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Autore: simocarre83    19/09/2016    3 recensioni
Può una telefonata cambiare la vita di una persona? Dipende dalla telefonata. Il problema è che spesso non sappiamo quale sarà quella telefonata. Potessimo saperlo, la registreremmo per ricordarcela, o non risponderemmo neanche. Ma non lo sappiamo. E quando ce ne accorgiamo è troppo tardi e possiamo solo sperare che la vita cambi. In meglio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7 - UN GIORNO BELLISSIMO
Vi è mai capitato di essere a letto, al termine di una giornata, e di pensare: “Oggi è stata proprio una giornata bellissima!”? Ecco, quel 6 Luglio 1999, a me, stava per accadere la stessa cosa. Mettermi a letto e pensare “Oggi è stata proprio una giornata bellissima!”. Questa era la mia previsione a breve termine, almeno un’oretta prima di ritirarmi a casa, dopo aver salutato i miei amici. Purtroppo, spesso, le cose non vanno come vogliamo. Spesso le cose finiscono in un modo peggiore. Decisamente peggiore. Ma procediamo con ordine.
Francamente i presupposti per una fine del genere c’erano tutti. Erano passate tre settimane da quando ero arrivato a Policoro. Mi ero completamente inserito nella compagnia. Come ogni anno. Stavamo riuscendo a vederci anche di pomeriggio. Nonni e genitori si erano accorti che il clima sereno e rilassato di noi quattro a studiare insieme era incredibile, soprattutto in considerazione del fatto che ciascuno andava in una scuola diversa e sicuramente avevamo compiti diversi da fare. Però, dalle tre alle sette di sera, ci vedevamo a casa di Francesco e Emanuele e, stranamente, studiavamo. Con serietà ed impegno. In realtà il nostro impegno era semplicemente il risultato di un accordo: avevamo deciso di fare quella settimana piena zeppa di lavoro, così avremmo quasi potuto finire i compiti. In cambio, avevamo chiesto a nonni e genitori di continuare a “studiare” anche in seguito.
In quel modo, finiti i compiti, potevamo avere l’assicurazione di stare insieme anche gli altri pomeriggi. Io, che ero quello meno carico di compiti, avevo finito verso il quarto giorno. Seguito da Emanuele e Francesco il giorno seguente. Giuseppe, che doveva cominciare il liceo, aveva ricevuto dalla scuola media una mole pressoché impressionante di esercizi, quindi era proprio carico. Però anche lui finì l’ultimo compito di storia due giorni dopo Francesco.
Quindi erano già un paio di giorni che non stavamo aprendo un libro. Giocavamo a carte, alla play station, a quello che ci veniva in mente. A Giuseppe era pure balenata in testa l’idea di giocare a “nascondino al contrario”, ma faceva decisamente troppo caldo. Allora ci eravamo rinchiusi in casa. L’importante era stare insieme. E ci stavamo riuscendo alla grande.
Quel pomeriggio avevamo appena finito di fare merenda. Stavamo pulendo a terra e sul tavolo il macello che avevamo combinato a lanciarci i semi dell’anguria. Menomale che ci riunivamo a casa di Francesco e Emanuele e non c’erano i loro genitori, entrambi al lavoro in quelle ore, altrimenti potevamo solamente immaginarci le urla della madre dei due per quello che avevamo combinato.
“A voi è capitato di vedere ancora quei quattro?” chiesi. A tutti era parso di aver visto almeno uno dei quattro qualche volta, ma nessuno di loro li aveva mai fermati.
“Bene! Significa che la lezione l’hanno capita. Speriamo che continui così” conclusi “però un po’ mi dispiace di quello che abbiamo fatto a Michele. In fondo non se lo meritava”.
“Penso che si sia trattato di un atto difensivo” era l’idea di Emanuele. “Loro avrebbero fatto la stessa cosa se non peggio. Pensa se fossimo arrivati solo due minuti dopo”.
Io e Giuseppe ci guardammo. Comprendemmo che Emanuele aveva ragione. Effettivamente, se i due fratelli fossero arrivati tardi, ci avrebbero trovato  in chissà quali condizioni. Avemmo entrambi i brividi. Eravamo fermamente convinti di essercela cavata per un soffio. Non valeva la pena pensarci troppo su.
“Speriamo solo” aggiunse Francesco “che quei quattro non stiano pensando a qualcosa di ancora peggiore e che non la eseguano quando Simone se ne sarà andato. E comunque c’è ancora una cosa che non ho capito. Perché erano in giro solo in tre? Voglio dire, noi eravamo in superiorità numerica e siamo riusciti a mantenere il controllo della situazione. Ma se ci fosse stato anche Amaraldo a quest’ora forse le cose sarebbero andate diversamente. Dov’era? perché non era con i suoi amici?”
“Non lo sapremo mai” risposi “anche se non sono tanto sicuro di definirli amici. Mi sembra più un rapporto di lavoro! Visto anche come si sono comportati Dorian e Salvatore. Quando ne hanno avuto l’opportunità hanno preso e se la sono data a gambe levate”
“Non ne sono tanto sicuro”. Questa volta era Giuseppe che parlava. Io non potevo saperlo, perché non abitavo a Policoro, ma Amaraldo e Michele sembravano veramente amici. A differenza degli altri due, Amaraldo avrebbe probabilmente difeso Michele a qualunque costo. Si sarebbe preso un sasso in testa al posto suo, se fosse stato necessario. “Quello che non mi convince, invece, è la storia della superiorità numerica. È impossibile che non ci abbiano pensato. Gettarsi solo in tre in quella spedizione punitiva mi sembra una mossa decisamente troppo poco astuta. Anche per loro. Ci sto pensando ormai da un po’. Ho come l’impressione che quei tre erano troppo convinti di essere più forti. Come se fossero sicuri di essere più numerosi di noi”.
“Cosa te lo fa pensare?” chiesi, in parte stupito dell’intuizione del mio amico, in parte interessatissimo a sapere come continuava il suo ragionamento.
“Ti ricordi il giorno che sei arrivato? Quando tu ti sei messo tra me e lui? Da come ti guardava, anche un bambino avrebbe capito che aveva chiaramente paura di te. Se vi foste incontrati in mezzo ad una strada deserta, certi di essere solo voi due, avrebbe implorato pietà e avrebbe solo sperato di saper correre più veloce di te. Ma non si sarebbe mai buttato in una rissa. Era sicuro che non ne sarebbe uscito vincitore. Invece, l’altra sera, tre contro due, evidentemente, era un rapporto che offriva una certa sicurezza, accresciuta dai coltelli”
“Beh! ma noi c’eravamo” fu l’osservazione di Emanuele.
“Per fortuna!” concluse Giuseppe. A quel punto, però, fui io ad intervenire. Avevo apprezzato tantissimo Giuseppe ed il suo ragionamento. Logico e chiaro. Quasi inconfutabile. Solo che non poteva lasciarlo a metà.
“No! Scusate! Giuseppe, non puoi fare un ragionamento così sottile, così raffinato e poi uscirtene a metà strada con un ‘per fortuna!’ da quattro soldi” e tutti i miei amici mi guardarono stupefatti. Soprattutto Giuseppe. Per lui il suo ragionamento era finito lì.
“Ma perché? che cosa dovremmo pensare ancora?” chiese.
“Seguiamo un attimo il ragionamento di Giuseppe” e attaccai. Gli altri tre sapevano che quando facevo così era decisamente meglio seguirmi. Mi piaceva soprattutto farlo quando qualcuno di loro non sapeva risolvere un problema di geometria. Ci rimuginavo su un po’, poi gli occhi mi brillavano e a matita abbozzavo tutta la dimostrazione della soluzione del problema. Neanche fossi una stampante, senza tornare indietro e senza fermarmi. E la cosa che li stupiva ogni volta era che, alla fine, il risultato era sempre quello giusto. Così compresero che stavamo per scoprire qualcosa di importante sui nostri nemici, e per questo motivo prestarono tutta l’attenzione possibile, seguendo il mio ragionamento.
“Partiamo dal presupposto che Michele, Dorian e Salvatore fossero assolutamente certi di avere a che fare solo con noi due, me e Giuseppe. Si sono sbagliati. Ora, per me e Giuseppe è sicuramente stata una fortuna che siate arrivati voi. Ma per loro non può essere stata semplice sfortuna. Perché se erano così certi della superiorità numerica è perché qualcuno li ha convinti del fatto che voi non c’eravate”
“E chi sarebbe?” chiesero i tre uditori contemporaneamente.
“Non lo sappiamo! E speriamo di continuare a non saperlo” fu la mia conclusione.
Ci stavamo godendo la vacanza come mai prima d’ora. Non temevamo l’intervento di nessuno. Anche perché, come ci eravamo appena detti, non li avevamo più visti. Erano quasi le sette. Uscimmo con i nostri zaini dalla casa di Francesco e Emanuele e ci dirigemmo ognuno a casa propria.
Varcato l’uscio di casa, infine, ricevetti una notizia a dir poco fantastica. I miei nonni mi dissero che sarebbero tornati a Milano il giorno dopo e mio padre gli aveva detto che, se avessi voluto, sarei potuto rimanere a Policoro da solo per la settimana che rimaneva prima che tutta la mia famiglia scendesse da Milano. Bastarono pochi secondi per realizzare tutte le cose che avremmo fatto con i miei amici: sicuramente li avrei invitati a dormire da me e diverse volte avremmo mangiato insieme. Sarebbe stata un’avventura fantastica.
Il bello di quella sorpresa era che ancora i miei amici non sapevano niente. A questo ci pensarono i miei nonni. Infatti, ad un certo punto, mia nonna uscì di casa e chiese a Giuseppe dove fosse sua madre. Giuseppe gli rispose che al momento non era in casa ma che, se avesse voluto, avrebbe potuto riferire a lui. Lei, allora, gli disse che voleva semplicemente andare a trovarla per salutarla prima della partenza. Immaginate quale fu la sorpresa per Giuseppe e gli altri. Dapprima erano convinti che non sarei rimasto, e quindi per un po’ si dispiacquero, ma poi, quando vennero a sapere meglio come stavano i particolari, rimasero molto contenti. E come loro, anch’io.
Quello stava diventando veramente un giorno bellissimo.

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Buongiorno a tutti. Eccoci ad un altro capitolo. Grazie a tutti quelli che stanno seguendo questo racconto, e soprattutto a tutti coloro (come Noisy che si stanno prendendo il tempo di recensirla e anche di darmi delle loro impressioni e idee sullo sviluppo della storia interessanti e stimolanti). Purtroppo a causa di problemi con il computer ho dovuto cancellare NVU e per il momento utilizzerò l'editor di EFP. Da qui i cambiamenti sul carattere e sull'impaginazione. vedrò come fare in futuro.
Alla prossima
  
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