la meraviglia di una creatura celeste.
-Quando ero un ragazzino collezionavo Barbie.- raccontò Bill, tranquillamente, leccandosi le lunghe dita in un modo così stranamente erotico e infantile – Dai tredici ai diciotto anni, me ne facevo regalare a ogni festività, ne compravo quante più ne potevo con i miei risparmi. Io amo le bambole. Ne avevo tantissime, dieci anni fa, quelle meravigliose Barbie da collezione che riempivano tutta la soffitta.
-E’ buffo.- commentò rapito Tom, grattandosi il collo – Non avevo mai sentito di Barbie da collezione, a dire il vero.
-C’e ne sono miliardi, tesoro. Ce le avevo quasi tutte, credo. Beh, quelle che si trovavano nelle vicinanze di Magdeburgo, comunque.- Bill lo guardò con un mesto sorriso, passandosi una mano tra i capelli, spettinandoseli.
-Ti dispiacerebbe farmele vedere?- Tom gli sorrise, quel suo sorriso un po’ da bamboccio – Mi hanno piuttosto incuriosito. Me le puoi illustrare tutte.
-Oh, Tom, sei così tenero!- Bill gli saltò al collo come una molla, stampandogli un bacio sulle labbra, per poi rabbuiarsi di colpo e ricadere sul pavimento, come se si fosse sgonfiato – Però non posso farlo.
-E come mai? Giuro che non ti prendo in giro, eh.- il ragazzo si alzò, porgendogli la mano e facendolo alzare. Tornarono in salotto, sfuggendo, per la gioia di Tom, all’odore mostruoso che gravava in quella cucina da incubo, precipitando però nell’incasinato e bollente salotto con quella dannata musica grunge a tutto volume. Si sedettero tutti e due sul divano, in mezzo ai dipinti di Bill, e lo sguardo di Tom venne catturato da un grande autoritratto appeso dietro alla porta d’ingresso che raffigurava un Bill di almeno dieci anni in meno con una selva di capelli neri con le ciocche bianche sparati in tutte le direzioni possibili, con addosso un gigantesco vestito da sposa-bomboniera, seduto a cavalcioni di un tronco di un albero caduto. Piangeva trucco, in quel meraviglioso dipinto. Piangeva trucco e sembrava chiamare aiuto a chiunque vi posasse lo sguardo sopra. Qualcosa si svegliò nuovamente nell’inconscio di Tom, ma nuovamente fuggì subito non appena Bill gli si accoccolò al fianco e piagnucolò
-Non le ho più, le mie Barbie. Nemmeno una.
Tom gli sollevò il mento con due dita, e vide una buffa smorfia sconfortata
-Ehi, Bill … non piangere, stai tranquillo.- gli passò impacciato il pollice sulle guance per asciugargli le solitarie lacrime di cristallo che cominciavano a correre.
-Hansi me le ha rotte tutte.- Bill chiuse gli occhi, appoggiando il capo sulla spalla di Tom, lasciandosi stringere in un abbraccio e accarezzare la schiena nuda e gelida, ossuta e tremante. – Diceva che dovevo smetterla di giocare con loro, che si era rotto di accompagnarmi per negozi a comprarle, che i suoi amici cominciavano a prenderlo in giro per queste bambole. Così ha deciso di rompermele. Una volta erano venuti in casa, e lui e i suoi amici avevano cominciato a maltrattare le mie bambole, a rovinargli quei vestiti meravigliosi … perché, Tom? Perché volevano rompere la mia collezione?
Tom si grattò il collo, facendo vagare lo sguardo per il bollente salotto, cercando di ignorare come meglio poteva i grossi lacrimoni che cominciavano a inumidire i grandi occhi vuoti di Bill per non mettersi a piangere anche lui. Non aveva mai potuto sopportare le persone piangenti, se poi avesse visto Bill piangere sul serio allora sarebbe stata la sua vera e ultima nemesi.
-Erano giovani e sconsiderati.- decise di rispondere, anche se avrebbe voluto semplicemente dire “erano dei luridi stronzi, spara i nomi e li vado a massacrare”. – A volte la gente non realizza il dolore che arreca agli altri. Non ha più voluto delle Barbie da collezione?
Bill lo guardò insistentemente, mettendosi a sedere diritto, squadrando con una punta di sospetto il viso perennemente assonnato del ragazzo.
-Perché me lo chiedi?
-Beh, ora nessuno verrebbe più a rompertele, e tu potresti farti la tua collezione in pace. Recupereresti quello che non sei riuscito a fare da adolescente.- Tom gli fece un largo sorriso infantile, scostandogli un ciuffo platino dalla fronte pallidissima.
-Non è vero.- la voce diffidente del biondo fu un ennesimo brivido di terrore per Tom, l’ennesima prova che Bill era il terreno minato che nessuno sarebbe mai riuscito a sminare. Forse, in fondo, Tom si augurava in qualche modo di essere il soldato sognatore capace con la sua logica sconsiderata di sminare quel campo pericoloso eppure assurdamente intrigante che si estendeva ai piedi della trincea. – Lo sai benissimo che tornerebbe a rompermele tutte e mi farebbe di nuovo sanguinare il cuore! Vi siete messi d’accordo per rovinarmi ancora la vita!
Bill si ritrasse in fondo al divano, le mani ingioiellate premute sulle orecchie grondanti orecchini, gli occhi truccatissimi serrati come due saracinesche.
Tom sospirò, alzando gli occhi al cielo, strisciandogli accanto e sollevandogli il mento con due dita, sentendo il corpo troppo magro dell’altro irrigidirsi e gli occhi aprirsi quel tanto che bastava per far sgorgare qualche timida lacrimuccia solitaria.
-Bill, tesoro, stai tranquillo.- mormorò Tom, facendogli il sorriso più rassicurante del suo repertorio di sorrisi da bamboccio – Non voglio assolutamente rovinarti nulla, voglio solo farti felice. So che se ti comprassi altre bambole, saresti contento e lo sarei anche io, perché quando sorridi sei bellissimo. E poi tuo fratello adesso non sarà più interessato a farti nulla … sai dirmi dov’è, ora?
Ora, Tom si sentiva già pronto ad andare a sindacare e, perché no, a pestare il famoso fratello di Bill che da quello che aveva potuto capire era stata una sorta di nemesi per il suo angelo sbucato dagli inizi del tempo. Non poteva semplicemente concepire il fatto che avesse anche solo potuto fare del male a quella specie di perla oceanica che era Bill, con quale cuore aveva potuto volere la rovina di un gioiello simile, così dolce e cristallino che avrebbe fatto piangere anche Satana?
Bill lo guardò, stringendosi le ginocchia ossute al petto, e indicò con un lungo dito il soffitto, alzando le spalle che a Tom sembravano sempre di più due monconi di ali.
-Vive al piano di sopra?- il ragazzo si grattò la guancia, con una buffa smorfia interrogativa stampata sul volto.
-No, Tom.- Bill scosse la testa, facendo vagare lo sguardo sul soffitto. – Più su.
-Sul tetto?
L’ultima uscita cretina del ragazzo fece quasi sorridere il biondo che sfarfallò tristemente le lunghe ciglia ricurve e si limitò a esalare un debole
-E’ morto, caro. Mio fratello è morto sette anni fa.
-Oh.- Tom lo abbracciò, facendogli posare la testa sulla sua spalla. Ci mancava solo quella ed era a posto. – Mi dispiace, Bill, non intendevo …
-E’ passato tanto tempo.- il biondo lo guardò dolcemente, e fu solo allora che Tom realizzò una cosa piuttosto assurda
-Ma allora, se lui è defunto perché hai paura che torni a rovinarti le Barbie?
Bill lo guardò come se fosse ovvio, passandosi una mano tra i capelli
-Perché lui è sempre qui, Tom! Hansi non c’è più, ma può sempre ritornare da me. Mi odiava quando era vivo, mi odierà ancora di più ora che è morto.
-I morti non tornano in vita, e i fantasmi non esistono. Devi stare tranquillo.- disse con calma Tom, dandogli un bacio sulla punta del naso – Hansi appartiene al passato, non tornerà mai.
-Invece sì, Tom. Tu non lo conosci.- Bill si mordicchiò il labbro inferiore, ricoperto di rossetto viola – Lui è un diavolo, non conosce limiti né umani né celesti. Vorrà vendicarsi di me.
-I diavoli non esistono, Bill, e non esistono vendette ultraterrene.- ora, Tom era il primo che ancora a ventisette anni dormiva con la tv accesa e la torcia sul comodino pure, nel terrore che sbucasse qualcuno degli zombie di Wayward Pines che spaventavano le sue notti, ma col biondo ci teneva a farci una bella figura di uomo coraggioso e pronto a tutto. Oh, e sul comodino c’era sempre un crocefisso e una testa d’aglio, perché dopo Outcast aveva deciso di premunirsi di tutto.
Bill alzò le spalle, guardandolo con la sua dolcezza originaria, per poi alzarsi e stiracchiarsi, avvolto nella sua pelliccia di foca sintetica
-Mi dispiace, Tom, ma io non ho la televisione.
Tom si produsse in un lungo e muto gemito.
-E nemmeno la radio, si è rotta.
Un altro lungo e muto gemito rimbombò dalle corde vocali del ragazzo.
-Oh, però puoi usare il giradischi, se vuoi. I vinili sono tutti in quel baule.
Bill si chinò sul vecchio baule roso dai tarli e dal tempo, cominciando a buttare all’aria grossi vinili vecchi e bisunti, dando a Tom una perfetta visuale del suo fondoschiena da favola fasciato in un paio di skinny jeans neri e dorati apparsi non di sa bene da dove. Anche se in quel momento il cervello del traduttore vagava in un limbo meschino dove non esistevano televisioni, quindi niente sesta stagione di NCIS rivista già almeno quattro volte, non si poteva fare sesso con Bill, che in quel momento blaterava qualcosa di strano sul fatto che lui aveva detto agli archeologi di non entrare nella tomba di Tutankhamon ma quelli non gli avevano dato ascolto, e non si poteva ascoltare altro che musica grunge schiattando di caldo in un salotto opprimente. Sicuramente, non un esempio di serata memorabile, se non fosse che anche solo la presenza di quel tetro angelo illuminava anche il più piccolo punto oscuro di quella notte.
-Ma tu non resti qui con me?- riuscì a balbettare Tom, seguendo con lo sguardo Bill che ancheggiava abbondantemente verso la camera da letto, lasciandolo lì da solo con Lloyd e i suoi amici alle prese con un alligatore affamato a Baton Rouge.
Bill si bloccò sulla porta della stanza, un blocco da disegno sotto braccio e si voltò lentamente verso Tom, gli occhioni fattisi di nuovo improvvisamente spenti e profondi come due specchi infernali di un pozzo da cui non ci sarebbe stata nessuna via d’uscita, fissi su di lui ma ciechi.
-Disegno meglio da solo, tesoro. Vieni a letto quando preferisci.
C’era un che di straordinariamente sensuale in quella frase, pensò Tom, che si ritrovò ad annuire con aria vagamente trasognata di fronte all’inquietante e tetra bellezza che scaturiva dal biondo, quando la sua vocina melodiosa e malinconica si rifece sentire, accompagnata da un vago singulto e dal leggero suono dei piedi nudi sul pavimento che entravano nella camera.
-Comunque, Hansi è morto, sì. Credo di averlo ucciso io.
 
***
Ohi, ragazze! Intanto, volevo scusarmi per il solito, antipatico, ritardo pachidermico degli aggiornamenti -_- è solo che la mia fantasia è un po’ ottenebrata dal caldo … *cerca delle scuse* *viene picchiata* Comunque, dalla settimana prossima (che poi inizia la scuola e io sono già nel panico più totale perché la terza mi aspetta al varco con tanto di fauci spalancate) torno nella civiltà e sarò più veloce. Spero. Spero anche che vogliate lasciarmi un piccolo commentino anche se il capitolo forse è un po’ corto … -_- Grazie a tutte! :**
P.S. Se volete, mi farebbe immensamente piacere se voleste passare dalla mia nuova ff originale romantica che trovate sul mio account sotto al titolo “We are broken from the start”. Ovviamente è slash ;)
Charlie xx
  
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