Libri > Twilight
Ricorda la storia  |      
Autore: Ulissae    03/05/2009    7 recensioni
[One shot su Jane ed Alec]
Morte. Troppo vicina per due anime così giovani.
Morte. Insieme, come sempre.

Perché si diventa cattivi?
Quarta classificata al contest "la vita segreta delle parole" indtto da storyteller lover e the forgotten dreamer
Genere: Triste, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aro, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sapori Italiani'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
wertyu
I Will  be here, with you forever


[Guida alla lettura: Leggendo in giro, ho scoperto che Jane ed Alec furono salvati da Aro mentre stavano per essere messi al rogo dalla folla inferocita. A questo punto la fantasia è volata…Ho pensato che per fare in modo che i poteri risultassero in parte già accennati Alec fosse un ottimo consolatore(quindi capace di far dimenticare il dolore), mentre Jane una ragazzina cattiva e perfida, allontanata da tutti, tranne che da lui, il fratello. E da questo punto si collega la frase. Jane ha vissuto tutta la sua vita con la testa rivolta alla terra, in particolare dopo un primo incontro con Aro, avvenimento che la rende ancora più introversa, alla ricerca della sua rivalsa. Logicamente ognuno cerca dove può, lei può solo nella terra.
Lo so, è complicato. Il titolo vuol dire: io sarò qui, con te per sempre, chiaro riferimento all'amore fraterno tra i due. Spero apprezzerete la lettura]


Tu sembravi sorridere a qualcosa che osservavi nella polvere

Ci sono storie che per essere raccontate le parole non bastano: si agiterebbero in aria come ballerine che non conoscono la coreografia, agirebbero per pochi attimi, poi, sfinite dallo sforzo, cadrebbero, rendendo il balletto un fiasco. La gente si impunta a farlo, tenta in tutti i modi. Ordina, comanda, eppure non sa che la mente è un essere assai anarchico. Bisogna saperle parlare nel giusto modo, bisogna conoscere bene la vita segreta delle parole…
Ora vediamo se sono abbastanza brava da narrarvi questa storia, se questa bricconcelle delle mie amiche avranno voglia di farvi conoscere ciò che io so e che voglio raccontarvi.
E’ una storia che risale a molti, ma molti anni fa, parla di due piccole persone, che nessuno avrebbe mai e poi mai potuto ferire.

Alec era il bambino più bello del villaggio, adorato da tutte le contadine, che lo riempivano di complimenti e di baci quando passava con la madre, figlio di un agricoltore sembrava l’incarnazione di un angelo: sereno, cordiale e gentile. Ognuno non poteva non pensare a lui senza paragonarlo al putto che nella chiesetta del paese sporgeva dal pulpito. Si diceva in giro che, nonostante avesse solo otto anni, riuscisse a far scordare qualunque problema alla gente, molto spesso lo stesso prete, così buono e sicuro della bontà di Dio, andava da lui e umilmente gli parlava, lasciandosi confortare da quelle parole ingenue e sincere, che uscivano senza cattiveria da quella bocca un po’ sdentata.
Abitavano in un piccolo feudo, nelle fredde e nebbiose terre germaniche, dico abitavano perché il piccolo Alec non era solo, insieme a lui viveva un'altra persona: Jane.
Sembrava che con loro il destino avesse voluto giocare, divertirsi per un po’.
Scorbutica, dispotica ed indisponente. Seppur la bellezza che la contraddistingueva era la stessa del fratello, nessuno lo ammetteva. Si soffermavano sul suo carattere cattivo, che delle volte sfiorava il malvagio, lo analizzavano con perfidia paesana, spettegolando su quella povera bambina. E lei cosa faceva?
Per ogni malalingua mostrava la sua, una bella e lunga linguaccia che sconvolgeva le massaie, gli faceva congiungere le mani, e pregare Dio che il demonio andasse via dal quel corpo.
Lei, per tutta risposta, girava i tacchi e correva verso i campi, lontana da tutte le parole che le vomitavano contro.
A questo punto uno potrà pensare: ma l’invidia? Questo sentimento così comune tra un fratello ed una sorella. Dove era? Cosa stava facendo? Perché non invadeva il cuore di quella bambinetta? Non la rendeva sua succube, come sempre accade? Strega ammaliatrice.
Jane provava disprezzo e rancore per tutti, tranne che per il suo fratellino.
Più che altro tentava di imitarlo, in tutti i modi, senza riuscirci; troppo irritabile, diceva lui.
Esisteva un luogo, al confine con il campo, nel quale il padre lavorava, dove la selvaggia bellezza naturale dei boschi scuri si imponeva orgogliosa contro l’avanzata dell’uomo. Là, tra gli alberi dagli alti fusti, c’era un tronco, che il temporale aveva privato della chioma, bruciato, formava un incavo nel quale la piccola si rifugiava quando perfino il suo orgoglio, così forte per un’età così piccola, si incrinava.
Singhiozzava, lasciava cadere tutte le sue lacrime sul verde muschio e chiedeva a quel Signore, che la domenica tutti osannavano, come mai lei fosse stata fatta così “male”.
Mentre le gocce di tristezza scendevano, il fratello, come da copione, si aggirava per le strade fangose chiedendo a tutti, con il suo sorriso garbato, dove fosse sua sorella.
-Dovresti separarti da quel diavolo!- gli gridavano contro sghignazzando.
-No, signora, non è possibile- rispondeva lui, sempre a modo.
Capiva, quindi, che se non era da nessuna parte tra quelle case, non poteva essere che nel posto segreto.
Allora correva con tutto il fiato che aveva in corpo e si fermava a pochi metri dall’albero magico.
-Uno! Due! Tre! Il folletto ha chiesto dov’è?- urlava divertito.
-Quattro! Cinque! Sei! Io so dove sei!- rispondeva lei, tra i singhiozzi e le risa.
A quel punto, capendo che poteva avvicinarsi, lui scavalcava agile il legno e si metteva seduto affianco, mentre gli veniva fatto spazio.
Non diceva niente con Jane, con lei non servivano parole per confortarla, per farle scordare il dolore che provava in quei momenti, uno sguardo dolce e dimenticava tutto. Le accarezzava le trecce biondo cenere, e poi cancellava dagli occhi azzurri quelle lacrime, passando un dito leggero.
-La mamma dice che il diavolo è in me- diceva cauta lei, stringendosi un po’ nelle sue spalle, allacciando con le braccia candide la gonna grezza.
-Non è vero!- ribadiva lui, con la voce ancora sottile.
-Invece sì! Faccio del male Alec! Solo del male!- sussurrava flebilmente.
-Tu fai male a chi vuoi tu, e poi non gli fai veramente male!- rideva consolandola –Mica hanno le ferite come i cavalieri che ritornano al castello!- a quel punto si alzava e fendeva l’aria con il suo ramo, che in quel momento era stato promosso allo stato di spada.
-Però ci rimangono male, io li vedo i bambini che piangono dopo che hanno giocato con me- piagnucolava, in un moto di rimorso.
-Bhè…- si sedeva nuovamente accanto –magari si immaginano che si fanno male. Potrebbe essere così, tu non gli fai male, ma loro sono così cattivi che per farti piangere decidono di farti credere di stare male!- esclamava tutte le volte allegro, come se avesse avuto un’idea geniale, nonostante fosse sempre la stessa.
-Ma perché dovrei stare male se loro stanno male?- domandava confusa alzando gli occhi dalle scarpe consunte ed infangate.
-Perché sei buona, Jane, la più buona che conosca- rispondeva dolce lui porgendole una mano ed aiutandola ad alzarsi.
Insieme, con i rimasugli di un po’ di tristezza che scombussolavano il corpicino di lei, ritornavano a casa.
Inseparabili.

In quei tempi però, c’era un gran via vai per quelle terre: destrieri con strani cavalieri si avvicinavano al castello. Portavano dei lunghi mantelli neri, nessuno era riuscito a vedere i loro occhi. Si diceva provenissero dall’Italia, le donne più pettegole erano riuscite a scorgere alcuni tratti dei loro volti, rimanendone ammaliate.
La madre dei due era riuscita a convincere il marito bigotto a permetterle di andarli a vedere, ed i due gemelli l’avevano seguita di buon umore, incuriositi a loro volta dall’aura di magia che aveva accolto i forestieri.
Trotterellavano allegri dietro la signora scambiandosi sussurri curiosi e dubbiosi.
-Jane, guai a te se ti comporti come tuo solito!- l’ammonì dura –Vedrai l’ira di tuo padre!- il tono minaccioso non ammetteva repliche, così la piccola abbassò il capo e si lasciò trascinare mogia.
Arrivarono, ma i fratelli non vollero seguirla nelle solite commissioni noiose così si staccarono da lei e corsero in direzione della piazza principale.
Erano degli ottimi corridori, però la pesante gonna che copriva le agili gambe di Jane ed impediva i suoi movimenti la fece cadere rovinosamente.
-Alec! Aspettami!- esclamò, tentando di rialzarsi.
Il terreno era scivoloso, in quelle terre pioveva spesso, così, nel tentativo di rimettersi in piedi, slittò, perdendo l’equilibrio. In quel momento una mano fredda e gelida l’afferrò per un braccio riportandola saldamente in posizione eretta, un brivido percorse la sua schiena facendole accapponare la pelle.
-Stai bene piccola?- una voce soave, simile al suono di un’arpa, dolce e preoccupata risuonò dal cappuccio di una scura e lunga tunica.
-Sì signore, mi scusi signore- balbettò titubante arrossendo violentemente.
-Bene, mi dispiacerebbe che una così bella bambina si facesse male- rise lui rialzandosi dopo che si era chinato per vederla meglio negli occhi, lei scorse il vermiglio dei suoi zittendosi immediatamente.
Dietro la figura alta di lui, tre a cavallo. Il nero delle loro tuniche svolazzava al vento che era iniziato a soffiare, preannunciando la tempesta.
-Come ti chiami piccina?- chiese lanciando una rapida occhiata al più esterno dei suoi compagni che fissava intensamente Jane.
Non rispose. Lo guardava insistente, era rapita dai suoi gesti, le sue fattezze nascoste dalla stoffa, che sembrava morbida e costosa, un ricco aristocratico, pensò.
-Non me lo vuoi dire?- sorrise enigmatico, una punta di acidità tinse la sua gentilezza.
Scosse la testa decisa.
-ARO! SIAMO IN RITARDO!- urlò l’uomo più possente, brusco e imperioso, ricevette come risposta una fragorosa risata dall’interlocutore che salì agilmente su un cavallo bianco.
-Jane! Eccoti- il piccolo Alec arrivò in quel momento in soccorso alla gemellina, guardandola preoccupato per poi voltarsi verso i forestieri ringraziandoli con un profondo inchino.
Questi si voltarono e sparirono tra le viuzze, con il buio che cominciava ad avvicinarsi, non prima però che il più loquace parlò un’ultima volta.
-Jane, alza il volto, non dovresti sprecarlo- consigliò con una punta di ironia criptica.
Era scossa, come se avesse visto un fantasma, ripeteva continuamente che il signore aveva gli occhi rossi; teneva la testa bassa, china, come al cospetto di un potente regnante, rivolta alla polvere, lui non capiva bene, ma nonostante questo rimase al suo fianco: loro, non si sarebbero mai lasciati.

Passarono gli anni, e purtroppo le cose non cambiarono. Certo gli occhi rossi scomparvero presto dalla testa della piccola, si ritirarono in un cantuccio estremo della sua mente, sedendosi pazienti, come succede ad ogni bambino. Eppure non smise di guardare la polvere. La fissava, con forza, quasi cercando disperatamente un segno, ogni tanto sussurrava qualcosa al nulla, a volte sorridendo a volte piangendo. Ricercava ostinatamente qualcuno tra i granelli.
Nonostante la sua età, quasi tredici anni, sembrava un maschietto, se non fosse stato per i tratti angelici e dolci del suo viso, con l’altezza era cresciuta la perfidia. Sembrava che ora si divertisse a fare del male, ogni lacrima versata dalla gente che la circondava era una risata sfuggita dalla sua bocca.
Si aggirava per il paese con sguardo un po’ folle, forse gli schiaffi della madre, le percosse del padre, avevano creato dentro di lei un vero piccolo demonio.
E chi è meglio dell’altro per vendicare il proprio dolore?
Alec non parlava di questa cosa, la osservava silenzioso mentre di notte usciva e si dirigeva verso la foresta, con i capelli sciolti, come le streghe.
Aveva paura, tanta paura, per lei. Perché sentiva che non era una bella cosa che sua sorella vivesse come i gufi, si svegliasse di notte, per ritornare all’alba distrutta, gli occhi gonfi e lucidi e un sorriso folle sulle labbra.
Nessuno sapeva cosa succedeva nel bosco.
Alcuni dicevano che Satana si incarnasse nei lupi, e correndo per le città richiamasse tutte le anime perse, portandole via, altri credevano che il fumo che si alzava lento e sinuoso tra gli alberi fosse prodotto dalle fiamme dell’inferno.
Voci tra i corrieri sussurravano che nei paesi vicini, più a Sud, la Santa Inquisizione fosse arrivata per rispedire le indemoniate a Belzebù.
Jane, quando suo padre con un ghigno glielo disse scoppiò a ridere, assicurandolo che non si sarebbe liberato di lei così facilmente.
Il ragazzino la guardava allarmato, senza fiatare, aveva promesso che le sarebbe stato per sempre vicino. Per sempre.
Una notte decise di seguirla. Nel suo cuore si agitava un sentimento di ansia e preoccupazione mai provato prima. Teneva più a lei che a chiunque altro, non poteva lasciarla nelle mani di delle streghe.
Avanzò silenzioso, scavalcando le radici possenti, chinandosi sotto le fronde più basse, un piccolo cervo spaventato.
Quando iniziò a sentire dei canti, vere e proprie urla selvagge, si fermò, paralizzato dal terrore. Nascose il suo sottile corpo dietro un tronco e iniziò ad osservare ciò che aveva trovato.
Intorno ad un falò, alto, con le lingue di fuoco biforcute che si alzavano verso il cielo privo di luna, ballavano come animali rabbiosi delle donne, i vestiti logori, le facce rosse dallo sforzo, ma una forza straordinaria in ogni colpo che veniva dato con i piedi nudi al terreno, per mantenere il tempo di quella melodia lugubre.
Il grido della civetta risuonò e tutto tacque.
Dal suo nascondiglio Alec si acquattò studiando ogni faccia, cercando smaniosamente i tratti tanto simili ai suoi, gli occhi celesti che troppe volte aveva consolato, e quando li trovò ebbe un sussulto.
Non più il turchese del cielo estivo, bensì il rosso, specchio di quelle fiamme che ardevano a pochi passi da lui. Il riflesso sembrava celare ciò che veramente stava vedendo, quella piccola donna continuava a fissare la terra, la polvere che era stata alzata.
Prima che il fratello uscisse dal suo rifugio un latrato percosse tutto il bosco, seguito da un altro, ed un altro ancora. Gli inquisitori erano giunti.
La disperazione iniziò a dilagare tra le donne, iniziarono a fuggire urlando al tradimento del loro padrone, tentando in tutti i modi di sfuggire alle figure scure a cavallo che le prendevano per i capelli, le spingevano a terra, morse dai cani.
Alec decise che era giunto il momento di salvare sua sorella, spiccò un salto e iniziò a correre nella sua direzione, pochi istanti e le loro mani si sarebbero incontrate, pochi secondi e gli occhi di lei si sarebbero alzati, scossi dal trambusto, infiniti attimi e sarebbe stata un po’ più al sicuro. Eppure questi momenti che a noi sembrano così brevi permisero ad un uomo, con il volto sfigurato, di colpire violentemente il bambino facendolo svenire a terra, e di raccogliere da terra la bambina che continuava a ghignare cattiva.
Morte. Troppo vicina per due anime così giovani.
Morte. Insieme, come sempre.

Furono tutti trascinati al paese, dove il caos creato dai cavalieri cattolici aveva risvegliati gli abitanti che ora si erigevano imponenti, come un unico uomo, contro quelle figure minute che cercavano di rifugiarsi dietro le loro gonne luride, solo una rimaneva fiera nel suo portamento: Jane.
Fissava la folla dalla sua altezza di condannata, con un sorrisino strafottente a solcarle il volto. Piccoli umani, pensava, come credete possibile uccidermi?
Invincibile, ecco cosa credeva di essere.
E il popolo urlava la sua frustrazione, sputava parole di morte, brama di sangue.
-Morte! Morte! Alle figlie del Demonio!- una sola voce si alzava.
Il boia incendiava piccole pagliuzze, intingendole nell’olio consacrato dal Papa. Si rendeva sacra l’uccisione. Che cosa onorevole…
Attese in silenzio. Le mani forzute di qualcuno la sollevarono, la legarono violentemente ad un palo mentre le bocche incorniciate da folti baffi la sbeffeggiavano. A lei non importava, sorrideva guardando in basso, una punta di gioia tinse il suo sguardo.
Alec invece tremava, sconvolto, la testa che gli ronzava, pesava, ciondolando ad ogni colpo che gli infliggevano. I polsi legati da corde troppo strette che segavano la pelle facendola sanguinare, e quel caldo che non faceva che aumentare.
Non riusciva a distinguere ciò che lo circondava, tutto troppo sfuocato, troppo debole il suo corpo. Nonostante questo riuscì ad insistere per essere messo accanto a lei, la sua gemella, troppo fragile per quel mondo crudele.
Lo accontentarono con delle risate simili a guaiti, ridendo dietro a quel piccolo mocciosetto coraggioso.
Respirava a fatica, il fumo nero si insinuava nelle narici, nella bocca, facendolo tossire, lo sguardo vacuo non riusciva a fermarsi su nulla, piano, piano perdeva la sensibilità degli arti che si addormentavano.
Rumore, nient’altro che rumore.
Sentiva il calore delle fiamme avvicinarsi, il dolore delle bruciature aumentare, le risate cattive.
-Morire a soli dodici anni… E’ una cattiveria mondo!- Urlava con il filo di voce che gli rimaneva.
L’ultimo gesto che fece fu quello di voltare la testa per vederla, sorrideva sicura. Jane, perché sei così? Una domanda persa nel vuoto.
Ma lei rideva per un buono, anzi, ottimo motivo!
Delle figure longilinee, dagli scuri mantelli si aggiravano tra la folla urlante, con movimenti sinuosi ed eleganti. Al loro passaggio le urla di fomento si mischiavano a quelle di dolore e sgomento, uno dopo l’altro i corpi toccati dalle loro mani pallide cadevano, come se dormissero in un sonno profondo, dal quale non si sarebbero mai più svegliati.
Continuava a ridere, sempre più forte, la piccola Jane. Li aveva riconosciuti: gli stranieri di pochi anni prima, con la loro bellezza inumana, la loro grazia angelica.
Una voce risuonò sopra a tutte, un ordine imperativo e deciso, il cappuccio si levò quando con un brusco movimento alzò la testa per far segno di slegarli: Aro.
I lunghi capelli neri gli cadevano fino alle spalle, gli occhi rossi luccicavano vicino al fuoco e un ghigno di maligna gioia solcava le labbra carnose.
L’ordine fu eseguito e il corpo svenuto del ragazzo fu posato a terra, lei invece, con un ultimo e indicibile sforzo si teneva in piedi. Le piante bruciavano, e delle lacrime involontarie le solcavano le guance arrossate.
-Jane, signore, mi chiamo Jane- disse tutto di un fiato, in un soffio impercettibile.
La domanda che per anni l’aveva perseguitata, il viso che per notti e giorni l’aveva accompagnata nei suoi incubi peggiori, e sogni più dolci, finalmente poteva ricevere risposta, ed allargarsi in un sorriso.
-Bene Jane, stai bene?- sussurrò suadente, mentre con una mano le sfiorava la spalla.
-No, signore, ho paura per mio fratello- dichiarò con voce incrinata dalla preoccupazione.
-Non devi averla, presto finirà tutto- con un dito lungo e sottile, cinto da un anello d’oro raffinato, le sollevò il mento sporco, fissandola negli occhi. Il sangue dei suoi, il cielo di quelli di lei. Un’ultima volta.
Le sollevò la testa dal fango, dal basso, la mise al suo livello, al livello degli altri.
Da quel giorno lontano aveva deciso di fissare il terreno, immaginare almeno per un attimo che quel uomo, così gentile con lei, le fosse accanto, e non aspettava nessun altro che lui, solo lui aveva il diritto ed il dovere di renderla una persona nuova.
-Signore, perché la gente dorme?- domandò con fanciullesca ignoranza, le palpebre iniziavano a farsi pesanti, si sforzava per tenerle aperte.
Una distesa di corpi copriva le lastre di roccia che ricoprivano la piazza, disordinati e ammassati tra di loro, alcuni rivoli di sangue si univano da vari punti, per formare un fiumiciattolo striminzito che si gettava nel canale di scolo.
Silenzio.
Solo lo scoppiettio del fuoco.
-Tu vuoi dormire?-chiese lui di rimando, con lo sguardo furbo.
Negò spaventata con la testa. Lei non voleva essere come loro, mai e poi mai.
L’uomo si avvicinò lentamente, socchiudendo un poco la bocca ed accostandola al collo di lei, quando posò le glaciali labbra sulla vena che pulsava, tesa dalla curiosità, e dalla paura, ebbe un fremito.
-Farà male signore?- la voce leggermente spaventata, un singhiozzo represso che le percosse il corpicino.
-Solo un po’, poi non dormirai più- la rassicurò aprendo le fauci e poggiando leggero i canini sulla carne morbida.
-Salvi anche mio fratello- pregò lei serrando gli occhi, e attese.
Una puntura gentile poi, l’inferno.
Ma i suoi gemiti di dolore non furono gli unici, accanto a lei, con il volto sfigurato dalla pena Alec, che anche durante la trasformazione le tenne la mano, un gesto semplice, ma così profondamente dolce.
Nuova vita. Saranno insieme, per sempre, veramente questa volta.
Nuova vita. Nel bene e nel male, loro due si sarebbero affiancati.

Sono passati secoli da quella notte maledetta, la sete è stata placata, il veleno domano, la rabbia calmata.
Ora sono dei semplici vampiri, semplici macchine da guerra nelle mani di quel uomo astuto e calcolatore, capace di ammaliare chiunque con i suoi gesti teatrali e il sorriso seducente.
Sono seduti su delle poltrone, si direbbero comode, ma a loro poco importa, non dormono più loro, vivono e basta. Proprio come promesso.
Alec guarda il vuoto con sguardo perso, sembra cercare qualcosa nella sua mente, sfogliarla arrabbiato, sfrenato, alla ricerca di un ricordo.
La sorella lo nota ed alza lo sguardo dal libro che sta leggendo.
Da quel giorno non ha mai più guardato in basso, i suoi occhi si sono sempre posati in alto, nessuno l’ha mai considerata “inferiore”. Temuta, ecco cosa era.
-Al cosa hai?- chiese un po’ preoccupata.
-Nulla Jane, stavo pensando… tu ricordi la tua vita da umana?- domanda soprappensiero, poggiando la mano sul bracciolo.
-Ricordo solo la povere, nient’altro- ammette con voce debole, solo con lui se lo concedeva.
-E’ vero- chiude le palpebre e sospira - Tu sembravi sorridere a qualcosa che osservavi nella polvere, sempre. E ora mi chiedo: perché?- apre di scatto gli occhi e la inchioda.
Boccheggia spaesata, non avrebbe mai pensato di dover essere costretta a spiegare il perché. Non ne è capace. Si guarda intorno allarmata, cerca una via di scampo, dopo moltissimo tempo ha di nuovo paura, terrore del passato che ha eliminato, distrutto dietro una maschera di cinismo, che troppo le si addice.
-Aspettavo- sussurra infine sconfitta, il capo nuovamente chino.
-Cosa?- è stupito, curioso.
-La mia rivalsa, la vendetta- detto questo tace. Non vuole ammettere altro, lui capisce al volo e si alza, sparendo velocemente dalla stanza.
La testa rimane nella polvere, gli occhi bassi ad ammettere l’errore, nessuno capirà il suo dolore.
Non veramente.
Si potrà illudere che Aro lo abbia fatto, credere che il suo sia affetto, non semplice egoismo.
Solo lui silenzioso e discreto ci è sempre riuscito. Ed ogni giorno, da quando è nata, donandole un sorriso, regalandole un abbraccio, mentre tutti la odiavano, mentre tutti la insultavano, le alzava il mento, portandolo alla sua altezza. Le sussurrava senza parole che era unica ed inimitabile nella sua bontà nascosta; che ancora rimane tale. Riuscirà a scoprirla?
Non importa quando tempo sarà necessario loro saranno uniti per sempre.
Lontani dalla polvere.
Insieme.


Angolo autrice:
Salve! Di ritorno dal ponte e con i risultati del contest "La vita segreta delle parole" pubblico questa one shot, che si è posizionata 4. Il concorso consisteva nell'inserire una frase all'interno della storia, anzi, ad essere precise, far ruotare la storia intorno alla frase.
Provo un certo... odio per questa ff.
Per degli ottimi motivi: in primis quando l'ho scritta ci ho messo così tanto, ma così tanto che per giorni interi ho seriamente pensato a cancellare tutto e cestinarlo, cosa che non faccio mai.
In secondo luogo per i personaggi: odio Jane, la disprezzo e mi urta. C'è chi dice per gelosia [Sammy, ti senti presa in causa? XD] chi, come me, per semplice odio.
Come ultima cosa il tempo storico: solitamente lavoro a Roma, o per lo più con mente imperiale [<3] catapultarmi nella mentalità medievale, che io odio profondamente, mi è risultato piuttosto difficile.
Un minuscolo chiarimento *smile* il terzo uomo, quello che fissa intensamente Jane, è Eleazar, che come la Ziuccia Stephanie ci narra ha il potere di scoprire i poteri ù_ù.
Come al solito maledico le virgole, mie acerrime nemiche, che abbassano OGNI VOLTA il mio punteggio. Speriamo che l'avvento di Lorenzo porti una soluzione a questa mia piaga.
Un ringraziamento alle giudici, grazie, vi siete dovute sopportare questa ...cosa *guarda schifata il lavoro*, ed ad entrmbe vi ho messo in difficoltà (_ _) non era mia intenzione ^^". Una piccola postilla per The forgotten dreamer: 1010 originalità *w* GRAZIE!
Dopo i soliti blateramenti (termine da me coniato) vi lascio i giudizi, sperando anche in una vostra personale opinione dato che, come già detto, i personaggi su cui ho scritto li trovo estremamente lontani da me.
Vi lascio, i pomodori alla mia destra, li consiglio, poiché i pompelmi (alla sinistra) fanno piuttosto male.

4) I will be there without you
Autrice: Princess of Vegeta6

Giudizi by storyteller lover:
Correttezza grammaticale e sintattica: 6.6/7.5+6.75/7.5=13.35-1=12.95/15
Stile, forma e lettura scorrevole: 6/7.5+7/7.5=13/15
Originalità: 8.75/10
Caratterizzazione dei personaggi: 10/10
Attinenza alla frase scelta: 9.45/10
Giudizio personale: 8.85/10

Per un totale di 63/70 punti.

Giudizio complessivo: Ecco, questa storia mi ha messo in seria difficoltà. Ero davvero combattuta e, sebbene avessi voluto, non ho potuto assegnare un punteggio più alto. Di fatto, ciò che magari ti ha penalizzato un po’ sono stati la grammatica, la sintassi e lo stile, in quanto puoi vedere da te come il resto delle voci sia seguito da ottimi punteggi. Cerca di migliorare soprattutto lo stile, in quanto è forse l’elemento più importante di una storia. se sarà buono lo stile, allora tutti i parametri legati alla forma, alla lettura scorrevole finiranno coll’essere anch’essi ottimi. Dopo questa piccola parentesi ti dico subito che ho trovato questa storia molto originale, e i personaggi che hai scelto di trattare, per altro molto bene, conferivano al tutto un carattere davvero interessante. La storia di Alec e Jane mi ha sempre affascinato, e tu hai cercato di riscattare almeno un po’ la figura di quella bella bambina cattiva in modo molto delicato, anche se gli eventi narrati non sono molto gentili con lei. La scelta di ambientare la storia nel periodo medioevale è stata davvero intelligente, e che ho apprezzato. Soprattutto la parte finale era meravigliosa, nella quale si può chiaramente vedere il legame tra la trama e la farse scelta. Molto bene davvero.

Giudizi by the forgotten dreamer:
Correttezza grammaticale, sintattica e ortografia: 11/15
Stile, forma e lettura scorrevole: 12/15
Originalità: 10/10
IC personaggi: 10/10
Attinenza alla frase scelta: 10/10
Giudizio personale: 9/10

Totale 62/70

Allora, premetto che giudicare questa fic è stato molto difficile. Devo dire che ho riscontrato parecchi errori, soprattutto per quanto riguarda l’uso della punteggiatura e questo spesso ha fatto si che i periodi risultassero spezzati. Ovviamente questo ha inciso anche sulla scorrevolezza della lettura. Per questo, nonostante la fic mi sia piaciuta molto, ho dato un voto non molto alto alla grammatica e allo stile. Devo dire che per il resto non ho appunti da fare: originalissima, introspezione dei personaggi bellissima e giudizio personale più che buono. Bellissimo il rapporto che hai sviluppato fra Alec e Jane, il loro volersi bene oltre tutto il conteso che li circonda. Commuovente il modo in cui si evolve il rapporto fra i due fratelli ed il modo in cui cambia la loro personalità dopo la trasformazione. Ma non il sentimento che li lega. Ben centrati soprattutto Jane e Aro. L’attinenza alla frase era ottima (non per niente hai avuto il massimo!) e soprattutto originale: non avrei mai pensato di associare questa frase ad Alec e Jane e ne è venuta fuori una bella storia, appassionante e per nulla scontata. Brava!

Media complessiva: 62.5/70 punti
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Ulissae