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Autore: Carillioon    12/09/2016    1 recensioni
[Suicide Squad]Lui trovò l'oscurità nella sua bellezza, lei la bellezza nella sua oscurità.
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harley Quinn, Joker
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 4




"Sono contenta che ti sia piaciuto" afferma Harley con un sorriso. La felicità sincera nel viso di Joker la mette di buonumore.
Un'infermiera entra nella stanza.
"Dottoressa Quinzel, è ora".
sa perfettamente di cosa parla. La terapia dell 'elettroshock viene praticata su ogni paziente della struttura. Stava cercando di dimenticarsi e di rimandare quell'impegno, ma non può scontrarsi con il suo capo, soprattutto se la persona in questione è il più grande criminale di Gotham. Non voleva sottoporlo a quella tortura, la trova inumana, in più ferire in questo modo quell'uomo tanto complicato quanto gentile la faceva rabbrividire.
"Signor J, dobbiamo spostarci nell'altra stanza" dichiara alzandosi dalla sedia con malavoglia.
"Ai suoi ordini" la sua ignoranza la fa sentire anche più in colpa.
Scortati da quattro guardie con pistole tranquillanti arrivano davanti a un lettino con cinghie di pelle marrone.  A destra c'è una lampada da interrogatorio che rende l'atmosfera ancora più inquietante. Altri due infermieri entrano e tolgono la camicia di forza e lo legano. Gli occhi marroni hanno un'aria divertita, quasi di sfida, è curioso di sapere fino a dove la ragazza è capace ad andare.
Una volta steso Harley si mette dietro alla sua testa con i due elettrodi cilindrici.
"Oh dottoressa, ho l'impressione che voglia farmi male. Ah Ah ah"
"Mi dispiace" sussurra appoggiando gli arnesi sulle tempie pallide.
Il paziente zero apre la bocca e fa uscire un suono acuto, strozzato. Non riesce a urlare poiché il dolore è troppo forte. Le dite si arrotolano su se stesse e le palpebre sono spalancate.
Termina il supplizio ansimando.
"Perché mi fai questo? Io volevo solo essere un comico!" Urla con gli occhi assetati di sangue. 
La bionda spaventata ricomincia la tortura.
Le pupille si dilatano e le gambe si muovono velocemente.
"Sei come mio papà! Come Batman! Infrangete tutti i miei sogni!" Si lascia sfuggire tutto in un fiato. Un grido disperato. Lascia cadere i cilindri per terra. Una lacrima riga la guancia dei due. Quella confessione l'ha colpita come un pugnale al petto. Aveva capito che non era uno dei soliti criminali, ma valeva di più. Accarezza con la mano la sua fronte cercando di calmarlo.
"Andrà tutto bene, è finito" gli sussurra all'orecchio. Il pagliaccio non riesce a smettere di ansimare.
Gli infermieri e i soldati li guardano stupiti, tutto questo è contro il regolamento.

Seduta nel suo studio i pensieri continuano a vagare. Conoscendolo meglio e grazie alle sue confessioni comprende che il Joker, descritto spesso come un pazzo furioso, come un pericoloso criminale, è in realtà una persona dall'animo sensibile e tormentato, un bambino afflitto e ferito che sperava di far ridere il mondo alle sue buffonate, ma che veniva sempre ostacolato dal virtuoso e moralista Batman determinato a rendere la vita un inferno al comico. Riesce a capire l'odio profondo che prova verso il pipistrello e un po' lo condivideva. È stato lui a trasformarlo nel più grande omicida di Gotham e adesso deve pagarne le conseguenze.
Abbassa lo sguardo sugli appunti presi durante le sedute. Intorno agli schemi ha disegnato vari cuori con all'interno i loro nomi.  Joker & Harley ormai scriveva solo quello. In fondo al foglio una grande scritta "Batman" è scarabocchiata aggressivamente con molto disprezzo.
La porta dell'ufficio si apre di scatto ed entra il capo di Arkham. Rapidamente chiude il blocco e salta sulla sedia.
"Dottoressa Quinzel, dobbiamo parlare" dice con fare minaccioso e sprofonda sulla poltrona. Appoggia i gomiti sulla scrivani davanti a lei. La ragazza si allontana istintivamente spaventata dal l'autorità dell'uomo.
"Mi hanno riferito dei comportamenti strani durante la seduta con il paziente 0. Ha qualcosa da dire a riguardo?" La guarda con una faccia interrogativa e occhi fissi.
"Quali comportamenti strani, di che genere?" Risponde esterrefatta.
"Lei e il Jocer eravate molto, come si può dire, intimi"
"Signore si sbaglia, sa bene come la penso e in tutti questi anni non ho mai interferito con un mio paziente o lasciatomi coinvolgere più del necessario"
"Signorina lo so, ma questo è diverso, il paziente in sè è diverso. La tolgo dall'incarico, mi dispiace" dice alzandosi dalla sedia.
"No la prego! Sono vicinissima a capirlo! Non può allontanarmi adesso, per favore! Mi dia un'altra possibilità!" Esclama anche lei alzandosi in piedi.
Il direttore si zittisce per qualche minuto "va bene. Lo potrà vedere un'ultima volta. Domani. Arrivederci" lascia lo studio e se ne va.
Esausta ed estremamente disperata si lascia cadere con la testa tra le mani. Solo il pensiero di non rivedere più il Signor J la rattrista. Il suo volto pallido, il suo charme imparagonabile, i capelli verdi e la sua risata erano diventati i motivi per cui si sveglia la mattina. È disposta a fare qualunque cosa pur di prolungare il loro tempo insieme.

Il cammino per tornare a casa lo trascorre con gli occhi fissi a terra. Non le importa della pioggia che le scorre lungo il cappotto. La depressione che l'assale è talmente forte da non riuscire a respirare. Si ferma di scatto davanti alla porta del suo appartamento e a fatica infila la chiave nella serratura. Non mangia quella sera, le viene la nausea. Si sdraia sul letto abbracciando il gattino di pezza che le ha regalato sua madre quando aveva cinque anni. Nei momenti difficili la tranquillizza, la fa sentire sicura. Scoppia in un pianto liberatorio. Sfoga l'ingiustizia di cui è stata vittima. Sfoga il dolore per quella perdita di un uomo che è diventato molto importante nella sua vita.
Nelle lacrime si addormenta sfinita.

La luce del mattino che entra dalla finestra sveglia la dottoressa. Si è dimenticata di programmare la sveglia la sera prima, scossa com'era dall'annuncio del capo. Si trascina verso la cucina e prepara la colazione. Anche se vorrebbe urlare e piangere pretende di essere forte, deve presentarsi al meglio, vuole che la ricordi positivamente. Motivata si trucca e si veste. Prepara la borsa e all'interno mette il peluche che l'ha accompagnata per tutta l'infanzia. Così potrà ricordarsi di lei.

La stanza scura sembra più inquietante del solito. La luce è fredda e a volte lampeggia. Harley si siede controvoglia e aspetta il comico. Ha paura della sua reazione, ha paura che non gli importi anche se in fondo sa che anche lui si è affezionato a lei.
L'uomo entra con il sorriso sulle labbra. È contento di rivederla. Si accomoda e saluta la dottoressa con un cenno del capo.
"Dottoressa Quinzel, lo sa io vivo per questi momenti con lei.
Cosa mi ha portato?"
"È un gattino. Spero che ti piaccia" gli porge il pupazzo appoggiandolo più vicino a lui.
"È adorabile"
Restano in un silenzio pieno di emozione per qualche minuto.
"Joker questa sarà la nostra ultima seduta" si lascia sfuggire tutto in un fiato. Quando finisce la frase si pente di quell'atto ma allo stesso tempo è più leggera.
Il volto dell'uomo si ingrigisce e la bocca si piega all'ingiù.
"Sei stata tu a chiedere di andartene?" Quella domanda la ferisce. Come può pensare una cosa del genere?
"No! Assolutamente no!" Abbassa la voce "hanno denunciato troppa intimità tra di noi quindi mi hanno allontanato. Mi dispiace, mi piaceva trascorrere il tempo con te" sussurra.
"Ed è vero? C'è questa intimità tra noi?" Non l'ha mai visto così serio. Muove la testa vigorosamente scandendo le parole una per una. Aprendo e socchiudendo la bocca.
Non sa cosa rispondere. Gli occhi della ragazza sono spalancati, meravigliati.
"Credo di sì" ammette chiudendosi in se stessa e ammettendo il peggior errore che uno psicologo possa compiere.
"Lo credo anch'io" mostra i denti di argento e torna serio "puoi fare una cosa per me?"
"Qualsiasi cosa... Cioè che cosa?" Si toglie i capelli dal viso e li mette dietro l'orecchio.
"Mi serve una mitragliatrice"
"Una mitragliatrice?" Chiede scioccata.
Il Joker si mette a ridere. Harleen resta seria.  Non sa cosa vuole farci, ma sicuramente niente di buono. Nonostante ciò non riesce a negarglielo. Deve fare qualcosa per lui prima di abbandonarlo per sempre. Durante il conflitto interiore in corso dentro alla dottoressa, il pagliaccio si sporge sempre più verso di lei. Anche la donna fa lo stesso e si ritrovano a pochi centimetri l'uno dall'altra.
"Ci pensi. Vai all'angolo est di Rotterdam street oggi alle quattro, poi portamela qua alla sera tardi. Mi fido di te. Resteremo insieme per sempre" il suo respiro caldo le sfiora il naso e non può fare nient'altro che accettare.

NOTA DELL'AUTRICE
ciao a tutti! ecco qui un altro capitolo mooolto più lungo e spero vi piaccia! Mi scuso per gli errori, ma ho cercato di pubblicarlo il primo possibile giusto per rallegrare questo lunedì inizio scuola.
Grazie a tutti quelli che sostengono e leggono, sto osservando che questa storia ha avuto molto successo e sono felicissima:)
A presto CIAO

 

   
 
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