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Autore: Victoria93    16/09/2016    6 recensioni
Tratto dalla storia:
-"Sai cosa sei? Una stronza. Una MALEDETTA stronza. Ti piace giocare a fare Dio, ti piace fingere d'essere perfetta, ti piace fingere di odiarmi, ti piace ripetere che ti faccio schifo, ma sono tutte STRONZATE. La verità è che tu non riesci a staccarti da me, non riesci a disprezzarmi come vorresti, non riesci a smettere! Proprio come me, Eliza. IO NON RIESCO A SMETTERE. Chiamala come vuoi; chiamala mania, ossessione, disturbo, non me ne frega niente! Ma smettila di raccontarmi balle, smettila di rendermi le cose ancora più difficili!".
"Che cazzo di problema hai, Mello?!".
"Maledizione, ragazzina, TU sei il mio problema!!".
"Perché?!".
"Perché ti amo!!".
SEGUITO DI 'SUGAR AND PAIN': non leggetela se non avete letto la prima storia.
Vent'anni dopo il caso Kira, Eliza, convocata da Near, si reca in Inghilterra per risolvere un caso di omicidi seriali. Qui fa la conoscenza di un uomo cupo, tormentato, taciturno e irascibile, che le sconvolgerà per sempre la vita.
Riusciranno Eliza e Mello a superare le loro diversità, a combattere per il loro amore e a vincere contro un nuovo, temibile avversario?
Combattere contro un mostro è difficile: combattere contro se stessi è molto peggio.
SOSPESA.
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mello, Near, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'SUGAR AND PAIN'
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Capitolo 3- Little pieces of the past
 
I due si guardarono negli occhi, entrambi con la medesima espressione orripilata, per quella che parve a entrambi un’eternità. Alla fine, il biondo incrociò le braccia con aria minacciosa e strinse gli occhi a fessura, come a volerla fulminare con uno sguardo.
“Fuori dal mio corridoio” ringhiò fra i denti, muovendo un passo in avanti con l’intento di farla indietreggiare.
Eliza, dal canto proprio, non mosse un passo, squadrandolo con aria di sommo disgusto.
“Oh, il tuo corridoio? Non mi pare d’aver visto il tuo nome scritto in cima alle scale. E comunque sia, da quanto ho capito sei fuori dal giro da un bel po’, signor mafioso californiano. Quindi, al massimo, questo è il mio corridoio”.
“Tu vuoi proprio ritrovarti con una pallottola piantata in fronte, non è vero?! Ci tieni così tanto?” sbottò il biondo, trattenendosi a malapena dall’estrarre la pistola per l’ennesima volta.
Per tutta risposta, Eliza gli rise in faccia.
“Stai diventando ripetitivo, signor primadonna. Ma senza dubbio, non meriti che io mi scomodi per cercare di farti sloggiare da questo piano. Sarà sufficiente che tu resti nella tua stanza e io nella mia, e penso che alla fine riusciremo a sopravvivere entrambi. Ti sta bene o vuoi sul serio che estragga la pistola?”.
Stranamente, rispetto a quanto si sarebbe aspettato di solito, quelle parole (nonostante l’insulto gli avesse fatto digrignare ancor di più i denti) non lo mandarono in bestia come si sarebbe immaginato. Per contro, l’insperata calma gli dette la possibilità di osservare meglio il volto della ragazza che gli stava di fronte.
Certo, era solo una ragazzina. Ed era irritante, dannatamente irritante. Ma non poteva negare che i suoi tratti fossero armoniosi, i suoi occhi intensi e che la sua pelle, bianca come il latte, avesse qualcosa d’inspiegabilmente magnetico. Le sue labbra sottili, leggermente carnose solo nei punti più espressivi, riuscivano a trasmettere qualcosa a chi lo osservasse anche nei momenti in cui erano dominate dalla furia e dal risentimento.
Senza sapere perché, si ritrovò a scrutare con più attenzione le sfumature dei suoi occhi, che erano di un azzurro intenso, simile al blu, infinitamente diversi dai suoi, molto più chiari e glaciali; scrutando in quelle profondità, per un solo istante, ebbe la sensazione di percepire un’ombra ebanina, quasi come se quelle iridi nascondessero qualcosa di più rispetto a quanto rivelavano a prima vista.
Merda. Gli piacevano. Forse perché erano diversi da quelli di chiunque altro avesse mai incontrato in vita sua. Forse perché era così che immaginava potessero essere gli occhi di Elle.
O forse, quella ragione non c’entrava assolutamente niente.
“Adesso chi è che sta fissando chi?”.
La voce di Eliza lo riscosse improvvisamente, portandolo ad assumere un’espressione di scherno e di sufficienza.
“Mi stavo giusto chiedendo quanta soddisfazione potrei trarre dallo sfigurarti quel bel faccino che ti ritrovi, ragazzina. Sono sicuro che sarebbe un ottimo tonico per i miei nervi” affermò il ragazzo, addentando l’ennesima tavoletta di cioccolata.
“E io sono sicura che saresti il bersaglio perfetto per il mio tiro a segno. Senza dubbio, non mancherei neanche un colpo. Non che di solito mi succeda” sbuffò Eliza, per niente impressionata “Ad ogni modo, tu vuoi i tuoi soldi, io voglio il mio caso. Quindi, sarà meglio fare il possibile per dimenticarci l’uno della presenza dell’altra. Resta nella tua stanza, e io mi impegnerò a fare lo stesso”.
“Tsk! Come se io potessi mai prendere ordini da una come te” la sfotté Mello, dandole le spalle con la massima indifferenza.
“Fa’ un po’ il cazzo che ti pare, primadonna slavata. Ma vedi di non seccarmi, o mi scorderò la ragione per cui non ti ho ancora sparato”.
Mello si voltò di scatto, estraendo la pistola, ormai deciso a piantarle una pallottola in fronte, ma non fece in tempo a mettere in atto il suo proposito: Eliza gli aveva già sbattuto la porta della sua stanza in faccia.
*Presuntuosa. Arrogante. Stronza. MALEDETTA MOCCIOSA* si ritrovò a pensare, ringhiando e tremando a causa della rabbia.
Con suo disappunto, dovette constatare che la presa della sua mano si era fatta così forte sulla tavoletta di cioccolata da spezzarla del tutto in due; imprecando, si diresse nella sua stanza, sbattendosi a sua volta la porta alle spalle e finendo per appoggiarsi contro di essa, dopo aver gettato da una parte la giacca da motociclista e il casco.
*Perché cazzo non sono rimasto a Los Angeles?* finì per domandarsi, senza riuscire a smettere di digrignare i denti al pensiero della ragazza nella stanza di fianco.
Ancora stranito per lo strano senso di frustrazione che sentiva su di sé, si lasciò cadere sul letto a braccia aperte, lo sguardo gelido fisso sul soffitto; rimase in quella posizione solo un paio di minuti, prima di rialzarsi a sedere e di lanciare un’occhiata vagamente interessata per la stanza.
Non era cambiato niente, dal giorno in cui se n’era andato. La libreria scarna posta sul lato della parete dove vi era anche la scrivania a cui era solito studiare, la finestra ampia che dava sul lato ovest del giardino, i suoi poster, ormai consunti, ritraenti svariate immagini di motociclette, il vecchio cassettone, ancora colmo dei suoi vecchi vestiti neri.
Ricordava perfettamente cos’aveva provato il giorno in cui aveva lasciato la Wammy’s House. Stufo di attendere che arrivasse il giorno in cui Elle lo avrebbe preferito definitivamente a Near, a diciassette anni aveva voltato le spalle all’orfanotrofio, portandosi dietro solo una valigia con dentro un paio d’oggetti, ed era partito.
Se l’era cavata, in qualche modo. Viaggiando da un posto all’altro, all’inizio dormendo perfino sotto i ponti, o infiltrandosi nella casa vuota di qualche idiota partito per le vacanze (a seconda delle circostanze, perfino le catapecchie abbandonate facevano alla bisogna). Se l’era cavata, mostrando al mondo che non era il tipo capace di farsi intimidire.
Quando aveva messo piede negli Stati Uniti, tutto gli era sembrato pazzesco, nuovo, sfolgorante. L’America era diversa da come l’aveva immaginata. Era ancor più caotica, ancor più frenetica, più elettrizzante, più movimentata. Più pericolosa.
La prima volta che aveva messo piede nel Bronx, a New York, ci aveva messo un paio d’ore prima di ritrovarsi coinvolto in una rissa, nel corso della quale un coltello gli aveva quasi sfiorato il cuore. Ne era uscito tutto intero, con i suoi soldi in tasca e il rispetto di coloro che avevano osservato la scena. In seguito, dopo un periodo trascorso nel Nevada, aveva optato per la California.
Los Angeles era ariosa, calda, asciutta e piena di occasioni per realizzare il suo vero obiettivo: superare Near a qualsiasi costo.
Non aveva smesso per un solo istante di seguire i casi a cui Elle e Near si erano dedicati in quegli anni, inseguendo continuamente le loro ombre e cercando di mettere le mani sulle informazioni rilevanti alle loro indagini, a volte riuscendo ad arrivarci perfino prima di Near. Voleva farlo a modo suo, dimostrando di riuscire a cavarsela, dimostrando di poter fare affidamento solo sulle sue forze. Non come Near, che aveva sempre bisogno di una squadra di babysitter che facessero il lavoro al posto suo. Non aveva bisogno di nessuno.
I suoi contatti con la malavita gli avevano fornito i mezzi di cui aveva bisogno per diventare qualcuno, per guadagnarsi il rispetto dei mafiosi, per vivere in mezzo a loro in modo indisturbato. E così era cominciata anche la bella vita: le donne, gli alcolici, le sigarette…perfino la cocaina, anche se non aveva mai pensato di provarla. Aveva sempre continuato a pensare che, al mondo, non ci fosse droga migliore di una bella stecca di cioccolata.
Si era sempre ripromesso che non sarebbe MAI tornato indietro, che non avrebbe mai più rimesso piede in quella maledetta scuola, che non avrebbe mai più accettato di avere Near intorno, sebbene si fossero incrociati un paio di volte, in quegli anni. Stranamente, Near aveva finito per intercedere per lui in un paio d’occasioni in cui avrebbe rischiato seriamente di finire dietro le sbarre. Ovviamente, si rendeva conto che l’aveva fatto per le stesse ragioni che avevano spinto lui stesso a proseguire quell’insana competizione: Near doveva dimostrare a tutti i costi di essere il migliore. E non avrebbe potuto continuare a farlo, se lui fosse finito a marcire in una fottuta prigione del Texas.
*È per questo che mi hai fatto venire qui…non è vero? Sottospecie di omino bianco del cazzo* pensò fra sé e sé, alzandosi in piedi e iniziando a fare avanti e indietro per la stanza, continuando a mangiare il suo cioccolato *Vuoi umiliarmi, eh? Con la scusa dei soldi, vuoi dimostrare che sarai tu a risolvere il caso ancora una volta, non è vero? Magari speri anche che Elle ti nomini definitivamente suo successore. Beh, sai una cosa? Stavolta no, dannato stronzo. Stavolta ti dimostrerò chi è il numero uno*.
Ancora furioso, si diresse verso la sua scrivania, dove Near, come promesso, gli aveva fatto trovare una valigetta colma di soldi; annoiato, li scrutò per un istante, prima di dargli le spalle e di dirigersi verso il bagno.
Una volta dentro, gettò scompostamente a terra il gilè di pelle e il rosario, per poi togliersi gli stivali, i guanti e i pantaloni, infilandosi definitivamente sotto il getto dell’acqua che aveva appena aperto. Quel contatto fresco gli permise di appoggiarsi alla parete della doccia e di chiudere gli occhi per un paio di secondi, cercando di togliersi dalla testa l’immagine del sorrisetto sarcastico di Near.
Ma non appena ci fu riuscito, nelle orecchie riprese a echeggiargli la voce insopportabile di lei, accompagnata da quegli occhi così caratteristici e magnetici, che non tardarono a ricomparirgli di fronte alla vista. Aggrottando le sopracciglia, si portò le dita alle tempie, sforzandosi di distrarsi, ma senza riuscirci.
*La figlia di Elle…*.
Per qualche istante, si era chiesto se quello non potesse essere uno scherzo di cattivo gusto.
Non aveva mai incontrato Elle, esattamente come non l’aveva mai fatto Near, per quanto ne sapeva. Non aveva idea di come fosse in realtà, non aveva idea di quanto Eliza gli somigliasse realmente, ma una cosa era certa: se per tutta la vita, nonostante il risentimento che provava nei suoi confronti, aveva considerato Elle come l’indiscusso modello a cui ambiva di succedere, per quella ragazzina maledettamente saccente e presuntuosa provava un misto di rabbia, irritazione e puro fastidio. Di quel passo, avrebbe finito per odiarla seriamente.
*E dovrei sorbirmela per un anno? Cristo, Near. Ringrazia che al momento sono al verde. E che non sopporto l’idea di rinunciare a una sfida*.
In fondo, non capiva il perché di tutto quel coinvolgimento. Lei non era Near, non era la sua rivale, non era nessuno. Pertanto, non meritava certo tutte quelle attenzioni.
Eppure…c’era qualcosa. Qualcosa che gli sfuggiva. Un po’ come una tessera mancante del puzzle.
*Eh no, merda! Se inizio a pensare come Near, posso anche spararmi una pallottola in fronte e vaffanculo!* pensò improvvisamente, scuotendo la testa in modo vigoroso.
Con un sospiro scocciato, chiuse il rubinetto dell’acqua e uscì dalla doccia, passandosi un asciugamano sulla chioma bionda, la mente ancora impegnata a riflettere sulla giornata assurda appena trascorsa.
*Un serial killer dotato di qualche potere paranormale che si professa seguace di Kira, eh? Potrebbe essere interessante. Se risolvessi questo caso, se riuscissi a capire tutto prima di Near…sarebbe la mia miglior vittoria. Lo umilierei, lo straccerei completamente. E va bene, Near. Hai voluto tu tirarmi in mezzo. Vuoi fare una gara? Ti darò quello che vuoi*.
Improvvisamente più rilassata, Mello si gettò sul letto, una nuova tavoletta di cioccolata ben stretta nella mano destra. Sì, ce l’avrebbe fatta. Lo avrebbe sconfitto, una volta per tutte. Lo avrebbe superato e sarebbe diventato il numero uno.
Solo il pensiero di Eliza e il ricordo delle sue occhiate infuocate, accompagnate dall’immagine dei tratti armoniosi del suo viso e del suo corpo, gli impedirono definitivamente di smetterla di aggrottare le sopracciglia.
 
In quel momento, nella stanza di fianco, Eliza si stava dedicando a disfare le valige che il suo autista di fiducia, Ryan, le aveva portato di sopra; i suoi passi frettolosi continuavano ad alternarsi fra il letto e l’armadio dove, più che riporre con gentilezza, stava scaraventando i suoi abiti alla rinfusa.
“*Smettila di fissarmi, ragazzina!*, *Mi sottoponevo a test di fisica quantistica prima ancora che i tuoi genitori iniziassero a scopare!*, *Oh, mi piacerebbe tanto divertirmi a sfregiarti la faccia!*, *Le ragazzine non sono il mio genere*” continuava a ripetere, lanciandosi in una dubbia imitazione di Mello “Quel-maledetto-DEFICIENTE!!!” sbottò alla fine, scandendo ogni sillaba, nel tentativo di infilare rudemente un paio di magliette nell’ultimo cassetto “Lui-e-la-sua-stupida-cioccolata!! Dovrei dargli fuoco, giusto! Dovrei prendere una di quelle sue maledette sigarette, ficcargliele in gola e poi gettarci anche un accendino!! Ma chi si crede di essere?! Ma come cazzo ci sono finita qui?! Ma perché non me ne sono rimasta a Boston?! Stupido Near, stupido lavoro!! E maledetto MELLO!!” concluse alla fine, scagliando il dentifricio contro la parete, i capelli scompigliati per l’impeto dello sfogo.
Dopo aver preso un respiro profondo, si accinse a sistemare il caos che aveva creato nella stanza, sforzandosi di calmarsi.
Anche se, doveva ammetterlo con se stessa, non poteva ancora credere all’esito preso da quella giornata assurda. Era partita il giorno prima da Boston convinta di affrontare qualcosa per cui era preparata; dopotutto, che cosa poteva esserci di così assurdo?
Un nuovo caso di omicidi, la collaborazione con Near, la presenza dei membri dell’SPK. La sola cosa che avrebbe dovuto pesarle sul cuore era l’assenza del nonno, che le mancava dannatamente.
Ma comunque, avrebbe dovuto cavarsela senza problemi: tornare alla Wammy’s House, discutere delle indagini, occuparsi di risolvere la faccenda e poi ripartire. Magari per raggiungere suo padre e sua madre, che al momento si trovavano a Mosca.
Senza dubbio, se gliel’avessero raccontato, non avrebbe mai creduto a una storia del genere: soprattutto, non avrebbe mai creduto possibile che le capitasse realmente qualcosa di simile.
Un caso di omicidi seriali che aveva a che fare con Kira?
Certo, il mondo era pieno di fanatici, era pieno di psicopatici pronti ad auspicare il suo ritorno…ma, a giudicare da quanto affermava Near, non era possibile ricondurre quella fattispecie a una spiegazione così semplice, considerando il modo in cui venivano commessi gli omicidi stessi.
Un brivido le attraversò a un tratto la schiena, mentre si sedeva alla scrivania e accendeva il computer portatile. Non aveva mai pensato all’eventualità di occuparsi di indagini che potessero avere a che fare con Kira.
Aveva sentito raccontare quella storia per vent’anni, per bocca di quasi tutte le persone che amava. Era rimasta scioccata nell’apprendere che, al mondo, fosse esistito un assassino dotato di un potere simile, e che egli fosse stato sul punto di vincere e di uccidere i suoi genitori. Quando era diventata più grande, suo padre le aveva permesso di studiare la documentazione relativa al caso, spiegandole nel dettaglio tutte le componenti e le riflessioni fatte da lui e da sua madre.
Quella vicenda l’aveva appassionata e le era servita come ottimo allenamento per prepararsi ai primi casi che aveva poi affrontato e risolto, certo, ed era consapevole di quanto quella storia costituisse un ricordo importante per i suoi genitori, considerando che era in quelle circostanze che si erano incontrati faccia a faccia, per poi innamorarsi.
Ma che adesso tornasse a incombere sulla loro vita…sulla sua vita…era assurdo. Perché, dopo tutto quel tempo? Perché in quel modo? Perché venire subito allo scoperto con quella teatralità?
*Parti dalla psicologia, piccola. La psicologia è il primo passo. Se non comprendi come funziona la mente di un uomo, non comprenderai mai il perché delle sue azioni*.
*E poi escogita un piano, una strategia. Studio, attacco, difesa, riserva, sorpresa, colpo di grazia. Ancora una volta, Eliza. Trova la tessera mancante. Risolvi l’enigma. Trova il suo punto debole*.
Le parole di sua madre e di suo padre presero a rimbombarle nella mente, donandole la determinazione che le serviva e finendo per strapparle un sorriso, a metà fra il nostalgico e il compiaciuto.
Adorava i suoi genitori tanto quanto li trovava irritanti e iperprotettivi. Li amava tanto quanto si sentiva intimidita da loro e dalle loro carriere, dai loro successi, dalla loro capacità di mantenere il controllo su qualsiasi situazione. Spesso, suo nonno Watari l’aveva rassicurata, dicendole che lei non aveva niente da invidiare a loro, e che era la degna figlia che tutti si sarebbero aspettati che fosse; in molte circostanze, le aveva fatto notare che il suo carattere impulsivo e la sua abile parlantina, accompagnata alle straordinarie capacità empatiche e di ragionamento, erano una degna eredità che lei si era dimostrata abile nel coltivare.
Eppure, quel senso d’inadeguatezza non se ne andava mai del tutto. Come se una parte di lei, per quanto remota potesse essere, rimanesse convinta che non avrebbe mai raggiunto il loro livello. Che non sarebbe mai stata come Ruri. O come Elle.
Proprio mentre formulava quel pensiero, una nuova chiamata sul suo cellulare la fece sobbalzare di scatto; essendo consapevole di non poter evitare all’infinito quella telefonata, finì per premere il tasto verde e per accettarla.
“Pronto?” sospirò, non riuscendo a trattenere un sorriso, suo malgrado.
La voce all’altro capo del telefono le donò una sensazione di sicurezza e d’apprensione a un tempo: qualcuno le aveva detto, una volta, che sua madre faceva quell’effetto a molte persone, ma lei non ci aveva mai creduto fino in fondo.
“Ciao, coccinella. Stai bene?” le domandò Ruri.
Nella sua voce, Eliza percepì un sorriso appena pronunciato. Il sorriso di sua madre, che aveva imparato ad amare più di ogni altra cosa al mondo.
“Sto bene, Ruri. Tutto a posto”.
All’altro capo del telefono, la sentì sospirare, rassegnata: ormai, sua madre si era arresa al fatto che Eliza non fosse più disposta a chiamarli ‘mamma’ e ‘papà’. Non da quando aveva iniziato a collaborare alle indagini di cui loro e Near si occupavano.
“Volevo solo assicurarmi che avessi tutto quello di cui hai bisogno. Io ed Elle ne avremo ancora per un po’, prima di tornare a casa” proseguì Ruri.
“Qui sono tutti gentili come sempre. Domani avremo la prima riunione operativa; le indagini sono già iniziate, naturalmente, ma adesso sappiamo meglio con cosa dovremo avere a che fare” proseguì Eliza, iniziando a fare avanti e indietro nella stanza, cercando di sistemare il caos creato poco prima “Ma ovviamente, tu questo lo sai già”.
“Sì, Near ci ha detto tutto” sospirò Ruri, con uno strano tono.
Intuendo i pensieri della madre, Eliza finì per sedersi sul letto, passandosi una mano nella chioma scura (come stava facendo la stessa criminologa all’altro capo del telefono).
“Non siamo ancora sicuri di niente. Potrebbe essere…ecco, non è detto che si parli di un nuovo Death Note. Non abbiamo ancora in mano abbastanza elementi per…beh, per capire di cosa si tratti. Quindi, non saltare a conclusioni affrettate, d’accordo?” le disse, preoccupata.
“Eliza, non devi stare in pena. Sul serio. E poi, questo è il tuo caso, non il mio. Un po’ come se stessi scrivendo la tua storia, coccinella” rise Ruri, ancora con una punta di tristezza.
“Tu che dici a me di non stare in pena? Senti un po’ come si sta capovolgendo il mondo, oggi!” rise Eliza, lasciandosi andare sdraiata sul letto a pancia in su “Comunque sia, mi fa piacere che almeno tu approvi che il caso sia mio. A quanto mi ha detto Near, Elle non ne era felice”.
“Elle è fatto così. Lo sai, è infantile; diciamo che ha sempre visto il caso Kira come una sua priorità esclusiva”.
“Ma questo non è il caso Kira” precisò Eliza, con un sospiro scocciato.
“Lo so bene; e lo sa anche lui, fidati di me. Ma i collegamenti con esso, a giudicare da quanto ho visto, sono…beh, non mi meraviglierei troppo dell’eventuale coinvolgimento di un Death Note nelle vostre indagini. Senti, tieni gli occhi aperti, va bene? So che non hai mai rivelato a nessuno il tuo vero nome e che non esiste persona al mondo che lo conosca, a parte noi, ma…ora più che mai, la riservatezza è importante, piccola” le ricordò Ruri.
“Lo so. Il primo passo per conoscere i punti deboli del tuo avversario è ricordarti di coprire sempre i tuoi” affermò Eliza, con un sorrisetto divertito.
“Elle ti ha istruita bene” ridacchiò Ruri.
Dopo una breve pausa di qualche istante, la dottoressa Dakota riprese a parlare.
“Senti, tesoro, lo so che sei arrabbiata con tuo padre…”.
“Io non ho detto una parola!” sbottò Eliza, adesso visibilmente contrariata.
“Lo so che dovrebbe darsi una calmata. Ma è fatto così; non dargli troppa importanza. Sono sicura che ti lascerà il caso finché non lo avrai risolto da sola, senza la sua interferenza. È solo che per lui è…strano. E lo è anche per me, te lo assicuro” sospirò la criminologa.
“Che cosa è strano? Fare pace con il fatto che non ho più sette anni?” sbuffò la ragazza, alzando gli occhi al cielo.
“Ne riparleremo quando avrai dei figli” ribatté Ruri, con il tono di chi sta alzando gli occhi al cielo.
“Non ci tengo, grazie. Non penso di essere tagliata” ammise Eliza “E poi, non saprei proprio come fare con il lavoro…”.
“Beh, io me la sono cavata egregiamente” le ricordò Ruri.
“Già, ma io non sono te” mormorò Eliza, in un bisbiglio appena udibile.
“Come hai detto?”.
“Niente, niente. Stavo solo…ecco, ho detto che hai ragione. Tu te la cavi sempre egregiamente” disse la giovane, sforzandosi di assumere un tono noncurante.
“Proprio come te, coccinella. Sei nostra figlia, non per niente” le ricordò la criminologa.
“Sai che non dovresti dire queste cose al telefono, vero?” disse la ragazza, cercando di svicolare.
“Eliza, non provarci. Lo sai che comunichiamo sempre su linee criptate al massimo e a prova d’intercettazione. Pensi che tuo padre non curi questi dettagli?” sospirò Ruri, a metà fra l’annoiato e il divertito.
“Se non sbaglio, stavamo parlando del caso” si affrettò a dire Eliza, ansiosa di cambiare argomento “Mi assicuri che Elle non interferirà? Dico sul serio, è importante. Voglio cavarmela da sola, sai che posso riuscirci!”.
“Farò il possibile, ma Elle è…testardo, Eliza. In più, sentire di nuovo il nome di Kira dopo tutti questi anni non gli ha fatto troppo bene. È stato come riaprire una vecchia ferita. Mi sembra di vederlo…scosso. Non che lui mostri mai apertamente il modo in cui si sente, ma è…beh, questa storia non piace a nessuno. Spero che risolverai tutto in fretta. So che puoi farcela e sono la prima a credere nelle tue capacità, ma sai che puoi rivolgerti a me per qualsiasi cosa”.
Senza riuscire a trattenersi, Eliza si concesse un sorriso rilassato, che finì per estendersi anche agli occhi; i suoi genitori erano la più grande contraddizione emotiva della sua vita. Se da un lato si sentiva sempre sotto pressione, ansiosa di compiacerli, terrorizzata all’idea di non raggiungere mai il loro livello, dall’altro li amava in modo viscerale e profondo, e li ammirava più di quanto lei stessa non volesse ammettere. Sapeva che le avevano dato tutto ciò che aveva e non avrebbe mai smesso di essergli grata per questo, come sapeva che non sarebbe mai diventata la persona che era senza di loro. Al contempo, però, desiderava dimostrargli con tutte le sue forze che poteva cavarsela. Che poteva essere brava, persino migliore…senza il loro continuo sostegno.
“Lo so, Ruri. Ti ringrazio. Ma me la caverò, te lo assicuro” disse Eliza, rialzandosi in piedi e avviandosi verso la finestra “Sai che consegnerò questo bastardo alla giustizia. Alla fine, vincerò io. Io vinco sempre”.
Quella frase lasciò in silenzio Ruri per un paio di secondi, prima di strapparle una risposta accompagnata dall’ennesimo sorriso.
“Sei sua figlia, non c’è dubbio”.
Proprio mentre stava per congedarsi da sua madre e per riattaccare, un pensiero improvviso le attraversò la mente; in fondo, avrebbe sempre potuto chiederle quella singola informazione. Non aveva a che fare direttamente con il caso, ma forse avrebbe potuto esserle utile per comprendere qual era il modo giusto per sopravvivere in quei mesi.
*Se non conosci il nemico, procurati informazioni su di lui, Eliza. Anticipalo. Gioca sporco, se serve. Quando si tratta di ottenere un obiettivo, non esistono regole*.
Le parole di suo padre la convinsero definitivamente a prendere il toro per le corna.
“Posso…farti una domanda?” le disse infine, prendendo un bel respiro profondo.
“Certo”.
*Non posso credere di stare per chiederglielo davvero…* si ritrovò a pensare, prima di sputare il rospo.
“Eliza…?” la sollecitò Ruri, a metà fra l’incuriosito e il teso.
“Conosci nessuno di nome Mello?” pronunciò tutto d’un fiato, mordendosi la lingua non appena l’ebbe fatto.
All’altro capo del telefono, Eliza avvertì un improvviso rumore di sottofondo, come di una sedia che si era improvvisamente rovesciata.
“Ehi, cosa sta succedendo là dentro?” sbottò la ragazza, a un tratto consapevole di ciò che stava accadendo.
“Niente, niente!” si affrettò a risponderle Ruri.
“Non mi dirai che…Ruri, stava ascoltando anche Elle?!” esclamò Eliza, esasperata.
“Beh…è così grave?” ammise la criminologa.
“RURI!!” protestò Eliza “Avrei anche potuto parlare di…di argomenti privati!”.
“Tesoro, tu non parli mai di argomenti privati. Non al telefono, almeno: e di solito, ci metto almeno venti minuti prima di estrarti con le pinze qualsiasi informazione a cui desidererei avere accesso. Quindi, direi che non è questo il tuo problema. Perciò? Non volevi che tuo padre sapesse che mi stai chiedendo informazioni su questa persona?”.
Non seppe perché, ma ebbe di nuovo la sensazione che stesse sorridendo.
“Tu…tu lo stai facendo di nuovo!”.
“Sto facendo cosa, Eliza?” le domandò sua madre.
“Stai facendo il sorriso di chi sa e capisce tutto!” protestò Eliza.
“Non ho ancora ben chiaro che cosa dovrei aver capito, piccola. C’è una ragione precisa per cui mi hai fatto quella domanda?” insistette Ruri, che nel frattempo stava ignorando i rumori di sottofondo provocati dal detective, ormai non più preoccupato di nascondere la sua presenza.
Eliza si sedette alla sua scrivania, ancora irritata e tesa.
“Near ha richiesto la sua collaborazione, e non ne comprendo il motivo. So solo che non sono propensa a fidarmi di lui” borbottò la ragazza.
“Il motivo?” insistette Ruri.
“ È arrogante, spocchioso, presuntuoso, egocentrico e maleducato. È irritante, è come avere intorno una sorta di presenza malefica che si diverte a farmi saltare i nervi. In altre parole, ho voglia di dargli fuoco e di soffocarlo con quella stupida cioccolata che tanto gli piace mangiare”.
Dall’altra parte, Ruri rimase in silenzio per un altro po’, prima di risponderle.
“Eliza…non vorrei sbagliarmi, ma direi che qui in giro c’è un po’ troppo coinvolgimento emotivo”.
“CHE COSA?!?” saltò su Eliza, provocando le risate della madre “Coinvolgimento emotivo?!? Avresti dovuto vedermi oggi, gli ho quasi sparato!”.
“Ah, peccato che mi sia persa la scena” ridacchiò Ruri “Comunque, non devi preoccupartene, Eliza. Mello è un tipo…beh, non l’ho mai incontrato, ma concordo che possa essere difficile”.
“Usi le stesse parole di Near” bofonchiò Eliza.
“Lui e tuo padre lo descrivono così” spiegò la dottoressa “Ma sono sicura che vi sarà utile averlo intorno. Mello ha molto…spirito d’iniziativa. Ho dato un’occhiata al suo profilo psicologico, in questi anni, da quando tuo padre me lo ha nominato per la prima volta. Ti assicuro che ha tenuto d’occhio tutti i suoi spostamenti e le sue mosse degli ultimi anni. Quel ragazzo ha talento, te lo garantisco. Sarà una bella aggiunta alla vostra squadra”.
“Un mafiosetto californiano che si veste come un’attrice da cabaret…come no…” commentò Eliza, roteando gli occhi in modo disgustato.
“Beh, il coinvolgimento di tuo zio Ayber nella malavita non ti ha mai sconvolto più di tanto. Dovrebbe essere diverso, stavolta?”.
“Certo che lo è! Lo zio ha chiuso con quella roba, molti anni fa” protestò Eliza.
“Solo perché tuo padre ha continuato ad assoldarlo nelle occasioni in cui avevamo bisogno di un infiltrato” le ricordò Ruri “A ogni modo, rilassati, Eliza. Scoprirai che Mello, a giudicare da quanto ho letto e sentito, nasconde più sorprese di quanto immagineresti. E comunque, con te come avversaria non avrà scampo: dubito che desideri incappare nella tua ira funesta”.
“Mi stai prendendo in giro, per caso?”.
“Per niente” la smentì Ruri “E se le cose si mettono male, puoi sempre fargli un buco in testa. Con buona pace di Near e dell’SPK. Ok, tuo padre ha appena detto che non è d’accordo; ma non preoccuparti, se hai bisogno di una pistola che ti copra le spalle…”.
“Ho sempre la tua” completò Eliza, ridendo insieme a lei.
“Bene, adesso ti saluto, Eliza: devo tornare al lavoro, e immagino che vorrai dormire un po’, dato che domani è il grande giorno. Chiamami, se hai bisogno di me. Ah, tua zia Robin mi ha detto di dirti che Carrie arriverà in Inghilterra appena possibile. Ha deciso d’iscriversi all’Università di Winchester, quindi credo che vi vedrete spesso”.
Quella notizia le diede un grande senso di sollievo: Carrie, la figlia di zia Robin, era la sua migliore amica da sempre. In realtà, quando erano piccole, non avevano avuto molte occasioni per frequentarsi, dato che le rispettive famiglie vivevano in Giappone e in Inghilterra, ma crescendo Eliza aveva preso ad accompagnare i suoi genitori e il nonno in giro per il mondo; e senza dubbio, le uniche persone a cui i suoi l’avrebbero affidata con sicurezza erano suo zio Ayber e la famiglia Matsuda. E così come Ruri e Robin erano sempre state amiche per la pelle, così lei e Carrie erano diventate l’una la sorella dell’altra, in maniera del tutto naturale.
“Non vedo l’ora di vederla” affermò Eliza, entusiasta.
“Bene, allora a presto, Eliza”.
Senza sapere bene perché, un moto improvviso, proveniente da un punto imprecisato del suo petto, la spinse a dire quella singola parola.
Mamma…!”.
All’altro capo, Ruri restò in silenzio per qualche istante, prima di riprendere a parlare: il suo tono era intriso di quel sorriso che a Eliza piaceva molto.
“Sì?”.
“Senti, io…grazie. E…ti voglio bene, ok? Vi voglio bene” si corresse infine, ricordandosi che anche Elle era in ascolto.
Tramite il collegamento telefonico, sentì distintamente Elle posare il suo cucchiaino da caffè.
“Anche noi ti vogliamo bene, coccinella. Falli neri, d’accordo?” le rispose infine Ruri.
“D’accordo. È una promessa” le assicurò.
“A presto”.
Una volta chiusa la telefonata, Eliza si appoggiò contro la parete della stanza, chiudendo gli occhi per un secondo.
*Coinvolgimento emotivo. L’ho sempre detto che mia madre è strana* dichiarò, prima di iniziare a spogliarsi con noncuranza, dirigendosi verso la doccia.
Una volta infilatasi sotto il getto d’acqua, lasciò che la sensazione di freschezza lavasse via tutta la stanchezza della giornata; senza dubbio, quello era stato il compleanno più strano della sua vita.
Un nuovo caso di omicidi di cui occuparsi, stranamente collegato al caso Kira in un modo piuttosto inquietante, malgrado gli standard a cui era abituata; il ritorno alla Wammy’s House, l’atteggiamento impossibile di Near, le assurde insinuazioni di sua madre, le manie di controllo di suo padre e…Mello.
Maledetto Mello.
In realtà, si sforzò di pensare, non c’era niente di così assurdo; dopotutto, era abituata a quel genere di vita.
*Già, ma non avrei mai messo in conto niente che potesse avere di nuovo a che vedere con Kira…senza considerare il dover avere a che fare con uno come quello lì*.
Con un sospiro infastidito, prese a massaggiarsi la testa, in preda a un’improvvisa emicrania: ma perché si stava scervellando così tanto? Non era certo il primo brutto ceffo con cui aveva a che fare e che fosse capace di farle saltare i nervi. E in fondo, se suo padre lo aveva tenuto d’occhio…beh, se Ruri ed Elle sostenevano che ci si potesse fidare di lui, non vedeva il motivo per cui lei stessa non avrebbe dovuto farlo. Sì, magari era un gran figlio di puttana, magari avrebbe desiderato sparargli ogni giorno che avrebbe trascorso con lui, magari era insopportabile, magari si meritava d’essere sonoramente preso a calci, ma se davvero era in gamba come dicevano tutti…beh, senza dubbio Near non avrebbe sprecato dieci milioni di dollari per un individuo che non fosse bravo in ciò che gli veniva chiesto di fare.
*E va bene, va bene. Cerchiamo di mantenere la calma. Concentrati sul caso, Eliza* finì per ripetersi, non appena si fu avvolta nell’asciugamano *Non permettere alla primadonna slavata di metterti sotto. Questa è sicuramente…una sfida*.
Ancora stretta nel telo da bagno, si lasciò andare sdraiata sul letto, piegando fino al ginocchio la gamba destra e lasciando rilassata la sinistra, che continuò a penzolare al di sotto del giaciglio, mentre le sue mani sottili sfogliavano il materiale delle indagini, che la ragazza teneva rigorosamente sospeso sopra la sua testa; esattamente come suo padre, era solita assumere posizioni alquanto assurde, soprattutto quando lavorava alla risoluzione di un rompicapo.
*Bene, vediamo. Dieci omicidi, alternati fra Londra e Parigi con un ritmo pressoché inspiegabile, secondo una spiegazione logica. Forza bruta impiegata per estrarre organi umani. No, un organo, Eliza. Il cuore. Dai, concentrati. Perché portarsi via il cuore? Ci sarà una ragione? Un rituale? Un significato simbolico? Escluderei il cannibalismo. In più, consideriamo il potere paranormale. Coraggio, individuiamo tutti gli elementi: prima il profilo psicologico*.
Trascorse gran parte della notte a lavorare sul caso, prima di crollare addormentata sul letto a pancia in giù, un braccio che penzolava al di là del copriletto e i capelli in disordine che le incorniciavano il volto. Solo ad un tratto, un singolo rumore fu capace di strapparla dal sonno, ma la sua natura era stata così brusca e improvvisa da portarla a pensare d’esserselo immaginato. Non poteva sapere che, nella stanza di fianco, Mello si era appena destato a sua volta, dopo aver lasciato andare un grido di rabbia e di terrore.
 
Il pomeriggio successivo, Eliza si avviò alla riunione convocata da Near, la documentazione sottobraccio (già colma dei suoi scarabocchi) e le tasche dei jeans colme di snack dolci; per precauzione, aveva deciso di sfoggiare anche la sua amata pistola alla cintola. In fondo, non poteva sapere che cosa le avrebbe messo di fronte quel primo meeting.
Dopo aver percorso i corridoi assolati della Wammy’s House, provvisti della consueta eleganza e raffinatezza, si diresse verso l’ascensore, intenzionata a scendere al seminterrato, dove Near aveva situato la sala controllo da cui conduceva molte operazioni dell’SPK, quando qualcuno, senza la minima delicatezza, le rifilò una sonora gomitata nel fianco, rischiando di farle cadere di mano tutti i suoi appunti e la documentazione annessa.
Prima che potesse alzare lo sguardo, sapeva già che avrebbe dovuto trattenersi per non insultarlo ancora una volta.
“Tu sei sempre fra i piedi, non è vero? Guarda che il reparto primi passi è dall’altra parte del corridoio, mi sa che stai sbagliando strada, ragazzina” la schernì Mello, addentando quella che era già, con ogni probabilità, la sua ennesima tavoletta di cioccolato della giornata.
“Tu hai proprio sbagliato continente, invece. Lo sai almeno dov’è Alcatraz? Perché non è escluso che riesca a fartici rinchiudere sul serio, balordo” replicò Eliza, fingendo la massima noncuranza, quando in realtà avrebbe preferito estrarre la pistola seduta stante.
Dal canto proprio, Mello ghignò con aria sarcastica, entrando dentro l’ascensore e premendo il tasto della discesa; Eliza sgusciò dentro appena prima che le porte si chiudessero.
Il silenzio calò fra loro in modo quasi inesorabile, rotto soltanto dal ronzio dell’ascensore che proseguiva la sua discesa; solo dopo un paio d’istanti, Eliza si concesse di spiarlo di sottecchi.
Non aveva mai incontrato un individuo simile, di questo era più che sicura. Dai suoi stivali al suo taglio di capelli, Mello aveva qualcosa che non aveva mai veduto prima in nessuna delle persone che le era capitato di conoscere; e senza dubbio, ormai poteva affermare di non averne conosciute poche.
C’era qualcosa in quella persona capace di farla andare su tutte le furie e al tempo stesso di incuriosirla, come se lui stesso fosse stato un mistero da svelare: perché suo padre lo aveva tenuto d’occhio in tutti quegli anni? Se anche davvero in passato era stato uno dei candidati per succedergli alla carica di primo detective al mondo, adesso le cose erano certamente diverse. Per quanto aveva capito, Mello aveva trascorso diversi anni in giro per il mondo, finendo perfino per unirsi alla mafia californiana.
Quindi, qual era il segreto? D’accordo, era bravo (almeno, così dicevano). Ma così bravo?
Doveva pur esserci un motivo, se il suo sesto senso continuava a dirle di non fidarsi di lui.
“Questi ascensori sono decisamente troppo lenti per i miei gusti” commentò a un tratto Mello, riscuotendola dai suoi pensieri.
“Beh, almeno su una cosa siamo d’accordo” sospirò Eliza, sforzandosi di non cogliere alcun commento sarcastico in ciò che lui aveva appena detto.
Per contro, Mello staccò un altro morso dalla sua tavoletta di cioccolata, pronunciandosi in uno sbuffo sprezzante; solo allora, guardandolo dritto in faccia, Eliza notò qualche segno di provamento, appena scorgibile da un occhio attento come il suo. Senz’altro, non dava l’impressione d’aver passato una notte tranquilla.
“Ma tu non hai proprio niente di meglio da fare che fantasticare sulla mia faccia?”.
Quelle parole le provocarono la definitiva rottura di qualsiasi embolo.
“CAZZO!!! Senti, idiota, non so chi ti abbia convinto della tua presunta avvenenza o del tuo presunto fascino, ma posso assicurarti che prima di mettermi a fantasticare su di te mi metterei a nuotare in una fogna! Così ti è più chiaro? Solo perché le persone ti guardano in faccia non significa che vogliano scoparti!” sbottò la ragazza, nuovamente furiosa.
“Io non ho mai parlato di scopare” affermò noncurantemente Mello, non appena le porte dell’ascensore si aprirono.
Senza darle il tempo di replicare, si avviò verso la sala riunioni di Near, lasciandola completamente a bocca aperta.
*Brutto…brutto…Eliza, devi stare calma*.
Sforzandosi di respirare profondamente, si avviò dietro Mello, a testa alta e dipingendosi sul volto l’espressione più impassibile che potesse sfoggiare per l’occasione.
L’ingresso nella sala riunioni dell’SPK le dette una nuova risoluzione e fu in grado di calmarla quel tanto che bastava per un rientro in grande stile: mentre Mello veniva sostanzialmente ignorato o salutato in modo freddo e distaccato, in molti membri della squadra si fecero avanti per salutarla in modo caloroso e per stringerle la mano.
In particolare, Gevanni e Halle furono fra i primi a porgerle la propria, sorridendole in maniera affabile.
“Miss Havisham, siamo lieti che abbia accettato di aiutarci con le indagini. Bentornata a casa” le si rivolse Gevanni, con tono rispettoso.
“Non cambio idea solo se la smetti di chiamarmi ‘Miss Havisham’, Gevanni. Lo sai che non mi piace” gli ricordò Eliza, alzando un sopracciglio e ricambiando il suo sorriso.
“Giusto. Eliza, allora. Bentornata all’SPK” rincarò la dose.
“Iniziamo, dunque. Direi che ci siamo tutti” sottolineò Halle, lanciando a Mello un’occhiata di traverso piuttosto incerta “Near, siamo pronti”.
“Molto bene”.
La voce di Near, accucciato su una poltrona posta a capo del tavolo allestito per l’occasione, la convinse a non seguire lo sguardo di Halle e a non indirizzare a Mello un solo grammo della sua attenzione; per contro, guardare verso il capo dell’SPK la mise nella posizione di non poter ignorare il cenno d’intesa che lui le aveva appena rivolto.
Accidenti. Voleva che si sedesse alla sua sinistra, di fronte a Gevanni.
Lo odiava, quando faceva così.
*Signore e signori, ecco a voi il fenomeno da baraccone, la figlia del genio per eccellenza*.
Sforzandosi di nascondere il suo fastidio, Eliza andò a sedersi vicino a lui, ripetendosi che, quantomeno, essere così vicina a Near avrebbe comportato lo starsene il più lontana possibile da Mello, che comunque non aveva mancato di sottolineare la sua presenza accomodandosi in modo scomposto all’altro capo del tavolo, senza smettere di mangiare la sua cioccolata e accendendosi perfino una sigaretta.
Per contro, Near ignorò diplomaticamente gli sguardi orripilati che i suoi colleghi stavano rivolgendo al tedesco, alzando infine gli occhi sul gruppo che lo osservava, in attesa.
“Bene, signori. La riunione di oggi vede la nostra squadra investigativa al completo, salvo variazioni che mi premunirò di comunicarvi nelle prossime settimane. Quindi, questo è il giorno in cui dichiaro ufficialmente aperte le indagini sul caso ‘AK’”.
Eliza dovette trattenere una smorfia. ‘AK’. Kira’s Adherent. Il seguace di Kira.
*Near e la sua teatralità…*.
“Come risulta dalla documentazione che tutti voi avete ricevuto, ci troviamo di fronte a un assassino diverso da qualsiasi mai incontrato in precedenza. Almeno, per quanto riguarda la nostra diretta esperienza come SPK. Naturalmente, ognuno di voi conosce nei dettagli il caso Kira, perciò eviterò di ridiscutere i dettagli di quella vicenda. Ciò di cui ormai possiamo essere certi è che questo omicida ha più di qualcosa in comune con Kira. Non solo sceglie le sue vittime allo stesso modo, ma sembra anche provvisto di un potere simile a quello di cui Kira si serviva per giustiziare i suoi bersagli, per quanto al contempo le due potenzialità presentino delle differenze. Inoltre, i messaggi sui cadaveri lasciatici dall’assassino lasciano ben poco all’immaginazione. È evidente che ci troviamo di fronte a un altro individuo maniacalmente teatrale, ossessionato da un delirio d’onnipotenza e probabilmente dalla personalità infantile quanto quella di Kira. Comprendere con chi abbiamo a che fare costituirà il primo passo per capire come muoverci. Per questo motivo, ho chiesto ai migliori criminologi della nostra equipe di analizzare il suo profilo psicologico; i risultati che ho ottenuto nelle scorse settimane mi hanno soddisfatto solo in parte, lo confesso. Per questo motivo, adesso vi chiederei di ascoltare il parere sulla questione di Miss Eliza Havisham”.
Eliza lo fissò con espressione sorpresa: voleva già che esponesse le sue teorie? Senza nemmeno uno studio più approfondito?
“Sei sicuro, Near?” gli domandò, accavallando appena le gambe, l’espressione assorta “Posso fornirti solo un quadro approssimativo”.
“Ti sto solo chiedendo un’opinione sommaria, Eliza. Il resto verrà delineato nei prossimi giorni. Dalla documentazione, che cosa puoi evincere sul nostro serial killer?”.
Mentre si accingeva a rispondergli, il suo sguardo non riuscì a tenersi ancora lontano da Mello; con sua sorpresa, si accorse che la stava osservando con un’attenzione che non le aveva mai riservato prima.
E per la prima volta, si rese conto del perché quegli occhi la turbassero così tanto.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Sono le due di notte e ho scritto di getto come al solito. Accidenti, che capitolo bruttino e anche abbastanza…ehm, non so bene come definirlo. Dico solo che, quando mi sono ritrovata a scrivere di nuovo di Ruri è stato come…non lo so. Da una parte immaginavo una specie di applauso in sottofondo per il suo rientro in scena, dall’altro mi veniva da piangere. No, non sono normale e non lo sarò mai XD In realtà, prevedevo un capitolo più lungo, ma avrebbe finito per diventare dispersivo, quindi lascio il resto della scena al prossimo capitolo ^^ Cosa ve ne pare? Il solito, eh? Eh lo so, rassegniamoci…anyway! Ringrazio infinitamente Always_Potter, MaryYagami_46 e SelflessGuard per aver recensito lo scorso capitolo, grazie di nuovo a SelflessGuard per aver inserito la storia fra le seguite e grazie mille a Darkira e a The Fire (bentornata!!) per aver inserito la storia fra le preferite <3 Spero che tutti voi inizierete/continuerete a commentare! Ah, e un ringraziamento speciale lo faccio a Lilian Potter in Malfoy, che sta amando i Melliza quasi quanto posso amarli fisicamente io <3 E che mi sopporta con tutti i miei scleri su Mello e su questa benedetta serie di fanfiction. Cosa farei, senza di lei <3 Ci tengo a precisare che ha avuto moltissime belle idee per questa storia, e che sarà debitamente citata in seguito a ogni riferimento. SAPEVATELO XD Bene, non mi resta che augurarvi la buonanotte! Al prossimo capitolo! La vostra Victoria <3       
   
 
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