Sono un pò emozionata nel pubblicare finalmente l'ultimo capitolo della mia prima fanfiction sulla mia saga cinematografica preferita!Ringrazio tutti i lettori e in particolare, come sempre, stellysisley e summerbest che hanno commentato gli ultimi capitoli. Nove capitoli non sono molti ma temevo di diventare ripetitiva e poi ho in mente altre storie (stavolta con Jack). Vi anticipo che ho voluto lasciare in sospeso Will e Liz perché è così che li troviamo all'inizio del terzo film. Che altro dire?Spero che vi piaccia, se volete chiedermi qualcosa che non vi è chiaro potete contattarmi. Buona lettura e a presto!
Capitolo 9: La meta è vicina
Sebbene
il luogotenente avesse infine rinunciato ad opprimerli, dopo che
Barbossa aveva sfruttato la sua paura per Jack facendolo tacere o
parlare a suo piacimento, i pirati dovevano ben guardarsi dagli altri
uomini della Ibis, questo il nome della nave su cui avevano trovato
posto. Essi, infatti, apparivano decisamente più pericolosi
e meno
facili da controllare; sempre armati di tutto punto, alcuni di loro
avevano le lame delle spade ancora sporche del sangue dei nemici
affrontati in passato che si era incrostato, e ne facevano motivo di
vanto.
Perciò
la possibilità di muoversi sopra o sotto coperta fu per i
passeggeri
limitata, in particolare dovettero fare parecchia attenzione a non
lasciare che essi notassero le donne.
Will
ed Elizabeth, loro malgrado, erano stati costretti a dividere la
stessa cabina e, sentendosi a disagio, si erano accordati, pur senza
parlarne esplicitamente, a passarvi meno tempo possibile insieme.
Perciò Will stava sopra coperta soprattutto di giorno mentre
Elizabeth restava qualche ora sul ponte di notte, quando c'erano meno
uomini e minor luce a permettere di distinguere i suoi tratti. Anche
Tia Dalma usciva fuori dalla sua cabina con l'oscurità e
sempre
accompagnata da Barbossa, il quale si accordava anticipatamente con
il luogotenente, ormai suo alleato, per evitare guai.
Una
sera, a metà del viaggio, dopo aver cenato con gli altri,
Will tornò
nella sua cabina e , filando direttamente verso la branda, non
notò
subito che non era solo. Rigirandosi dopo qualche minuto la vide di
spalle, stesa sul letto su un fianco: - Non esci stasera?
Elizabeth
si voltò verso di lui sollevandosi leggermente dal cuscino e
scosse
la testa senza guardarlo.
-
Almeno hai mangiato? - trascorsi alcuni secondi le domandò,
tanto
per parlare.
-
Mi ha portato qualcosa Gibbs, poco fa – lo informò
lei restando
poi in silenzio. Will si mise supino, le braccia incrociate dietro la
testa, le orecchie tese ad ascoltare il rumore del mare e i mille
scricchiolii del legno della nave.
-
Stavano per scoprirmi e sono tornata qui – proruppe lei tutto
d'un
fiato. Lui si alzò di scatto mettendosi seduto e per poco
non cadde
a terra: - Ne sei sicura? - le chiese preoccupato. La ragazza
annuì,
poi, piantando gli occhi sul soffitto, spiegò: -
Continuavano a
guardarmi e girarmi intorno e... - non finì di parlare che
udirono
dei pugni battere con irruenza sulla porta.
-
C'è qualcuno qui? - domandò una voce roca. I due
ragazzi si
guardarono l'un l'altro, non sapevano se o cosa rispondere,
così
restarono muti. L'uomo tornò a ripetere la domanda
affiancato da un
altro.
-
Sì!Ci sono io, Turner! - rispose Will a quel punto, temendo
che se
continuavano a tacere quelli avrebbero aperto la porta. Ma non
servì.
-
Possiamo entrare? - chiese quello di prima. Elizabeth si
alzò
silenziosamente da letto e andò ad appoggiarsi alla parete
opposta
all'entrata della cabina, che era talmente spoglia da non offrire
alcun tipo di nascondiglio.
-
Veramente...non sono presentabile! - temporeggio il ragazzo sempre
più in preda al panico e la fidanzata lo guardò
storto mentre
indossava la giacca e nascondeva i capelli, annodandoli, sotto il
cappello.
-
Siamo tutti uomini...o no? - dissero i due marinai dall'esterno con
maggiore sospetto facendo sentire distintamente il sibilo delle lame
estratte dal fodero metallico. Elizabeth istintivamente si
portò
tutte e due le mani alla gola: - Io...Will...io –
cominciò a
singhiozzare; se dovevano proprio morire così voleva dirgli
tutta la
verità che si era tenuta dentro.
-
Non importa – la liquidò il fidanzato con
freddezza senza neppure
guardarla, e impugnò con entrambe le mani la spada tenendola
ben
dritta davanti a sé. Quelli continuavano a parlare nella
loro lingua
aumentando l'agitazione dei reclusi.
Intanto
nello stesso corridoio capitarono per caso Gibbs, Pintel e Ragetti e
notarono i due uomini che, con le scimitarre e facce che facevano
intuire le loro cattive intenzioni, stavano dietro la porta di quella
cabina.
-
Ma non è lì che stanno Will e Miss Elizabeth? -
esclamò Gibbs con
inquietudine, i due pirati abbassarono la testa e fecero per
andarsene: - Ho l'impressione che siano in pericolo. Dobbiamo
aiutarli! - affermò il buon marinaio mettendo le mani avanti
per
bloccare i compari. Pintel fece una smorfia e sbuffò
rivolgendosi
all'amico: - Ragetti: buttaci un occhio!
-
Preferisco non guardare! - replicò quello cercando ancora di
svignarsela.
-
Quello finto, stupido! - lo rimproverò il compare dandogli
un
ceffone talmente forte da farglielo staccare. La sfera di legno
rotolò fino ai piedi dei due minacciosi uomini armati e uno
di loro
gridò: - Una bomba!
Ragetti
si precipitò a raccogliere quell'oggetto, apparentemente
inutile ma
per lui prezioso, difendendolo dai piedi dei due marinai che
tentavano di calciarlo lontano credendo si trattasse di un ordigno: -
È il mio occhio di legno! - ripeteva ad alta voce camminando
carponi. Finalmente i due uomini si tranquillizzarono:
-
Che schifo! - disse uno – Di vetro è meglio!
-
Come lo hai perso? - gli chiese l'altro.
-
Incidenti del mestiere – si schernì il pirata
mentre provava a
rimetterlo.
Gibbs
capì che era il momento buono per liberare i ragazzi e,
incoraggiando Pintel ad unirsi al compare nell'imprevista
chiacchierata, cercò di avvicinarsi alla porta della cabina
in cui
Will ed Elizabeth erano rimasti bloccati.
-
Io la prima volta che ho usato fucile mi sono sparato piede e ho
perso tre dita. Guarda! - rivelò uno togliendosi lo
stivaletto.
-
A me hanno tagliato orecchio con sciabolata –
mostrò loro l'altro.
A distrarre i due marinai della Ibis contribuì pure l'arrivo
della
scimmietta maledetta che rubò prontamente l'occhio al suo
proprietario costringendo gli altri a rincorrerla.
Assicuratosi
che nessuno lo vedesse, Gibbs abbassò la maniglia ed
entrò
nell'alloggio dove i due giovani lo accolsero con sollievo.
-
Grazie, signor Gibbs! - esclamò Elizabeth andandogli
incontro quasi
abbracciandolo.
La
reazione di Will fu meno affettuosa: - Non era “chi indietro
rimane
indietro viene lasciato”? - lo interrogò con
scetticismo quando la
fidanzata non poté sentirlo.
-
Non è che dobbiamo rispettarlo sempre – fu la
replica dell'uomo
accompagnata da un sorriso e il giovane sentì una fitta allo
stomaco: forse aveva fatto male a tradirli, ma senz'altro non tutti
erano come quel mite uomo di mare. Ed ebbe modo di constatarlo subito
dopo, quando sul ponte assistette ad un a scenata di Barbossa, senza
comprenderne il vero motivo: - Jack mi ha portato questo –
inveì
contro Ragetti porgendogli l'occhio di legno.
-
Mi dispiace, capitano. Io ... - balbettò quello cercando di
scusarsi
dopo averlo rimesso a posto, ma il filibustiere gli prese una mano e
gliela torse al contrario, rimandandolo poi sotto con un calcio e
ridendo di gusto.
Appoggiato
con la schiena al parapetto, lo sguardo fisso ma non verso qualcosa
di presente, naufragato in quel mare di pensieri, rimorsi, ambizioni,
Will non si era neppure accorto che Elizabeth era al suo fianco e che
lo stava osservando da un po' interrogandosi su quello che potesse
provare mentre continuava a muovere da una mano all'altra il pugnale
di suo padre. Non era stata capace di dirgli neanche una parola a
proposito. L'unica frase che in quel momento le venne in mente fu
“Mi
dispiace”, ma le sembravano parole banali, insufficienti e
soprattutto ipocrite da parte di una che si era comportata
esattamente come Barbossa con Sputafuoco quando aveva condannato Jack
a morire risucchiato dagli abissi. Si voltò a guardare il
mare
grigio appena increspato dal vento restando con i gomiti appoggiati
alla ringhiera del parapetto, la schiena ricurva, la testa china su
quell'acqua nera che si alternava alla schiuma bianca prodotta dal
contatto con lo scafo. Aveva qualcosa di ipnotico, la stava attirando
senza che ne fosse cosciente e il suo sguardo si spingeva sempre
più
giù...
-
Stai bene? - quando le forti braccia di Will la risollevarono le
sembrò di svegliarsi da un incubo. Gli rispose sì
ma il ragazzo
capì che mentiva, poi entrambi furono distratti dalla voce
di
Barbossa che stava discutendo con il comandante, cosa che mai gli
avevano visto fare prima. Colsero solo poche battute:
-
Siete un pirata a tutti gli effetti, dunque? - si informò il
filibustiere.
-
Certo!Io nato Algeri, in mia famiglia tutti grandi corsari –
rispose Nassim portando la mano sinistra al petto.
-
Allora dovete sapere che la canzone è stata cantata
– gli confidò
Barbossa.
Una
violentissima tempesta tropicale nei giorni successivi
impegnò
l'equipaggio della Ibis sul ponte, così essi non poterono
perdere
tempo ad indagare sugli ospiti, sui quali avevano maturato non pochi
sospetti.
Durante
la forzata permanenza sotto coperta Will aveva preferito sostare
nell'alloggio in cui stavano gli altri uomini e Jack, la scimmia, si
era prestata a fare la guardia nel caso Elizabeth avesse avuto
bisogno di aiuto.
Nell'ultimo
giorno di navigazione i pirati erano rimasti tutto il giorno nelle
brande per recuperare il sonno perduto negli ultimi giorni a causa
del maltempo; tutti tranne Barbossa che era rimasto vigile, in attesa
del sospirato arrivo alla meta.
Quando
furono gettate le ancore si precipitò a richiamare la sua
ciurma con
la consueta delicatezza: - Uscite fuori, babbei!Non avete sentito che
siamo arrivati? - sbraitò irrompendo nella stanza. Uno dopo
l'altro
Gibbs, Cotton, Marty, Pintel e Ragetti si sollevarono da quelle
amache e lasciarono l'alloggio. Nel corridoi c'era già Tia
Dalma
che, viso coperto, non nascondeva una certa fretta, e poco dopo
arrivò anche il luogotenente della Ibis: - Svelti
voi!Capitano
ancora dorme, ma presto lui sul ponte! - li ammonì ed essi
si
affrettarono su per le scalette sospinti da Barbossa.
-
Ah, signore – lo bloccò Gibbs parandoglisi davanti
prima che
mettesse piede sul primo scalino – li avete già
chiamati? - gli
domandò ammiccando alla cabina di Elizabeth e Will.
-
Ah, è vero – sbuffò quello –
Andateci voi – gli disse con un
tono di voce che equivaleva ad un ordine indiscutibile, restando ad
aspettarlo sotto il boccaporto. Gibbs con titubanza si diresse verso
l'alloggio ma, una volta davanti alla porta, si fermò con la
mano
appoggiata alla maniglia. Barbossa, avendo notato la sua esitazione,
in pochi secondi lo raggiunse: - Mastro Gibbs, forse non vi
è
chiaro: dobbiamo lasciare il più presto possibile questa
bagnarola!
- lo rimproverò e, senza il minimo scrupolo,
spalancò la porta
annunciando: - Signori: si scende!
Gibbs
gli venne dietro con gli occhi chiusi ripetendo: - Scusate!Scusate il
disturbo!Scusate l'intrusione!
I
due giovani, seppure frastornati, si prepararono subito ad uscire
dalla cabina facendo attenzione a non dimenticare nulla e seguirono i
due pirati.
-
Che avete agli occhi? - chiese Will a Gibbs non cogliendo che l'uomo
tenesse le mani sul viso per ritegno, ritenendo di essere indelicato.
-
È solo che credevo...Niente! - si affrettò a
ribattere quello dopo
aver ricevuto uno schiaffo da Barbossa, il quale lo canzonò:
- Non
sono sposati! - prima di uscire velocemente per unirsi agli altri.
Non era ancora sorto il sole ma la città brulicava comunque
di
gente, lo notarono già mentre percorrevano la scaletta che
li
condusse a terra.
Singapore,
esotica, fumosa, oscura, umida, fatta di mille canali, viuzze,
sottopassaggi, era proprio come la descrivevano se non peggio: una
città senza regole che ospitava uomini violenti e traffici
di ogni
sorta.
-
Direi che questo ostello andrà bene – si
pronunciò Barbossa
quando furono arrivati ad una palazzina di due piani con le pareti
dipinte di giallo e il tetto con le tegole verdi, ad una buona
mezz'ora di cammino dal molo.
-
Come?Non andiamo direttamente da Sao Feng? - domandò
Elizabeth.
-
Ci serve un piano prima di andare da lui, miss – le
comunicò il
capitano.
-
Ma, non era vostro amico? - investigò Will insospettito da
quella
frase ma il filibustiere sorvolò: - Mastro Gibbs, mastro
Turner, se
sareste così gentili da accompagnarmi – li
invitò lanciando una
pesante sacca a Pintel e Ragetti. Elizabeth si fece avanti: - Ho
pronunciato il vostro nome forse? - la voce di Barbossa fu
aguzza come la punta di una sciabola – Restate con gli altri
– le
ordinò mettendo nelle mani di Tia Dalma alcune monete con
cui
avrebbe dovuto pagare le camere. I tre uomini si incamminarono
silenziosamente per le strade che andavano popolandosi sempre di
più.
-
Sao Feng è il pirata nobile di Singapore –
cominciò a parlare
Barbossa sottovoce – Qui ogni cosa gli appartiene e scommetto
che
saprà già che siamo arrivati.
Fatto
ancora qualche passo Gibbs si azzardò a chiedere: - Ma che
stiamo
cercando?
-
Una mappa della città – replicò il
capitano accelerando il passo.
-
Ma questo Sao Feng non era vostro amico? - tornò a
chiedergli Will.
La reazione del pirata fu brusca: - Non pronunciate quel nome! - lo
mise in guardia con la pistola alla mano – Ve l'ho detto che
ha
spie ovunque. Camminate e non fiatate!
Dopo
qualche minuto Barbossa fermò un passante facendogli una
domanda che
né Will né Gibbs capirono:
- Parla il cinese?! - esclamò con
stupore il ragazzo.
-
A quanto pare... - ribatté il pirata ugualmente sbalordito.
Il
capitano chiese informazioni ad altri tre viandanti prima di condurre
i due compagni dentro una strada strettissima in cui non passava
più
di una persona per volta. Arrestatosi davanti ad una casupola
malandata batté le nocche sulla porta scardinata colpendola
una
prima volta, poi con due colpi veloci, infine con un quarto e ultimo
colpo. La porta finalmente si aprì ma non videro subito
l'inquilino
che vi si nascose dietro per poi uscire allo scoperto una volta
riconosciuta la voce di Barbossa. Era un uomo sulla sessantina, alto
e magro, con baffi e barba talmente lunghi da formare un'unica massa
di peli grigi che gli poggiavano sul petto, la testa allungata era
calva e ricoperta di macchie, gli occhi simili a due fessure
orizzontali. Egli si ritirò dietro quello che sembrava un
bancone di
osteria, quale doveva essere quel posto un tempo. Barbossa
scambiò
delle parole con l'uomo, dapprima con tono amichevole dando
l'impressione di conoscerlo da tempo, poi si fece più serio
e anche
il vecchio assunse un'espressione grave; tirò fuori da un
armadietto
alle sue spalle una bottiglia e quattro bicchieri di vetro verde
poggiandoli sul bancone e sparì nel retro del locale. Il
capitano si
servì da bere sorseggiando lentamente il liquido biancastro.
-
Ho proprio bisogno di sciacquarmi la gola! - dichiarò
contento Gibbs
riempendosi il bicchiere fin quasi all'orlo e buttando giù
il
contenuto in un solo sorso, sotto lo sguardo divertito del
filibustiere e quello schifato di Will. Appena finito di inghiottire
cominciò a tossire talmente forte da diventare paonazzo e il
giovane
Turner, preoccupato, gli diede delle forti pacche sulle spalle per
aiutarlo.
-
Era la prima volta che assaggiavate saké? - lo derise
Barbossa.
-
Sì! - rispose a fatica quello con la voce rauca.
L'uomo
dagli occhi a mandorla ricomparve con penna, calamaio e un foglio di
carta ingiallito; appoggiatolo sul banco iniziò a tracciarvi
delle
linee che formarono un reticolo confuso che Barbossa osservò
con
attenzione per poi commentare: - Bè, non è
cambiata molto
dall'ultima volta che sono venuto.
Pronunciò
ancora qualche parola in cinese e l'uomo disegnò una croce e
un
cerchio su due punti non troppo lontani del foglio che il
filibustiere cercò di sottrargli ma quello lo
fermò bacchettandolo
con la penna. Dopo aver inutilmente protestato il pirata gli
offrì
delle monete ma l'orientale oltrepassò il bancone e,
avvicinatosi a
Will, afferrò un lembo della sua casacca di pelle
cominciando a
strattonarlo; il ragazzo sgranò gli occhi restando immobile:
- Vuole
la vostra giacca – gli spiegò Barbossa non potendo
fare a meno di
ridere per l'espressione spaventata del giovane che fu costretto, in
seguito, a cedere al <<cartografo>>
anche la sua cintura e il gilet ricamato. Ottenuta la mappa il maturo
pirata salutò il conoscente e portò in giro
ancora qualche ora gli
altri due compagni in cerca di armi e vestiti. Ad un tratto si
bloccò: - Quello è il tempio della famiglia Feng,
il luogo più
importante della città – commentò
dinanzi ad un edificio
fastosamente decorato con dragoni e altri animali fantastici dipinti
con vari colori.
Dopo
circa un'ora furono di nuovo all'ostello in cui avevano lasciato gli
altri. Elizabeth era rimasta quasi tutto il tempo affacciata ad una
finestra e non appena riconobbe i tre che facevano ritorno corse ad
avvertire gli altri; Barbossa richiamò tutti in una delle
stanze.
Notando
il volto sbigottito con cui la figlia del governatore guardava il
fidanzato, rimasto in pantaloni e camicia, le si rivolse asserendo: -
Capite perché non vi ho fatto venire? - battuta che non
chiarì
affatto lo sbalordimento della fanciulla, ma subito il pirata riprese
la parola: - Ci servono tre cose per raggiungere lo scrigno: una
nave, una ciurma e le carte nautiche. Ora, le prime due le chiederemo
in prestito a Sao Feng, mentre le carte starà a voi
recuperarle dal
tempio – specificò rivolgendosi a Will.
Lui lo guardò di
traverso: - Perché dovrei rubarle?
-
Perché non ce le darà mai! - sostenne il pirata.
-
Perché? - continuò a chiedere il ragazzo con
spavalderia e Barbossa
trattenne il grilletto solo convincendosi che quel moccioso,
permaloso, ma abile e intelligente, fosse la persona giusta per quel
compito. Pertanto, capendo che non avrebbe accettato senza una
spiegazione convincente, si risolse a confessare: - Sao Feng non
andava molto d'accordo con Sparrow per via di una sua...invasione di
territorio, diciamo così. Perciò dobbiamo fare
tutto entro
stanotte, prima che lo venga a sapere.
Dopo
quella rivelazione i pirati restarono tutto il resto del giorno
chiusi in quella stanza a studiare la mappa della città,
stabilendo
compiti e posizioni di ciascuno. Quando ebbe finito di illustrare
ogni dettaglio del piano Barbossa sembrò più
sollevato ma non del
tutto sereno. Elizabeth, in particolare, notò un'insolita
apprensione nel suo modo di parlare tutte le volte in cui si riferiva
a Sao Feng. Ciò accese la sua curiosità su di
lui; cosa aveva di
tanto spaventoso se perfino un pirata di lunga esperienza come lui
sembrava temerlo?
-
Questi vestiti sono per voi. Metteteli – ordinò il
capitano
lanciando in direzione di Will ed Elizabeth dei panni indistintamente
intrecciati tra loro che essi cercarono di districare.
-
Avete qualche altra domanda da fare? - chiese infine agli altri.
-
Sì – si fece avanti Ragetti –
Perché noi dobbiamo avere sempre
gli stessi vestiti? - domandò risentito, fingendo fosse
quella la
sua reale preoccupazione.
-
Perché voi siete perfetti così! - rispose il
pirata ironico. - Ci
muoveremo tra due ore.
Will
trascorse il breve tempo che lo separava dall'inizio di quella nuova
impresa allenandosi da solo con la sciabola nella stessa camera in
cui tentavano invano di riposare Pintel, Ragetti, Cotton e Marty
finché non entrò Tia Dalma a chiamarlo: -
Barbossa vuole parlarti
prima che tu vada – il giovane, riposta la spada, la
seguì. La
donna entrò nella stanza di fronte lasciando la porta
socchiusa e
lui lentamente la spinse non aspettandosi di trovarsi di fronte
Elizabeth che stava indossando una lunga camicia verde scuro davanti
ad uno specchio.
-
Cercavo Barbossa – le rivelò imbarazzato.
-
È nella stanza accanto – lo informò lei
senza voltarsi,
accingendosi ad acconciare i lunghi capelli in una treccia.
-
Ho sentito che andrai con lui all'incontro con Sao Feng –
continuò
a parlarle.
-
Sì, prenderò una via d'acqua. Un canale
– specificò lei
scrutandolo ancora attraverso lo specchio.
-
Fai attenzione – le raccomandò il fidanzato con
tono amorevole ma
restando distante. Lei si girò guardandolo dritto negli
occhi: -
Anche tu – si limitò a dirgli per poi voltarsi
nuovamente. Lui
uscì.
-
Dovreste dirglielo che lo amate – la voce di Tia Dalma
risuonò a
metà tra un rimprovero e un consiglio.
-
Non ho mai fatto nulla che dimostrasse il contrario –
ribatté la
fanciulla un po' infastidita dall'intromissione della veggente,
pronunciando quelle parole con tono cupo e labbra tremanti mentre
sistemava un paio di pistole nelle tasche interne della giacca
insieme ad altre armi da fuoco.
-
Non sembra che lui la pensi così –
asserì ancora la sacerdotessa
porgendole un cappello di paglia piatto e di forma circolare. La
ragazza legò i due lacci del copricapo attorno al collo
riflettendo
su quelle parole. In quel momento udì la voce di Will che
non era
ancora uscito perché intrattenuto dalle domande di Barbossa
che,
soddisfatto delle sue risposte, trovò qualcos'altro cui
appuntarsi:
- Diamine!Non avete molto del pirata, a parte l'abbronzatura!
–
constatò con sdegno; la ragazza si fermò ad
osservare sull'uscio –
Tirate fuori la camicia, date una svolta all'orlo dei pantaloni e
lasciate che vi metta questo – gli propose mostrandogli un
piccolo
cerchietto metallico dorato. Il ragazzo acconsentì e
Barbossa con
una mossa decisa gli perforò il lobo dell'orecchio sinistro
richiudendo l'orecchino: - L'espressione torva ce l'avete
già, il
bruciore all'orecchio vi aiuterà a mantenerla –
gli disse - Ci
vediamo al molo ovest.
-
Cercherò di esserci – affermò il
giovane scendendo di corsa le
scale che conducevano di sotto. Mentre si avvicinava al tempio Feng
comprese che l'aver accettato quel monile non era servito solo a
rendere il suo aspetto più losco, come si addiceva a quanti
circolavano per quella città, già avvolta nel
buio. Tutti avevano assistito a quel gesto e
immaginò che avesse un significato nascosto: Barbossa e gli
altri lo
avevano infine riconosciuto come uno di loro, a lui spettava il
compito più difficile e non avrebbe voluto deluderli. Ma, a
poco e
poco, il bruciore pulsante dell'orecchio si fece più tenue e
il suo
proposito svanì progressivamente con esso quando scorse
inaspettatamente i soldati della Compagnia che lo seguivano da
lontano e credeva volessero proteggerlo. D'altra parte schierarsi con
loro non era pur sempre un comportamento da pirata?...
-
Se avete finito dovremmo andare – disse Barbossa rivolto alle
donne. Poi affacciandosi nella stanza in cui stava il resto della
ciurma: - Voi altri uscite fra una ventina di minuti. Non dobbiamo
farci vedere insieme – ricordò loro - E ... niente
errori – li
minacciò allontanandosi.
Dopo
circa mezz'ora di cammino il capitano si separò da
Elizabeth
indicandole il canale che avrebbe dovuto percorrere con una leggera
canoa per raggiungere il covo di Sao Feng. Quindi proseguì
via terra
con Tia Dalma.
A
bordo di quell'esile imbarcazione, solcando le acque torbide con quel
lungo remo facendo attenzione a mantenere l'equilibrio, Elizabeth si
sentì forte e fragile, ma soprattutto sola, con tutte le sue
paure,
le sue fantasie, i suoi pentimenti, i suoi sogni. Come in un battito
di ciglia ripercorse con la mente le mille avventure che l'avevano
coinvolta, le persone che aveva incontrato, che aveva amato o odiato,
i luoghi che aveva visto, le cose che aveva imparato, quelle che
aveva fatto e quelle che non avrebbe mai voluto fare, e le parole le
uscirono quasi inconsciamente dalle labbra:
C'è
chi è morto, chi non morì,
altri
vanno per mare,
c'è
chi già sa, la morte è qua,
e
non gli importa niente.
Le
belle speranze mi vuotano il cuor,
io
so sempre chi sono,
una
campana per chi risuona,
per
chi ritrae il perdono.
Yo
oh, la gloria corre nell'aldilà...