Serie TV > Merlin
Segui la storia  |       
Autore: hiromi_chan    11/09/2016    6 recensioni
Se questa fosse una fiaba (cosa che non è) inizierebbe così: c'era una volta un ragazzo chiamato Merlin. Sì, beh, capisco che già il nome possa far venire in mente robe magiche e simili, ma vi garantisco che non c'è un bel niente di fantasy, in questa storia.
… Anche se abbiamo una mezza specie di bestia e una donna che ha tutte le credenziali per essere definita strega cattiva.

{La Bella e la Bestia retelling; modern!AU}
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Balinor, Galvano, Hunith, Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dove eravamo rimasti?

 

Merlin è un ragazzo un po' logorroico e ruvido che chiaramente non è una principessa delle fiabe e che vorrebbe diventare maestro d'asilo. Purtroppo la sua famiglia è così povera che il giovane è costretto a interrompere gli studi e può permettersi solo un vecchio cellulare a conchiglia (che si chiama Kilgharrah e ha l'abitudine di spegnersi nei momenti meno opportuni).

Un giorno Balinor bussa alla porta di casa Emrys annunciando di dover saldare un debito con la famiglia Pendragon (una 'brutta storia su certe rose di contrabbando', o almeno così dice lui). Con la promessa che tutte le incombenze verranno sistemate da Pendragon jr., Merlin si ritrova a fare il domestico per lo sfuggente Arthur, che, tra l'altro, non ha bisogno dell'autista Balinor perché non esce di casa, tipo, mai.

All'inizio Merlin crede che sia perché Arthur abbia i capelli blu o i tentacoli o roba del genere, poi perché si tratti di uno psicopatico omicida, il che porta a una sfortunata fuga nel bosco dietro la villa che si conclude nel cementarsi di una strana amicizia.

Salta fuori che Arthur, oltre ad essere spocchioso, arrogante, pieno di sé e un gran maleducato in generale, non è poi così male. Anzi, non lo è per niente. Anzi, è molto molto bene.

E forse c'è dell'altro, qualcosa che ha a che fare con le cicatrici che deturpano parte del volto di Arthur e con il comportamento dimesso che sfoggia davanti alla terribile Morgana, sorella direttamente uscita da una telenovela latinoamericana. Con la delicatezza di un elefante, Morgana, che è un tantino troppo sospettosamente interessata a isolare Arthur, svela a Merlin che i signori Pendragon sono morti in un incidente d'auto quando alla guida del mezzo c'era Arthur.

Alla brusca rivelazione, Arthur si chiude nuovamente nella sua stanza e Merlin si rende conto che stavolta non basterà cantare a squarciagola LET IT GO, LET IT GOOO per farlo uscire a tirargli una ciabatta. Dunque decide di ricomprargli il vaso che aveva accidentalmente rotto...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

~Parte nona~

 


 

Gli occhiali calati sul naso, i piedi che oscillavano furiosamente dal bracciolo della poltrona, Sotto le lune di Marte quasi sfuggito alla sua presa, il collo che stava per rimanere bloccato nei secoli dei secoli: questo quadro potremmo intitolarlo Ritratto di domestico dopo un paio d'ore di silenzio radio con datore di lavoro dal cervello trascurabile. Peccato che non stiamo parlando di un soggetto di fantasia, ma di un vero, autentico, tragico ragazzo in pre-crisi di nervi.

La notte era nel pieno del suo pulsare ovattato e la neve fioccava silenziosa oltre la finestra. Nella testa del nostro Merlin, in un contrasto spettacolare con la pace che aleggiava intorno, ribolliva un vulcano. Il giovane non era riuscito a prendere sonno, la mente affollata da pensieri impegnativi quali: 'Ma Arthur avrà mangiato tutte le sue verdure? No, perché io ho un metodo infallibile per far mangiare le verdure ai bambini, faccio l'aeroplanino, sarebbe strano se facessi l'aeroplanino e gli dicessi ora da bravo di' AAAAAH?'.

Il bussare alla sua porta (un toctoctoc alla velocità della luce) fu così inaspettato che Merlin ruzzolò giù dalla poltrona. Andò ad aprire senza fiato.

Non si poteva dire che leggere l'espressione di Arthur Pendragon fosse semplice: era un maestro nel celare ogni cosa dietro un velo di neutralità che a volte lo faceva somigliare a un pesce esposto sul banco del mercato. Dedurre cosa gli passasse esattamente per la testa in quel momento non era dunque facile. Sotto al cappotto indossava una tuta grigia, però, il che suggeriva già qualcosa.

«Allora non è vero» disse Merlin.

Arthur arcuò un sopracciglio.

«Che stai perennemente in camicia di sartoria e pantaloni con la riga in mezzo, intendo» specificò Merlin inforcandosi meglio gli occhiali sul naso. Ormai si era preso il tu e non aveva intenzione di restituirlo al proprietario. Arthur, in ogni caso, non sembrava considerarla una scortesia più grossa del ficcare la polvere sotto il tappeto quando si spazza – cosa che Merlin, tra l'altro, continuava a fare abitualmente.

Ma non fatemi distrarre, ora – sento che oggi sono propenso a perdermi in preamboli, mi dicono che lo faccio spesso ma a me non sembra, sì, insomma, forse tendo a lasciarmi andare un pochino quando sono agitato o emozionato o solo quando ho voglia di stuzzicare un certo qualcuno, ma non è questo il punto.

Il punto è che Arthur rispose: «Come ogni altro essere umano, posseggo anche altri abiti che non siano eleganti, Mer-lin» e che Merlin replicò, sorridendo: «Vorrei ben vedere, con quell'armadio oltraggiosamente enorme che ti ritrovi».

No, beh, il punto non è esattamente quello; il punto sta più nel fatto che Merlin aveva già messo da parte il suo piccolo fardello di ansie al solo vedere la punta del naso aristocratico del suo spocchioso datore di lavoro, e che era felice. Gli piaceva, quello. Era giusto. No, non l'armadio oltraggiosamente enorme, no. Solo... quello. Quel momento.

«Ti prego di non rifarti mai il naso» blaterò sottovoce Merlin, come in trance.

«... Eh?»

«No, è che, pensavo... se da qualche parte in un universo parallelo esistesse una versione di te che, puta caso, facesse l'attore e si chiamasse Brandon o Brennan o Bradders, e se a Bradlord venisse voglia di rifarsi il naso per insicurezza personale o perché qualche produttore volesse farlo sfondare a Hollywood e volesse adeguare il suo aspetto agli standard americani di facce quadrate e nasi dritti e piccolini, beh, no, io dico che Brad non dovrebbe farlo. Sarebbe un grosso errore.» Merlin annuì tra sé. «Gli sbilancerebbe le proporzioni del volto.»

Arthur fece di nuovo la sua faccia da sardina lessa. «Io... farò finta di non aver sentito, né ti chiederò spiegazioni per evitare di minare la mia sanità mentale» brontolò.

Poi silenzio.

Le dita di Arthur si inseguivano in modo irrequieto ma il suo tono fu brusco quando si riprese di botto e disse: «Insomma, stavi dormendo?»

«Perché me lo chiedi? Se sei venuto a bussare a quest'ora ridicola vuol dire che pensavi che fossi sveglio. Oppure non ti importava di svegliarmi in ogni caso?»

Arthur socchiuse le palpebre e il suo volto prese una piega a metà tra l'irritazione e la sconfitta. Chiaramente quella era una Merlin-dose eccessiva anche per lui. Si voltò senza dire una parola e stava davvero per andarsene, lo sciocco, quindi a Merlin non restò altro da fare che bloccarlo.

«No, ti prego... stavo scherzando!» disse, afferrandogli il braccio con entrambe le mani. Le dita erano premute contro la pelle del polso di Arthur, morbida e vulnerabile, e il cuore di Merlin gli giocò un brutto tiro facendo una capriola abbastanza impressionante, del tipo salto-mortale-carpiato triplo-avvitato.

«Scherzi in modo estremamente idiota» sottolineò con acidità Arthur, ma ora non aveva più voglia di andarsene per conto suo. Ringalluzzito dal fatto che Merlin l'avesse fermato, gonfiò il petto e dichiarò: «Andiamo a vedere una cosa. Prendi il cappotto».

Merlin non rimbeccò nulla solo perché vedere il signor Pendragon tutto tronfio in quel modo orgogliosamente suo, quello con cui riusciva a nascondere la felicità dietro un bel po' di boria... ecco, sembrava a Merlin molto giusto. Molto più della fragilità che smorzava la tempra di Arthur.

Infinitamente più dell'espressione spezzata che gli aveva intravisto addosso quando si era dato alla fuga dopo la rivelazione di Morgana.

Infilandosi il piumino (e rimanendo incastrato nella manica sbagliata, ma questo è un dettaglio), Merlin giunse alla conclusione che l'arroganza stava a pennello ad Arthur come uno dei suoi migliori abiti italiani. Merlin non avrebbe dovuto sentirsi contento di veder emergere quel lato del carattere del suo datore di lavoro... eppure.

Eppure.

'Oh, cavolo, mi piace la sua arroganza. Dev'essere il primo sintomo della demenza senile incipiente' pensò Merlin.

Attraversarono il corridoio e il salone d'ingresso in un silenzio confortevole. Per una volta Merlin si accontentò di tenere la bocca chiusa, limitandosi a rubare, con un'occhiata fugace, qualcosa del viso di Arthur: la curva del suo profilo regale, il biondo dei capelli offuscato e tiepido nella notte...

Solo quando sentì gli stivali affondare nella neve si rese conto che erano usciti. Arthur, stringendosi nel cappotto nero, lo guidò sul retro della tenuta. Superarono la serra che ogni tanto Merlin visitava per curare le rose bianche e le altre piante, e raggiunsero la seconda serra: una piccolissima costruzione posta dietro quella principale, che Merlin aveva ritenuto fino a quel momento abbandonata in favore della serra più nuova. Si trattava di un casotto con il tetto triangolare. Logorato dagli anni, si presentava in modo dimesso. Le finestre erano contornate da vernice bianca scrostata e la tinteggiatura della porta era sbiadita fino a diventare una sfumatura ocra. Arthur però aveva estratto una chiave bianca dalla tasca e l'aveva infilata proprio nella toppa della porta. Un cigolio piacevole ammorbidì il silenzio.

«Non mi hai mai mandato qui a innaffiare i fiori» disse Merlin. «Credevo non ci fosse nulla di importante a parte qualche erbaccia.»

Arthur entrò senza rispondergli, e fu per la sicurezza con cui si mosse che Merlin lo seguì senza remore.

Non c'erano erbacce, lì dentro. Oh, niente affatto. L'ambiente era ricolmo di rose blu, ordinati con precisione millimetrica. L'impatto fu da mozzare il fiato. Merlin rimase sull'uscio mentre Arthur, in pochi passi, raggiungeva il fondo della serra. La sua mano ora scorreva sui bordi di una foglia, ora sfiorava gli attrezzi da giardinaggio adagiati sul tavolo in una carezza distratta.

«Certo che non ti ho mai fatto venire qui. Avrei dovuto correre il rischio che distruggessi tutto facendo rovesciare una tanica di diserbante?» disse Arthur.

«Ah-ah» disse Merlin, che aveva già capito che c'era dell'altro sotto.

C'era una scioltezza, ora, nelle spalle di Arthur, una sicurezza che gli ingentiliva il portamento e che non poteva essere casuale. Quel luogo doveva appartenere ad Arthur più di qualunque altra cosa.

Merlin sentiva il proprio cuore frusciare piano: era così grato...

In quelle ore aveva temuto di veder sprofondare il signor Pendragon oltre un muro più spesso di prima, e invece adesso gli era stato concesso di averlo di più vicino che mai.

«Era per le rose, non per il vaso» disse Arthur, piano. Gli dava ancora la schiena. «Quando hai fatto cadere il vaso ho creduto che i fiori si fossero rovinati... era di quelli che mi importava, in realtà.»

«Oh. Quindi ho fatto una stupidaggine a ricomprarti il vaso?»

«No, no.» Un sorriso nelle parole. «È stato... sorprendentemente accorto, da parte tua.»

«E con questo che vorresti dire?» sparò Merlin, e stavolta fu più che altro per evitare di perdersi nelle farfalle che sbattevano le ali dentro la sua pancia. (Sul serio, farfalle? Sul serio, , non c'è davvero niente di meglio per descrivere quella sensazione, miei cari signorini sapientini.)

«Per fortuna che ce ne sono davvero tantissime, qui, di rose blu» aggiunse Merlin, facendo oscillare le braccia avanti e indietro. «Immagino che tu abbia potuto rimpiazzare quelle che si erano rovinate senza problemi.»

«Certo, perché nascono facilmente» annuì con serietà Arthur.

Merlin annuì a sua volta, ma evidentemente era la cosa sbagliata da fare, perché l'altro sbottò:

«Ma allora sei proprio scemo! No, Mer-lin, le rose blu non nascono. Non esistono in natura. Si ottengono attraverso un preciso procedimento per colorarle artificialmente».

«...Oh» disse Merlin. «Sì, ovviamente. Ovviamente. E... quale sarebbe, questo procedimento?»

Arthur scosse la testa, ma quando prese a parlare Merlin percepì una nota di piacere accuratamente nascosta sotto le parole, piegata da anni di movimenti attenti, delicati e silenziosi.

«Si deve immergere una rosa bianca in acqua in cui è stato diluito dell'inchiostro blu» spiegò Arthur. «Va bene anche mettere nel vaso una spugnetta imbevuta di inchiostro. La rosa va lasciata assorbire l'acqua per molte ore per permetterle di colorarsi gradualmente. Ci vuole pazienza. Forse per questo si dice che sia...» Si fermò di colpo, sbattendo le palpebre.

La linea storta delle labbra e lo sguardo sfuggente suggerirono a Merlin che era in lieve imbarazzo.

«Cosa? Oh, avanti, adesso devi dirmelo» lo incalzò, dandogli un buffetto sulla spalla.

Arthur lo fissò tutto indignato, come se avesse voluto sbriciolare la sua mano con la forza del pensiero. Ma poi disse, piano:

«Si dice che la rosa blu sia simbolo di amore eterno. Perché va nutrita con pazienza, credo. Necessita di tempo e attenzioni mentre matura lentamente. Va tenuta in vita e curata anche se non è del tutto sbocciata. Ottenerla non è scontato. Non si trova per caso, è fragile e difficile ma... ma è bella.»

Merlin dovette fare un enorme sforzo di volontà per non fiondarsi a stringere Arthur tra le braccia, per non dirgli cose che lo spaventavano perché esattamente da dove cavolo erano saltate fuori e come?, cose spaventosamente simili a: permettimi di avere pazienza, lascia che io aspetti; dammi la tua fiducia e la terrò al sicuro nelle mie mani, assisteremo insieme alla maturazione e sarà un tesoro meraviglioso.

Non riuscì a trattenersi del tutto; si morse le labbra per evitare la solita diarrea verbale, ma sollevò comunque le braccia in un chiaro invito.

Arthur fece un passo indietro, traballando appena. «No.»

«E dai» sussurrò Merlin, la voce chiaramente commossa, «e su. Abbiamo avuto un momento. Un abbraccio ci sta tutto. Se ti vergogni, possiamo dire che è un virile abbraccio tra bro... un abbroccio. L'hai capita? Ab-bro-ccio.»

«Sì, Merlin, l'ho capita» berciò Arthur, strizzandosi il ponte del naso tra pollice e indice, «l'ho capita, ma niente... roba tipo... strette.»

La piccola fitta di delusione che contorse lo stomaco di Merlin fu più un calcio rotante stile Jin Kazama in Tekken. «Una pacca sulla spalla, allora?» patteggiò.

Più che altro, Arthur sembrava aver voglia di prendere un secchio e ficcarci dentro la testa di Merlin. «Non la smetterai finché non ti concederò qualcosa, giusto?» disse, seccato; al che il domestico annuì, sollevando le sopracciglia con aspettativa.

Arthur brontolò una serie di suoni indistinti e Merlin interpretò la mano elegante che schiaffeggiava l'aria come un imbarazzante invito ad avvicinarsi. Lo colse al volo ma, anziché eseguire un ancor più imbarazzante e mascolino abbroccio monospalla, si buttò senza pensarci addosso ad Arthur, allacciandosi al suo collo. Lo stunk dello sbattere contro il muro del petto di Arthur fu la cosa più deliziosa che le orecchie di Merlin avessero mai captato.

«È bellissimo, grazie per avermelo fatto vedere» disse con trasporto, sperando che Arthur capisse. «E grazie per avermi fatto entrare. O per essere uscito, se messa così ti piace di più.»

Poi gli venne in mente che forzare qualcuno al contatto fisico quando aveva esplicitamente negato il permesso era una mossa un po' da balordi e si ritirò con uno scatto. «Scusa, non volevo, tipo... superare i confini dello spazio personale e metterti a disagio o triggerarti, come dicono i giovani. Su Tumbrl ho letto che è una cosa molto importante per gli introversi mantenere le distanze a livello di contatto fisico, alcuni social justice warriors e alcune femministe dicono che sia una specie di molestia abbracciare qualcuno che non vuole – oddio cosa ho fatto... Però ero in buona fede, giuro, è stato uno slancio incontrollabile, giustificazione che mi rendo conto essere esattamente quella che sceglierebbe un maniaco, santo cielo...!»

La tensione muscolare di Arthur nel frattempo aveva raggiunto i livelli di quella di una statua di sale.

«È che per un po' ho creduto di averti perso e...» Merlin lanciò un grosso sospiro. «Ero solo contento che non fosse così.»

«Quello che hai sentito da Morgana non ti ha sconvolto?» disse Arthur, molto lentamente, enunciando le parole molto chiaramente. Nessuno avrebbe potuto risultare meno trattenuto anche volendo. «Non hai cambiato idea su... di me, su tutto, non ti fai delle domande, non vuoi sapere...?»

«Quando vorrai parlare io sarò qui, pronto ad ascoltarti» disse Merlin, onesto e semplice.

Sul volto di Arthur si leggeva una severità che faceva male perché era rivolta contro se stesso, Merlin lo sentiva. Ogni cicatrice, ogni piega della pelle che marchiava il ricordo di una bruciatura era un ricordo doloroso, un'accusa che non sarebbe sparita.

«E se io non volessi parlare?»

«Ascolterò i tuoi gesti» mormorò Merlin. «Ma lo farò stando al tuo fianco.»

Era così facile dirlo... però sembrava che non fosse altrettanto facile da ascoltare e accettare.

Una rista amara contorse le labbra di Arthur. «E come farai a restare al mio fianco?» Lo disse con un'ironia che rasentava la cattiveria. «Il tuo contratto sta per scadere. A fine anno i debiti contratti dalla tua famiglia saranno saldati come promesso e te ne dovrai andare.»

Oh.

Merlin aveva dimenticato i debiti, aveva dimenticato l'indigenza e aveva dimenticato che la sua presenza a Villa Pendragon era stata richiesta dal proprietario solo fino alla fine di Dicembre.

«Potrei, non so... restare anche dopo?» azzardò, mascherando il tono con una leggerezza che non sentiva affatto. «Insomma, la casa avrà sempre bisogno di qualcuno che la non-pulisca...»

«Non ci sarà bisogno di nessuno quando sarà chiusa» disse Arthur, ed era come una promessa.

«Chiusa?»

Arthur fece un vago segno con la testa, proseguendo tranquillamente, quasi clinicamente. «A fine anno mi ritirerò. Lascerò l'azienda in mano a Morgana e andrò a vivere in un posto lontano.»

«Quanto lontano?» disse Merlin, che avrebbe solo voluto dire 'Ma non puoi andartene così! E io?'.

«Tanto lontano» rispose Arthur, e sembrava quasi soddisfatto di averlo spiazzato, ma in realtà era solo amareggiato, amareggiato, amareggiato, Merlin lo vedeva e ne soffriva in modi che non avrebbe ritenuto possibile.

«Questa casa...» aggiunse Arthur piano, le parole che gli scappavano quasi, lo sguardo perso tra le rose blu e i rampicanti che pendevano dal soffitto, «... è troppo grande.»

Merlin si fissò le scarpe. «Non sapevo che te ne saresti andato, alla fine.»

«Sapevi di avere un contratto a tempo determinato, no? Questo dettaglio non cambia niente per te.»

«Cambia tutto, invece!» fece Merlin, e d'istinto afferrò la mano di Arthur. Le sue dita lunghe e perfette sobbalzarono tra quelle di Merlin.

«Sicuro che sia quello che vuoi, Arthur? Scappare da questo posto, lasciare i frutti delle tue fatiche in mano a qualcun altro?»

Arthur guardava dappertutto tranne che dalla sua parte, era combattuto, tutto il suo corpo emanava un'energia nervosa – ma la sua mano restava in quella di Merlin. «È la cosa migliore.»

«Per chi, per Morgana?»

«Ma non sai neanche di cosa stai parlando!» sbottò Arthur, strattonando il braccio di Merlin.

«Invece tu lo sai.» La voce di Merlin riecheggiò per la serra. «Sai quello che dici quando parli del tuo lavoro. L'altra volta mi hai annoiato a morte con i tuoi resoconti, ma ho visto tutto l'entusiasmo con cui spieghi dati e fatture e investimenti e... uno deve essere esperto per parlare di quella roba come hai fatto tu.»

«La tua fiducia nelle mie capacità è ammirevole» mormorò Arthur con mestizia, una sferzata a sé stesso e a Merlin insieme.

Lui scosse il capo. «È solo fiducia meritata.»

A quella parola, meritata, qualcosa scattò in Arthur. «No, invece» disse con trasporto, premendo il palmo su quello di Merlin. Urgente, per fargli capire. «Merlin, ascolta, da quando è successo... da quando è successo non sono più riuscito a lasciare questa casa. È per questo che mi sono dato un tempo e mi sono deciso ad andarmene del tutto, lontano. Non riesco a farmi vedere dagli altri se resto qui, non riesco a far giudicare il mio lavoro, a far giudicare me... e neanche me lo merito. La mia faccia-»

«È la tua faccia» disse Merlin. Avrebbe voluto dirgli tante cose ma sapeva che Arthur non avrebbe ascoltato volentieri, che non avrebbe accettato, non subito, non adesso. «Senti, Arthur, ho un'idea» si decise. «Se va male e alla fine te ne vorrai ancora andare, almeno partirai col botto. Ma se va bene... se va bene resti» disse, strizzando ancora la sua mano. «E ti tieni stretto quello che è tuo.»

Arthur era così insicuro e spento che Merlin voleva solo vederlo tornare a fare di nuovo lo sbruffone. Avrebbe fatto qualunque cosa perché Arthur facesse lo spaccone a cuor leggero, senza quell'ombra sotto che ottenebrava ogni suo gesto.

«Devi darti una possibilità» lo incoraggiò ancora.

«Non sono sicuro di riuscirci» ammise Arthur.

«Lascia che ti aiuti io, allora. Incomincia dandola a me.»

E Arthur Pendragon attorcigliò piano piano le dita a quelle di Merlin.

 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: hiromi_chan