Film > Pirati dei caraibi
Segui la storia  |       
Autore: Fanny Jumping Sparrow    02/05/2009    4 recensioni
In revisione
Ho provato ad immaginare cosa sia potuto succedere ai personaggi nell'intervallo tra il secondo e il terzo capitolo della saga.
 ...La Perla Nera, la nave conosciuta con terrore fino a qualche anno prima in tutti i Caraibi, si era lentamente inabissata. A nulla erano valsi i tentativi della sua ciurma, forse l’unica ad aver avuto il coraggio e la lucidità di sfidare il kraken delle maree...
– Ma se dovrete sfidare le infestate e arcane coste dei confini della terra, allora vi occorrerà un capitano, uno che conosca bene quelle acque...
- Seguendo le indicazioni delle carte nautiche – rispose semplicemente Barbossa dando nuova speranza ai marinai.
Non tutti però. Will, in particolare, aveva il sentore che si trattasse di un nuovo viaggio pericoloso che non escludeva la possibilità di un fallimento e non si sentiva del tutto pronto a rischiare la vita per un uomo che in fondo lo aveva soltanto ingannato ed era perfino riuscito a derubarlo dell’unico tesoro che aveva: l’amore di Elizabeth...
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Swann, Hector Barbossa, Joshamee Gibbs, Tia Dalma, Will Turner
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sono un pò emozionata nel pubblicare finalmente l'ultimo capitolo della mia prima fanfiction sulla mia saga cinematografica preferita!Ringrazio tutti i lettori e in particolare, come sempre, stellysisley e summerbest che hanno commentato gli ultimi capitoli. Nove capitoli non sono molti ma temevo di diventare ripetitiva e poi ho in mente altre storie (stavolta con Jack). Vi anticipo che ho voluto lasciare in sospeso Will e Liz perché è così che li troviamo all'inizio del terzo film. Che altro dire?Spero che vi piaccia, se volete chiedermi qualcosa che non vi è chiaro potete contattarmi. Buona lettura e a presto!

Capitolo 9: La meta è vicina

Sebbene il luogotenente avesse infine rinunciato ad opprimerli, dopo che Barbossa aveva sfruttato la sua paura per Jack facendolo tacere o parlare a suo piacimento, i pirati dovevano ben guardarsi dagli altri uomini della Ibis, questo il nome della nave su cui avevano trovato posto. Essi, infatti, apparivano decisamente più pericolosi e meno facili da controllare; sempre armati di tutto punto, alcuni di loro avevano le lame delle spade ancora sporche del sangue dei nemici affrontati in passato che si era incrostato, e ne facevano motivo di vanto.
Perciò la possibilità di muoversi sopra o sotto coperta fu per i passeggeri limitata, in particolare dovettero fare parecchia attenzione a non lasciare che essi notassero le donne.
Will ed Elizabeth, loro malgrado, erano stati costretti a dividere la stessa cabina e, sentendosi a disagio, si erano accordati, pur senza parlarne esplicitamente, a passarvi meno tempo possibile insieme. Perciò Will stava sopra coperta soprattutto di giorno mentre Elizabeth restava qualche ora sul ponte di notte, quando c'erano meno uomini e minor luce a permettere di distinguere i suoi tratti. Anche Tia Dalma usciva fuori dalla sua cabina con l'oscurità e sempre accompagnata da Barbossa, il quale si accordava anticipatamente con il luogotenente, ormai suo alleato, per evitare guai.
Una sera, a metà del viaggio, dopo aver cenato con gli altri, Will tornò nella sua cabina e , filando direttamente verso la branda, non notò subito che non era solo. Rigirandosi dopo qualche minuto la vide di spalle, stesa sul letto su un fianco: - Non esci stasera?
Elizabeth si voltò verso di lui sollevandosi leggermente dal cuscino e scosse la testa senza guardarlo.
- Almeno hai mangiato? - trascorsi alcuni secondi le domandò, tanto per parlare.
- Mi ha portato qualcosa Gibbs, poco fa – lo informò lei restando poi in silenzio. Will si mise supino, le braccia incrociate dietro la testa, le orecchie tese ad ascoltare il rumore del mare e i mille scricchiolii del legno della nave.
- Stavano per scoprirmi e sono tornata qui – proruppe lei tutto d'un fiato. Lui si alzò di scatto mettendosi seduto e per poco non cadde a terra: - Ne sei sicura? - le chiese preoccupato. La ragazza annuì, poi, piantando gli occhi sul soffitto, spiegò: - Continuavano a guardarmi e girarmi intorno e... - non finì di parlare che udirono dei pugni battere con irruenza sulla porta.
- C'è qualcuno qui? - domandò una voce roca. I due ragazzi si guardarono l'un l'altro, non sapevano se o cosa rispondere, così restarono muti. L'uomo tornò a ripetere la domanda affiancato da un altro.
- Sì!Ci sono io, Turner! - rispose Will a quel punto, temendo che se continuavano a tacere quelli avrebbero aperto la porta. Ma non servì.
- Possiamo entrare? - chiese quello di prima. Elizabeth si alzò silenziosamente da letto e andò ad appoggiarsi alla parete opposta all'entrata della cabina, che era talmente spoglia da non offrire alcun tipo di nascondiglio.
- Veramente...non sono presentabile! - temporeggio il ragazzo sempre più in preda al panico e la fidanzata lo guardò storto mentre indossava la giacca e nascondeva i capelli, annodandoli, sotto il cappello.
- Siamo tutti uomini...o no? - dissero i due marinai dall'esterno con maggiore sospetto facendo sentire distintamente il sibilo delle lame estratte dal fodero metallico. Elizabeth istintivamente si portò tutte e due le mani alla gola: - Io...Will...io – cominciò a singhiozzare; se dovevano proprio morire così voleva dirgli tutta la verità che si era tenuta dentro.
- Non importa – la liquidò il fidanzato con freddezza senza neppure guardarla, e impugnò con entrambe le mani la spada tenendola ben dritta davanti a sé. Quelli continuavano a parlare nella loro lingua aumentando l'agitazione dei reclusi.
Intanto nello stesso corridoio capitarono per caso Gibbs, Pintel e Ragetti e notarono i due uomini che, con le scimitarre e facce che facevano intuire le loro cattive intenzioni, stavano dietro la porta di quella cabina.
- Ma non è lì che stanno Will e Miss Elizabeth? - esclamò Gibbs con inquietudine, i due pirati abbassarono la testa e fecero per andarsene: - Ho l'impressione che siano in pericolo. Dobbiamo aiutarli! - affermò il buon marinaio mettendo le mani avanti per bloccare i compari. Pintel fece una smorfia e sbuffò rivolgendosi all'amico: - Ragetti: buttaci un occhio!
- Preferisco non guardare! - replicò quello cercando ancora di svignarsela.
- Quello finto, stupido! - lo rimproverò il compare dandogli un ceffone talmente forte da farglielo staccare. La sfera di legno rotolò fino ai piedi dei due minacciosi uomini armati e uno di loro gridò: - Una bomba!
Ragetti si precipitò a raccogliere quell'oggetto, apparentemente inutile ma per lui prezioso, difendendolo dai piedi dei due marinai che tentavano di calciarlo lontano credendo si trattasse di un ordigno: - È il mio occhio di legno! - ripeteva ad alta voce camminando carponi. Finalmente i due uomini si tranquillizzarono:
- Che schifo! - disse uno – Di vetro è meglio!
- Come lo hai perso? - gli chiese l'altro.
- Incidenti del mestiere – si schernì il pirata mentre provava a rimetterlo.
Gibbs capì che era il momento buono per liberare i ragazzi e, incoraggiando Pintel ad unirsi al compare nell'imprevista chiacchierata, cercò di avvicinarsi alla porta della cabina in cui Will ed Elizabeth erano rimasti bloccati.
- Io la prima volta che ho usato fucile mi sono sparato piede e ho perso tre dita. Guarda! - rivelò uno togliendosi lo stivaletto.
- A me hanno tagliato orecchio con sciabolata – mostrò loro l'altro. A distrarre i due marinai della Ibis contribuì pure l'arrivo della scimmietta maledetta che rubò prontamente l'occhio al suo proprietario costringendo gli altri a rincorrerla.
Assicuratosi che nessuno lo vedesse, Gibbs abbassò la maniglia ed entrò nell'alloggio dove i due giovani lo accolsero con sollievo.
- Grazie, signor Gibbs! - esclamò Elizabeth andandogli incontro quasi abbracciandolo.
La reazione di Will fu meno affettuosa: - Non era “chi indietro rimane indietro viene lasciato”? - lo interrogò con scetticismo quando la fidanzata non poté sentirlo.
- Non è che dobbiamo rispettarlo sempre – fu la replica dell'uomo accompagnata da un sorriso e il giovane sentì una fitta allo stomaco: forse aveva fatto male a tradirli, ma senz'altro non tutti erano come quel mite uomo di mare. Ed ebbe modo di constatarlo subito dopo, quando sul ponte assistette ad un a scenata di Barbossa, senza comprenderne il vero motivo: - Jack mi ha portato questo – inveì contro Ragetti porgendogli l'occhio di legno.
- Mi dispiace, capitano. Io ... - balbettò quello cercando di scusarsi dopo averlo rimesso a posto, ma il filibustiere gli prese una mano e gliela torse al contrario, rimandandolo poi sotto con un calcio e ridendo di gusto.
Appoggiato con la schiena al parapetto, lo sguardo fisso ma non verso qualcosa di presente, naufragato in quel mare di pensieri, rimorsi, ambizioni, Will non si era neppure accorto che Elizabeth era al suo fianco e che lo stava osservando da un po' interrogandosi su quello che potesse provare mentre continuava a muovere da una mano all'altra il pugnale di suo padre. Non era stata capace di dirgli neanche una parola a proposito. L'unica frase che in quel momento le venne in mente fu “Mi dispiace”, ma le sembravano parole banali, insufficienti e soprattutto ipocrite da parte di una che si era comportata esattamente come Barbossa con Sputafuoco quando aveva condannato Jack a morire risucchiato dagli abissi. Si voltò a guardare il mare grigio appena increspato dal vento restando con i gomiti appoggiati alla ringhiera del parapetto, la schiena ricurva, la testa china su quell'acqua nera che si alternava alla schiuma bianca prodotta dal contatto con lo scafo. Aveva qualcosa di ipnotico, la stava attirando senza che ne fosse cosciente e il suo sguardo si spingeva sempre più giù...
- Stai bene? - quando le forti braccia di Will la risollevarono le sembrò di svegliarsi da un incubo. Gli rispose sì ma il ragazzo capì che mentiva, poi entrambi furono distratti dalla voce di Barbossa che stava discutendo con il comandante, cosa che mai gli avevano visto fare prima. Colsero solo poche battute:
- Siete un pirata a tutti gli effetti, dunque? - si informò il filibustiere.
- Certo!Io nato Algeri, in mia famiglia tutti grandi corsari – rispose Nassim portando la mano sinistra al petto.
- Allora dovete sapere che la canzone è stata cantata – gli confidò Barbossa.
Una violentissima tempesta tropicale nei giorni successivi impegnò l'equipaggio della Ibis sul ponte, così essi non poterono perdere tempo ad indagare sugli ospiti, sui quali avevano maturato non pochi sospetti.
Durante la forzata permanenza sotto coperta Will aveva preferito sostare nell'alloggio in cui stavano gli altri uomini e Jack, la scimmia, si era prestata a fare la guardia nel caso Elizabeth avesse avuto bisogno di aiuto.
Nell'ultimo giorno di navigazione i pirati erano rimasti tutto il giorno nelle brande per recuperare il sonno perduto negli ultimi giorni a causa del maltempo; tutti tranne Barbossa che era rimasto vigile, in attesa del sospirato arrivo alla meta.
Quando furono gettate le ancore si precipitò a richiamare la sua ciurma con la consueta delicatezza: - Uscite fuori, babbei!Non avete sentito che siamo arrivati? - sbraitò irrompendo nella stanza. Uno dopo l'altro Gibbs, Cotton, Marty, Pintel e Ragetti si sollevarono da quelle amache e lasciarono l'alloggio. Nel corridoi c'era già Tia Dalma che, viso coperto, non nascondeva una certa fretta, e poco dopo arrivò anche il luogotenente della Ibis: - Svelti voi!Capitano ancora dorme, ma presto lui sul ponte! - li ammonì ed essi si affrettarono su per le scalette sospinti da Barbossa.
- Ah, signore – lo bloccò Gibbs parandoglisi davanti prima che mettesse piede sul primo scalino – li avete già chiamati? - gli domandò ammiccando alla cabina di Elizabeth e Will.
- Ah, è vero – sbuffò quello – Andateci voi – gli disse con un tono di voce che equivaleva ad un ordine indiscutibile, restando ad aspettarlo sotto il boccaporto. Gibbs con titubanza si diresse verso l'alloggio ma, una volta davanti alla porta, si fermò con la mano appoggiata alla maniglia. Barbossa, avendo notato la sua esitazione, in pochi secondi lo raggiunse: - Mastro Gibbs, forse non vi è chiaro: dobbiamo lasciare il più presto possibile questa bagnarola! - lo rimproverò e, senza il minimo scrupolo, spalancò la porta annunciando: - Signori: si scende!
Gibbs gli venne dietro con gli occhi chiusi ripetendo: - Scusate!Scusate il disturbo!Scusate l'intrusione!
I due giovani, seppure frastornati, si prepararono subito ad uscire dalla cabina facendo attenzione a non dimenticare nulla e seguirono i due pirati.
- Che avete agli occhi? - chiese Will a Gibbs non cogliendo che l'uomo tenesse le mani sul viso per ritegno, ritenendo di essere indelicato.
- È solo che credevo...Niente! - si affrettò a ribattere quello dopo aver ricevuto uno schiaffo da Barbossa, il quale lo canzonò: - Non sono sposati! - prima di uscire velocemente per unirsi agli altri. Non era ancora sorto il sole ma la città brulicava comunque di gente, lo notarono già mentre percorrevano la scaletta che li condusse a terra.
Singapore, esotica, fumosa, oscura, umida, fatta di mille canali, viuzze, sottopassaggi, era proprio come la descrivevano se non peggio: una città senza regole che ospitava uomini violenti e traffici di ogni sorta.
- Direi che questo ostello andrà bene – si pronunciò Barbossa quando furono arrivati ad una palazzina di due piani con le pareti dipinte di giallo e il tetto con le tegole verdi, ad una buona mezz'ora di cammino dal molo.
- Come?Non andiamo direttamente da Sao Feng? - domandò Elizabeth.
- Ci serve un piano prima di andare da lui, miss – le comunicò il capitano.
- Ma, non era vostro amico? - investigò Will insospettito da quella frase ma il filibustiere sorvolò: - Mastro Gibbs, mastro Turner, se sareste così gentili da accompagnarmi – li invitò lanciando una pesante sacca a Pintel e Ragetti. Elizabeth si fece avanti: - Ho pronunciato il vostro nome forse? - la voce di Barbossa fu aguzza come la punta di una sciabola – Restate con gli altri – le ordinò mettendo nelle mani di Tia Dalma alcune monete con cui avrebbe dovuto pagare le camere. I tre uomini si incamminarono silenziosamente per le strade che andavano popolandosi sempre di più.
- Sao Feng è il pirata nobile di Singapore – cominciò a parlare Barbossa sottovoce – Qui ogni cosa gli appartiene e scommetto che saprà già che siamo arrivati.
Fatto ancora qualche passo Gibbs si azzardò a chiedere: - Ma che stiamo cercando?
- Una mappa della città – replicò il capitano accelerando il passo.
- Ma questo Sao Feng non era vostro amico? - tornò a chiedergli Will. La reazione del pirata fu brusca: - Non pronunciate quel nome! - lo mise in guardia con la pistola alla mano – Ve l'ho detto che ha spie ovunque. Camminate e non fiatate!
Dopo qualche minuto Barbossa fermò un passante facendogli una domanda che né Will né Gibbs capirono: 
- Parla il cinese?! - esclamò con stupore il ragazzo.
- A quanto pare... - ribatté il pirata ugualmente sbalordito. Il capitano chiese informazioni ad altri tre viandanti prima di condurre i due compagni dentro una strada strettissima in cui non passava più di una persona per volta. Arrestatosi davanti ad una casupola malandata batté le nocche sulla porta scardinata colpendola una prima volta, poi con due colpi veloci, infine con un quarto e ultimo colpo. La porta finalmente si aprì ma non videro subito l'inquilino che vi si nascose dietro per poi uscire allo scoperto una volta riconosciuta la voce di Barbossa. Era un uomo sulla sessantina, alto e magro, con baffi e barba talmente lunghi da formare un'unica massa di peli grigi che gli poggiavano sul petto, la testa allungata era calva e ricoperta di macchie, gli occhi simili a due fessure orizzontali. Egli si ritirò dietro quello che sembrava un bancone di osteria, quale doveva essere quel posto un tempo. Barbossa scambiò delle parole con l'uomo, dapprima con tono amichevole dando l'impressione di conoscerlo da tempo, poi si fece più serio e anche il vecchio assunse un'espressione grave; tirò fuori da un armadietto alle sue spalle una bottiglia e quattro bicchieri di vetro verde poggiandoli sul bancone e sparì nel retro del locale. Il capitano si servì da bere sorseggiando lentamente il liquido biancastro.
- Ho proprio bisogno di sciacquarmi la gola! - dichiarò contento Gibbs riempendosi il bicchiere fin quasi all'orlo e buttando giù il contenuto in un solo sorso, sotto lo sguardo divertito del filibustiere e quello schifato di Will. Appena finito di inghiottire cominciò a tossire talmente forte da diventare paonazzo e il giovane Turner, preoccupato, gli diede delle forti pacche sulle spalle per aiutarlo.
- Era la prima volta che assaggiavate saké? - lo derise Barbossa.
- Sì! - rispose a fatica quello con la voce rauca.
L'uomo dagli occhi a mandorla ricomparve con penna, calamaio e un foglio di carta ingiallito; appoggiatolo sul banco iniziò a tracciarvi delle linee che formarono un reticolo confuso che Barbossa osservò con attenzione per poi commentare: - Bè, non è cambiata molto dall'ultima volta che sono venuto.
Pronunciò ancora qualche parola in cinese e l'uomo disegnò una croce e un cerchio su due punti non troppo lontani del foglio che il filibustiere cercò di sottrargli ma quello lo fermò bacchettandolo con la penna. Dopo aver inutilmente protestato il pirata gli offrì delle monete ma l'orientale oltrepassò il bancone e, avvicinatosi a Will, afferrò un lembo della sua casacca di pelle cominciando a strattonarlo; il ragazzo sgranò gli occhi restando immobile: - Vuole la vostra giacca – gli spiegò Barbossa non potendo fare a meno di ridere per l'espressione spaventata del giovane che fu costretto, in seguito, a cedere al <<cartografo>> anche la sua cintura e il gilet ricamato. Ottenuta la mappa il maturo pirata salutò il conoscente e portò in giro ancora qualche ora gli altri due compagni in cerca di armi e vestiti. Ad un tratto si bloccò: - Quello è il tempio della famiglia Feng, il luogo più importante della città – commentò dinanzi ad un edificio fastosamente decorato con dragoni e altri animali fantastici dipinti con vari colori.
Dopo circa un'ora furono di nuovo all'ostello in cui avevano lasciato gli altri. Elizabeth era rimasta quasi tutto il tempo affacciata ad una finestra e non appena riconobbe i tre che facevano ritorno corse ad avvertire gli altri; Barbossa richiamò tutti in una delle stanze.
Notando il volto sbigottito con cui la figlia del governatore guardava il fidanzato, rimasto in pantaloni e camicia, le si rivolse asserendo: - Capite perché non vi ho fatto venire? - battuta che non chiarì affatto lo sbalordimento della fanciulla, ma subito il pirata riprese la parola: - Ci servono tre cose per raggiungere lo scrigno: una nave, una ciurma e le carte nautiche. Ora, le prime due le chiederemo in prestito a Sao Feng, mentre le carte starà a voi recuperarle dal tempio – specificò rivolgendosi a Will. 
Lui lo guardò di traverso: - Perché dovrei rubarle?
- Perché non ce le darà mai! - sostenne il pirata.
- Perché? - continuò a chiedere il ragazzo con spavalderia e Barbossa trattenne il grilletto solo convincendosi che quel moccioso, permaloso, ma abile e intelligente, fosse la persona giusta per quel compito. Pertanto, capendo che non avrebbe accettato senza una spiegazione convincente, si risolse a confessare: - Sao Feng non andava molto d'accordo con Sparrow per via di una sua...invasione di territorio, diciamo così. Perciò dobbiamo fare tutto entro stanotte, prima che lo venga a sapere.
Dopo quella rivelazione i pirati restarono tutto il resto del giorno chiusi in quella stanza a studiare la mappa della città, stabilendo compiti e posizioni di ciascuno. Quando ebbe finito di illustrare ogni dettaglio del piano Barbossa sembrò più sollevato ma non del tutto sereno. Elizabeth, in particolare, notò un'insolita apprensione nel suo modo di parlare tutte le volte in cui si riferiva a Sao Feng. Ciò accese la sua curiosità su di lui; cosa aveva di tanto spaventoso se perfino un pirata di lunga esperienza come lui sembrava temerlo?
- Questi vestiti sono per voi. Metteteli – ordinò il capitano lanciando in direzione di Will ed Elizabeth dei panni indistintamente intrecciati tra loro che essi cercarono di districare.
- Avete qualche altra domanda da fare? - chiese infine agli altri.
- Sì – si fece avanti Ragetti – Perché noi dobbiamo avere sempre gli stessi vestiti? - domandò risentito, fingendo fosse quella la sua reale preoccupazione.
- Perché voi siete perfetti così! - rispose il pirata ironico. - Ci muoveremo tra due ore.
Will trascorse il breve tempo che lo separava dall'inizio di quella nuova impresa allenandosi da solo con la sciabola nella stessa camera in cui tentavano invano di riposare Pintel, Ragetti, Cotton e Marty finché non entrò Tia Dalma a chiamarlo: - Barbossa vuole parlarti prima che tu vada – il giovane, riposta la spada, la seguì. La donna entrò nella stanza di fronte lasciando la porta socchiusa e lui lentamente la spinse non aspettandosi di trovarsi di fronte Elizabeth che stava indossando una lunga camicia verde scuro davanti ad uno specchio.
- Cercavo Barbossa – le rivelò imbarazzato.
- È nella stanza accanto – lo informò lei senza voltarsi, accingendosi ad acconciare i lunghi capelli in una treccia.
- Ho sentito che andrai con lui all'incontro con Sao Feng – continuò a parlarle.
- Sì, prenderò una via d'acqua. Un canale – specificò lei scrutandolo ancora attraverso lo specchio.
- Fai attenzione – le raccomandò il fidanzato con tono amorevole ma restando distante. Lei si girò guardandolo dritto negli occhi: - Anche tu – si limitò a dirgli per poi voltarsi nuovamente. Lui uscì.
- Dovreste dirglielo che lo amate – la voce di Tia Dalma risuonò a metà tra un rimprovero e un consiglio.
- Non ho mai fatto nulla che dimostrasse il contrario – ribatté la fanciulla un po' infastidita dall'intromissione della veggente, pronunciando quelle parole con tono cupo e labbra tremanti mentre sistemava un paio di pistole nelle tasche interne della giacca insieme ad altre armi da fuoco.
- Non sembra che lui la pensi così – asserì ancora la sacerdotessa porgendole un cappello di paglia piatto e di forma circolare. La ragazza legò i due lacci del copricapo attorno al collo riflettendo su quelle parole. In quel momento udì la voce di Will che non era ancora uscito perché intrattenuto dalle domande di Barbossa che, soddisfatto delle sue risposte, trovò qualcos'altro cui appuntarsi: - Diamine!Non avete molto del pirata, a parte l'abbronzatura! – constatò con sdegno; la ragazza si fermò ad osservare sull'uscio – Tirate fuori la camicia, date una svolta all'orlo dei pantaloni e lasciate che vi metta questo – gli propose mostrandogli un piccolo cerchietto metallico dorato. Il ragazzo acconsentì e Barbossa con una mossa decisa gli perforò il lobo dell'orecchio sinistro richiudendo l'orecchino: - L'espressione torva ce l'avete già, il bruciore all'orecchio vi aiuterà a mantenerla – gli disse - Ci vediamo al molo ovest.
- Cercherò di esserci – affermò il giovane scendendo di corsa le scale che conducevano di sotto. Mentre si avvicinava al tempio Feng comprese che l'aver accettato quel monile non era servito solo a rendere il suo aspetto più losco, come si addiceva a quanti circolavano per quella città, già avvolta nel buio. Tutti avevano assistito a quel gesto e immaginò che avesse un significato nascosto: Barbossa e gli altri lo avevano infine riconosciuto come uno di loro, a lui spettava il compito più difficile e non avrebbe voluto deluderli. Ma, a poco e poco, il bruciore pulsante dell'orecchio si fece più tenue e il suo proposito svanì progressivamente con esso quando scorse inaspettatamente i soldati della Compagnia che lo seguivano da lontano e credeva volessero proteggerlo. D'altra parte schierarsi con loro non era pur sempre un comportamento da pirata?...
- Se avete finito dovremmo andare – disse Barbossa rivolto alle donne. Poi affacciandosi nella stanza in cui stava il resto della ciurma: - Voi altri uscite fra una ventina di minuti. Non dobbiamo farci vedere insieme – ricordò loro - E ... niente errori – li minacciò allontanandosi.
Dopo circa mezz'ora di cammino il capitano si separò da Elizabeth indicandole il canale che avrebbe dovuto percorrere con una leggera canoa per raggiungere il covo di Sao Feng. Quindi proseguì via terra con Tia Dalma.
A bordo di quell'esile imbarcazione, solcando le acque torbide con quel lungo remo facendo attenzione a mantenere l'equilibrio, Elizabeth si sentì forte e fragile, ma soprattutto sola, con tutte le sue paure, le sue fantasie, i suoi pentimenti, i suoi sogni. Come in un battito di ciglia ripercorse con la mente le mille avventure che l'avevano coinvolta, le persone che aveva incontrato, che aveva amato o odiato, i luoghi che aveva visto, le cose che aveva imparato, quelle che aveva fatto e quelle che non avrebbe mai voluto fare, e le parole le uscirono quasi inconsciamente dalle labbra:
C'è chi è morto, chi non morì,
altri vanno per mare,
c'è chi già sa, la morte è qua,
e non gli importa niente.
Le belle speranze mi vuotano il cuor,
io so sempre chi sono,
una campana per chi risuona,
per chi ritrae il perdono.
Yo oh, la gloria corre nell'aldilà...

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Pirati dei caraibi / Vai alla pagina dell'autore: Fanny Jumping Sparrow