La storia è riferita al quadro di QUESTO link. Si chiama Thérèse, è di
Balthus.
Comunque. Lo soo, devo già finire la long fic su Robert, ma non ho mai
tempo né abbastanza voglia! Beh ritornerò, tremate u.u
Nel frattempo ci tengo a ringraziare di cuore tutte quelle anime
sante che commentano e che aggiungono una delle mie storie. In particolare
ringrazio la mia Dod, la Panda, la Ire e ChasingTheSun,
che non so per quale miracolo, mi hanno aggiunto fra i preferiti.
Vi voglio già bene ♥
Au revoir.
Thérèse
Mi
lascio trasportare dai ricordi.
Lascio che si prendano gioco di me e che si facciano beffe del mio dolore.
Corsi a perdifiato, mossa dalle sue parole che mi risuonavano in testa. Come
bombe venivano gettate nel terreno dei miei pensieri, e facevano esplodere
qualunque sentimento riuscissi a concepire. Alcuni morivano sul nascere; altri
tuttavia resistevano: la rabbia, il dolore e l’angoscia mi danzavano attorno,
con una spaventosa malvagità che potevo vedere riflessa nei loro occhi neri.
Non esitavano a tendermi trappole, anzi: era la gioia per la quale
sopravvivevano, fino ad ora rinchiuse nell’antro buio della mia testa, e adesso
immensamente felici di essere libere di distruggermi.
Corsi,
e non pensai ad altro che a raggiungerlo. I miei occhi frugavano fra quelli di
mille altre persone che mi erano attorno, e cercavano senza sosta con la
speranza di vedere i suoi. Sperando di trovare qualcosa.. qualunque cosa
capace di togliermi di dosso questa infantile incoscienza che inevitabilmente
avevo. Un’ incoscienza che odiavo, che mi disgustava a tal punto da odiare me
stessa.
Ero
rinchiusa in un corpo che sbocciava in un altro. Un corpo molto più bello,
ricco di forme e di colore. Ricco di pulsazioni nuove, ma che di per me già
sentivo. Ciò che più mi disgustava era il vedermi cambiata giorno dopo giorno
ed il venirmi negata l’innocente consapevolezza dell’infanzia.
Probabilmente
era il sentirmi inadatta in un corpo che né volevo, né amavo.
Ma non
riuscivo a farmene una ragione. Perché non bastava sentire tutto questo. Dovevo
addirittura provare un genere di sentimenti per me fino ad ora completamente
sconosciuto. Sentimenti che mi sbilanciavano, che mi scuotevano e che nella mia
testa e nel mio cuore lasciavano soltanto caos. Un caos distruttore quanto
ammaliatore.
Sì, non
esitavo ad ammetterlo: questi sentimenti mi facevano sentire incredibilmente ed
irragionevolmente viva.
Fermai
la mia corsa. Vidi quelle spalle così familiari, così talmente spesso oggetto
dei miei pensieri che non potevo provare a scordarne la forma e
l’armonia. In quel momento dimenticai tutto: l’angoscia, il dolore, la paura.
Tutto.
Solo
una voce in particolare rimbombava nella mia testa. O per meglio dire, cantava.
Una voce che sentivo ancora più melodiosa per il sentimento che provavo
sentendola, perché ero ben consapevole a chi apparteneva. Ma probabilmente
questo non addolciva la crudeltà delle sue parole.
Thérèse,
piccola Thérèse, sei una sciocca bambina.
Cosa pensi di fare, di ammaliarmi con le tue bambole?
Dovrei rimanere incantato dai tuoi giocattoli?
Nonostante
facessero male, mi lasciai cullare ancora una volta dalle sue languide parole,
risposta ad un’esibizione troppo chiara dei miei sentimenti per lui.
Il mio
cuore intanto tamburellò felice al cospetto del suo viso, ora così gonfio di
dolore e d’amore per un uomo che avrebbe potuto essere mio padre. Perché dovevo
provare sentimenti del genere? Perché non potevo essere una bambina come tutte
le altre, lasciata chiusa nella sua innocenza dall’inconsapevolezza di questa
tenera età?
Non
seppi darmi una risposta, e rimasi incantata a fissare la sua figura, ammaliata
come davanti ad una magia. Una magia che mi rapiva e che mi lasciava senza
respiro.
Pensai
che il mio cuore potesse scoppiare quando lo vidi in compagnia di una donna,
affascinante e splendente nella sua incantevole bellezza.
Non
trovai il coraggio necessario per fare un passo avanti e farmi vedere. Al
contrario, scappai a perdifiato con quanta più forza riuscii a trovare. Ma i
muscoli presto cedettero, affaticati da quel dolore che è ben più fatale di
qualsiasi corsa. Mi abbandonai a terra e mi lasciai sopraffare da tutto quel
male che mi afferrava e mi catturava con i suoi sporchi e meschini artigli. Lasciai
che mi accompagnassero con dolcezza verso un oblio più profondo, dove potevo
dimenticare tutto, il dolore e l’amore. Che erano inevitabilmente
destinati a consumarsi a vicenda, l’uno il combustibile dell’altro.
Le
lacrime, che già rigavano il mio viso, presero a scorrere dolorose sulla pelle
fredda della mia guancia.
Tutti
questi ricordi girano confusi nella mia mente, annebbiando la mia coscienza e
intorpidendo la mia consapevolezza. Mi lascio abbandonare in uno stato di
dolorosa desolazione, poiché per quanto possa sentirmi confusa in questa
inconsapevolezza, sono comunque cosciente di tutto il dolore che
grava su di me, e che pesa come piombo sul mio cuore così disperatamente
lacerato. La cosa peggiore è sentirmi intrappolata in tutto ciò, e non trovare
una via d’uscita. Potrei dimenticare, vivere più dolcemente la fine della mia
travagliata infanzia. Potrei permettere al mio corpo di cambiare, alla mia
mente di evolversi.. dimenticando tutto.
La cosa
più bizzarra è che non voglio. Non voglio perdere queste sensazioni, non
voglio dimenticare.
Voglio
sentirmi così viva come sono ora. Viva anche in questo male che distrugge senza
pietà ogni singola parte del mio corpo. Viva anche se ciò significa sopportare
il dolore che lacera la mia carne e che scorre senza pietà nelle mie vene.
Accasciata
sulla sedia, nella penombra della camera, non posso fare a meno di pensare a
questo. A tutto ciò che ha inevitabilmente distrutto la mia infanzia, ma che mi
sta lasciando un prezioso quanto ambito tesoro, una consapevolezza che inebria
la mia femminilità che sboccia senza sosta.
La
consapevolezza del dolore, dell’amore.
Di tutto.