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Autore: Kylu    11/09/2016    2 recensioni
Una cantante che è un panzer, un bassista impulsivo, una sezione fiati assurdamente assortita.
Una tastierista timida e tanto, tanto impacciata.
Un chitarrista, suo fratello, malato di protagonismo.
Un batterista, suo ragazzo, che ha appena deciso di mollare il gruppo.
Un gruppo che, come tutti, è una strana accozzaglia di personalità, storie, pensieri. Metal contro Funk, R&B contro classica...
Lei, nascosta da un cespuglio di capelli e dalle sue tastiere, a vivere tra studio e spartiti; lei che sale su quel palco senza battere ciglio e poi non ha il coraggio di aprire bocca ed esprimere un'opinione.
La sua vita era un venerdì diciassette messo in loop, intervallato solo da note di tasti bianchi e neri.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il bicchierino di plastica del cappuccino arrestò la sua caduta sulla teca di inglese, disperdendo ovunque il suo contenuto.
Si, si disse con sicurezza Jasblue in quella grigia e lanuginosa mattina di settembre. Ancora un po', e avrebbe perpetrato un omicidio.
Il liquido appiccicoso continuò a scorrere sul banco, inzuppando astuccio, libri e cellulare.
Sentiva le risatine dietro di lei, ma non aveva intenzione di girarsi e affrontare i compagni. Sarebbe stato come sempre tempo sprecato, pensò amaramente, alzandosi dalla sedia - i pantaloni completamente fradici e la maglietta schizzata.
Corse in bagno a recuperare della carta igenica.
Quella giornata era decisamente iniziata male.
Prima il cancello rotto del parcheggio bici sotto casa. Chiuso. Inapribile.
Poi il cellulare, caduto malamente sull'asfalto. Il cellulare nuovo.
Jasblue sospirò. Non vedeva l'ora che arrivasse l'indomani. Si sarebbe chiusa in camera per il resto del giorno, se necessario, pur di evitare quel venerdì diciassette che non era un venerdì, e nemmeno un diciassette, ma aveva tutte le caratteristiche per esserlo.
Si fermò qualche secondo davanti allo specchio, soffiando verso l'alto per scostare i capelli - il suo cespuglio rosso di capelli - dalla fronte. Come sempre, le occhiaie sotto gli occhi azzurri spiccavano come dipinte sul viso pallido.
Tornò in classe a passo strascicato.
La sua vicina di banco le stava inaspettatamente asciugando il banco.
"Ehi, avevo qui dei fazzoletti..." le disse, sorridendo incerta.
"Preferisco la carta igenica" rispose lei borbottando. "Funziona meglio in presenza di persone come loro."
"Eh?"
"Persone di mer-"
"ASTER! Ti sembrano espressioni da utilizzare in un'aula scolastica? Cosa- cosa diamine hai combinato?"
Jasblue gemette. Ci mancava quella di inglese.
Era una donna alta e robusta, i capelli di un marrone slavato malamente raccolti sulla testa e dei piccoli occhi scuri che sbucavano sopra le guance paffute. Era ferma sulla soglia, l'espressione arrabbiata.
"Mi scusi, prof." disse a denti stretti. "Mi è caduto il..."
Lei gonfiò il petto, stringendo con le mani una borsetta tutta strass.
"Hai diciotto anni e non ti è ancora chiaro che le bevande vanno consumate solo in zona ristoro?"
La ragazza si rimangiò la risposta arrogante che cercava di uscire dalla sua bocca, strinse le labbra e lasciò che i ricci disordinati le coprissero il viso.
Finì di asciugare tutto mentre l'insegnante si sedeva alla cattedra in maniera scomposta, come se la scuola intera le appartenesse, e cominciava a blaterare.
Più ancora della sua incompetenza, quel che Jasblue detestava di lei era il suono sgarbato delle sue parole, e quel suo odioso modo di picchettare la punta della penna sul registro, quel /tic tic/ sempre più veloce mentre scorreva i nomi dell'elenco dall'alto in basso.
Si risedette in fretta, non volendo attirare più a lungo l'attenzione su di sé.
Aprì il libro ad una pagina a caso e accanto, nascosto tra teca e astuccio, sistemò un quaderno pentagrammato. Avrebbe per lo meno reso utile la lezione copiando in bella gli scarabocchi buttati giu la sera prima e, magari, preparando la scaletta per il concerto del giorno dopo.



Quella sera, Jasblue stava ranicchiata sul dondolo del parco sotto casa, la testa appoggiata sul petto di Chad.
La serata era fresca, niente a che fare con il caldo degli ultimi giorni. Chiuse gli occhi, cullata dalle carezze leggere del ragazzo tra i capelli.
Oltre alla melodia morbida della voce di lui, lo stridere delle cicale si faceva sempre più insistente, quasi allegro. Il rumore del traffico della via più vicina si confondeva quasi con il frusciare delle foglie sui rami; Il lontano squillo di un telefono, la vocetta di un bambino, e di sfondo a tutte quelle sfumature colorate di suoni il rintocco regolare del suo cuore. Jasblue sorrise, finalmente un po' rilassata.
Re maggiore, decisamente. Quella sera era in re maggiore. Sus 4.
"...E insomma, ha detto che avrebbe voluto darmi di più, ma che non potevo non ricordarmi quelle cose, e quindi alla fine solo 25, ma intanto mi sono tolto di mezzo anche questo" concluse Chad.
Jasblue si riscosse e sollevò il capo per guardare il ragazzo in viso. Gli sorrise.
"Beh, ottimo. Alla fine lo hai passato e sei a posto, no? Che secchione che sei però" lo prese in giro.
Lui mise il broncio per finta, poi si girò di scatto, facendo oscillare il dondolo, e cominciò a farle il solletico sulla pancia.
"Ah si? Secchione io, eh? E detto da te!"
"Io non - non sono secchiona" fece lei ridendo e cercando di allontanarlo. "Smettila, Chad!"
"Ah no?"
"No. Io sono intelligente"
"Oh, mi scusi, signorina."
Due cellulari trillarono in contemporanea.
"E' il gruppo" disse Chad senza controllare.
"Aspetta un attimo" disse Jasblue, alzandosi un attimo dal dondolo per recuperare il cellulare dalla borsa.
"Ah, perfetto..." sospirò trenta secondi dopo. "Non abbiamo il furgone per domani... E Audrey vuole aggiungere tre pezzi alla scaletta... "
"Come, niente furgone?"
"Non lo so, lo ha scritto Maxi..."
"...Si, quindi devo per forza venire con la mia macchina."
"Non serve" disse Jasblue in fretta. "Riusciamo ad arrangiarci."
"Brava, e chi viene? Timothy non ha la macchina, tuo fratello sia mai..."
"Tu non vieni."
"E perchè?"
"Perchè dobbiamo abituarci a fare da soli, giusto?" gli chiese con tono neutro. Non sarebbe voluta arrivare a quel discorso, non anche quella sera.
Tutta la leggerezza di qualche momento prima si volatilizzò immediatamente. Jasblue sapeva cosa aspettarsi. E infatti...
"Detta così sembra che vi stia abbandonando."
Lei si sedette di nuovo accanto a lui, girandosi a guardarlo. Sembrava triste.
Come se lasciare il gruppo fosse stata una scelta obbligata, pensò amaramente. Non che non apoggiasse la sua scelta.
Chad aveva tutte le ragioni del mondo, e lei lo sapeva - lo /capiva/, davvero. A ventuno anni, voleva concentrarsi sugli studi e finire l'università, e poi aveva un sacco di altre cose in ballo, un altro gruppo in cui suonare...
Questione di priorità.
"Non ho detto questo" disse con tono ragionevole. "Dicevo solo che, ecco, se tutto va bene tra un mese cominceremo a provare con un nuovo batterista, e tutto quello che tu facevi extra per noi dovremo imparare a sbrigarcelo da soli".
Lui non commentò.
"Che pezzi vuoi che dica di aggiungere?" aggiunse allora.
"E' uguale, in realtà" rispose. "Basta che Audrey si calmi..."
Jasblue sorrise suo malgrado. Audrey Parker era la cantante della band, ed era semplicemente... tanto. Tanto esuberante, tanto travolgente... Anche tanto sensibile e lunatica, in realtà, ma durante i concerti si trasformava in un vero e proprio animale da palcoscenico.
"Le scrivo dopo, allora" disse lei. "Dovremmo andare adesso però..."
"Subito, capo!" rispose Chad, ritrovando l'allegria grazie al cambio di argomento.
La accompagnò fino al portone, continuando a scherzare.
Jasblue sospirò, stringendosi nella felpa leggera. Fino alla settimana prima, lui l'avrebbe tenuta per mano, l'avrebbe abbracciata per ripararla dall'aria ormai fredda della notte. Ma qualcosa era cambiato nel loro rapporto, e lei lo sapeva, eppure non riusciva a spiegarselo.
Erano dettagli, dettagli di cui lui non sembrava accorgersi. Dettagli che saltavano fuori dalla prima sera in cui avevano discusso della decisione di Chad di lasciare la band.
Una volta arrivati, lui posò le labbra sulle sue, le augurò una buona notte, afferrò la bici che aveva abbandonato lì accanto e sparì.
Lei si appoggiò al portone e chiuse un attimo gli occhi.
Re diminuito, adesso, si disse. La serata era passata dal maggiore al diminuito.
Cosa c'era di sbagliato?
Perchè non potevano semplicemente andare avanti com'erano sempre stati? Perchè non poteva più sentirsi così sicura tra le sue braccia, così serena?
Aveva bisogno di parlare, e ne aveva bisogno subito.
Prese il cellulare e controllò l'ora: erano le undici, troppo tardi per disturbare Lucy, la sua amica storica. Poco male, l'avrebbe vista l'indomani a scuola, durante l'intervallo.
Le sue dita aprirono la rubrica e raggiunsero in automatico i preferiti, fermandosi su Jacob. Jacob il suo migliore amico, Jacob il suo bassista, Jacob che la proteggeva sempre. Non era mai troppo tardi per chiamare lui.
Mentre attendeva che rispondesse, cercò le chiavi e aprì il portone.
"Ehi, Jazz". Eccola, la sua voce, così sicura, così interessata.
"Ciao, Jakie" rispose, cominciando a salire le scale.
"Va tutto bene?"
"Si, io... si. Tu?"
"Tutto okay, ma... Sicura?"
"Pensi tu a risolvere il problema della scaletta con Audrey? Basterebbe andare di pezzi a chiamata, in realtà..."
"Jazz."
"..."
"Dimmi cosa succede."
"Ero con Chad" si limitò a dire lei. Jacob capiva sempre.
"Cos'ha combinato adesso?"
"Niente" rispose, stringendosi nelle spalle nonostante lui non potesse vederla. Aprì la porta di casa e sgusciò dentro.
"Non... Non stiamo vivendo esattamente bene questa cosa del fatto che lui molli il gruppo. Ma non capisco perchè, voglio dire."
"E' normale, Jazz. E' un periodo teso, no? Alla fine, suonare insieme è quello che avete sempre fatto. Ora sarà... strano. Non peggiore, solo diverso."
Lei sospirò, buttando le scarpe in camera e lasciandosi cadere sul letto. Dopo sarebbe dovuta andare a dare la buonanotte ai genitori, pensò sbadigliando.
"Si. Speriamo."
"Ascolta" le disse lui, cambiando tono. "Ho trovato un possibile batterista. Ti va di accompagnarmi a conoscerlo domani a pranzo? Vengo a prenderti a scuola."
"Davvero?" chiese drizzandosi a sedere. "Chi? Chi è? Come lo conosci? Suona con qualcuno?"
"Ehi, calma!" Jacob rise. "Si chiama Nicholas Jaks. E'... in gamba, credo. Mi hanno parlato di lui e sembra un tipo a posto. Ehm... Suonava con, ehm, con i RiMetal..."
"COSA? Jakie, non abbiamo bisogno di un metallaro nel gruppo! Lo sai! Ne abbiamo già abbastanza di problemi..."
"Metal non vuol dire problemi" osservò saggiamente lui. "E poi non ci suona più con loro. Ha studiato con buoni insegnanti, comunque. E per il santissimo Stevie Wonder, non ti ho chiesto di sposarlo, solo di venire a conoscerlo!" rise di nuovo.
"Okay" borbottò la ragazza. "Anche se..."
"Sarà impossibile sostituire il tuo Chad, lo so."
"No, dicevo: anche se è scorretto da parte tua nominarmi Stevie a tradimento. Potrei emozionarmi!"
"Ti emozioni già a parlare con me, cara."
"Oh, giusto. Mi fai un autografo la prossima volta che ci vediamo?"
"Solo se dai una posibilità a questo povero Nicholas"
"Mah, vedremo" disse lei trattenendo una risata. "Tanto, ce la faremmo perfettamente anche senza batterista. Basta andare di sequenze" scherzò.
"Torna sulla terra, piccolo DJ!"
"No, si sta meglio qui. La terra è brutta. Grazie."
"Hai ragione."
"Come sempre."
"Pf."
"Pf a te."
"Copi?"
"Copi?" Risero.Era bello ridere per nulla, era rinfrancante.
"Okay, ora devo andare" disse Jasblue con un sorriso. "Mi scrivi domattina?"
"Certo, capo!" rispose Jacob. "Sarà fatto, capo!"
"Bravo" ridacchiò. "Buonanotte, Jakie."
"Buonanotte, rossa!"
Jasblue chiuse la chiamata, appoggiò il cellulare sul comodino e salì al piano di sopra.
"Ciao, papà" disse entrando in soggiorno. Lui era mezzo sdraiato sul divano, l'aria stanca.
"Ciao". Suo padre non spostò nemmeno gli occhi dallo schermo del televisore.
"Tutto... bene?" domandò, sperando di non disturbare.
"Si."
"La mamma?"
"A letto."
"Oh. Va bene" mormorò. "Allora, uhm, salutamela tu, okay? Buonanotte..."
"Notte" rispose lui cambiando canale.
Jasblue scese di nuovo in camera, sbadigliando.
Ora avrebbe dovuto solo finire di studiare storia e scienze per il giorno dopo e poi, finalmente, avrebbe potuto farsi una sana dormita.
Chiuse la porta, accese lo stereo e scelse un CD dei Coldplay. Forse non erano il massimo per restare svegli, ma l'avrebbero aiutata a concentrarsi.
"A noi due, seconda rivoluzione industriale!" disse con un nuovo sbadiglio.
  
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