L’estate eterna.
“But thy eternal
summer shall not fade
Nor lose possession of that fair thou owest;
Nor shall Death brag thou wander'st in his shade,
When in eternal lines to time thou growest:
So long as men can breathe or eyes can see,
So long lives this and this gives life to thee.”.1
[William Shakespeare –
Sonetto XVIII]
L’amore della sua vita giaceva distesa su un letto di
foglie cadute, il bel viso pacifico al sole del primo pomeriggio. L’estate non
aveva ancora lasciato il posto all’autunno, eppure gli alberi avevano già
iniziato a cambiare i loro colori, lasciando che il verde venisse inghiottito
dal giallo, poi dal marrone e dal rosso.
Lui sorrise, osservandola, sentendo un calore meraviglioso
ad altezza del petto.
Era così bella.
«Sai, sei davvero bravo»2 gli disse, con un sorriso allegro,
rotolando di lato fino a poter sbirciare le immagini che lentamente si stavano
formando sul suo blocchetto da disegno. I colori del bosco non erano stati
rappresentati, eppure le ombre del carboncino sembravano sufficienti a
raffigurare in modo quanto più affidabile possibile lo scenario che li
circondava. «Hai anche disegnato la piovra!» aggiunse, con una risata
tintinnante.
«La piovra è il mio soggetto preferito, dopo qualcun altro» le disse lui, lanciandole
un’occhiata divertita, per poi mettere da parte il carboncino e voltare le
pagine del suo blocchetto per mostrarle qualche altro lavoro. «Vedi? Credo le
piaccia farsi ritrarre, ogni volta che vengo qui la trovo in un angolino, come
se volesse mettersi in posa» rifletté ad alta voce, grattandosi distrattamente
la testa. Se già i suoi capelli erano disordinati per natura, in quel momento,
a causa del vento e delle mani della sua bella accompagnatrice, erano
assolutamente privi di qualunque senso. Suo padre lo avrebbe strangolato3, se non avesse perso la speranza di
farlo apparire come una persona normale da un bel pezzo.
Lei aveva approfittato del suo momento di debolezza per
dare un’occhiata anche alle altre opere, ridacchiando ogni qualvolta un
familiare viso circondato da capelli rossi fosse sbucato fra i vari paesaggi.
Non era mai stata una donna vanesia, ma lui conosceva
l’effetto che i suoi disegni erano soliti fare alle ragazze. Per anni li
aveva usati proprio a quello scopo.
Non con lei, tuttavia. Si era sempre categoricamente
rifiutato di farle anche solo sapere
di quel suo piccolo hobby, spaventato che potesse sentirsi una delle tante, che
potesse fraintendere.
Ma non aveva più paura, erano insieme.
«Sei stata la mia musa per anni» le confessò, dopo qualche
istante di silenzio, un sorriso imbarazzato ad incurvargli le labbra. «Quando
eravamo bambini mi intrigava il colore dei tuoi capelli» continuò, allungando
la mano per spostarle una ciocca ribelle dal viso, mentre lei era incantata ad
osservare il suo ennesimo ritratto. «Poi ho scoperto di avere una smisurata
passione per i tuoi occhi, così verdi.
Adoravo vederti sorridere, soprattutto quando ti si formavano delle pieghette
adorabili ai lati degli occhi».
«Io non ho le pieghe del sorriso, di cosa diamine stai
parlando?» si scandalizzò lei, ridacchiando sommessamente, per poi sfiorare con
la punta delle dita proprio dette pieghette, appena accennate nello schizzo che
occupava l’angolo della pagina che stava osservando. «Mia madre dice sempre che
saltano fuori quando sono parlo con-».
«Con qualcuno a cui vuoi bene, lo so» si intromise lui,
scuotendo il capo. «Lo so, l’ho capito praticamente subito, osservandoti»
spiegò, sollevando gli occhi verso le fronde della quercia che li stava
proteggendo dai raggi solari di metà settembre. «Gli altri sorrisi raramente
raggiungevano gli occhi. Ti serviva l’affetto, per essere sincera».
«E come hai fatto a capirlo? Fino a qualche mese fra avrei
volentieri dato fuoco al tuo mantello!4» ridacchiò lei,
assestandogli un pizzicotto sul braccio ed alzando gli occhi al cielo quando
lui fece una smorfia di dolore. «Oh, non esagerare, sei caduto da tre metri
d’altezza, durante l’ultima partita, e ti sei rialzato facendo lo sbruffone, io
praticamente non ti ho toccato!».
Lui le dedicò un’occhiataccia, sbuffando. «Non potevo
certo farmi vedere tutto indolenzito, ho una reputazione da mantenere!» si
lamentò, mugugnando qualcosa di incomprensibile mentre si massaggiava il
braccio. «Ho la pelle estremamente delicata, sicuramente mi uscirà un livido
enorme e sarà tutta colpa tua».
La donna più bella del mondo mormorò qualcosa di molto
simile a “stupida primadonna”,
tuttavia si avvicinò a lui, lasciandogli un bacino in corrispondenza del
pizzicotto. «Mia madre diceva sempre che un bacio aiuta a guarire più
velocemente» gli comunicò, solenne, inginocchiandosi al suo fianco e
dedicandogli il migliore dei suoi sorrisi.
Il suo cuore sembrò sul punto di scoppiare.
«Dovresti parlarne con Madama Chips»
le rispose, prendendole il blocchetto da disegno dalle mani e facendole cenno
di non muoversi, per poi iniziare a scarabocchiare qualcosa con il carboncino aveva
ripreso in mano. «Una cura come questa è da sperimentare, potreste salvare
tantissime vite» aggiunse, divertito, piegando il capo di lato per poter
cogliere meglio i giochi di luce che i raggi del sole facevano con i suoi
meravigliosi occhi. Aveva delle pagliuzze dorate, non se n’era mai accorto
prima.
«Andare in giro a baciare chiunque? Non ti facevo così
aperto, signorino» gli fece notare lei, un sopracciglio così alto da
raggiungere l’attaccatura dei capelli. L’occhiata che lui le dedicò la fece
ridere di nuovo, le rughette ai lati degli occhi
furono il migliore fra i regali che avrebbe mai potuto fargli.
«Io sono di salute cagionevole, devi essere sempre a mia
disposizione» le disse, con un tono pomposo che rendeva evidente quanto si
stesse divertendo. «Non muoverti, ti prego… in due minuti avrò finito»
aggiunse, quando notò che lei fosse sul punto di tornare a sdraiarsi. «La luce
ti colpisce in modo delizioso, devo davvero disegnarti».
Imbarazzata ma anche compiaciuta, lei si sistemò meglio
sulle ginocchia, sollevando leggermente il mento per assumere una posa da
modella di un ritratto del Rinascimento. «Questo qui dovrai proprio incorniciarlo
e regalarmelo, lo sai? E voglio anche l’autografo» gli disse, quasi avesse
voluto minacciarlo.
«Mi dispiace» le rispose lui, con un leggero sorriso di
scuse. «Magari te ne farò una copia, ma questo… questo è mio» spiegò, imbarazzato. «Tua madre ti ha raccontato che un bacio
guarisce qualunque ferita, la mia… la mia mi ha raccontato qualcosa di
leggermente diverso».
«Cosa?» la voce di lei era curiosa, lo era sempre stata.
Curiosa ed arrabbiata, curiosa ed irritata, curiosa ed intenerita. Curiosa e dolce. Era stato un percorso molto
lungo, quello che avevano affrontato, ma dopo tutti quegli anni lui aveva
finalmente compreso quanto fossero stati necessari i periodi di stizza e
dispetti.
Lui doveva crescere, lei doveva imparare a conoscerlo.
«Quando il mio padrino, suo fratello, è morto, io le ho chiesto perché non avesse pianto,
visto che tutti gli altri parenti sembravano sul punto di sciogliersi in una
pozzanghera» iniziò a raccontarle, tranquillo, sfumando qui e lì i tratti che
aveva già rappresentato su carta. Il suo mignolo, già ricoperto da polvere
nera, sarebbe diventato più scuro della notte entro mezz’ora ed i suoi amici si
sarebbero lamentati delle tracce lasciate in giro per la camera. Non che gli
importasse un granché, in realtà. «La prozia aveva detto che forse la mamma non
gli voleva abbastanza bene ed io mi ero infuriato così tanto con lei» continuò, accigliandosi. «Io volevo un fratello
con tutto me stesso e lei che faceva? Non voleva bene al suo. Mi sembrava uno
scherzo di cattivo gusto, capisci?».
Con una leggera smorfia, lei annuì. I capelli rossi,
simili a delle fiamme sotto il sole di settembre, si spostarono al lato del suo
viso, sfuggendo alla barriera delle spalle. Lei non li risistemò e lui gliene
fu grato, era proprio il tocco finale che mancava alla sua opera. «Ne parlasti
con tua madre? Sono certa che la tua prozia sia stata solo maligna».
«Le mie prozie lo sono sempre» concordò lui, ridacchiando.
«Non preoccuparti, tu non dovrai conoscerla, ormai ha tirato le cuoia» aggiunse,
a cuor leggero, facendole l’occhiolino quando la vide arrossire. Ancora stentava
a credere che lui avesse delle intenzioni molto
più che serie. Le avrebbe presentato fino all’ultimo cugino, se non fossero
stati praticamente decimati negli ultimi anni. «Comunque, sì, ne parlai con mia
madre e lei, per prima cosa, mi assestò un bel ceffone. Uno da record, se
proprio vogliamo essere pignoli».
Le sopracciglia rosse di lei si corrugarono,
un’espressione di profonda confusione stampata in viso. «Mi hai sempre descritto
tua madre come una donna estremamente paziente, perché mai ti ha dato un
ceffone, se ti sei limitato a porre una più che lecita domanda?» gli chiese,
curiosa.
«È successo quando avevo dodici anni» le fece notare,
imbarazzato. «I miei modi, all’epoca, erano un po’… incivili» spiegò, ridacchiando dopo l’ultima parola. Sua cugina
l’aveva sempre definito in quel modo, fin da bambini. Incivile e cresciuto da un branco di ippogrifi. La smorfia della
ragazza lo fece sorridere, ma dovette farle cenno di contenersi. Il sole si
stava spostando, aveva pochissimi minuti prima di perdere quell’apparizione
favolosa per sempre. «La aggredii, le
urlai i peggiori improperi. Per fortuna
mia madre è un tipo tranquillo, una donna come Madame Black5 mi avrebbe fatto lo scalpo» continuò a
spiegare, rilassato. «Per farla breve, mia madre mi mostrò il suo blocchetto da disegno, indicandomi
tutti i ritratti dello zio, anche quelli di quando era un ragazzino».
«E questo cosa c’entra con il non potermi regalare il mio
ritratto?».
«Beh…» senza staccare gli occhi dalla sua opera, lui si
grattò distrattamente la punta del naso, rimettendo gli occhiali al loro posto.
La risatina della sua meravigliosa fidanzata gli fece capire di essersi
sporcato come un idiota. «Mia madre
mi disse che non c’era motivo di piangere suo fratello, perché lei avrebbe
sempre potuto tornare ad osservarlo nei suoi dipinti. Lì sarebbe rimasto sempre
giovane e sempre sano, intrappolato in un attimo di eterna perfezione» spiegò,
sorridendo quasi senza volerlo. «Nel disegno o nei versi è possibile
intrappolare delle emozioni, dei ricordi… la pura bellezza contenuta in un
foglio, cosa che le fotografie non possono fare. Finché il foglio esiste, il
suo soggetto non può morire e, con lui, non possono morire i sentimenti che si
provavano nei suoi confronti». Osservò il suo bozzetto, ormai concluso, con un
enorme sorriso sulle labbra. Avrebbe potuto far di meglio, se avesse voluto.
Avrebbe potuto perdere più tempo ed essere ancora più preciso, ma sapeva che
non sarebbe stato lo stesso. «Non potrei mai separarmene e rischiare di
dimenticare quanto ti sto amando adesso, quanto ti ho amata in passato e quanto
ti amerò da questo giorno in poi».
Lentamente, voltò il blocchetto verso di lei, mostrandole
il piccolo ritratto.
«È meraviglioso» fu tutto ciò che riuscì a dirgli lei,
portandosi una mano alle labbra mentre gli occhi le si annacquavano
velocemente. «Come puoi disegnarmi così…» con un gesto vago, indicò ciò che lui
le stava mostrando, forse riferendosi a tutti i ritratti che ancora non le
aveva fatto vedere ma che lei sapeva esserci. «Come fai a vedermi così bella?».
Con un dolce peso sul petto, lui si fece avanti, posando
le labbra sulle sue per un bacio che avrebbe dovuto raccogliere tutte le sue
emozioni, tutto ciò che gli si agitava nel cuore. «Tu sei bellissima. Lo sei sempre stata» le mormorò, sollevando la mano
pulita per poterle accarezzare la guancia coperta da deliziose lentiggini.
«Adesso lo sarai per sempre, perché ogni volta che io guarderò il disegno mi
ricorderò di questo istante ed allora saprò che tu sarai lì con me».
Socchiudendo gli occhi del colore dell’erba primaverile,
lei fece sfiorare i loro nasi, con dolcezza disarmante. «Io sarò sempre al tuo
fianco, James» gli disse, amorevole. «Ma il disegno ti aiuterà a ricordarmi
come sono adesso, giovane e ancora senza capelli bianchi, così fra trent’anni non mi lascerai per una più giovane,
dimenticandoti completamente che esisto» aggiunse, divertita, gettandogli le
braccia al collo per stringerlo in un caldissimo abbraccio.
Lui, con una risata, ricambiò la stretta, strofinandole il
naso contro la pelle delicata del collo. Profumava di biscotti ed erba fresca,
proprio il fantastico mix che, giusto quella mattina, aveva sentito annusando
l’Amortentia
del professor Lumacorno. Il profumo di colei che
amava di più al mondo. «Non potrei mai dimenticarmi di te, non della mia Lily
dai lunghi capelli di fuoco» le disse, tentando di suonare divertito ma
riuscendo semplicemente a sembrare un adolescente alle prese con la sua prima
cotta.
Cosa che lui era,
effettivamente. Lei era stata la prima e sarebbe stata l’unica, per sempre.
«Beh, adesso è facile parlare» si lagnò, allontanandosi
leggermente da lui per dedicargli un’occhiata severa e triste, nonostante le
labbra stessero tremando per nascondere un sorriso. «Un giorno diventerò
vecchia e brutta, magari anche grassa, come mia nonna Bridget»
aggiunse, con un sospiro plateale, allungandosi di lato per riprendere possesso
del blocchetto da disegno. «Devi promettermi una cosa, James».
«Cosa?» le chiese, tranquillo, consapevole che se lei gli
avesse chiesto la luna, probabilmente lui l’avrebbe accontentata con un enorme
sorriso. Tutto, per lei, tranne rinunciare ai disegni. «Non te lo regalo, il
ritratto, te l’ho già detto».
«No, non è questo» lo tranquillizzò Lily, con un sorriso
imbarazzato, sfiorando la copertina di pelle dell’album che aveva fra le mani.
«Continuerai a disegnarmi anche in futuro? Anche se dovessimo separarci… mi
disegnerai?».
«Lily…» con un sorriso intenerito, lui si avvicinò per
lasciarle un lieve bacio sulla guancia, cercando di spingerla a guardarlo negli
occhi. «Io non ho fatto altro che disegnarti da quanto avevo undici anni» le
fece notare, divertito. «Credi davvero che qualcosa potrebbe convincermi a
desistere, in futuro? Io non posso smettere,
non potrei neanche se lo volessi. I miei disegni sono la via per l’immortalità
ed io voglio che tu sia immortale. Io
voglio che qualcosa di te, di noi, resti per sempre. Un’eterna
estate, senza pioggia e senza gelo. Solo noi».
Colta da un impeto irrefrenabile, Lily si avvicinò per
trascinarlo in un bacio appassionato, riversandovi tutte quelle parole e quelle
emozioni che non sapeva come esprimere in altro modo. «Giura che non mi
dimenticherai mai».
«Non potrei farlo» le rispose lui, immediatamente. «Per
dimenticare te, dovrei prima dimenticare me stesso. E neppure in quel caso
credo che riuscirei a rimuoverti dal mio cuore. Tu sei il mio cuore».
Lily rise, lasciandosi cadere di lato, supina, i capelli
che si confondevano con il rosso delle foglie appena cadute ed il blocchetto da
disegno stretto al petto. «Un’eterna estate. Impossibile da dimenticare».
Osservandola, mentre era così terribilmente felice, James
sentì l’impulso irrefrenabile di sorridere.
Sì, lei era impossibile da dimenticare, impressa a fuoco
nella sua anima così come la sua immagine lo era nell’album.
L’avrebbe disegnata per sempre.
~~~
Il tratto degli acquerelli era lieve, tremulo, il colore
così delicato che quasi lui non riuscì a distinguerne le diverse sfumature.
Arancione e giallo delle foglie, rosso dei capelli, nero degli abiti e verde
degli occhi, tutto sembrava solo una macchia indistinta oltre il velo della
benda che si stagliava fra il suo sguardo ed il mondo esterno.
«È davvero un bellissimo dipinto, signor Jones» si complimentò l’infermiera, apparendo al suo fianco
come se fosse stata sempre lì. Si voltò nella sua direzione, annuendo per
ringraziarla. Non gli piaceva sentirla parlare, la sua voce gli faceva venire
il mal di testa.
Così incivile,
sembra tu sia stato educato da un branco di ippogrifi.
«Ancora la donna dai capelli rossi, eh? Disegna sempre
lei. Doveva essere bellissima» continuò lei, imperterrita. «È qui da oltre quattro
anni6, ormai, eppure ha sempre avuto lei come soggetto… sicuro di
non ricordare il suo nome? Se riuscissimo a trovarla, forse potremmo scoprire
chi è lei».
Sconfortato, lui abbassò il capo. Le bende che gli
coprivano il viso erano un casco impenetrabile che impediva a tutte le sue
paure di lasciare la sua mente, affliggendolo giorno e notte.
Chi era lui? Chi
era la donna dai capelli rossi? Perché non la ricordava?
«Sarebbe inutile» mormorò, tornando ad intingere il
pennellino nel bicchiere d’acqua che aveva vicino, scegliendo poi il colore
adatto per rifinire alcuni riflessi dei suoi capelli di fuoco. «Tutto ciò che
so, Miss, è che ho amato questa donna più della mia stessa vita e che questa
vita mi è stata strappata dalle braccia troppo presto, con troppa violenza».
Scosse il capo, quasi avesse voluto schiarirsi le idee, ma la nebbia era dentro
di lui, l’autunno aveva preso possesso della sua memoria ed aveva tentato di
scacciare via l’estate, portando freddo e pioggia. «Io la amo, ma non riesco
neppure a ricordare il suo nome ed ora lei non c’è più».
Comprensiva, Miss Penderghast
posò una mano sulla sua spalla, stringendo leggermente. Aveva le dita
caldissime, la sua presa era rassicurante, per quanto lui fosse ben certo che
nulla, in quel momento, avrebbe potuto alleviare la sua pena. «Non l’ha
dimenticata davvero. E lei non è morta, non vede?» gli fece notare, indicando
il dipinto sfocato che si trovava davanti a loro. Attraverso il sottile strato
di cotone che gli copriva gli occhi, gli sembrò quasi che i toni degli
acquerelli avessero acquisito tono, rendendo i contorni più definiti, più chiari.
«Mia zia7 me lo diceva sempre, quando le chiedevo perché disegnasse
così spesso dei ritratti. La donna dai capelli rossi è viva nel dipinto, lo
sarà finché la tela esisterà. Lei l’ha resa immortale».
Improvvisamente col cuore in gola, l’uomo annuì. «Io
gliel’avevo promesso» esalò, sentendo le dita tremare mentre si dirigevano alla
macchia chiara che doveva essere il viso di lei. Gli occhi verdi, due piccoli
smeraldi in quella pozza lucida, sembrarono ricambiare il suo sguardo con una
dolcezza ed un amore che lui non riusciva
a ricordare. «La mia estate eterna».
«Riuscirà a ricordarsi di lei, ne sono certa».
Sì, l’avrebbe
ricordata.
Dopotutto, lei era parte di lui, lo
sarebbe sempre stata.
Ed allora sarebbe tornato il sole.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati,
cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri
aggiornamenti!
Questa One-Shot
partecipa al contest “~But there's a tree, of many, one~” indetto da Phae. sul forum di EFP, ma, cosa più
importante, potrebbe essere la one-shot prova
della mia prossima long, con protagonisti i Malandrini ed Harry prima di Hogwarts. Quindi, davvero,
fatemi sapere cosa ne pensate!
Punti importanti:
» 1 – “Ma la tua eterna
estate non sfiorirà, né
perderai possesso della tua bellezza; né
morte si vanterà di coprirti con la sua ombra, poiché tu cresci nel tempo in
versi eterni. Finché
uomini respirano e occhi vedono, vivranno
questi miei versi, e daranno vita a te. .” Non credo di dover spiegare il senso!
» 2 – James Potter talento artistico è un headcanon
che mi ha affascinata nel preciso istante in cui l’ho realizzato. Lo adoro,
davvero. Non mi interessa che il fandom (che poi, che
razza di fandom è se fa ragionamenti simili?) lo
reputi un insensibile. James è stato un idiota, ma ha ampiamente pagato per i
suoi peccati ed ha lottato per difendere chi non poteva farlo da solo. James
Potter era un eroe, chi non lo ritiene tale può (attenzione, linguaggio scurrile) andare a farsi fottere.
Non toccate il mio bambino, soprattutto non per paragonarlo a quell’approfittatore
bullo e maniaco di Piton. (Giusto per farvi capire quanto io adori quel pipistrello unto. Chi
ha letto la mia prima long SA cosa ho fatto a Ronald. Pensate che Piton mi sta ancora di più sulle scatole).
» 3 – Il padre di James, Fleamont Potter, è l’inventore di una pozione
capace di domare i capelli più ribelli (la stessa che usa Hermione nel quarto
libro), quindi mi è sembrato divertente pensarlo a dannarsi dietro James. Ho già parlato di Fleamont ed Euphemia nella mia one-shot “Fleamont è un nome bellissimo”, in cui appare anche la
cugina di James (cui lui fa riferimento e che compare alla fine del capitolo,
un mio OC), Ophelia Penderghat (figlia del fratello
della madre di James). Per notizie su di lei, rimando alle prossime note! Ah, questa Ophelia non è proprio la stessa della one-shot in cui già è apparsa, diciamo che si è evoluta.
» 4 – Riferimento temporale: ci troviamo nel settembre del settimo anno. Per
quanto mi riguarda, Lily e James si sono innamorati alla fine del sesto, quindi
lei si riferisce all’inizio di quell’anno solare, quando ancora non era venuta
a patti col fatto che il bel Potter fosse davvero maturato e diventato un uomo
da sposare.
» 5- Riferimento all’adorabile
madre di Sirius, Walburga.
» 6 – James si trova al San Mungo, non ha più memoria di se stesso ma
ricorda qualcosina di Lily, perché, ovviamente, lei è
troppo radicata nel suo cuore per poter essere cancellata. Coordinate temporali
(irrilevanti, ma voglio fare la pignola): l’infermiera, che in realtà è sua
cugina (ma nessuno dei due lo sa, lui perché
non ricorda, lei perché lui è bendato e perché lo crede morto. Non l’ha mai
visto senza bende), dice che lui è ricoverato da quattro anni, ma in realtà
ci troviamo otto anni dopo la notte di Halloween. Gli
anni mancanti James li ha trascorsi in una casa di cura babbana, è stato
spostato quando ha utilizzato magia accidentale e quelli del Ministero lo hanno
trovato (come hanno fatto a non riconoscerlo? Eeeh,
qui serve una long!).
» 7 – Veniamo alla mia Ophelia. Chi mi conosce già sa bene che io ho un
culto per gli OC, li adoro come se fossero figli miei. Spariti il dottor Crave
e sua figlia (riferimento alla Long attualmente in corso), mi serviva qualcun
altro e questo qualcuno è proprio la cugina di James. Ophelia ha circa tre anni
e mezzo meno del cugino, è la figlia del fratello di sua madre (oltre che
padrino di James stesso) ed è un’infermiera. Da quando lavora al San Mungo
(circa due anni, prima ha lavorato altrove ma, di nuovo, sono cose di cui
discutere in una long) si è sempre presa cura di questo Signor Jones che le ricordava tanto qualcuno e che era un mago senza memoria
e fissato col dipingere ad acquerelli la solita donna coi capelli rossi. Spoiler:
un giorno Ophelia scoprirà la reale identità del suo paziente, avrà un infarto
e gli restituirà i ricordi. Ma a questo punto la domanda sorgerà spontanea: perché James è ancora vivo e Lily no? To be continued.
Come al solito, mi sono lasciata trasportare! A questo punto devo
ringraziare Phae, l’organizzatrice del Contest, per
avermi dato l’occasione di tirar fuori dal mio cervello quest’idea, soprattutto
perché potrebbe portarmi alla mia seconda Long. Mi auguro di essere stata
abbastanza chiara, nel testo, e di non deludere le aspettative di nessuno!
James Potter è vivo e qualcuno gli
ha cancellato la memoria. Gli hanno portato via tutto, ma non sono riusciti a
portargli via la sua Lily.
Non gli hanno portato via la sua
eterna estate.
Restate collegati per possibili
news sulla Long ;)
Grazie ancora a chiunque leggerà,
-Marnie