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Autore: pucciat_    02/05/2009    3 recensioni
Thérèse è soltanto una piccola bambina. Ma questo non può impedirle di provare sentimenti, di provare dolore, di provare gioia. Di amare. Sì, perchè la piccola Thérèse è innamorata di un uomo, e il vedersi rifiutata e derisa è forse il dolore più grande che deve sopportare, strappata alla sua infanzia in modo così brusco. Ma forse è anche un modo, seppur inconsueto, di crescere. Sentimenti che mi sbilanciavano, che mi scuotevano e che nella mia testa e nel mio cuore lasciavano soltanto caos. Un caos distruttore quanto ammaliatore. Sì, non esitavo ad ammetterlo: questi sentimenti mi facevano sentire incredibilmente ed irragionevolmente viva.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La storia è riferita al quadro di QUESTO link. Si chiama Thérèse, è di Balthus.

Comunque. Lo soo, devo già finire la long fic su Robert, ma non ho mai tempo né abbastanza voglia! Beh ritornerò, tremate u.u
Nel frattempo ci tengo a ringraziare di cuore tutte quelle anime sante che commentano e che aggiungono una delle mie storie. In particolare ringrazio la mia Dod, la Panda, la Ire e ChasingTheSun, che non so per quale miracolo, mi hanno aggiunto fra i preferiti.
Vi voglio già bene

Au revoir.




Thérèse

Mi lascio trasportare dai ricordi.
Lascio che si prendano gioco di me e che si facciano beffe del mio dolore.




Corsi a perdifiato, mossa dalle sue parole che mi risuonavano in testa. Come bombe venivano gettate nel terreno dei miei pensieri, e facevano esplodere qualunque sentimento riuscissi a concepire. Alcuni morivano sul nascere; altri tuttavia resistevano: la rabbia, il dolore e l’angoscia mi danzavano attorno, con una spaventosa malvagità che potevo vedere riflessa nei loro occhi neri. Non esitavano a tendermi trappole, anzi: era la gioia per la quale sopravvivevano, fino ad ora rinchiuse nell’antro buio della mia testa, e adesso immensamente felici di essere libere di distruggermi.

Corsi, e non pensai ad altro che a raggiungerlo. I miei occhi frugavano fra quelli di mille altre persone che mi erano attorno, e cercavano senza sosta con la speranza di vedere i suoi. Sperando di trovare qualcosa.. qualunque cosa capace di togliermi di dosso questa infantile incoscienza che inevitabilmente avevo. Un’ incoscienza che odiavo, che mi disgustava a tal punto da odiare me stessa.

Ero rinchiusa in un corpo che sbocciava in un altro. Un corpo molto più bello, ricco di forme e di colore. Ricco di pulsazioni nuove, ma che di per me già sentivo. Ciò che più mi disgustava era il vedermi cambiata giorno dopo giorno ed il venirmi negata l’innocente consapevolezza dell’infanzia.

Probabilmente era il sentirmi inadatta in un corpo che né volevo, né amavo.

Ma non riuscivo a farmene una ragione. Perché non bastava sentire tutto questo. Dovevo addirittura provare un genere di sentimenti per me fino ad ora completamente sconosciuto. Sentimenti che mi sbilanciavano, che mi scuotevano e che nella mia testa e nel mio cuore lasciavano soltanto caos. Un caos distruttore quanto ammaliatore.

Sì, non esitavo ad ammetterlo: questi sentimenti mi facevano sentire incredibilmente ed irragionevolmente viva.

Fermai la mia corsa. Vidi quelle spalle così familiari, così talmente spesso oggetto dei miei pensieri che non potevo provare a scordarne la forma e l’armonia. In quel momento dimenticai tutto: l’angoscia, il dolore, la paura. Tutto.

Solo una voce in particolare rimbombava nella mia testa. O per meglio dire, cantava. Una voce che sentivo ancora più melodiosa per il sentimento che provavo sentendola, perché ero ben consapevole a chi apparteneva. Ma probabilmente questo non addolciva la crudeltà delle sue parole.

Thérèse, piccola Thérèse, sei una sciocca bambina.
Cosa pensi di fare, di ammaliarmi con le tue bambole?
Dovrei rimanere incantato dai tuoi giocattoli?

Nonostante facessero male, mi lasciai cullare ancora una volta dalle sue languide parole, risposta ad un’esibizione troppo chiara dei miei sentimenti per lui.

Il mio cuore intanto tamburellò felice al cospetto del suo viso, ora così gonfio di dolore e d’amore per un uomo che avrebbe potuto essere mio padre. Perché dovevo provare sentimenti del genere? Perché non potevo essere una bambina come tutte le altre, lasciata chiusa nella sua innocenza dall’inconsapevolezza di questa tenera età?

Non seppi darmi una risposta, e rimasi incantata a fissare la sua figura, ammaliata come davanti ad una magia. Una magia che mi rapiva e che mi lasciava senza respiro.

Pensai che il mio cuore potesse scoppiare quando lo vidi in compagnia di una donna, affascinante e splendente nella sua incantevole bellezza.

Non trovai il coraggio necessario per fare un passo avanti e farmi vedere. Al contrario, scappai a perdifiato con quanta più forza riuscii a trovare. Ma i muscoli presto cedettero, affaticati da quel dolore che è ben più fatale di qualsiasi corsa. Mi abbandonai a terra e mi lasciai sopraffare da tutto quel male che mi afferrava e mi catturava con i suoi sporchi e meschini artigli. Lasciai che mi accompagnassero con dolcezza verso un oblio più profondo, dove potevo dimenticare tutto, il dolore e l’amore. Che erano inevitabilmente destinati a consumarsi a vicenda, l’uno il combustibile dell’altro.

Le lacrime, che già rigavano il mio viso, presero a scorrere dolorose sulla pelle fredda della mia guancia.


Tutti questi ricordi girano confusi nella mia mente, annebbiando la mia coscienza e intorpidendo la mia consapevolezza. Mi lascio abbandonare in uno stato di dolorosa desolazione, poiché per quanto possa sentirmi confusa in questa inconsapevolezza, sono comunque cosciente di tutto il dolore che grava su di me, e che pesa come piombo sul mio cuore così disperatamente lacerato. La cosa peggiore è sentirmi intrappolata in tutto ciò, e non trovare una via d’uscita. Potrei dimenticare, vivere più dolcemente la fine della mia travagliata infanzia. Potrei permettere al mio corpo di cambiare, alla mia mente di evolversi.. dimenticando tutto.

La cosa più bizzarra è che non voglio. Non voglio perdere queste sensazioni, non voglio dimenticare.

Voglio sentirmi così viva come sono ora. Viva anche in questo male che distrugge senza pietà ogni singola parte del mio corpo. Viva anche se ciò significa sopportare il dolore che lacera la mia carne e che scorre senza pietà nelle mie vene.

Accasciata sulla sedia, nella penombra della camera, non posso fare a meno di pensare a questo. A tutto ciò che ha inevitabilmente distrutto la mia infanzia, ma che mi sta lasciando un prezioso quanto ambito tesoro, una consapevolezza che inebria la mia femminilità che sboccia senza sosta.

La consapevolezza del dolore, dell’amore.
Di tutto.

  
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