Più
Perfetto di Così
Missing Moment immaginario
dal Capitolo 9 de “A
Tale Of Crows and Demons”,
fanfiction di Ode To Joy.
A Ode To Joy,
augurandoti di scrivere
(e regalarci!)
ancora migliaia di parole.
♥
Hajime si sveglia sentendo la
mano di Tooru che lo spinge via con poca forza, ma
deciso. Quando socchiude gli occhi nota la sua camicia da notte sparire oltre
la porta del bagno. Pochi secondi e realizza, dal suono del rigurgito, cosa
stia succedendo e scatta a sedere sul letto. Raggiunge il compagno in rapide
falcate; gli regge la fronte con quanta più delicatezza il torpore dei muscoli
gli permetta e gli tira indietro i capelli dalla fronte. Il Re Demone ha un secondo
conato a sconquassarlo, accasciato sul pavimento e aggrappato ai bordi della
vasca.
Quando sembra che lo stomaco si sia calmato, Hajime si trova impacciato a massaggiargli la schiena in
movimenti lenti e circolari. È la prima volta, non sa per niente cosa fare,
anche se il gesto più lampante glielo suggerisce lo stesso Tooru
indicandogli un asciugamano sistemato sulla toletta. Assicurandosi che il
compagno sia ancora ben saldo al muretto della vasca, il Cavaliere si alza ad
afferrare anche la brocca con l’acqua fresca e un bicchiere.
« Credo che a Tobio l’anatra
in salsa d’arancia non piaccia » mormora con una smorfia Tooru,
guardando il disastro che ha fatto nella vasca. Ha la voce raschiata ma
divertita, la gola gli brucia, e in maniera poco cerimoniosa si fa aiutare da Hajime a prendere un sorso d’acqua direttamente dal bordo
della brocca per sciacquarsi la bocca finché il saporaccio non se ne va.
Il Cavaliere non commenta – ieri sera ti sei abbuffato per tre, potrebbe dire – e continua il
movimento del palmo tra le scapole tese del suo Re.
« Va meglio? »
Il sorriso che gli rivolge Tooru
è incorniciato dai raggi luminosi dell’aurora oltre le tende tirate. Affaticato,
col viso di chi non è riuscito a riposare durante la notte, gli occhi un po’
arrossati e i capelli arruffati – ma è bellissimo. Tanto che anche Iwachan si lascia scappare un’espressione addolcita, quando
il suo Re gli si accoccola contro il petto, raggomitolandosi con le braccia
intorno al ventre in un virtuale abbraccio a quella creaturina che non lo fa
dormire.
« Portami a letto, mio Cavaliere » sussurra contro il
suo orecchio, con le palpebre calate e incapace di guastare il sorriso di
serenità.
Non si sa su chi stia avendo più effetti quella dolce attesa. Tooru
in realtà sembra sempre lo stesso; ancora tronfio della sua vittoria sul Re
dell’Aquila, ancora completamente rapito dagli ingranaggi del destino che hanno
fatto dono a lui e al suo compagno della piccola vita del futuro Principe. Hajime, dal canto suo, è stordito. A volte i suoi uomini,
con sua sfortuna Issei e Takahiro
in primis, lo trovano a fissare vacuo il soffitto dell’armeria con la stessa
intensità con cui si ammira l’orizzonte immersi in pensieri profondi. Non si
fanno remore a imitare versetti di neonati piagnucolanti per riportarlo alla
realtà e canzonarlo fino a fargli perdere la pazienza. Vederlo arrossire e a
corto di parole – non di insulti – è sempre un gran divertimento per tutti quei
cavalieri che ogni tanto rispolverano la loro natura demoniaca, soprattutto per
gli scherzi.
La verità giace nella loro camera da letto, nel letto
disfatto a metà della notte, nelle lenzuola che sono la loro isola intima e
segreta, dove Hajime continua ad amare il suo Re come
la prima volta e dove Tooru sente le maree delle
emozioni sommergerlo, incapace di dare loro una sistemazione perché sono come
pietre preziose che vorrebbe indossare sempre, tutte insieme, fino a rimanerne soffocato.
Tooru passa la maggior parte
delle notti insonni. All’inizio ha pensato fosse una cosa fisiologica; il suo
corpo confuso dal cambiamento, intento ad adattarsi alla nuova presenza in
crescita dentro di sé. Poi l’insonnia si è trasformata in veglia. Si è perso a
rimirare i lineamenti spigolosi del suo compagno ai bagliori delle candele, o del
fuoco nel camino alle prime sere fresche sulla fine dell’estate, della luna
quando per vezzo tira le tende e contempla le stelle, raccontando storie
immaginarie a Tobio. Se lui non riesce a dormire,
preferisce cullare il suo futuro erede con l’idea che poi riposi tranquillo.
E il suo Cavaliere nel mentre rimane sopito, dopo
l’amore, dopo le ore di allenamento, dopo le corse a qualsiasi ultimo ah emesso da Tooru
per assicurarsi stia bene. Un po’ il Re ne ride a vederlo tanto premuroso, così
attento a masticare gli improperi che vorrebbe rivolgergli ma che trattiene.
Hanno programmato una gita alla loro fonte, alla
cascata complice dei loro inizi, delle loro paure, delle loro passioni, prima
che il caldo lasci definitivamente spazio al vento e alle foglie ingiallite.
Vogliono fare l’amore per suggellare il miracolo che è stato loro donato.
Almeno, Tooru l’ha messa in questo modo e il
Cavaliere, anche se vorrebbe, non gli nega questo desiderio.
« Provi a farmi dormire un po’, Tobio-chan?
» cinguetta il Re Demone, come se potesse avere una risposta da quel fagiolino
ancora troppo piccolo anche solo per scalciare.
Una delle parti che Tooru
adora del tornare a letto è sgusciare nelle braccia del suo Iwachan.
Il Cavaliere borbotta infastidito, soprattutto alle risatine sciocche del suo
Re o a qualche commento che il suo udito addormentato coglie a metà, ma non lo
allontana dal calore del suo petto. Ogni tanto Tooru
ha di nuovo voglia e, gravidanza o
meno, fa di tutto per destare il compagno. Hajime non
ha ancora trovato un modo per dirgli di no
senza che qualche parte del suo corpo lo tradisca. Il Re Demone struscia il suo
nasino perfetto di cui va tanto fiero sulla sua guancia, sussurrando frasi con
voce che il Cavaliere vorrebbe definire diabolica, ma che in sostanza è
arrocchita di desiderio. Le sue dita poi non aiutano; vagano innocenti sulla
pelle resa calda dal sonno, solleticandola, massaggiandola o stuzzicandola, producendo
sospiri involontari da Hajime.
Quando comprende che il suo Re, come un gatto viziato,
non lo lascerà riposare, la prima cosa che fa è metterlo a tacere con un bacio e
farlo scivolare sotto di sé. Cerca di guardarlo con rimprovero, vorrebbe anche aggiungere
qualcosa di costruttivo sull’importanza del riposo nelle sue condizioni, ma Tooru si mordicchia le labbra impaziente, gli accarezza i
capelli alla base del collo, gli cinge i fianchi con le cosce – e allora Hajime non capisce più niente, non distingue più la ragione
dal sogno. Da quando è caduto dal dirupo del Castello Nero una parte di sé è
convinta che tutto sia un’illusione post-mortem; poi i
dubbi annegano nel calore del suo Re.
È il turno del Cavaliere di rimanere sveglio dopo un
amplesso che conserva il sapore dolce di quei giorni nuovi, di quella
prospettiva che sembrava dovesse essere a loro preclusa. In notti come quelle,
dove non c’è della vera luce a diradare l’oscurità, ma macchie più chiare di
riflessi, Iwachan si chiede con una punta di sgomento
quanta felicità potrà ancora reggere, quanta fortuna meriti. Sono domande che
gli offuscano la mente per lunghi minuti, una nebbia impalpabile, incerta e
insidiosa. È quando i suoi occhi si posano sulla fisionomia del suo compagno
che smette di dare loro reale importanza. Non ha intenzione di dubitare di
quello che ora ha, ciò per cui non ha solo lottato, ma ha accettato di morire.
Sorride senza riserve, mentre le sue dita sono
intrecciate alle ciocche castane del suo Re, ora addormentato come un bambino,
e un palmo è dove ha la sensazione che Tooru emani un
tepore diverso, dove custodisce il loro Tobio. Non sa
quando si abituerà all’idea di essere padre. Osservare Daichi
con Shouyou pensava fosse la risposta alla sua
meraviglia che un po’ lo preoccupa e che tanto gli dà pensiero, eppure sente
che manca ancora qualcosa.
« Tobio » pronuncia senza
rendersene conto, al buio, al silenzio, saggiando le sillabe di quel nome che
non gli rammentano più solo suo padre, ma fanno fare una tiepida capriola al
suo cuore. Strano e piacevole sono gli unici aggettivi che la sua mente è in
grado di produrre da quella sensazione. Per il resto, vorrebbe stringere Tooru a sé per sempre, assicurarsi di non lasciarlo mai
andare, che niente e nessuno si metta più tra loro.
Perché è felice, e per una volta gli sembra che il mondo non possa essere più perfetto di così.