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Autore: Leonhard    18/09/2016    6 recensioni
"Wilde, hai una zampa rotta". "Dimmi qualcosa che non so, Savage". La volpe era in ginocchio nella polvere, con le zampe rivolte verso il cielo; impressa negli occhi ancora la sagoma di Alopex e l'espressione sul muso di Judy. Terrore. "Per esempio da che parte stai: quanto ti paga Bellwether per ammazzarci tutti?".
il tanto atteso (spero) seguito di THE WILDE CASE
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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6. Io non ho paura


Eppure questo suono…

Era un pensiero che aveva sempre attraversato la mente di Nick in quel secondo in cui l’aria s’impregnava del suono metallico delle manette. Che fosse in un vicolo, in una strada affollata di curiosi o dentro il magazzino di un laboratorio di ricerca, quel suono l’aveva sempre sentito nelle orecchie e contro i polsi; dovuto probabilmente alla sicurezza che per anni era stata sua fedele compagna di scorribande e di avventure.

Quelle manette, un giorno si sarebbero chiuse attorno alle sue zampe.

Era una consapevolezza che aveva sempre sentita giusta quasi a livelli biblici ed il fatto di essere diventato uno di quelli autorizzati a sfoggiarle appese alla cintura l’aveva affievolita di appena un niente. Quel rapido e metallico ronzio avrebbe accompagnato una fugace sensazione di freddo con un tintinnio metallico ed avrebbe immobilizzato le sue zampe com’era giusto: con il tempo se n’era quasi convinto e se c’era una cosa in cui gli insegnamenti di Finnick non avevano funzionato era stato togliergli dalla testa quella convinzione.

L’unica cosa che sperava era che fosse Judy a farlo. E sperava che succedesse prima che quelle zampe si posassero su Jack Savage.

Dawn lo guardava mentre chiudeva il secondo anello attorno al montante dello scaffale: l’espressione era incuriosita, come se avesse davanti agli occhi qualcosa che non capiva appieno, come un libro di matematica.

“Non capisco…” borbottò infine. E non era la sola. “Dopo quello che ti ho detto…quello che ti ho offerto…ancora vuoi stare alle regole della lepre? Continuare a guardarla dal basso verso l’alto?”.

“Non lo faccio” ammise lui, mettendosi dritto e fingendo il suo solito sorriso. “Mi arriva appena al distintivo…”.

“Bah…” belò lei, guardandolo con disappunto. “Che mi aspettavo? Ho perso tempo a cercare di far ragionare una

volpe ottusa

pedina della lepre…”. Nick si volse ed uscì dal magazzino, contando i passi che lo separavano dal suo amato pranzo. L’immagine della busta-frigo faceva furiosamente a pugni con i ricordi e le parole della pecora, riconoscendo che la sua era una pazzia molto lucida.

Aprì la porta della mensa chiedendosi come ci fosse arrivato e quattro occhi saettarono verso di lui. Le orecchie di Judy saettarono in alto, mentre Alopex mosse la coda in un inequivocabile scodinzolio.

“Ehi, Nick” salutò la coniglietta con un sorriso.

“Pensava che non saresti venuto a pranzo” osservò Alopex. “Ma è anche vero che a colazione hai mangiato solo una confezione di fragoline di bosco ed un bicchiere di caffè, che equivale a duecento grammi di cibo. Immagino che questo odorino di pollo sintetico che arriva dal tuo sacchetto sia all’incirca di tre etti, quindi la tua dieta giornaliera suppongo vada dal mezzo chilo al chilo di cibo”. Si alzò e gli tastò la pancia e le zampe. “Ah, seicentoventi grammi giornalieri: ti tieni a stecchetto?”.

“In forma, Alopex” replicò lui afferrando il pranzo e sedendosi. “Si dice in forma. Finiscila di indagare sul sottoscritto”.

“Ah, ma lo sai che non posso farne a meno” rise lei, sedendosi nuovamente accanto a Judy, che la guardava con occhi persi.

“Hai capito tutto questo solo tastandogli la pancia?” mormorò stupita, dimenticandosi nuovamente il panino stretto tra le zampe.

“E non solo” annuì lei, ammiccando con un sorrisetto malizioso. “Potrei dirne di cose in questo momento…”.

“Ma ti asterrai” concluse Nick, addentando il pranzo. “Non credo sia rilevante sapere quanto sedano ha mangiato Carotina ieri sera in base all’odore del suo pelo o del verso in cui è pettinato”.

“Ma dai!” esclamò Alopex sdegnata. “Lo sai che è impossibile capirlo”.

Nel caso Tujunga erano coinvolti Savage e Alopex. Savage ha ucciso mio padre. Alopex mi ha dato la sua cravatta. Il caso è stato archiviato e nessuno ha detto niente perché erano scomparse solo volpi.

Il pensiero lo portò ad osservare la volpe albina; parlava e rideva con Judy e si divertiva un mondo a stuzzicarla su qualche argomento che lui aveva smesso di seguire. Savage aveva davvero ucciso suo padre? Ma perché avrebbe dovuto farlo?

Alzò uno sguardo alla telecamera e quasi poté vedere la lepre dall’altra parte dell’obiettivo: non gli toglieva gli occhi di dosso, come se si aspettasse qualche brutale azione da volpe primitiva e, tanto per non farsi mancare nulla, aveva già armato la pistola ed avvitato il silenziatore sulla canna.

Nessuno ha mai trovato corpi, salvo quello di mio padre. Alopex mi ha dato la sua cravatta.

Era sicuro che Jack Savage fosse uno di quegli agenti segreti che nella tasca interna della giacca teneva tutto: distintivo, occhiali da sole sicuramente fighi e la pistola. Anzi, no: lui andava oltre, non si limitava ad avere solo gli occhiali da sole fighi. Lui aveva una fondina ascellare in cuoio ed una cartucciera alla cintura come un cowboy mancato: gli serviva solo un sigaro a lato della bocca e sarebbe stato un perfetto Clint Bearwood versione coniglio.

Hanno archiviato il caso e nessuno ha detto niente perché erano scomparse solo volpi.

Distolse gli occhi dalla telecamera, conscio del fatto che avrebbe mostrato i denti. Non si accorse di masticare con più veemenza e nemmeno di star sbranando il panino anziché addentarlo finché non si affondò i denti nella zampa. Qualche goccia di sangue macchiò il pelo rossiccio e si confuse tra ciuffi curati e pettinati.

“Nick?” chiamò Alopex, voltandosi verso di lui. L’espressione era preoccupata, ma con una vena di curiosità; i baffi e le narici fremevano, catturando l’odore del sangue. “Ti sei morso una mano?”.

“Savage…” mormorò. Lasciò cadere il panino e corse fuori dalla porta della mensa. Aveva solo il dubbio su quale animale con cui doveva avere a che fare fosse più pericoloso. Arrivò davanti alla porta del magazzino senza nemmeno riflettere: era stato istinto il suo. Puro e semplice

naturale

istinto. La porta la sentiva chiusa, sprangata, nonostante fosse lontana appena una decina di metri. Si sentì trattenere per la coda da due piccole zampe e si volse. Si sorprese a sperare che fosse Jack per lasciar cadere la goccia che avrebbe fatto finalmente strabordare quel dannato vaso.

“Nick, che succede?” chiese Judy, guardandolo con occhi allarmati. Le grandi pupille viola fecero notare alla volpe che quel vaso era talmente gonfio e talmente ansioso di scoppiare che non era necessario Jack Savage in persona.

Bastava un qualunque coniglio.

Sotto il suo sguardo gli lasciò la coda ed arretrò di un passo; Nick non sapeva che occhi doveva averle rivolto, ma ci tenne a mettere le cose in chiaro.

“Non è il momento” disse. La voce gli uscì disgustosamente simile ad un ringhio. Lei scosse la testa.

“Nick, sei agitato” disse. “Che cosa succede?”.

“Succede che una coniglietta impicciona mi sta con il fiato sul collo ostinandosi a credere che basta un tocco di bacchetta o una canzone di dubbia bellezza a risolvere tutti i problemi” esplose. Il naso di Judy fremette e gli occhi si fecero vacui, palesemente feriti; la bocca della volpe, tuttavia, sembrava non potersi fermare. “Questi sono problemi da volpe e tu non lo sei. Sei un coniglio e quindi comportati da coniglio: annusa l’aria, bruca fieno, quello che ti pare ma smettila di trattarmi come se non avessi paura di me”.

“Nick…”.

“Perché hai mollato a casa il repellente per volpi?” indagò ancora, voltandosi verso di lei e sovrastandola con la sua stazza. “Non hai pensato che se i tuoi te l’hanno dato assieme ad una borsata di roba c’era un motivo? Ma tu no, tu ah guardatemi, vado a Zootropolis: entrerò nella polizia e renderò il mondo un posto talmente bello che la gente non avrà bisogno nemmeno di chiudere a chiave le porte di casa! Hai pensato a quello che potrebbe succedere se ti capitasse davanti una volpe…come…me?”.

Era arrivato a pochi centimetri dal muso di Judy, gli occhi erano fiammeggianti ed i denti scoperti: fu attraversato dal pensiero che avrebbe persino potuto specchiarsi nelle sue zanne ed era genuinamente sicuro che avrebbe ricevuto un’occhiata terrorizzata ed una torsione al polso che l’avrebbe immediatamente immobilizzato a terra. La coniglietta non si era mossa di un centimetro: lo guardava con occhi sorpresi, sicuramente feriti, ma soprattutto preoccupati.

Nick si volse, improvvisamente consapevole delle parole uscite dalla sua bocca. Provò una sorda vergogna nel ritardo che aveva avuto nel ricordarsi l’episodio al museo e la conseguente consapevolezza della crudele falsità delle sue parole. Non si volse quando si sentì richiamare da una flebile, tremula vocetta.

“Non ho paura di te…” mormorò Judy, paralizzata sul posto. “Nick, io non ho paura di te!”. Prese fiato, quanto bastava per dirle che lo sapeva: avrebbe voluto scusarsi, avrebbe voluto che lei sapesse che razza di imbecille era e di quanto poco abituato fosse a quella sensazione, ma il suo istinto scelse quel momento per comunicare con lui. Tese le orecchie e fiutò l’aria.

“Oh, per Robin Hood in calzamaglia…!” si lasciò sfuggire, mentre già sentiva la lavata di capo storica che sarebbe arrivata, in cui lui non avrebbe dovuto fare altro che stare zitto e pregare di beccarsi solo una sospensione di due o tre secoli. Coprì con un salto i pochi passi che ancora li separavano dalla porta e la spalancò.

Appese allo scaffale oscillavano abbandonate le manette, che lo salutarono con un vuoto, canzonatorio tintinnio.
   
 
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