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Autore: Helmyra    09/09/2016    4 recensioni
“Mi piace la musica,” commentava l’estraneo, nella vita e nel dolore di Elanilde, “e mi serve uno scudiero. Canterai per me di sera, quando i soldati saranno in congedo e noi due soli, in qualsiasi luogo che abbia attorno quattro mura. Ti terrò per questi motivi, e quando non sarai più utile... ti ucciderò”.
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Spin-off di "A wine of character". Nuovi personaggi e nuove situazioni, a parte la presenza di Dorisa e Sanguine.
Elanilde si prepara al suo debutto in società, attendendo l'assenso di Voranil, gentiluomo e mecenate di Cheydinhal.
La guerra è finita, ma le conseguenze del Concordato d'Oro Bianco forniscono ai Thalmor un'occasione di vendetta.
Genere: Fantasy, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dovahkiin
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Daedric Maidens'
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Sei un sogno.

Ah, ecco. Giusto, pensò Elanilde. Troppo facile, possibile in un'altra dimensione, muoversi liberamente ed esplorare palazzi senza il timore delle corde. L'aveva lasciata dov'era dopo averla sedata, avendo comunque l'accortezza di riservarle una piccola comodità. Giaceva di fianco, con la testa affondata in un cuscino di piume, mentre altri tre più robusti formavano un materasso sotto la spalla destra, le anche, fino all'altezza delle caviglie.

Aveva dormito imbrigliata, sì, ma meglio degli ostinati cittadini sui loro letti di pietra. Lo stomaco a digiuno brontolava, in una mattinata qualunque sarebbe sgattaiolata in cucina per trafugare qualche fetta di torta alle mele e per riempire di latte un intero boccale. In mancanza dei Thalmor e dei sospetti di Ondolemar, la vita da manovale alla residenza dello Jarl non sarebbe stata poi tanto male.

Moth-Gro Bagol doveva aver attizzato il fuoco da solo, mentre inveiva bonariamente contro di lei. Su cosa c'è da lavorare oggi? Bisognava temprare due o tre spade, saldare il manico di uno scudo venuto via durante l'addestramento delle guardie, riparare le ammaccature sull'alambicco di Cancelmo, e nei lassi di tempo tra le commesse impegnative modellare chiodi, plasmare serrature e cardini per la manutenzione delle impalcature nelle miniere dei Sangue d'Argento...

Perché si ostinava a rimanere coi piedi per terra, a ricordare dettagli insulsi e non i ricordi di un sogno vivido, se non un mistero, un viaggio nel passato? Elanilde sapeva che era possibile, talvolta, sviluppare connessioni emotive così forti da poter ascendere i piani astrali e acquisire saperi arcani, profezie celate. Che accadesse proprio a lei, comunque, era un'eventualità assurda. Meglio credere, invece, che la sua mente avesse fabbricato un conforto involontario ai ricordi difficili da accettare.

I peggiori timori, invece, erano riservati ad Ogmund. Era convinta che l'amico versasse in cattive acque fintanto non vide Ondolemar giungere circospetto nella stanza, accompagnato dal tintinnio delle stoviglie. Era stato costretto a servirsi da solo per sviare strane congetture? Stupidaggini. I morti fioccavano in città, e presto venivano dimenticati nell'indifferenza comune.

Poggiò il piatto e il bicchiere sul tavolo, ancora sporco di briciole di pane, e le s'inginocchiò davanti per tastarle la fronte, il collo.

“Non fingere, si vede che sei sveglia.” Cominciò da dove aveva iniziato la sera precedente, dai polsi. “Ho avvisato l'orco, mi ha detto che per qualche giorno puoi stargli alla larga, lo aiuterà la sorella. C'è una sorpresa, un cambio di programma. Ti farà piacere sapere che anch'io non avrò modo di vederti spesso. Nella tenuta alloggiano ospiti da trattare con il maggior riguardo. Prova a contrariarli, ad irritarli con la tua testardaggine molesta, e ti assicurerò un viaggio di sola andata in fondo agli scavi delle rovine”.

Dunque, si trattava di gente importante. Sua graziosità Elenwen non si sarebbe abbassata a soggiornare in un rudere polveroso, e i dispacci partivano velocemente, tanto da costringere i soldati a soste di poche ore.

“Seguimi.” Ondolemar ignorò il muso imbronciato, gli arti tesi e piantati a terra. La trascinò senza cerimonie fino alla porta, poi Elanilde si persuase ad assecondarlo, benché non capisse il motivo di tanta fretta.

Scivolarono oltre le scale, al di là dell'anticamera segnata dai canali, fino a un corridoio angusto in fondo alle scale, limite ultimo tra le zone abitabili e quelle in fase di studio.

Elanilde, pietrificata, s'impuntò sul primo gradino come un asino sfiancato. Non avvedendosene, Ondolemar la strattonò e frenò la sua caduta stringendola col braccio destro sul fianco. Una volta, durante le poche missioni erranti in cui aveva riempito le file di un corteo militare, aveva scorto su un ramo una coppia di passeri nell'atto di proteggersi a vicenda dalla pioggia. La presa dell'inquisitore le ricordò la stessa scena, la stessa delicatezza.

“Piano.” Sussurrò, staccandosi da lei. “Resta immobile e ascolta. Fa' quello che ti viene chiesto.”

Annuì, mentre il metallo cesellato vibrava sotto il suo pugno. Venne ad aprire un uomo piacente, un bretone dalla fronte ampia e il sorriso sempre dipinto sul volto. Intravedeva dallo spiraglio una casacca colorata, meno eccentrica dell'abito descritto dalla squadriglia Thalmor che commentava l'arrivo di un bislacco buffone e di una dunmer altera.

“È qui.” Fu la spiegazione spiccia. “Elanil in pubblico, Elanilde in privato. Aiutatela a migliorare, e verrete ricompensati.”

“Come d'accordo?” Sussurrò il commediante.

“Sì.” Rispose Ondolemar, criptico.

“Vieni, la Signora ti aspetta.”

Strisciò via, lasciandola davanti al portone socchiuso. Il corridoio era un crepaccio, o una grotta umida in cui non filtrava mai la luce. Aspirò polvere, un pesante lezzo di teloni ammuffiti, gli acri accenni di una candela di sego. La tenuta sotterranea le risultava opprimente quanto la camera sepolcrale poco distante, ma quello stambugio superava davvero ogni limite. Un'ospitalità cordiale, quella che lo Jarl offriva ai suoi benefattori.

Si aspettava una messinscena, trucchi da artisti girovaghi per impressionarla. Invece, la sacerdotessa sedeva di profilo, al centro del letto, con le gambe distese di lungo e le caviglie accavallate. Teneva gli occhi socchiusi, puntava dritto a terra e rivide in lei la stessa ansia, la stessa incertezza. Meditava in silenzio, con le dita intrecciate. Già, si sentiva messa alla prova.

“C'è una sola sedia, ma non preoccuparti, puoi prenderla. Sam può anche farne a meno, è lui a tenere in piedi tutto, quindi non gli spiace stare alzato.” Trovò la battuta priva di spirito, ma il servo non fece una piega. Le ricordò la prima visita all'ambasciata, quando la divorava ancora la curiosità di partecipare alle cene più ambite della nobiltà Thalmor a Skyrim. Le aspettative vennero presto deluse alla visione dell'austero maniero, sepolto tra la neve e spazzato da continue tormente. Si ritrovò a rimpiangere Markarth: le piaceva la città, era lì che sentiva odore di famiglia, non lassù. Non potendo girovagare in giardino, s'accontentò di ascoltare Elenwen, Ondolemar e i soldati mentre faceva da coppiere. Erano continui sospetti, congiure. Dubitavano degli Jarl, del generale Tullius, avevano spie ovunque.

Persino l'amicizia veniva meno, eppure Elenwen era convinta di riconoscere un vero alleato da un compiacente adulatore. Bastava indossare gli abiti della simulazione e fingere, subissare di saggezza spicciola e battute di bassa lega il malcapitato. Se questo falliva l'esame, lodando anche la peggiore assurdità, di sicuro avrebbe fatto lo stesso con chi gli avrebbe garantito una maggior guadagno.

Almeno è sincero. Pensò Elanilde.

“Avrai fame.” Aggiunse lei, porgendole un piatto di leccornie. “Preferisci la mela caramellata o gli involtini alla cannella? Ti prego, se prendi i dolci al mirtillo, lasciamene almeno uno, li adoro!”

Era basita da tanta cordialità, notava comunque un leggero nervosismo. È perché non posso dirle nemmeno una parola, si maledisse l'elfa alta, mordendosi un labbro. Fissava il pavimento, interdetta; tormentando le dita in preda all'agitazione. Un silenzio spettrale riempì la stretta anticamera e il giullare, piuttosto che sfruttare i suoi talenti, decise di darsela a gambe, dopo un seducente occhiolino.

Di certo persone simili non avevano una vita normale, ma Elanilde trovò inquietante il modo in cui lo sguardo della sacerdotessa mutò, passando dall'apatia allo stupore.

“Ah, aspettavi il momento giusto?” Sbottò senza un motivo apparente. Il bretone saltellò verso la porta e se la filò, fischiettando allegramente. “Perché ho deciso di darti corda, quel giorno? Così ci penso due volte prima di lamentarmi ancora, facile a dirsi per te che sei allenato. Pretendi di farla franca in questo modo? Giuro che un giorno io, io...”

Déi, cosa ho fatto di male per mischiarmi coi seguaci dei Daedra? Elanilde si ritrasse in se stessa, desiderando sparire. Dopo il danno, la beffa. Disprezzo le voluttà, Sanguine, le passioni che mi hanno ridotta a questo. Ogmund... adesso ho capito. Mi ha lasciato qui perché è impegnato a sbarazzarsi di lui, questa donna è un'altra vittima, però...

“Non è colpa sua.” Ribatté Dorisa, annullando altre insinuazioni. “Il mio signore ama paradossi e intrallazzi, ma non è mai crudele. Non priva della vita uomini e mer, a cui è affezionato! Cosa ti fa pensare che sia lui, e non la maledizione di un altro divino, ad aver agito sul tuo destino? Lui, che vorrebbe il Mundus gaudente, spensierato, sempre a cimentarsi in imprese ardimentose? Dimmelo!”

Il finto elfo impallidì, ritto sulla sedia.

Tu... puoi sentirmi.

“Eh?” Era vero. Dorisa stentava a crederci.

Sì, puoi sentirmi. È... è strano. Dopo anni qualcuno mi ascolta. Pensavo che non sarebbe più successo.

Elanilde aveva le lacrime agli occhi. Non avrebbe saputo spiegare la sensazione che provava, dentro di lei balenò la speranza. Rimpiangeva di essere stata tanto impulsiva, mentre la dunmer – incredula quanto lei – inclinò il volto a bocca aperta.

“Sanguine.” Minimizzò, scrollando la testa. “È stato molto magnanimo e mi ha concesso parte delle sue facoltà. Davvero gentile, mi toccherà ringraziarlo.”

Ti devo delle scuse. Lo scudiero si fece indietro, ritirandosi verso il muro crepato. Sono arrabbiata, e voi non avete colpa. Così arrabbiata con tutto e tutti da non distinguere più con chi valga la pena prendersela. Devi aiutarmi, il mio amico è in pericolo. Conosco bene Ondolemar, ha avuto una buona scuola e quindi non si pone troppi scrupoli ad eliminare chi non gli va a genio. Sa che Ogmund è un seguace di Talos...

“Ogmund?” Molti nodi stavano venendo al pettine.

Sì, Skald e bardo della locanda. Forse lo avrete sentito suonare, se vi è capitato d'andare. Ero solita farlo anch'io, quando Ondolemar mi concedeva d'uscire la sera. Vederlo cantare mi ricordava il passato, e... credo che abbia notato. La nostalgia è difficile da nascondere.

“Sembra un uomo discreto, non riesco a figurarmi come i Thalmor lo abbiano colto alla sprovvista, mentre venerava Talos. Di solito, sono i ribelli ad esser catturati, non le persone che continuano ad onorarlo con culti privati...”

Elanilde le raccontò in breve cosa era successo quella notte, al tempio.

“Questo cambia le cose.” Si toccò il mento con le dita di una mano. “Sanguine considera la dimensione mortale una reggia... una reggia dove organizzare banchetti. Non tollera l'infelicità e soprattutto, non ama che durante uno dei suoi scherzi qualcuno venga ferito sul serio. Se catturare Ogmund significa provocarne la morte, è anche compito mio difenderlo.”

Dunque l'ha fatto. Il pensiero di Elanilde si sovrappose a tali deduzioni. Vi ha chiesto di ucciderlo.

“No, sarebbe stato troppo prevedibile. Gradiva un incentivo, piuttosto, per poterlo giudicare ufficialmente di fronte alle autorità.”

E lo lasceranno fare. Sono sorpresa del fatto che i nord tollerino tante ingerenze alla loro sovranità territoriale, con l'Impero a spalleggiarli solo per salvare il salvabile. Se non sarà Skyrim a insorgere, lo farà Cyrodiil presto o tardi. C'è sempre una scheggia d'orgoglio in un animo oppresso.

“Non vieni da Summerset, allora? Appartieni a queste terre quanto me e capita di sentirmi fuori luogo, anche... per altre cose”.

Elanilde scavò a fondo, recuperando del vecchio metallo. Lo stesso materiale di scarto che nessuno avrebbe voluto, su cui nessuno avrebbe scommesso un septim, per forgiare una nuova arma. Tagliente, letale.

Se è vero che il tuo Padrone disprezza l'omicidio degli innocenti, aiutami. Metto in ballo me stessa, se sono qui c'è un motivo. Rise. Ogmund non è giovane, ma non tollero affatto che una vita gloriosa si spenga per un capriccio egoista, un'accusa deplorevole. È capitato in passato e non succederà più, ora che ho l'occasione per reagire. Sì, lo accetterò come amante, è per questo che mi ha lasciata vivere. Perciò, vivrà anche Ogmund.

“Sei coraggiosa.” Non era da tutti mettere le esigenze di qualcuno prima delle proprie. Dorisa ammirava la lealtà della presunta allieva, benché odiasse farle torto. C'era tempo, sicuro... tempo per ideare una strategia. Banale, scontata, poteva comunque funzionare. All'improvviso le rimbombò dentro la voce di Sam: non puoi affermare di rubare, se non sai cosa e a chi rubi. In tal caso, sapeva di barare e che stessero conducendo un brutto gioco alle sue spalle. Si ripresentava lo stesso dilemma: per promesse ed affari assurdi era meglio rivolgersi a Clavicus Vile, tuttavia non lo avrebbe scomodato per così poco, quel guazzabuglio poteva affrontarlo da sola. “Il punto è questo... far sì che tutti siano convinti di aver ottenuto quel che cercano. Credo di avere una soluzione, sperando... di trovare il mio Padrone ben disposto. Una domanda... perché ti fidi di me?”

Non ho scelta. Sorrise Elanilde, in un raro impeto di sicurezza. Non pretendo di aver ragione, ma c'è una linea sottile. Un male oscuro e ancestrale sembra avvolgere la città, non lo senti? Se sono qui, non è per caso. Vale lo stesso per Ondolemar... mi sono ritrovata a sognarlo, la scorsa notte. Era un ragazzo... diverso. Se tutto tornasse com'era, se fossimo felici entrambi... Sarebbe perfetto. C'è ancora spazio per i sogni, considero il mio un presagio. Capire qual è stata la fonte della delusione, del rancore. Annullarlo... per sconfiggere il male celato dietro di esso.

“Purtroppo, non esistono trincee, solo zone d'ombra. Questo umano mi appartiene, questo è tuo... non ragionano così, e l'ho compreso per caso.” Dorisa si fermò, non trovava le parole per esprimere concetti tanto astratti. L'unica prova inequivocabile era l'esperienza diretta. “Ci consacriamo a Talos, a Mara, ad Azura. Poi spunta fuori qualcuno che ci ha puntati dalla nascita. La battaglia è su più fronti, sarà paradossale a dirsi, ma siamo noi a decidere. Siamo noi la zona d'ombra... è per questo che mortali, Aedra e Daedra... si temono a vicenda.”

Elanilde l'ascoltava, del tutto avvinta.

“Va bene.” Sdrammatizzò la sacerdotessa, sfilandosi il corpetto. “Mi spiace cambiare argomento così bruscamente, è bene comunque che svolga il mio compito... ovvero, cercare di illustrare a parole tutto ciò che il Signore mi ha elargito di prima mano.”

Cosa significa... di prima mano? Trillò Elan, come un campanello d'emergenza.

“Nient'altro quello che vuol dire. Sono la portavoce di Sanguine, quindi... aspettati degli scambi non solo verbali. Sai, sei fortunata... l'amore è fatto anche di gesti, a volte contano più delle parole. Qui abbiamo di fronte un tipo raffinato, allora fa' così... vuoi sedurlo? Sfila prima il giustacuore e mostrati in camicia. Dimentica di fasciarti il petto. Inventa una scusa... un modo semplice per mostrarti sicura seppur compiacente. Un messaggio comprensibile anche a un draugr in una cripta. Ecco come si resuscitano i morti, certi negromanti hanno ancora molta strada da fare.”

L'elfa scoppiò a ridere.

Sai, Signora.

“Dorisa, è meglio.”

Dorisa. Esitò Elanilde. Sono curiosa... avverti i miei pensieri. E dopo tutto questo tempo, credo che tante cose siano cambiate, anche la mia voce. Perciò ti chiedo... potresti descrivermela? Perché riesco a farmi udire da te, ma non a sentirla.

La maga fece del suo meglio, nonostante la paura d'illuderla.

“È pastosa, calda... fluida. Mutevole, posso avvertire l'odio, la tenerezza, il risentimento. Peccato che sia rimasta muta tanto a lungo.”

Potrò parlare di nuovo? Chiese, con l'entusiasmo che le luccicava negli occhi.

“Forse.” Si tirò su le maniche della camicia, scoprendo l'intrico di rose, i tralci di vite e i fiori sulla pelle grigiastra. “Per ora, limitiamoci a trovare un modo per irretirlo.”

Tra gli arzigogolati disegni sul braccio, spiccava un'ombra intravista in precedenza. Elanilde impiegò qualche minuto per elaborare la simiglianza, per identificare il perché della sua ossessione. Magari era l'origine arcana dei tatuaggi, la loro eccentricità o... un legame. Sì, riconosceva una presenza nota, con un calice baldanzosamente cinto tra le dita.

L'idolo cornuto. Sanguine era lì per darle un monito nel sogno, accanto a Mara, la nemesi. Oppure, le indicava la strada da seguire. Compassione attraverso la lussuria? No, assurdo. Si lambiccò, risalendo a ogni possibile interpretazione su cosa presiedesse Sanguine, rendendolo una presenza importante nella sua vita, allo stesso livello di Mara. Una premonizione... impossibile.

Era impaurita, allo stesso tempo eccitata. Fremeva, poiché non s'aspettava la diversione... l'eventualità di vivere una vita normale, come le famose signorine della locanda.

Mise da parte i dubbi e aprì bene le orecchie.

 

 

“Polvere di steeeelleeeee...”

Se l'era filata proprio nel momento più opportuno, piantando la sua ancella preferita e la piccola altmer a disquisire su crucci amorosi. Aveva ben altro da fare, ed era giusto che i cittadini di Markarth tollerassero per il bene comune. La faccia di Dorisa al suo repentino colpo di testa era stata impagabile.

Devo andare, bambina mia. Le aveva spiegato. Ti do una solenne investitura, più preziosa di quella dello Jarl e del suo pulcioso scudo, cianfrusaglie da mettere a lucido con un vecchio straccio e sonore sputacchiate. Me ne vado, è il momento opportuno perché tu comprenda cosa si prova ad essere il sublime, magnifico e inarrivabile Sanguine, un portento che scruta le menti mortali trapassandole parte a parte.

“Ah, aspettavi il momento giusto?” Oh, no... era l'inizio della tiritera. Se fosse stata più saggia, lo avrebbe ringraziato, anziché abbaiargli contro. Come i cani accucciati fuori la residenza dello Jarl: presero a guaire proprio mentre lui si stava accingendo a cantare la strofa principale della sua nuova composizione.

“Polvere di steeeelleeeee... sulle tue mammelleeeeee!”

“Piantala, screanzato!” Urlò una donna di mezz'età, paffuta e tarchiata, urtata per lo sdegno.

“È tutta per te, tesoro!” Fece di rimando Sam, con una bottiglia di vino in mano. “Le tue sono stupende!”

Persino i mendicanti andarono a nascondersi nei sotterranei, temendo di essere associati a quel trambusto.

Nel bel mezzo di un acuto sgraziato udì un fragore proveniente dalle balconate superiori. Una massa liquida maleodorante e viscida per poco non gli era piombata addosso, era riuscito a schivarla contando esclusivamente sull'abilità – che lì aveva acquisito – di saltellare gli scalini due per volta.

“Siete delle frigide ingrate!” Sbraitò Sam, portandosi la bottiglia alle labbra. “Solo dei bifolchi come voi potevano convertire inestimabili vasi dwemer in volgari pitali! Puah. Non è tutto oro ciò che luccica!”

“La cosa peggiore che Igmund potesse concepire era farli Thane, a quei due.” Ebbe da ridire Bothela la strega, il che rendeva la scena ancor più bizzarra. Le guardie avevano le mani legate, aspettarono che entrasse nella locanda dei Sangue d'Argento, da lì in poi sarebbero stati affari loro. Tanto, quel covo era pieno zeppo di gente abile a menar le mani. Lo avrebbero messo a posto per benino, eccome.

Era proprio bello tornare alle vecchie passioni; vino, canti goliardici e donnette reticenti.

“Polvere di steeeeelleeeee...” Esordì ancora. Kleppr, ormai abituato ad esser invaso da un momento all'altro, aveva perso la cattiva abitudine di sobbalzare per qualunque amenità gli passasse per le cervella.

“Dagli il solito.” Sbottò a Frabbi. “Mettici dentro abbastanza lavanda da fare in modo che dorma per una settimana. E se lo vedo allungare le mani verso Hroki, anche solo una volta, giuro che gli spezzo i polsi e pure la schiena... così dormirà per un mese intero.”

“È questo il tuo bardo, oste?” Azzardò un legionario bretone, storcendo il naso. “Bravo questo tizio lo è, senza dubbio. A spaventare le galline nel tuo pollaio.”

“Soprattutto le pollastrelle.” Concluse Sam, piroettando a vuoto e accasciandosi su una sedia.

“Che gli Otto mi risparmino una tale disgrazia!” Fu con quell'invocazione del padrone di casa che terminò la follia di Sam, piegato su un tavolo... con una tazza d'infuso davanti e il collo della bottiglia ancora stretto. Il giullare osservò il pubblico imbambolato: oltre ai beoni della prima ora, un manipolo di soldati dell'Impero convenuti dai rispettivi accampamenti a Skyrim. Uno di essi si era risolto a non concedergli la minima attenzione: un volto grigio, orbite profonde e una cicatrice simile ad un sentiero sterrato che portava dal sopracciglio destro fino a metà guancia. Ligio nella disciplina e composto nei modi, con un boccale di succo di mirtilli dietro le dita intrecciate.

“Torna a Winterhold, Sevan.” Il bretone prese le redini di un discorso lasciato a metà prima della sua irruzione. “La regione ha bisogno di costante vigilanza. Per quanto potrei azzardare, i Manto della Tempesta non avrebbero remore neanche ad insediarsi in un vecchio cimitero ghiacciato.”

“È in buone mani, l'assenza peserà poco.” Il militare dunmer giocherellò a far girare la tazza su se stessa, spingendo il manico con un dito per farla danzare sul tavolo spoglio. “C'è un mucchio di macerie e qualche abitazione rimasta in piedi da sorvegliare. Lì mi ha condotto Azura: la chiave per cambiare il futuro è tornare indietro e rimediare agli sbagli. Una mano serve qui, Emmanuel... ben venga se riesco a raccattare qualche recluta in questa roccaforte.”

“I Sangue d'argento te lo impediranno, serve manodopera.” Un ringhio rese più truce la mascella barbuta e il naso contuso, messi in risalto dal capo rasato militaresco. “Risparmierò ai miei uomini morte certa, abbiamo ben altre priorità. Guardali, adesso stanno qui e si godono una pinta in santa pace. Solo agli Déi è concesso sapere cosa troveranno sulla strada, e persisti nel vano tentativo di far pace con te stesso. Combattono per sopravvivere e dar da mangiare alle famiglie.”

“Raggiungerò la pace quando conoscerò il destino di mia sorella.” Obiettò Sevan, meditando. “Perlustrerò gli abissi di Markarth per accertarmi che sia viva, e semmai le fosse accaduto il peggio, ne brucerò il corpo per darle la pace meritata. Questo chiede la mia, di famiglia, null'altro.”

“Non esistono morti di prim'ordine, ma cadaveri sconosciuti.” Emmanuel scosse il capo. “Tieni, ne ho fatto riprodurre un paio dallo scrivano qui al Reach... insegne pubblicitarie. Spero che si presenteranno meno sfaccendati del previsto, altrimenti sarò nei guai.”

“Ti devo un favore, amico”. Sevan sorrideva di rado. Quando accadeva, un barlume di pietà si accendeva nell'animo impassibile di Emmanuel.

“Voglio vederti saldo, con la spina dorsale intera a reggere quella brutta zucca che ti ritrovi come testa.” Lo apostrofò scherzando, dandogli una pacca sulla nuca. Il collega accennò persino una risata.

“Stavolta non mancherò l'obiettivo. Conta poco quanto tempo impiegherò a cercare degli alleati disposti a calarsi nel baratro. Ho pregato ogni notte, interpretato i segni... è qui chi sto cercando. Basta individuarlo.”

Di certo, non tra quegli opportunisti approfittatori. Aveva scandagliato la verità sfuggente, separato gli artifici fantastici dal messaggio inciso nei simboli. Doveva rimanere se stesso, non lasciarsi condizionare, seguire la guida di Azura. La luce della regina degli astri, fuoco di stelle, furore di sole, a dargli sostentamento nella giusta vendetta e non crollare.

Detestava la fortezza, immersa in una palude di escrementi e foglie putride. Anche dai cubicoli in cima, arieggiati e lontani dai fumi delle fonderie, permaneva il lezzo della decomposizione, se non di carne umana. Da ragazzo, probabilmente, avrebbe evitato di farsi carico di questioni estranee a qualunque forma di vanagloria, e mai più, aveva giurato. Mai più sarebbe accaduto.

Con indolente indifferenza abbracciò la pila di foglietti e si mise all'opera, andando a caccia della fortuna mentre gli altri tornavano alle tende. Scovò un chiodo allentato sulla parete accanto all'ingresso, grosso al punto giusto per sigillare una bara. Ironico, pensò – del tutto inutile. Orfano di quadri, di mantelle, di messaggi di benvenuto per illustrare agli avventori il menù del giorno. Puntato nella feritoia del muro, inosservato, nella pietra più dura di Skyrim. Scostò una sedia vuota, proprio accanto a Sam, che consumava la sbornia in un russare sommesso.

Kleppr lo tollerò a malapena, proseguendo intanto la solita, stizzosa lucidatura delle stoviglie. Un'abitudine a cui s'appigliava per impotenza. Gli faceva comodo, del resto. Ci avrebbe pensato qualcun altro, secondo l'usanza di Markarth. Un gioco di occhiatacce, di limiti invalicabili.

“Ehi, cosa intendi fare?” Gli avambracci muscolosi gli arrivavano all'altezza del petto, e un viso squadrato, risoluto, incrinava le linee del tatuaggio dipinto su una tempia. “Mi pagano per mantenere l'ordine. Tu e la tua roba, fuori da qui... e se non vuoi saperne, accetta il mio consiglio. Non ti immischiare nelle faccende di Markarth. Questa città appartiene ai suoi abitanti e a nessun altro.”

La testa del chiodo bucò il volantino, lentamente. Con altrettanta lentezza Sevan voltò le iridi purpuree verso l'energumeno, rimanendo dov'era.

Avvenne tutto in una manciata di brevi secondi.

Il mercenario non sfilò il volantino dal chiodo, non ne avrebbe ricavato soddisfazione. Preferì, piuttosto, infierire e sbrindellare la carta in minuscole foglie d'acero, tale appariva in mezzo alle fiamme mentre essa si consumava in cenere. Sevan sorbì l'ultimo sorso della bevanda al proprio tavolo e gli s'avvicinò per ricambiare la cortesia, allo stesso modo, a braccia conserte.

“Ti avevo avvisato.” Ghignò il mercenario, convinto d'averlo ferito. Fu lui a cadere a terra.

Sevan gli si lanciò addosso, in un balzo lupesco. Le nocche, schermate dall'acciaio, vibravano sulle guance pallide un pugno, un altro, ancora uno. Il gigante lo strinse per la cintola e provò a catapultarlo verso l'ingresso, accanto al tavolo dove Sam era appisolato – invano. Si accontentò di fiaccarlo con una poderosa spallata, il legionario crollò a terra e il bancone, i tavoli, traballarono rintoccando all'unisono.

“Per la barba di Shor, adesso basta. Date fine a questa pagliacciata!” Sevan riprese il controllo, torno a caricare l'avversario che per poco non divenne una torcia umana, capitombolando nel caminetto. Si rimise in piedi e allungò quei pali che si ritrovava al posto delle braccia in direzione degli spallacci lucidi dell'elfo. Il soldato schivò un manrovescio, poi il Nord ebbe un'idea. Sfilò la bottiglia dalle mani di Sam e cominciò a brandirla minacciosamente. Fu solo in quel momento che il giullare si svegliò.

“Ridammi il mio vino, manigoldo, il vino dei fratelli Surilie! Questo imperiale ha ragione da vendere, Cyrodiil coi suoi vigneti vi dà il benservito!”

“Fosse solo per il vino!”

Sferrò un poderoso dritto prima in petto, poi si divertì a conficcare la guardia ondulata dei guanti proprio sopra al tatuaggio, marchiandolo per una seconda volta.

“Farò rapporto allo Jarl!” Piagnucolava, coprendosi le labbra grondanti di sangue.

“Oh, sì. Vai pure a lamentarti, se ci tieni tanto a finire nelle miniere. Ricorda chi comanda davvero la città.”

Il bestione sputò a terra e svanì dalla circolazione. Non lo avrebbero rivisto per giorni.

“Alla tua salute, amico!” Esultò Sam, la bottiglia ormai vuota e il vino rovesciato sul basolato, col rosso altrettanto vivo del sangue.

“Alla tua salute.” Contraccambiò Sevan, aggiustandosi la gorgiera.

“Quel tipo non mi è stato mai simpatico.” Biascicò, cingendogli le spalle col braccio libero. “Una testa calda. Quando provo a intonare una nuova ballata... mi viene sempre a zittire mostrando le zanne bianche. Non avrò più da temere, da oggi sei mio amico, e riderò della grossa, qualora mi capitasse di incrociare ancora il suo brutto muso. Allora... cosa facciamo stanotte?”

“Sono in servizio.” Lo dissuase, rimettendo a posto le sedie e i boccali di peltro finiti a terra. Hroki, rassegnata, stava già bagnando un canovaccio.

“Ah, è il minimo che possa fare, per un favore eccellente. Conosci il detto, no? Il nemico del mio nemico è mio amico. Dunque, d'ora in poi ho deciso di far bisboccia con te. Hmm... come ti chiami?”

Il dunmer aggrottò la fronte. “Sevan. Sevan Telendas, legato di Winterhold.”

“Vieni, ti porto dalla padrona.” Ridacchiò Sam, barcollando verso l'uscita. “Visiterai lo Jarl, suppongo. Va bene, ti raccomanderò di persona. Mi conoscono tutti oramai, qui a Markarth. Sono un apprezzato giullare, non lo sai?”

“Dubito che qualcuno ignori tanta fama, messere.” Si cautelò il militare, provando a scrollarselo di dosso.

“Prima, però, devo saldare i conti con qualcuno... un semplice avvertimento.” Saltellò verso un portone coperto di tralci d'edera e vecchie corone di bacche. Era il degno benvenuto di una dimora incassata dietro due colonne austere, che facevano da cornice a una distesa di bronzo ossidato. Da parecchio qualcuno non vi ci metteva piede, e l'ultimo visitatore – poteva giurarlo – era stato proprio lui.

“Polvere di steeeeelleeeee...” Che folle sprovveduto. Non immaginava affatto il guaio in cui si stava cacciando. “Polvere di steeeelleeeee... Ah, vecchio mio. Tu solo soletto, al buio, io alla luce del sole. Donne, festini, tanto buon cibo! Rosicchia le ossa, brutto idiota. Hai i giorni contati, contro di me non puoi niente. Nel frattempo... Polvere di steeeeelleeeee, sulle tue mammeeeelleeee...”

Cosa recita il detto... il nemico del mio nemico è mio amico, giusto? Faticava a trovare un alleato altrettanto stravagante, gli doveva però una bottiglia di vino. L'ennesimo segno, seppure auspicasse un esito diverso. Dopotutto, la natura dei portenti era sempre stata, dagli albori del Mundus, estranea al volgo.

E va bene, mostrami la strada. Convenne Sevan, procedendo compìto verso la rocca.

 



Credo che questo sia stato uno dei capitoli più difficili che abbia scritto. Dovrebbe rispecchiare le idee di base, le riflessioni che mi hanno portato a sviluppare la serie Daedric Maidens per quella che è. Diciamo che questo capitolo parte con due svantaggi: è un attimo di transizione, serve a legare non solo la presenza di Sanguine nella vita di Elanilde, ma anche gli eventi delle vicissitudini di Sevan e della sorella Varasa. Se avete letto Il sonno della belva, avrete intuito di cosa sto parlando. Un altro problema è stato il ripetersi di ulteriori dialoghi. Per evitare l'effetto noia, ho cercato di inserire scene divertenti e presunti colpi di scena. Non sono sicura che lo siano. :)

Siccome sembra tutto abbastanza statico, sono le transizioni ad esser veloci. Di argomenti, di sensazioni. Spezzare un dialogo drammatico è logico anche nella realtà, soprattutto se non porta a nulla o evita di svelare troppe cose anzitempo. Ho corretto degli errori nello scorso capitolo, gli occhi di Ondolemar non sono grigi, ma verdi. Be', può essere importante. A presto! :D

  
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