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Autore: Uccellino Assurdo    13/09/2016    0 recensioni
Trieste ha una scontrosa / grazia. Se piace, / è come un ragazzaccio aspro e vorace, / con gli occhi azzurri e/ mani troppo grandi / per regalare un fiore; /come un amore / con gelosia. (Umberto Saba, Trieste)
Trieste, 1914. Nella città "crocevia di popoli e di culture" per eccellenza la storia dei due fratelli Vargas, Romano ed Alice, che vedono la loro vita sconvolta dall'avvento della Grande Guerra e dell' amore...
Nota: presente Fem/Italia del Nord
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
 Questo capitolo è interamente incentrato su Antonio: la mia intenzione era trattare del suo passato in un paio di piccoli paragrafi o flash back, ma molti che hanno letto la storia  hanno espresso la curiosità di sapere qualche particolare in più su questo personaggio, quindi alla fine gli ho dedicato il capitolo!
Grazie a tutti coloro che leggono, criticano , commentano e hanno la santa pazienza di aspettare i miei lentissimi aggiornamenti! Spero che il capitolo sia di vostro gradimento.
Buona lettura! <3
 
 

 
Cap. IX
 
Antonio si preparava a ritornare a Trieste. Nonostante le lacrime della madre e dei fratelli e lo sguardo interrogativo di Alice, la sua è permanenza a casa durò poco.
Guardava le sterminate a assolate campagne del suo paese convincendosi che non sarebbe stato un addio; cercò di concentrarsi sui ricordi belli pieni di dolcezza della sua infanzia ma dopo il colloquio col padre non riusciva a togliersi dalla testa la scena simile accaduta ormai sei anni prima.
Ero solo un ragazzino. Ma ora sono un uomo, e vivrò come un uomo. Stavolta parlerò, lotterò e vivrò o morirò come un uomo ma non voglio più nascondermi.
Guardando quei paesaggi che tanto aveva guardato nel poco lontano passato, la sua mente tornò all’ultima estate della sua adolescenza.
 
 
La storia di Antonio
 
I
Madrid – 1908
Il ragazzo arrivò agli alloggi dei coloni di buona mattina, quando già i contadini si preparavano ad andare a lavorare e le donne portavano a lavare il bucato alle vasche comuni.
«Hola, señoras! », esclamò, facendo un lieve cenno con la mano in direzione delle donne che si dirigevano ai lavatoi con cesti e saponi. «Buongiorno, señor, buongiorno»
«Stamattina sono in anticipo, i bambini saranno arrivati?»
«Sì señor, la stanno aspettando», rispose una di loro, «mia figlia non vede l’ora di farle vedere come ha imparato bene a fare le addizioni!»
«Bene, allora non li faccio attendere. Buon lavoro e buona giornata!» e accelerò il passo allegramente.
«Quello è il figlio maggiore del señor Carriedo, vero?», chiese una donna ad una vicina, «mi avevano detto che è un bravo giovane»
«Sì, don Antonio è il più bravo e il più bello!», fece trasognata una ragazza. «Ogni mattina, quando arriva con quel sorriso luminoso è come se il sole sorgesse di nuovo!»
«Ma sentila! Cerca di non guardare troppo tu, è pur sempre il figlio del padrone!»
«In ogni caso è vero: è un ragazzo d’oro, non ha nessuna affettazione, nessun  atteggiamento da padrone, non riesco a credere che sia figlio di suo padre…e chi mai avrebbe fatto quello che sta facendo lui per i nostri ragazzi?».
Antonio si recava tre volte a settimana a giorni alterni alla zona colonica; dopo vari tentativi finalmente quell’autunno era riuscito a farsi concedere dal padre il permesso di dare lezioni al gruppo di bambini che alloggiavano lì. Erano tutti figli dei contadini che difficilmente avrebbero trovato un’altra opportunità per imparare a leggere, scrivere e contare, quindi Antonio si dedicava anima e corpo al suo compito, ripagato dall’entusiasmo e dell’affetto dei piccoli. Una vecchio granaio smesso, opportunamente riorganizzato e dotato di sedili e banchi messi insieme alla bell’ e meglio, era diventato la loro scuola e lì davanti si trovava il piccolo gruppo di ragazzini che aspettava con sorrisi sdentati e infantili il loro maestro.
«È arrivato il señor Antonio! Señor, señor!», fecero vedendolo e attorniandolo festosamente.
«Ho fatto tutti i compiti che mi avete assegnato l’ultima volta!»
«Io mi sono allenato nella lettura! Voglio che mi sentiate leggere!». Antonio ascoltava e seguiva tutti e controllava i quadernini smussati di ognuno. «Sì Jorge, almeno fammi entrare prima…»
«Gabriel, devi scandire bene le parole, non scrivere tutto attaccato!»
«Annita, sei stata bravissima! Non hai fatto neanche un errore». La soddisfazione e l’orgoglio che vedeva negli occhi dei suoi piccoli scolari lo ripagava di tutto il tempo speso dentro quel vecchio granaio.
«Carlos, cosa sono questi scarabocchi sul quaderno?! Non è un album da disegno!»
«Non sono scarabocchi: è il protagonista della storia che ci avete letto qualche giorno fa, don Quijote che combatte contro i mulini a vento!», rispose il bambino mostrando coi ditini le ipotetiche lance e le pale del mulino.
«Ah…sì…guardando meglio è proprio lui. Sei un vero artista, Carlos!»
Alla fine delle lezioni del giorno i ragazzi uscirono chiassosamente dal capanno, non prima di aver salutato il loro giovane maestro e lasciato altri quadernini, fogli, disegni vari e per gentile concessione di Annita, come dono, un cestino in vimini spelacchiato di sua personale fabbricazione. Antonio si stava preparando ad uscire a sua volta quando notò all’ingresso del granaio una figura che sembrava lo aspettasse.
«Luis, sei tu?», disse riconoscendolo. «Entra pure, non stare lì in piedi!»
Luis aveva circa l’età di Antonio, arruffati capelli color cenere e due vispi occhi castani contornati da leggere lentiggini; ad Antonio aveva sempre ispirato simpatia.
Il ragazzo entrò leggermente imbarazzato, togliendosi il semplice berretto dalla testa. «Sono venuto a portarvi questi, señor». Allungò dei quadernini quadrettati. «Sono da parte di Ines, la mia sorellina. Oggi non è potuta venire perché ha l’influenza, ma ha insistito tanto perché voi vedeste lo stesso i suoi compiti così mi ha obbligato a portarveli»
«Oh, infatti ho notato che oggi mancava la piccola Ines, spero si riprenda presto!»
«Sì, non vede l’ora di tornare ad ascoltare le vostre lezioni…credo che sia così per tutti»
«Sono tutti bravissimi, in poco più di qualche mese hanno fatto dei progressi da giganti, sono davvero fiero di loro!»
Luis arrossì come se il complimento fosse stato fatto a lui. «Sono fortunati, lo sanno e si impegnano. Se qualcuno avesse fatto quello che fate voi per questi bambini quando io avevo la loro età, anche io…»
Si interruppe; Antonio notò che si era imbarazzato e credette di capire il motivo: «Sai leggere e scrivere, Luis?» Chiese con rispetto.
Luis abbassò gli occhi e arrossì, agitando la testa in segno di diniego.
«Ti piacerebbe imparare?»
«Eccome se mi piacerebbe, senor! Ogni tanto ascolto le storie che leggete ai ragazzi e immagino come sarebbe bello poter capire quello che c’è scritto in quei libri senza dipendere dalla lettura altrui», rispose con fervore. «Ma ad un contadino non serve a niente conoscere la storia di cavalieri pazzi che combattono contro  mulini a vento…».
Ad Antonio piaceva il candore e la semplicità di Luis, quella sua capacità di meravigliarsi per le piccole, semplici cose, come fosse un bambino, la sua sincerità spiazzante. Anzi, in realtà, forse, gli piaceva troppo. Ecco perché con uno strano timore che non accettasse gli propose: «Se vuoi…te lo insegno io».
Il ragazzo alzò gli occhi colpito: «Mi insegnereste a leggere?»
«Certo! Tu sei un ragazzo intelligente, ci vorrà poco tempo e leggerai e scriverai meglio di me! ».
Luis si illuminò di gratitudine e felicità ma qualche secondo dopo il suo sguardo si abbassò nuovamente: «È meglio di no. Lo so che è infantile dirlo ma…mi vergogno a frequentare le lezioni con bambini, mi sentirei a disagio, fuori posto; è come se per me fosse troppo tardi ormai»
«Non è mai troppo tardi quando si vuole imparare con tutto sé stesso a fare qualcosa!»
Era ancora più fermamente sicuro di volere insegnare a quel ragazzo. Ma visto che il giovane continuava a rimanere immobile, visibilmente rassegnato e imbarazzato, aggiunse: «Va bene, allora facciamo una cosa…», disse, « a che ora hai la pausa?»
«Per il pranzo ho un’ora intera disponibile, señor»
«Bene! A quell’ora, subito dopo la lezione coi più piccoli, verrai in questo capannone e ti insegnerò a leggere e scrivere. Saremo da soli, nessuno ci disturberà visto che a quell’ora sono tutti a pranzo, e nessuno lo verrà a sapere. Dunque, così pensi possa andare?»
«Farebbe davvero questo per me, señor?», chiese Luis con trasporto. «Verrebbe davvero qui un’ora in più solo per insegnare a me?»
«Sì. Se prometti di impegnarti!».
«Lo farò, glielo prometto! E mi sdebiterò un giorno!»
Antonio pensò che vedere il suo sorriso equivaleva ad una ricompensa più che sufficiente.
 
II
«Oh, Antonio! Vai ancora a far scuola a quei ragazzini? Con questa storia non ci badi più!».
Erano seduti alla tavola sulla terrazza a fare colazione e Isabella riempiva il suo pane tostato di marmellata mentre continuava a brontolare. «Passi tutto il tempo nella zona colonica a leggere libri a quei contadinelli!»
«Quando eri piccola leggevo anche a te le storie, adesso sai leggere e puoi farlo da sola!», ribatté Antonio.
 «Però almeno questa settimana andiamo a pesca?», chiese Ferdinando, « La scorsa domenica avevi detto che mi avresti portato e invece mi hai lasciato da solo…»
«Sì, Ferdinando, te lo prometto, questa volta ti ci porto…»
«Se viene lui vengo anch’io!»
«Le femmine non possono venire a pescare»
«Perché, cos’ho meno di te? Chi dice che non posso?», fece Isabella indispettita.
«Nostra madre non ti farà mai venire, dice che sarebbe sconveniente per una señorita!».
Isabella stava già iniziando il piagnisteo quando: «Cosa sarebbe sconveniente?». All’arrivo della signora i tre figli si alzarono educatamente.
«Buongiorno, madre!»
«Buongiorno, ragazzi», rispose la donna facendo cenno ai giovani di sedersi.
«Come va la tua attività di insegnamento, mio caro?», chiese al figlio maggiore.       
«Molto bene, madre!», esclamò Antonio animandosi per l’entusiasmo. «I bambini studiano e si impegnano moltissimo; dovresti vedere i loro visini incuriositi e sorpresi quando imparano qualcosa di nuovo e come sono avvinti dalla lettura dei libri che porto loro! Pensavo di fare una piccola biblioteca di narrativa per ragazzi nel capanno, così potrebbero prenderli in prestito quando vogliono, credi sia una buona idea?». Evitò naturalmente di dire che la sua attività didattica si era da poco allargata anche agli adulti.
La madre sorrise compiaciuta all’entusiasmo del figlio: «Certo, tesoro. Se ti fa piacere».
«Pensi ancora a quell’inutile perdita di tempo?»
Don Juan arrivò sia avvicinò con passi lenti alla sua famiglia; dall’abbigliamento sembrava tornare dagli alloggi dei contadini.
«Buona giornata, padre», salutarono i tre figli, alzandosi ossequiosamente. L’uomo si diresse verso Antonio, senza dare cenno di aver sentito. «Il guardiano mi ha detto che hai parlato con i fornitori riguardo la vendita delle sementi»
«Sì, padre. Sono riuscito a farmele vendere ad un prezzo inferiore rispetto a quelle dell’anno scorso e mi è stato assicurato che sono di ottima qualità»
«Un prezzo inferiore? Quando li ho contattati mi hanno chiesto un rincaro del trenta per cento rispetto all’anno scorso»
«Sì, anche a me, ma ho semplicemente spiegato che conoscendo il mercato so che quel rincaro era ingiustificato e in caso avremmo cambiato fornitori; non è loro convenuto vista l’importanza della nostra proprietà così le ho comprate al prezzo che mi sembrava onesto!»
«Bene. E i capi di bestiame?»
«Me ne sono occupato personalmente. Venduti, come mi avevate detto»
«Altre novità?»
«Abbiamo bisogno di sostituire alcuni attrezzi ormai usurati, domani andrò a controllare dove comprarli alle condizioni migliori. Per il resto, tutto procede tranquillamente. Ah, una coppia di contadini ha appena avuto un bambino, ho provveduto a mandare loro un cesto di buon augurio con il necessario per il neonato»
«Questo io però non te l’avevo chiesto….»
«Lo so. Ma ho lo stesso pensato che dimostrarsi gentili con i contadini avrebbe lo stesso ripagato in futuro; eviteremmo così eventuali malcontenti»
Don Juan sospirò in modo rassegnato. «Hai ancora convinzioni ingenuamente idealistiche che non so quanto possano pagare, in ogni caso per il resto…ben fatto. Sei stato bravo». E appoggiò la mano sulla testa del figlio prima di andarsene.
Quel semplice gesto e quelle parole furono la cosa più vicina ad una carezza che Antonio aveva mai ricevuto dal padre. Dovette sforzarsi per trattenere l’emozione che sembrò scoppiargli in petto.
La madre, guardando soddisfatta la scena prese la parola. «Tuo padre sa con quanta solerzia tu ti stia impegnando nella gestione della tenuta e quanto tu stia maturando. Sei ancora giovane ma stai diventando giorno dopo giorno un uomo…lo sa, ed è orgoglioso di te».
Ad Antonio gli occhi si illuminarono dalla felicità, abbracciando la madre.
 
III
I due ragazzi sedevano vicini, con entrambi i visi chini sul libro. Luis leggeva lentamente, aiutandosi a seguire la riga di lettura con l’indice; Antonio sorrise a quel vezzo che aveva in comune con i bambini. Era da alcune settimane che i due si incontravano, all’insaputa dei più, nel vecchio capanno; Luis aveva già imparato a scrivere, seppur lentamente e con qualche errore, e a leggere prima parole, poi frasi, adesso intere pagine. Le correzioni diventavano sempre di meno e ogni giorno il ragazzo tornava al suo lavoro più entusiasta sentendo di migliorare sempre di più.
Per Antonio quegli appuntamenti segreti con il giovane contadino erano diventati un piccolo irrinunciabile piacere quasi quotidiano. La fresca spontaneità del ragazzo, la sua mancanza di calcolo, lo facevano assomigliare sempre di più, ai suoi occhi, ad un bambino. Antonio cercava di non domandarsi e di non rispondere al perché troppe volte era arrossito guardandolo, perché lo guardasse troppo spesso, perché troppo spesso si trovasse a pensare a lui nei  momenti più diversi della giornata, soprattutto la sera prima di dormire. Non si voleva domandare il perché di certi sogni di cui si vergognava la mattina dopo, né del senso di disagio che lo assaliva quando ogni domenica usciva dal confessionale della chiesa con la sensazione di non aver detto tutto. Non si voleva domandare perché era il viso del ragazzo a scomparire del liquefarsi del piacere solitario che si concedeva nelle stanze chiuse.
«Stai migliorando con grande velocità, Luis!», esclamò ascoltandolo mentre leggeva ancora un po’ stentatamente.
«Dite davvero, señor?», chiese alzando gli occhi dal libro.
Antonio annuì. «Sì, ma ti prego, smettila con questo “senor”, non sono così tanto più vecchio o più signore di te».
«E come dovrei chiamarvi?»
«Antonio e dammi del tu»
«Del tu a voi?!!», esclamò più scandalizzato che sorpreso. «No, no, non potrei mai farlo!» e scosse la testa come a scacciare anche solo l’ipotesi di tale affronto. «Voi siete il padrone…»
«Sono il padrone di questo posto, non tuo. Nessun uomo è padrone di un altro». Luis lo ascoltò come se non si aspettasse quelle parole. «Io e te abbiamo la stessa età, forse siamo simili, come tutti i giovani abbiamo sogni che vorremmo realizzare. Tu non ne hai sogni Luis?»
Il ragazzo lo guardò confuso, senza sapere che dire. Non aveva mai pensato a cose come i sogni e gli ideali, aveva sempre lavorato nei campi insieme ai genitori e non riusciva ad immaginare un futuro diverso da questo. L’unica cosa di cui era sicuro era la gratitudine che provava per Antonio in quel momento.
«Siete strano…», fece, alzando gli occhi su Antonio,  «dite cose strane, fate cose che gli altri come voi non si sognerebbero mai di fare, parlate di cose che non sempre capisco, però…sono contento di essere qui con voi e di avervi conosciuto».
Ad Antonio il cuore saltò un battito.
Fu in una tiepida mattina di maggio, mentre i raggi filtravano dalla finestra  dentro un vecchio granaio smesso che una forza sconosciuta, senza coscienza, senza rimorsi, senza ragione, senza colpa o peccato lo portò vicino, troppo vicino a quel ragazzo.
Così vicino che quasi Antonio non si accorse, chinandosi sul quaderno dove Luis era intento a scrivere, che la distanza fra i loro due visi si stava riducendo sempre di più, che in un attimo prolungato all’infinito aveva già alzato il mento del ragazzo verso di lui, che la sua bocca si era appoggiata a quella dell’altro premendola leggermente.
Il tempo si congelò. Antonio non ebbe il tempo di provare imbarazzo, paura, disagio. Sapeva soltanto, in qualche remoto anfratto della sua anima, che nonostante quanto inculcatogli dalla morale, ciò che stava facendo non era sbagliato. Glielo diceva il cuore che martellava nel petto, la mano e le labbra che tremavano, il calore che pervase tutto il corpo, il respiro corto, l’ anima che esalava nella bocca dell’altro.
Ma si ricredette. Amaramente.
Luis si ritrasse violentemente, facendo cadere con fragore la sedia su cui era seduto e sostandosi come se una belva sanguinaria lo avesse morso. «Cosa state facendo?!»
«Luis, perdonami, era solo…»
«Non avvicinatevi!», gli gridò contro. Sembrava molto diverso dal pacifico ragazzo che aveva conosciuto in quelle settimane. «È per questo che mi avete fatto venire qui?»
I sottintesi di quella frase colpirono Antonio come una stilettata al cuore.
«Oh, no, no!», si affrettò a dire, sporgendo una mano come per rassicurarlo. «Non devi neanche pensare una cosa simile, l’ho fatto…»
«Non mi toccare! Non mi toccare mai più!»
Cosa vedeva in quegli occhi, prima così puliti e sereni? Odio, disgusto, delusione, paura. Luis aveva paura di lui. «Luis, ti prego, io non…»
Fuggì dal granaio senza voltarsi. Ad Antonio, affranto, rimase solo il quaderno a fogli ingialliti  pieni delle sue parole incerte.
 
IV
Fuori dal granaio non c’era nessuno. A quell’ora i bambini erano soliti aspettare Antonio per la consueta lezione. Si fece mentalmente il calcolo per chiarirsi se fosse quello il solito giorno, quello il solito granaio, quella la solita ora in cui era abituato a vedersi salutare festosamente dal suo nugolo di scolari.
Antonio fece un giro nei dintorni. Quello che portava con un po’ di impaccio un secchio ricolmo d’acqua non era forse Carlos?
«Carlos, non dovresti essere a lezione a quest’ora? E sai dove sono i tuoi compagni?»
«Buongiorno, maestro!», rispose il ragazzino un po’ titubante. «Io oggi devo aiutare la mamma…»
«Ho capito, ma tutti gli altri…?»
«Io non lo so…forse anche loro oggi devono aiutare».
Una donna, la madre di Carlos, arrivò a passo accelerato afferrando il bambino dalle spalle. «Cosa state facendo a mio figlio?!», esclamò allarmata.
Antonio la guardò confuso. «Niente, io volevo solo sapere come mai oggi non ho trovato nessuno ad aspettarmi…»
La donna lo guardò con un misto di timore e disgusto, malamente celato dal rispetto che necessariamente doveva verso il padrone. «Questo dovreste chiederlo a voi stesso. E comunque a casa abbiamo bisogno anche dell’aiuto di Carlos, bisogna lavorare tutti e lui ormai ha imparato dalle vostre lezioni il necessario che serve ad un contadino. Vi ringraziamo ma lui non frequenterà più e credo che questo valga anche per gli altri ragazzini». Sembrava spaventata da lui.
Il piccolo Carlos guardava ora la madre ora Antonio, non capendo appieno il motivo per il quale era costretto a lasciare il maestro a cui si era affezionato e le sue divertenti lezioni; sapeva soltanto che la mamma gli aveva proibito di parlare e stare insieme a lui.
Antonio non capiva. Non era possibile che quella donna  pensasse che lui potesse far del male a Carlos, non era possibile che lo pensassero i genitori degli altri bambini, non era possibile che loro avessero proibito ai figli di venire alle sue lezioni. Perché poi? All’improvviso si fece strada un pensiero.
Luis…lui avrà…avrà detto in giro qualcosa? Qualcosa che riguarda quello che è successo quel giorno? E questi genitori non mi vogliono affidare i loro bambini perché pensano che io…
Ad Antonio il mondo iniziò a girare intorno vorticosamente. Se la voce si spargesse, se arrivasse agli altri coloni, se arrivasse…a suo padre?
 
V
I tre ragazzi ritornavano a casa con le canne in spalla, Isabella portava orgogliosa un cesto coperto da una tovaglietta bianca. «Guardate quanti pesciolini avete preso grazie a me!»
«Tu non hai fatto niente! Li hai solo messi dentro alla cesta dopo che noi li tiravamo fuori dall’acqua», protestò Ferdinando.
«Non è vero! Antonio, diglielo anche tu che non è vero». Antonio aveva portato a pesca i fratelli come promesso ma era rimasto silenzioso e immalinconito per tutto il mattino, con l’aspetto di chi è presente solo fisicamente ma la cui mente voga per porti lontani. In quei giorni aveva cercato Luis per parlare dell’accaduto, per scusarsi, chiarirsi, tentare di dargli una spiegazione plausibile, ma non era riuscito a trovarlo o forse il ragazzo era riuscito a non farsi trovare.
«Anto, cosa ti prende? Non hai detto una parola per tutto il tempo…»
Un gruppetto di adolescenti era seduta su un muricciolo poco lontano da dove passarono i tre; Antonio riconobbe due o tre di loro, abitavano nella zona colonica, li aveva intravisti spesso.
I ragazzini appena videro i fratelli bisbigliarono qualcosa fra di loro, ridacchiarono, ammiccarono maliziosamente. Più chiaramente si sentì aleggiare nell’ aria una parola che sperò che i suoi fratelli non avessero sentito. Maricón.
Antonio istintivamente accelerò il passo per poterli più velocemente sorpassare, ma lo stesso quella parola continuava a uscire dalle loro bocche, sempre più accompagnata da gomitate d’intesa e sorrisetti maligni, quasi innocenti nella loro inconsapevolezza di fare tanto male. Maricón, maricón. Finchè non trovarono tanta baldanza da alzarsi  e gridare dietro ai tre: «Maricón! Maricón!! », provando compiacenza per la loro tracotanza.
«Cosa stanno farneticando quei mocciosi?», disse Ferdinando gettando un’occhiata accigliata. «Non lavorano per noi? Se mi danno fastidio lo dirò a nostro padre»
«Lasciateli perdere, sono solo ragazzini…», tremò la voce di Antonio.
«Maricón, maricón
«Fratello, che significa maricón?», chiese Isabella, stringendo di più la mano ad Antonio.
«Non è niente, vogliono solo scherzare, lasciateli perdere…», rispose, cercando la forza per non sentire, continuare a camminare senza voltarsi e parlare nonostante il groppo in gola.
 
 
VI
Non passò molto tempo prima che Antonio si trovasse ad essere chiamato  da don Juan.
«Voglio solo sapere una cosa e solo questa ti chiederò: quello che mormorano quei maledetti contadini che tu tanto hai in considerazione, quello che vanno raccontando dentro la proprietà e fuori di qui…è vero?»
Altri avrebbero forse mentito guadando il cipiglio di disprezzo sul viso di don Juan, ma non Antonio. Aveva paura, vergogna, imbarazzo. Ma  nel fondo rimaneva pur sempre una luce a sorreggerlo: quello era suo padre; lo amava, chi più di lui lo avrebbe, se non compreso, almeno perdonato?
«Sì, è la verità», mormorò in un ansito.
«Sei uno di quelli, un maricòn? Mio figlio?!». A Juan la voce tremava. Ancora quella parola, stavolta sulla bocca di suo padre; Antonio potè solo rispondere. «Io…non lo so. Luis mi piaceva. Io sono solo io».
Il viso dell’uomo divenne una maschera di rabbia e sprezzo.
«Padre…»
«Taci!!», gli urlò, con ancora il viso tra le mani. Il ragazzo abbassò di nuovo il capo.
«Beninteso, non mi riguarda o non mi importa niente di quel ragazzino che ti sei portato nel capannone, lui e la sua famiglia sono già stati mandati via».
« Hai licenziato Luis e i suoi?» si rianimò Antonio.
«In questo momento è l’ultimo tuo problema», gli rispose di rimando.
«Se fosse stata una ragazza avrei potuto capire, avremmo messo a tacere ben più di un bacio…»
Antonio provò un momento di subitaneo disgusto a cogliere le allusioni del padre, ma era troppo umiliato per ribattere qualsiasi cosa.
«…ma questo è troppo. Mio figlio. Riponevo in te la mia fiducia, fra qualche anno ti saresti occupato tu della proprietà; invece hai preferito lordare l’onore della famiglia con uno dei vizi più abietti dell’uomo!»
L’atmosfera della stanza si stava facendo sempre più pesante e ad Antonio quelle dure parole velate di rabbia gravavano come macigni sull’anima. «Vi prego, perdonatemi, ma non ho fatto niente di…»
«Stai zitto! Le persone come te vanno contro la Patria, la Famiglia e Dio!», gli ringhiò contro l’uomo. «Mi vergogno di averti come figlio»
Juan cercò di ritornare in sé e con più calma continuò: «Vattene».
Antonio non aspettava altro che uscire a quella stanza e terminare quel supplizio e già stava muovendosi per congedarsi, ma il padre continuò. «Dalla Spagna».
«Per qualche anno», continuò. «Potresti studiare lì, ti farà bene visitare un paese straniero. E quando ti sarai fatto passare dalla testa certi vizi tornerai più sano e responsabile di prima. Chissà che non sia altro che un capriccio passeggero».
Alla fine era questa per lui la soluzione. Allontanarlo della sua vista, dalla sua casa, dal suo paese per non far sporcare questi con l’onta che lui avrebbe portato; lo stava mandando via.
Antonio non ebbe la forza di parlare; oppresso dalla mortificazione e dall’amarezza semplicemente annuì e uscì dalla stanza. Fu così che arrivò a Trieste.
   
 
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