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Autore: Kary91    16/09/2016    2 recensioni
[One-Shot | Pre-serie |child!Alec |Introspettivo, Slice of life]
Isabelle tornò ad alzare gli occhi al cielo. Alec provò una fitta d’invidia, nel vederla reagire a quel modo: ancora una volta avvertì sulle spalle l’ingiustizia di quel peso che si portava sulle spalle.
Anche lui avrebbe voluto roteare gli occhi e fare qualche capriccio, ogni tanto.
Anche a lui sarebbe piaciuto ridere di qualche marachella fatta assieme alla sorella e infischiarsene del pensiero di deludere i genitori.
Ma Alec non era così: quando gli veniva chiesto di fare qualcosa ubbidiva senza lamentarsi e, se combinava qualcosa, si aspettava di venire punito.
Alec era il maggiore: quello responsabile doveva essere lui.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Isabelle Lightwood
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'We're Lightwoods;'
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Questa storia  è stata scritta per l’event di luglio del We are Out for Prompts con il prompt  “child!Alec -  E' dura essere sempre quello che segue le regole” di Dadaottantotto. Preston è il ragazzino a cui Alec ha rotto il naso quando aveva dieci anni durante gli allenamenti di kendō (lo menziona nella 1x06).

 

 “Do you remember when I was ten? And there was that kid, Preston, who kept beating the crap out of me in kendo training?”

“You had perfect form, perfect technique.”

“That was what was holding me back.”

 

Alec & Maryse, Shadowhunters. Episode 1x06

 

 

(Un)Breaking the Rules;

 

Gli spogliatoi dell’Istituto erano vuoti, al di fuori di un paio di ragazzini ritardatari.

Alec si affrettò a sistemare il suo equipaggiamento da kendō nel borsone, sforzando di ignorare le occhiate derisorie del suo compagno di allenamenti.

Preston aveva dieci anni come lui, ma almeno un paio di chili in più, tutti localizzati nei bicipiti.

 

Non che fossero i muscoli, il motivo per cui quel ragazzino riusciva sempre a fargli fare la figura dell’idiota agli allenamenti. In uno scontro alla pari il giovane Lightwood era certo che sarebbe riuscito a batterlo senza sforzo, tuttavia  c’erano le regole – direttive precise da rispettare, mosse da condurre in un determinato modo.

 

Preston non aveva problemi a giocare sporco – a rovinare un po’ la forma pur di portarsi a casa qualche punto – mentre Alec, cresciuto all’ombra di regole ferree, preferiva perdere piuttosto che rompere uno schema prefissato. Ed era questo che, la maggior parte delle volte, Preston lo batteva in pochi minuti, facendogli fare la figura dell’idiota.

 

Più volte Alec era stato sul punto di darci un taglio – di mettere la parte gli insegnamenti del maestro per dargli una lezione – ma il buonsenso prevaleva sempre.

 

I Lightwood si aspettavano di avere dei figli degni del nome che portavano: avevano bisogno di qualcuno che si impegnasse a rispettare le regole, che portasse prestigio all’Istituto di New York.

 

E quel qualcuno non poteva che essere lui: Izzy faceva spesso di testa sua e Max era ancora troppo piccolo. A volte trovava ingiusto il fatto che quella responsabilità pesasse sulle sue spalle, ma non riusciva comunque a fare a meno di obbedire.  Le regole delimitavano ogni posto che frequentava e dentro a quei confini lui si sentiva al sicuro: oltrepassandoli avrebbe concluso per fare qualcosa di sbagliato, rischiando di deludere i suoi genitori. Preferiva non rischiare.

 

“Ehi, perfettino!”

 

Preston lo stuzzicò con la punta del suo shinai, ma Alec si sforzò di ignorarlo.

 

“Che c’è, sei sordo?” insistette, aumentando la pressione del bastone sulla schiena del ragazzino. “Forse i troppi colpi alla testa ti hanno dato di volta al cervello.”

 

“Sta’ zitto, Preston” ribatté Alec, allontanando lo shinai con un colpo secco della mano. Prese il borsone e si diresse verso la porta, ma Preston gli bloccò il passaggio.

 

“Dove scappi?” chiese, spintonandolo all’indietro. “Non ho ancora finito con te.”

 

Alec tentò di superarlo.


“Dacci un taglio, idiota” commentò con freddezza, dandogli una spallata. Preston lo spinse di nuovo.

 

“E perché? Mi sto divertendo” ribatté, recuperando lo shinai.

 

La porta dello spogliatoio si aprì, ma ne lui, né Alec ci fecero caso. Erano troppo occupati a studiarsi.

 

“E sarà divertente anche prenderti a pugni: scommetto che se ci provassi non alzeresti un dito. Non vorrai mica rischiare di fare arrabbiare la mammina?”


“Lui forse no, ma io sì!”

 

Qualcuno si frappose fra i due ragazzini ancor prima che potessero rendersene conto.

 

Alec fece appena in tempo a riconoscere due trecce nere e occhi arrabbiati, altrettanto scuri, che la mano di sua sorella era già volata a colpire la guancia di Preston.

 

Si udì uno schiocco secco e un’imprecazione soffocata.

 

“Izzy, ma che diavolo…”

 

Alec si affrettò a trascinare la sorellina dietro di sé, umiliazione e rimprovero a contendersi il suo volto. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era una bambina di otto anni che combatteva le sue battaglie per lui.

 

“Fuori di qui!” ordinò, mentre Preston – ancor più umiliato di Alec– si buttava verso di loro per ricambiare il colpo di Izzy.


Questa volta il ragazzino non si fece problemi a intervenire: le regole perdevano significato, quando c’erano di mezzo i suoi fratelli.

 

Placcò il pugno dell’avversario e lo spinse all’indietro, facendolo inciampare sul suo borsone.

 

“Bel colpo!” osservò Isabelle,  sorridendo serafica. Alec recuperò la sacca e prese la sorella per mano, trascinando entrambe fuori dallo spogliatoio.

 

Camminò a passo serrato fino a quando non incominciò a intravedere qualche persona e, a quel punto, rallentò l’andatura: perfino un idiota come Preston avrebbe evitato di fare a botte di fronte agli adulti.

 

“Che diavolo ti è venuto in mente?” sbottò, lasciando andare il polso di Isabelle. “Da quando mi segui per fare a botte al posto mio?”

 

“Non ti stavo seguendo!” ribatté seccata Izzy, roteando gli occhi. “Vi ho sentiti per caso…”

 

“Quindi sei entrata per caso nello spogliatoio dei maschi?” replicò Alec, scoccandole un’occhiata di rimprovero.

 

Izzy sbuffò.

 

“E va bene, vi ho seguiti!” ammise, dando un calcio al borsone di Alec. Il ragazzino la guardò storto e lo spostò sull’altra spalla. “È che quel Preston non lo sopporto, so che agli allenamenti ti dà sempre fastidio. E quando ho capito che eravate rimasti da soli nello spogliatoio ho pensato che…”

 

“Iz…” la interruppe Alec, smettendo di camminare. “… Nel caso te lo fossi dimenticato, sono io il fratello maggiore. Non mi devi controllare, non sono Max.”

 

“Ma voglio farlo comunque” ribatté Izzy, la voce intrisa di cocciutaggine infantile. “E comunque, devi incominciare a picchiarlo, a quello lì: altrimenti non la smetterà mai di prenderti in giro.”

 

Alec si diede un’occhiata intorno con fare nervoso, prima di stringersi nelle spalle.

 

“Non ne vale la pena” rispose voi, abbassando la voce. “Se facessi a botte con lui mi butterebbero fuori dalle lezioni di kendō.”

 

“E allora?” osservò Izzy, facendo spallucce. “Tanto quel corso nemmeno ti piace: così avresti più tempo per allenarti con l’arco, no?”

 

Alec inspirò con forza.

 

“Mamma e papà si arrabbierebbero molto” le fece notare.

 

Isabelle tornò ad alzare gli occhi al cielo. Alec provò una fitta d’invidia, nel vederla reagire a quel modo: ancora una volta, avvertì sulle spalle l’ingiustizia di quel peso che si portava sulle spalle.

 

Anche lui avrebbe voluto roteare gli occhi e fare qualche capriccio, ogni tanto.

Anche a lui sarebbe piaciuto ridere di qualche marachella fatta assieme alla sorella e infischiarsene del pensiero di deludere i genitori.

 

Ma Alec non era così: quando gli veniva chiesto di fare qualcosa ubbidiva senza lamentarsi e, se combinava qualcosa, si aspettava di venire punito.

 

Gli sarebbe piaciuto assomigliare di più a Izzy, ma non era possibile.

 

Alec era il maggiore: quello responsabile doveva essere lui.

 

A costo di fare la figura dell’idiota durante gli allenamenti di kendō.

 

“Beh, se non lo picchi mi arrabbierò molto io” concluse Izzy, prendendo per mano suo fratello.

 

Nonostante tutto, Alec non riuscì a trattenere un sorriso.

 

Essere il fratello responsabile non era sempre facile, ma era fortunato ad avere al suo fianco qualcuno come sua sorella. A Isabelle non importava se lui fosse un perfettino: lei gli prendeva la mano in ogni caso, che rispettasse le regole o meno.

 

E forse era anche per quello che lui aveva accettato di portare tutto quel peso sulle spalle: avrebbe sopportato anche di peggio, pur di tener libere quelle di sua sorella. 

   
 
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