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Autore: Brooke Davis24    19/09/2016    4 recensioni
Emma Swan e Killian Jones. I ruoli sono invertiti, gli animi diversi. Emma è il capitano della nave pirata più temuta che abbia mai toccato le coste di Thrain, la città in cui Killian è tenente al servizio della Corona, ed Emma ha una missione da compiere, una missione che si porrà in netto contrasto con quella di Killian. E se fosse difficile essere nemici ma non potessero essere altro? E se i sentieri di Emma Swan e Killian Jones si fossero incontrati nella vita sbagliata? E se, invece, non ci fossero tempo, luogo, motivo più esatto?
Genere: Angst, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XXI
L'inganno della donna fantasma

 
«Vele!»
 
L’urlo squarciò l’atmosfera con tutta la frenesia che un avvistamento era solito portare su una nave pirata. A pieni polmoni e con un entusiasmo surreale nella sua consistenza, l’uomo di vedetta si fece carico di quella che, in circostanze normali, sarebbe stata una lieta notizia ma che, di quei tempi, non avrebbe potuto che suscitare perplessità. Gli occhi di tutti i membri dell’equipaggio cercarono il capitano della Nostos che, poggiato al parapetto in assetto contemplativo, per lunghi minuti non diede segno di aver udito alcunché. Ma ciascuno dei presenti, perfino il più inesperto, comprese che, in verità, quell’informazione, lungi dal passare inosservata, fosse sul punto di essere sottoposta alla più seria ponderazione.
 
Da quando Emma era diventata capitano della Nostos, gli inseguimenti, gli abbordaggi e le razzie non avevano mai mancato di soddisfare la ciurma di spiantati che, pur con una certa riluttanza iniziale, aveva finito per ammirare la giovane donna al cui comando si erano sottomessi. Con implacabile ferocia, l’avevano vista sfidare uomini di gran lunga più corpulenti di lei, incassare i colpi e rialzarsi come nulla fosse, sul viso quello sguardo cupo e mortifero che gelava il sangue nelle vene. Era stata inarrestabile e spaventosa come la sua età e il suo aspetto non avrebbero mai suggerito, finché al rispetto non si era aggiunto l’incanto che solo una creatura sì contraddittoria avrebbe potuto suscitare. Pareva fosse attorniata da un’aura di impenetrabile invincibilità che tanto più aumentava quanto più crescevano le probabilità di vederla sconfitta. Alla fine, coloro le cui proteste si erano col tempo ammansite non avevano potuto fare a meno di provare una sorta di timore reverenziale per lei, annichiliti dalla possibilità che qualcosa di sovrannaturale non potesse che esserci.
 
Erano trascorsi cinque anni da allora, cinque anni durante i quali Capitan Swan era riuscito non soltanto a dominare quegli uomini spietati fino a rendere ininfluente la sua giovane età, ma perfino a conquistarne l’ossequiosa devozione. Ma aveva fatto più di ciò in quel lasso di tempo, poiché era riuscita ad estendere la portata che il terrore e lo sgomento suscitavano alla sola pronuncia del suo nome ben al di là dei confini del suo equipaggio. Nonostante alcuni – pochi! - fossero sopravvissuti allo scontro con la giovane e la sua ciurma per poter rendere nota la notizia che il tanto famigerato capitano della Nostos altri non fosse che una ragazza, nessuno di quei racconti era riuscito a sminuire l’inquietudine che ella si era dimostrata in grado di suscitare. Che nelle loro menti quella figura apparisse sotto le sembianze di uomo o donna, le due parole che ne componevano l’appellativo erano comunque sufficienti a spaurire perfino i più temerari! Se erano i fatti a parlare, non le si poteva certo recriminare una morbidezza tipicamente femminile nel trattare i suoi avversari.
 
La più terrificante delle storie che circolavano sul pirata era frutto del racconto di un superstite sfuggito (non per caso) al martirio perpetrato dagli occupanti della Nostos ed era bastata ad esacerbare i sentimenti di superstizione su colui – o colei – che a molti appariva ancora un mito. Questi aveva raccontato che, dopo aver subito l’attacco di una ciurma di esseri più demoni che uomini, si era svegliato sul vascello che era stato solito chiamare casa con la sensazione di essere precipitato negli anfratti più cupi dell’inferno. Un inferno ove i cadaveri sgozzati dei suoi compagni tutt’intorno a lui erano parsi nulla in confronto alle loro teste appese per tutto il perimetro della nave, gli occhi spalancati nell’ultimo spasimo di terrore prima che il pirata li finisse.
 
Le cose erano cambiate, tuttavia, o, almeno, così tutti si aspettavano che fosse. La liberazione di Henry e la conseguente malattia che aveva seguito la morte di Stecco avevano avuto un effetto profondo su di lei, tale che nessuno dei suoi uomini sarebbe più riuscito a prevederne le mosse. Era come se, per quanto arduamente ella si stesse impegnando a nutrire e sviluppare la versione umana e materna del suo io, il conflitto con l’aspetto più selvaggio e intemperante si inasprisse. E, così, in quegli occhi a tratti verdi come i mari tropicali, a tratti oscuri come le viscere di un capodoglio, i suoi compagni di viaggio finivano per intravedere sovente i contorni di suddetta lotta. Come si sarebbe comportata, ora che suo figlio rischiava di subirne le conseguenze, dinanzi alla prospettiva di uno scontro? A rispondere alla chiamata dei suoi uomini sarebbe stato il pirata oppure la madre?
 
La verità era che quell’urlo aveva avuto su di lei un effetto inatteso, costringendola a far fronte a un quesito che ella stessa non aveva smesso un istante di porsi. Perché, per quanti sforzi avesse compiuto e per quanti miglioramenti fosse riuscita ad ottenere nel ricucire lo strappo con l’umanità che si era a lungo negata, nel farlo si era vista costretta a sacrificare la versione di lei che le aveva garantito la sopravvivenza in tutti quegli anni, quella che non voleva saperne nulla di sopirsi a vantaggio di un’altra.
 
Con i gomiti poggiati sul parapetto e l’espressione pensosa, Emma sospirò della consapevolezza che si era permessa di acquisire in quelle ultime ore. Amava suo figlio e Dio – o chi per Lui – le era testimone di quanto ardente fosse l’amore che provava nei confronti di quella creatura per cui avrebbe dato tutto. Ma amava anche se stessa, la donna che era diventata e di cui, a tratti, aveva finito per provare vergogna. Non importava quanto balsamico fosse il legame con Henry e quanta vitalità le avesse restituito, non se questo avesse avuto come corollario quello di annullarsi ai fini della maternità. Non era quello che desiderava, sparire oltre le trame di un’esistenza devota solo ed esclusivamente ai bisogni di un altro. Lo aveva già fatto a suo tempo, quando Henry non era stato che un tenero infante e lei la contadinella plasmata su uno stampo che, forse, si addiceva alla società del tempo ma non più alla persona che ora desiderava essere. E il risultato l’aveva vista soccombere alla sua stessa ignavia per poi risorgere dalle proprie ceneri in un percorso irto di doglianze che non poteva più permettersi di intraprendere.
 
Emma non era soltanto una madre. Era una donna e, prima ancora, una persona che, come tale, andava curata e nutrita. Nel suo modo così anacronistico di vedere il mondo, non avrebbe mai potuto aiutare Henry ad essere qualcuno di completo se lei non si fosse concessa lo spazio necessario per scoprire chi era e chi sarebbe potuta diventare. Uno scrigno compunto di necessità, sogni e speranze solo altrui, ecco cosa sarebbe stata altrimenti! Un vano portaoggetti dal quale attingere in caso di bisogno e da lasciare chiuso quando non fosse più servito il suo aiuto. Ma era davvero esistenza quella? O, meglio, era davvero vita degna di essere considerata sua?
 
L’eco di quel grido e delle possibilità che portava con sé ridestò il pirata che era in lei e lo fece scalpitare, così prepotente da renderle impossibile ignorarlo. Lentamente, girò su se stessa e con lo sguardo sfiorò il volto dei suoi uomini, in attesa. Fu con un attimo di esitazione e un urlo di obbedienza e, insieme, tripudio che essi accolsero le sue parole.
 
«Tenetevi pronti a un po’ di sano divertimento.»
 
Emma osservò ciascuno di loro scattare per ricoprire le proprie mansioni, ma dovettero arrestarsi quando Diego scese le scale a passi pesanti con espressione contrita. Era evidente che il quartiermastro non fosse affatto compiaciuto e, in quanto rappresentante della ciurma, gli dovevano quantomeno il rispetto di sentirne le rimostranze.
 
«Capitano,» fece con lo sguardo fisso su di lei, mentre il vento le scompigliava i capelli dandole l’aspetto rocambolesco che da tempo non le era più appartenuto, «credete sia il caso di lanciarci in un’impresa simile, considerata…» si fermò un istante, correndo con lo sguardo a Henry, «Beh, considerata la nostra situazione!»
 
Emma lo guardò con fermezza, poi si rivolse ad un uomo a pochi passi da lei. «Non osate issare la Jolly Roger e preparate una lancia,» disse e tutti ebbero l’impressione che il capitano più temuto dell’ultimo decennio fosse tornato in tutto il suo combattuto splendore. «E’ tempo di prenderci ciò che ci spetta!»
 
«Emma!» La voce di Liam si alzò da dietro un gruppo di uomini che non avevano ancora trovato la forza di obbedire agli ordini del loro capitano, ma che non poterono più esimersi quando lo sguardo di questi li trapassò da parte a parte. Rompendo le righe, ebbero a rivelare la figura corrucciata del capitano Jones. «Che diavolo stai facendo?»
 
Avrebbe voluto spiegargli, renderlo partecipe di quanto devastanti fossero stati gli effetti di quella lotta durata una vita, ma sapeva che sarebbe stato fiato sprecato. Emma viveva il dilemma delle persone dotate di spiccata sensibilità: non importava quanto dura fosse la loro apparenza e quanto lodevoli i tentativi di schermarsi dagli eventi esterni: questi ultimi, in un modo o nell’altro, finivano per penetrare la corazza e scivolare sottopelle, lasciando un marchio più o meno profondo a testimonianza del loro passaggio. E chiunque non si fosse trovato a sperimentare quella sensazione -  la consapevolezza, cioè, di non saper rimanere indifferente a tutto ciò che avrebbe dovuto restare fuori ma finiva inevitabilmente per entrar dentro - non sarebbe mai riuscito a realizzare il più elementare dei risultati: alla fine, non si era mai soltanto se stessi, ma la summa di tutto quello che aveva oltrepassato le barriere difensive.
 
Era un labirinto, un intricatissimo labirinto dal quale sembrava impossibile uscire. Le capitava di perdersi per i corridoi del suo essere, tutti così uguali da darle la nausea, e accadeva per un tempo tanto lungo da rendere quasi chimerica la prospettiva di trovare una via d’uscita. Da quando era rinvenuta dal supplizio in cui il dolore emotivo e l’infezione dovuta alle ferite riportate l’avevano gettata, non aveva smesso un solo istante di provarci, addentrandosi nella piccola città fatta di alte siepi che sembrava impossibile attraversare per intero e che, pur portando il suo nome, le risultava sovente estranea. E lo aveva fatto con disposizione d’animo sempre differente: a volte, con la paziente rassegnazione di chi sa di avere un lungo percorso davanti e non si affanna a completarne le tappe; altre volte, con il timore di chi comprende di aver perduto l’orientamento e spera di poterlo ritrovare; altre volte ancora, con la disperazione di chi non riesce più a racimolare in sé il coraggio per dirsi che tutto andrà bene. L’unica costante di quel viaggio era che non fosse ancora riuscita a trovarsi, non completamente, e la percezione della sua mancanza era talmente tangibile che, di tanto in tanto, superava perfino la sofferenza per la perdita di Stecco.
 
Ed era sfibrante ascoltare il tarlo nella sua testa che le chiedeva di sentir ragione: non era detto che la persona che aveva davanti, con le sue contraddizioni e i suoi martirii, non fosse lei. Le aveva ripetuto diuturne volte che l’antinomia tra gli aspetti apparentemente inconciliabili del suo carattere sarebbe venuta meno soltanto quando si fosse decisa ad apprezzarne i reciproci ruoli, ma Emma non vi aveva mai prestato ascolto. Non perché non trovasse sensate quelle parole, non perché non riuscisse a concepire il risultato auspicato. Semplicemente una parte di lei si opponeva alle debolezze che l’umanità portava con sé, disavvezza ad esse e alla sofferenza di cui erano cagione.
 
«Statemi tutti a sentire,» fece, il tono di voce alto affinché ogni membro dell’equipaggio potesse udire ciò che aveva da comunicare loro. «Questo non avrà nulla a che vedere con gli abbordaggi compiuti in passato,» spiegò, «perché non ho intenzione di mettere la vita di mio figlio e la vostra in pericolo, non quando le ferite per la morte di Stecco sono ancora così vivide.»
 
Quelle parole li toccarono nel profondo. Non rappresentavano soltanto l’amara verità che la maggior parte di loro faticava perfino ad ammettere nel silenzio dei propri pensieri, ma soprattutto l’affezione profonda che quel capitano, il loro, nutriva nei confronti di chi le era stato accanto in tutti quegli anni. Non era avvenimento comune vedere qualcuno nella posizione in cui si trovava Emma assecondare i bisogni di un gruppo di estranei e averne a cuore l’avvenire. Questo, gli uomini della Nostos lo sapevano bene poiché era ciò che, alfine, li aveva visti capitolare al servizio di una giovane donna, contro ogni forma di buonsenso e scaramanzia. Chiunque, al cospetto di una ciurma tanto bizzarra, avrebbe riso con sufficienza e una punta di sarcasmo, pronto a sparare sentenze e consigli su come gestire i loro affari e su quanto poco appropriato fosse avere una figura femminile dietro il timone. Chiunque tranne loro!
 
«Quindi, aprite bene le orecchie perché lo dirò una volta e una volta soltanto e non ci saranno obiezioni, non stanotte.» Nel cielo aranciato, il giorno si preparava a lasciare il posto alla notte e a tutti i suoi vantaggi. «Diego, tu e un manipolo di uomini a tua scelta vi calerete sulla lancia e remerete il più lontano possibile dal punto d’incontro tra le navi. Avrete il compito di proteggere Henry finché non saremo tornati a riprendervi.» La sua attenzione, a quel punto, si riversò sul resto della combriccola, in attesa dei suoi ordini e animata da un entusiasmo quasi malsano. «Quanto a noi, voglio risvegliare in quegli uomini timori che non ricordavano neppure più di avere.»
 
«E’ un piano folle,» esclamò Liam, mentre gli uomini di Emma si attivavano per dare solerte attuazione agli ordini del loro capitano. «E a che pro? Puro divertimento?»
 
Sembrava sconcertato all’idea che la donna dinanzi a lui potesse prendere in considerazione un’ipotesi tanto sanguinolenta, mettendo a repentaglio l’incolumità del suo stesso figlio, al solo scopo di dare sfogo ai più biechi istinti che potessero animare una ciurma di anime perdute. La guardò come in attesa di una smentita ai suoi timori, nei suoi occhi forte la speranza che Emma gli rivelasse di essersi presa brevemente gioco di lui, ma ella mantenne il suo sguardo senza mutare espressione. Infine, lo raggiunse per fronteggiarlo.
 
«Fermami!»
 
Non ne attese la reazione, poiché non era interessata. Prima di tornare nelle sue stanze, fece cenno a Henry di seguirla e i suoi occhi cercarono quelli di Diego. Pur nel silenzio tombale che passò tra i due, i fratelli Jones intesero che si stesse svolgendo dinanzi a loro una conversazione che non necessitava di esplicitazioni di alcun genere. Ad un certo punto, l’energumeno che avevano imparato a rispettare a loro volta annuì seccamente all’indirizzo del suo capitano e la sua attitudine divenne, da perplessa che era, accondiscendente. Lo osservarono urlare ordini al gruppo incaricato di preparare la lancia che li avrebbe portati lontani dalla traiettoria delle navi.
 
«Liam,» fece Killian quando furono soli, «è inutile opporsi.»
 
Il fratello lo guardò con sconcerto immutato. «Non vorrai dirmi che sei d’accordo con lei.»
 
«No, ma capisco perché lo stia facendo,» ammise. «I suoi uomini l’hanno seguita in questi ultimi due anni alla ricerca di informazioni su un ragazzino che per loro non contava nulla e più si avvicinava il momento dello scontro finale, più cautele dovevano adottare e meno potevano rischiare di concedersi le scorrerie cui sono abituati. Dev’essere stata dura tenerli a bada e lei sa perfettamente di non poter tenere al guinzaglio una ciurma di uomini di questo spessore. Significherebbe tirare troppo la corda!»
 
Liam tacque per un lunghissimo istante, durante il quale Killian vide i suoi occhi accendersi di emozioni che ben conosceva, poiché ne condivideva ogni più piccola sfumatura. Infine, sospirò, persuaso dal ragionamento del fratello ma ben lungi dall’essere sconfitto. La verità era che nessuno dei due avrebbe potuto immaginare ciò che si apprestava a sprigionarsi e, soprattutto, ciò che per sempre avrebbe oscurato una parte della loro anima, poiché si sarebbero chiesti se, forse, solo forse, avrebbero potuto fare di più per porvi rimedio prima che fosse troppo tardi.
 
Killian si accostò a lui e gli mise una mano sulla spalla come a volerlo consolare. Avrebbe voluto confessargli la complessità delle sue riflessioni e dirgli che qualunque barbarie avessero commesso quei pirati sarebbe stato un modo per sfogare il dolore per la perdita del loro compagno e, in parte, la rabbia che nutrivano nei confronti del loro capitano per averlo permesso. Avrebbe voluto dirgli che non era soltanto l’equipaggio ad avere bisogno di quello sfogo, ma ancora di più Emma, lontana dalla prospettiva di rinunciare alla vita che aveva condotto fino a quel momento. Tuttavia, tacque. Quando Liam gli propose di unirsi alla scialuppa di sicurezza di Henry per non prendere parte a quello scempio, Killian fu sul punto di opporsi, ma non ne ebbe il tempo.
 
«Voi due rimanete qui,» decretò la voce di Ulan alle loro spalle.
 
Il suo sguardo non ammetteva repliche.
 
*
Vi erano placidità e, insieme, irrequietezza nel suo animo, quella fredda sera in cui la Nostos procedeva, maestosa, sulle acque di un mare che presto si sarebbe tinto di rosso. La pervadeva, infatti, la serenità di sapere quale fosse il suo obiettivo e, insieme, l’incrollabile certezza che la vittoria avrebbe piegato il capo in loro favore; e, tuttavia, scalpitava nel suo intimo l’aspettativa di ciò che sarebbe stato dopo la notte cui andava incontro. Era un momento di svolta, l’istante che avrebbe definito le sue scelte e, soprattutto, il futuro suo e dei suoi uomini. Non potevano continuare ad errare per quelle acque, fingendo che nulla fosse accaduto. Non potevano continuare a infestare quei luoghi con la stessa spregiudicatezza che avevano usato fino ad allora.
 
La loro anima era stata ferita troppo profondamente e il dolore era ancora troppo pulsante, perché ne fossero in grado. Aleggiava su di loro il fantasma della disfatta, la perdita di un uomo che aveva costituito una parte insostituibile di quella ciurma, tenendola insieme perfino quando era parso impossibile e con i metodi più inconsueti. Emma serbava gelosamente nel cuore i ricordi delle prime occasioni in cui, pur non volendolo dare a vedere, Stecco si era schierato dalla sua parte, concedendole il beneficio del dubbio che tanti non avrebbero pensato di darle senza scoppiare in una grassa risata. Ed era proprio questa intollerabile gelosia di preservarne la memoria come se non se ne fosse mai andato che stava consumando lei e chiunque fosse rimasto al suo seguito. Rimanevano così strenuamente attaccati a quel ricordo da non saper più trovare la strada per andare avanti e a lungo andare questo li avrebbe smembrati, se Emma non vi avesse posto rimedio prima che fosse troppo tardi.
 
Aveva languito a sufficienza in uno stato di frustrazione e mortificazione di sé. Ora, era venuto il tempo di prendere il coraggio a due mani e dare un indirizzo che potesse salvare l’unica famiglia che avesse mai avuto, anche a costo di andare incontro all’ignoto e sfidare la sorte. Da che era tornata in sé, a mano a mano che i giorni si erano succeduti, aveva preso ad agitarsi dentro di lei lo spettro dell’avventuriera che sapeva di essere e necessitava di venire assecondata a dispetto delle cautele di madre che premevano affinché venisse domata. Alfine, Emma aveva compreso di non avere altra alternativa che darvi, darsi un’altra forma.
 
«Pronta ad una nuova avventura, vecchia mia?»
 
Sussurrò quella domanda con una smorfia beata in viso, come se i contorni del domani avessero smesso di spaventarla per tornare ad entusiasmarla com’era stato un tempo. Si era battuta per Henry con la selvaggia fierezza di una mamma animale, affrontando le sfide con una disposizione d’animo imperturbabile, poiché aveva saputo in cuor suo che dipendesse da nientepopodimeno che lei dare una definizione a ciò che l’aspettava: ogni nuovo ostacolo, ogni nuova sfida si sarebbe potuta trasformare in un’opportunità di arricchimento, oppure in un motivo di sconforto. Così, aveva smesso di temere l’ignoto. Ora, fremeva dinanzi all’aspettativa di affrontare qualcosa delle cui sembianze non era certa, a partire da se stessa.
 
Ulan le si avvicinò strisciando, il viso appena scoperto dal telo che si era procurato per evitare che potesse essere visto dagli occupanti dell’altra nave. Non era ancora giunto il tempo dell’azione, avevano un margine ancora piuttosto ampio prima che le armi fossero tirate fuori. E loro due erano gli unici occupanti del cassero per espressa volontà di Emma.
 
«Avete preso la decisione giusta, capitano,» le disse, guardandosi bene dal rendere udibile le sue parole ad altri che non fosse il pirata che aveva innanzi. «C’è bisogno di cambiare aria per un po’ e, perché no?, fare il culo a quelle facce gialle che si fanno chiamare pirati.»
 
Emma sorrise. Ulan si riferiva al viaggio che li attendeva: sarebbero andati verso l’Estremo Oriente, dove mai avevano osato imbarcarsi, con l’intento di rendere il nome della Nostos tanto temuto quanto lo era in quelle acque che, oramai, conoscevano a menadito. Era una prospettiva entusiasmante e spaventosa insieme! Benché Ulan avesse dimostrato la stessa incosciente sfacciataggine, Emma sapeva che inoltrarsi in un territorio sconosciuto avrebbe richiesto grandi cautele e attenti studi del territorio, prima di lasciare che il vento li sospingesse davvero dove desideravano andare. Servivano mappe, informazioni, provviste, armi e, soprattutto, il consenso dell’intero equipaggio.
 
Non avrebbe potuto affrontare quella nuova avventura senza averne raccolto, prima, il benestare. Sì, le probabilità che fossero dalla sua parte erano alte, poiché conosceva i loro animi come le sue tasche e, così come era stata in grado di scorgerne l’insofferenza nelle ultime fasi di quella missione di salvataggio, aveva imparato anche quali corde premere per suscitarne l’entusiasmo. Questo, però, non significava che avrebbe potuto darne per scontato il parere. Se c’era un insegnamento che Stecco si era premurato di impartirle con il fare bonariamente duro dei primi tempi, era che non esisteva errore più stupido che credere di possedere un intero manipolo di uomini liberi e pretendere di imbrigliarne la sorte contro la loro volontà. Emma ne aveva fatto tesoro nel corso degli anni, perfino quando questo aveva significato rallentare sulla tabella di marcia per concedere loro una settimana o due tra razzie e bordelli.
 
«Credi che saranno d’accordo? Gli altri, intendo.»
 
Ulan la guardò dal basso della sua posizione, eterea com’era in quell’abito bianco che così poco si addiceva alla sua anima. «Ne saranno spaventati all’inizio,» disse con franchezza, «ma sapremo persuaderli: i pirati sono uomini avidi e orgogliosi. Basterà la promessa di ricchezza e nuova gloria per renderli dei nostri.» Emma chinò leggermente lo sguardo, quel tanto che bastava per incontrare quello del suo interlocutore. «Dopo anni trascorsi alla ricerca di un ragazzino, sarà come respirare aria fresca tornare ad essere semplici pirati.»
 
Ella lo guardò un istante lungo una vita, infine annuì. Sapeva cosa intendesse Ulan e sapeva di non potergli dare torto. Era riuscita a piegarli al suo volere più a lungo di quanto fosse pensabile, ma non poteva avvenire senza pagare un prezzo. Adesso, doveva loro tutto ciò di cui li aveva privati negli ultimi anni. Il problema sarebbe stato conciliare quell’aspetto della sua vita col fatto di avere suo figlio con sé: non l’avrebbe mai messo in pericolo, ma non poteva neppure rinunciare alla sua vita, all’esistenza che si era scelta. Ne sarebbe morta.
 
«Temo i Jones, capitano,» le confessò improvvisamente. L’espressione di Emma si corrucciò un poco, mentre attendeva che continuasse. «Stasera, se le cose dovessero andare come io e voi ci aspettiamo, potrebbero essere un problema.» Gettando un’occhiata dietro di sé per accertarsi che nessuno fosse in prossimità del cassero, tornò a parlarle: «Come pensate di reagire a questa eventualità?»
 
Emma tacque, concedendosi il tempo per riflettere su un quesito che aveva tormentato anche lei. Alfine, sospirò e, puntando lo sguardo innanzi a sé, inclinò la bocca in un lieve sorriso. «Come si risolvono tutti i problemi, mio caro Ulan: eliminandoli.»
 
Lo sguardo del pirata indugiò più di un istante sul viso femmineo a poca distanza da lui, quasi volesse captarvi una sfumatura di tentennamento. Ma non fu così!
 
Sogghignando compiaciuto, sparì sotto il telo.
 
*
 
Una leggera brezza soffiava da nord-ovest, saziando quello che sarebbe stato il ventre delle vele se queste non fossero state appositamente ammainate. Il frangersi delle onde contro lo scafo scandiva il tempo nell’atmosfera quasi sacrale in cui il veliero procedeva a rilento, così spoglio, silenzioso e vuoto da dare l’impressione che fosse l’unico superstite di una tempesta alla quale nessuno era scampato. Era così fiera nella sua maestà, la Nostos, una struttura di assi, sudore e salsedine che aveva iniziato il suo viaggio lungo una vita molti capitani prima e con nomi sempre diversi in base al capriccio di quello o quell’altro equipaggio.
 
Era stata costruita sul finire di una primavera bizzosa di molti anni addietro – Non è cortese rivelare gli anni di una donna, neppure se fatta di legno! – per volere di un ricco mercante e della sua brama di guadagni. A pensarci, la Nostos era un’eccezione nel suo genere e sempre lo era stata, poiché mai aveva servito gli affari di una bandiera che non fosse quella degli introiti più facili e felici e, più di recente, della Jolly Roger. Era nata e cresciuta sotto l’egida dell’assoluta libertà e alla sua mercé desiderava rimanere finché non fosse venuto il tempo di ammainare le vele e diventare cibo per camino. Era una fortuna che il destino avesse preso in considerazione la prospettiva di assecondarla, quantomeno fino a quel momento. Perfino quando l’ombra della pirateria era calata su di lei con l’incombente minaccia della distruzione, infatti, il fato le aveva arriso e, da preda, era divenuta strumento di caccia nelle mani di chi ne aveva riconosciuto il potenziale: non era una nave peccaminosamente bella nelle sue forme, ma era solida e temeraria di una schiettezza scevra di fronzoli. Qualunque tempesta le fosse venuta incontro e indipendentemente dalla sua furia, l’aveva affrontata con la caparbia dignità di un vecchio lupo di mare, scricchiolando e piegandosi senza mai spezzarsi, non del tutto almeno. E tanto era bastato perché sopravvivesse alle mani dei più spietati – e talvolta incoscienti – che si erano messi al suo timone.
 
Procedeva quieta, quella sera, fendendo la superficie dello specchio d’acqua sotto di lei senza mostrare un’identità apparente, proprio come il suo capitano voleva che fosse. Chiunque avesse allungato lo sguardo per studiarla non avrebbe visto nient’altro che ciò che era, una serva del mare e delle sue bizzarìe che procedeva indisturbata lungo il cammino tracciato per lei dalle correnti. L’unica nota stonata a compimento di quel quadro di tutta naturalezza era la sagoma indistinta di una giovane donna di bianco vestita a governarne il timone. L’abito svolazzava placido dietro costei, stuzzicato dai dispetti della brezza serale, e di tanto in tanto ne scopriva le caviglie dalla pelle alabastrina. E non importava quanto ispido fosse il tocco del vento su di lei: mai, neppure per un istante, le mani della giovane abbandonarono la presa sul timone e gli occhi il giogo sull’orizzonte celato alla vista dall’imbrunire.
 
Era così labile, in quel momento, il confine tra sogno e realtà che gli occupanti del veliero che ne incrociava la rotta si mossero nervosamente lungo il ponte, lo sguardo rivolto verso il capitano in cerca di una spiegazione. L’espressione di lui era – eccezion fatta per la ruga di concentrazione che ne solcava la fronte – imperturbabile, quando richiuse il cannocchiale con un movimento deciso. A mano a mano che si avvicinavano alla nave vacante, gli uomini diventavano più nervosi, quasi pentiti della scelta presa ed egli non avrebbe potuto biasimarli. In altre occasioni, nessuna titubanza avrebbe intaccato il suo animo, a favore della più ferma convinzione: non valeva la pena abbordare una nave lasciata a se stessa per tutto l’oro del mondo. Nella migliore delle ipotesi, una volta sbarcati su di essa, avrebbero appreso che ciurma e capitano l’avessero abbandonata per una buona ragione, nessuna traccia del carico di cui avrebbe dovuto essere ricolmo il suo ventre; nella peggiore, avrebbero scoperto che dei disgraziati si nascondevano sottocoperta e, allora, avrebbero dovuto affrontarli a fil di spada. Tuttavia, negli ultimi tempi, la sua posizione si era fatta troppo precaria per imporsi al volere del resto dell’equipaggio e questo nonostante contassero sulla sua esperienza più che trentennale.
 
«Una nave perduta governata da una sposa,» fece uno degli uomini più anziani della ciurma, nonché padre dell’uomo che aveva finanziato il viaggio. Con un barlume di terrore negli occhi, sputò sulle assi della nave. «E’ un cattivo presagio, un cattivo presagio!»
 
Gli uomini si mossero incerti, la presa delle mani blanda sulle corde e quella del coraggio ancora meno intensa sui loro cuori. Il vecchio aveva ragione, il capitano lo sapeva, ma la loro situazione era fin troppo disperata per non avanzare neppure un tentativo. Quella che avrebbe dovuto essere una spedizione semplice e promettente si era, infatti, ben presto trasformata nella disfatta più grande della carriera di ciascuno di loro, con tutto ciò che questo avrebbe comportato: se fossero tornati in porto con la stiva e le tasche vacanti, l’onore non sarebbe stato l’unica cosa che la maggior parte di loro avrebbe perduto, bensì la vita. A questo punto, per quel che valeva, l’ignoto aveva comunque sembianze più accattivante del cognito.
 
Il capitano sospirò. «Tenetevi pronti all’abbordaggio quando vi darò il segnale.»
 
La nave avanzò con indolenza, buona parte delle vele issate per consentire un avvicinamento scevro da pericoli; e a mano a mano che le sembianze della figura spettrale si facevano più distinte gli uomini perdevano coraggio e, insieme, si caricavano della disperazione della loro condizione. A momenti il terrore di aver sfidato la sorte stringeva i loro petti fino a fargli mancare il respiro; a momenti la bramosia di sfuggire alle avide mani di creditori e usurai li accendeva di un’audacia quasi demoniaca. La disperazione rende l’essere umano capace della più aberrante bruttura ed era con quella disposizione d’animo che l’equipaggio demolito dalla sorte si preparava ad accogliere il segnale dell’uomo al loro comando. Ben presto i ganci vennero lanciati e i ponti preparati, mentre alle spalle del gruppo adibito alle fasi dell’abbordaggio i compagni sfoderavano le armi, pronti a qualunque evenienza. La verità, tuttavia, era che i loro occhi non avevano trovato la forza di distogliere lo sguardo dalla giovane occupante della nave, al punto che, in un certo qual modo, ne avevano assorbito il pallore.
 
(https://www.youtube.com/watch?v=TtKRrVcj_Lw)

Fu un attimo. Un alito di vento, stavolta così prepotente da parere quasi dissuasivo nel suo intento, soffiò tra le due imbarcazioni, gonfiò il vestito della donna di una pienezza che poco le si addiceva e le funi tra le navi si tesero nello sforzo di mantenere il contatto. In quell’istante, con un movimento quasi innaturale, il volto di lei scattò nella loro direzione, lo sguardo feroce e spietato, scuro come gli abissi del mare. Ciascuno dei membri dell’equipaggio fece un balzo all’indietro, trattenendo il respiro, mentre le labbra di lei rimanevano ferme in una posizione di insopprimibile tensione, come se l’intrusione di cui l’avevano resa vittima le stesse costando uno spasimo di dolore fisico, quasi fosse una violenza. Infine, i suoi lineamenti si addolcirono e la bocca si mosse a modulare quella che avrebbe potuto essere nient’altro che la smorfia del demonio in persona.
 
«FUOCO!!!»
 
Da inerte che era, la Nostos parve prendere improvvisamente vita e, disfattasi del mantello di finzione che l’aveva coperta fino a quell’istante, liberò i pirati dal suo ventre, pistole, sciabole e pugnali alla mano. Non ci fu alcuna esitazione, né agitazione, poiché quegli uomini sapevano esattamente ciò che i loro animi reclamavano: sangue e vendetta verso un nemico che gli avventurieri caduti in disgrazia rappresentavano solo figuratamente. In un battito di ciglia, i malcapitati furono bersagliati dal fuoco di un nemico contro il quale non avevano avuto il tempo di schermarsi e i primissimi di loro, quelli pronti all’abbordaggio, caddero sotto quei colpi inaspettati. Non erano pronti. Non avrebbero potuto esserlo.
 
La dinamica dell’attacco andò contro tutto quello che avevano conosciuto da che erano venuti al mondo nella veste di uomini di mare. Anziché limitarsi a proteggere l’imbarcazione e sventare l’abbordaggio, gli uomini della Nostos si servirono degli agganci e dei ponti posizionati dall’equipaggio invasore per capovolgere la situazione, raggiungendo così la nave nemica. Avanzarono con la sete di morte stampata in volto, brandendo le loro armi con l’efferatezza implacabile di chi non teme la Morte ma la venera, e di questa brama oppressero gli animi dei loro avversari. I colpi di costoro si fecero deboli e avviliti, le loro braccia cedettero sotto la pressione del terrore e le loro gambe incespicarono contro quegli stessi ostacoli che avrebbero dovuto mettere in difficoltà gli stranieri, non loro che su quella nave avevano trascorso ogni istante della loro vita negli ultimi mesi.
 
Emma seguì e guidò i suoi uomini, domatrice di bestie selvagge quando la più irsuta e abominevole era nient’altri che lei. Dei suoi ordini e del sapore ferroso del sangue era satura l’aria. Non importava quanto forte potesse urlare un uomo di risparmiargli la vita: la pietà sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe trovato quella sera.
 
Il primo a cadere per mano sua fu il capitano della spaurita ciurma tratta nelle maglie del loro inganno.  Egli si batté valorosamente, sul volto l’espressione di chi sa di non avere possibilità di sopravvivenza ma non ha intenzione di morire di codardia. Quando, infine, venne disarmato, Emma lo costrinse in ginocchio e, al cospetto del suo equipaggio, gli tagliò la gola con un unico, secco movimento. Era un modo crudele di morire, avere tutto il tempo per ponderare gli errori commessi e sentire la vita fluire via dal proprio corpo, dolce come sa essere solo quando sai di averla perduta.
 
Quello fu solo l’inizio! Premendo il grilletto, ella usò l’ultima pallottola della pistola che teneva in mano per perforare il cranio di un uomo che minacciava uno dei suoi, lasciandogli sul viso quell’espressione di perduto istupidimento proprio della morte. Emma rise, rise così forte che le vibrazioni di quel suono ancestrale e raccapricciante perforarono le ossa dei pochi superstiti rimasti, annichilendoli fin nel midollo; e di quel terrore e delle invocazioni ora al loro Dio, ora alle loro madri il capitano della Nostos si nutrì come se non avesse desiderato nient’altro che consumarsi dell’oscurità del suo animo dopo aver troppo a lungo taciuto. Nessuno di loro sarebbe sfuggito, nessuno di loro sarebbe sopravvissuto, nessuno avrebbe visto l’alba del giorno dopo poiché era così che lei aveva deciso.
 
Inquieta, tornò a guardarsi intorno, i suoi occhi dardi infuocati alla ricerca della prossima vittima. Un sorriso le inclinò le labbra quando incrociò lo sguardo di una povera anima che tentava di trascinarsi verso un mucchio di cadaveri con l’intento di nascondervisi sotto. Lo vide irrigidirsi, come gelato dal sentore della morte che vedeva farglisi incontro, ma non demorse. Lottò contro il dolore e la stanchezza dovuta al dissanguamento, complice l’adrenalina della vita che non voleva saperne di abbandonare il suo corpo, e arrancò sulle tegole del pavimento, mentre Emma avanzava verso di lui con pacatezza. Quando ella estrasse il pugnale dalla cintola e compì un balzo che ridusse le distanze tra loro, tuttavia, il coraggio parve defluire dal suo corpo e urlò di una disperazione così infantile che poco si addiceva ad un uomo della sua età.
 
«Mammaaaaaaaaaaaaa!»
 
Con un movimento secco, Emma caricò il colpo e incastonò il pugnale tra le costole della vittima, finché il grido non gli morì sulle labbra cineree. Lo osservò a lungo e con una strana bramosia sul viso, come se desiderasse cogliere il momento in cui la vita abbandonava il suo corpo e stiparlo nel bagaglio dei ricordi cui attingere nelle notti più gelide e cupe. E il sorriso che apparve sulla sua bocca quando questo accadde… Oh, era perdizione quella!
 
La verità era che in ciascuna delle vite cui metteva fine scorgeva, in realtà, le sembianze degli uomini che le avevano rovinato l’esistenza, uno dopo l’altro, senza curarsi delle conseguenze che le loro azioni avrebbero avuto su di lei: suo padre, Harold, il signor Lively, il capo delle guardie, perfino i fratelli Jones... E dell’odio che aveva provato per loro e continuava a provare aveva deciso di farsi consumare, al bando la stoica sopportazione che il mondo pareva aspettarsi da lei. Era e rimaneva un maledettissimo pirata e non aspirava a nessun perdono divino. Le era stata data una sola vita da vivere e l’avrebbe fatto unicamente secondo le sue regole. Per poterlo fare, però, doveva liberarsi di tutto ciò che era stato e non poteva più essere. E, come non erano stati umani con lei, non avrebbero potuto aspettarsi umanità da lei!
 
Piena della propria invincibilità, si mosse verso il parapetto quel tanto che bastava a scorgere un fuggiasco tra le acque mortifere, teatro di scontri, e ringhiò di un verso efferato prima di chinarsi su uno dei cadaveri ai suoi piedi, sottrargli la pistola e puntare alla nuca dello sconosciuto che si dimenava tra i flutti. Prima che potesse scagliare il colpo, due mani l’afferrarono da dietro e ne deviarono la traiettoria: la pallottola fece un buco nell’acqua, a meno di un metro dal bersaglio. Nella frenesia della battaglia, Emma si voltò per fronteggiare colui che aveva osato non solo metterle le mani addosso, ma, soprattutto, privarla del suo bottino di guerra. I suoi occhi incontrarono l’espressione inorridita di Liam, la spada stretta in pugno, puntata contro di lei. Le labbra di Emma vibrarono in un sibilo basso e minaccioso, poi si piegarono in un sorriso, lo stesso che tante, innumerevoli vittime aveva lasciato alle sue spalle.
 
Oh, che modo ingiusto di morire!
 
Con l’impeto che solo un’anima sciagurata come la sua avrebbe potuto usargli, Emma sferrò un colpo dopo l’altro finché la sua lama, fendendo l’aria, non incontrò quella dell’incredulo capitano Jones, che un tempo le era stato caro come un vecchio amico. Il sibilo della sua lama passò a pochi centimetri dal volto dagli occhi cerulei dell’uomo, dandogli il tempo sufficiente per realizzare che, sì, lo avrebbe ucciso se solo gliene avesse data l’occasione. Della donna e madre che aveva conosciuto e spesso idealizzato, non vi era traccia in quel momento e, per la prima volta da che ne era diventato prigioniero, scorse in lei l’oscurità su cui Killian aveva tentato di ammonirlo.
 
«Che tu sia dannata!» urlò Liam, bloccando il colpo del suo ritrovato, acerrimo nemico.
 
Emma colpì ancora, ancora e ancora con un’abilità che avrebbe ridotto in pezzi il capitano delle guardie e la sua boriosa armatura, se solo ne avesse avuto occasione a suo tempo. La verità era che, allora, non era stata nemmeno lontanamente disperata e perduta quanto lo era adesso che la responsabilità e la sofferenza per la morte di Stecco le bruciavano nel sangue come fiele, avvelenandole il sistema emotivo per stravolgerlo e rendere visibile tutto ciò che si nutriva di devastazione e cancellare il barlume di umanità che l’aveva guidata nell’ultimo periodo. La verità era che, più degli uomini che l’avevano intralciata lungo il cammino, Emma odiava se stessa e con un’acredine che sovente le rendeva difficile vivere nella sua stessa pelle.
 
Per un istante, Liam riuscì ad incalzarla e fu quasi sul punto di sopraffarla. Sfruttando il fatto che un cadavere le avesse fatto perdere l’equilibrio, la costrinse ad indietreggiare con una serie interminabile di colpi ben vibrati, così ben vibrati che Emma parve reggere a stento l’aggressione. Avrebbe voluto umiliarla come lei aveva umiliato lui coi suoi raggiri, ridicolizzandola davanti ai suoi uomini; avrebbe voluto ferirla tante volte quante erano le vite che si era presa senza che lui avesse potuto far nulla per fermarla; avrebbe voluto ucciderla per cancellare per sempre il ricordo della sua esistenza e andare avanti con la sua vita, lasciandosi quella parentesi alle spalle. Ma Emma aveva lottato troppo a lungo e con nemici di gran lunga più temibili, infierendo a se stessa tormenti che Liam non avrebbe mai conosciuto se non attraverso le parole di altri, per soccombere a un omuncolo come lui.
 
Per un brevissimo istante, le loro spade smisero di agitarsi in aria e l’efferato capitano della Nostos colse l’occasione per spingersi dove sapeva che avrebbe trovato carne vivida da seviziare.
 
«Tienti pronto a fare la fine dei tuoi stupidi genitori, Liam.» Emma vide la presa di lui farsi più salda sull’elsa della spada, le nocche bianche per la tensione. «E’ quasi poetico, non trovi?» proseguì, il respiro affannoso per lo scontro che li aveva visti protagonisti, ma ancora di più per quello che li aspettava. «Un’intera famiglia che soccombe alla pirateria… E’ un vero peccato che tu non abbia dei figli, piuttosto.» Tacque quel tanto che bastava a estrarre un pezzo di stoffa dalle trame del suo corpetto in pelle – il vestito bianco giaceva, distrutto e dimenticato, da qualche parte sulle assi della Nostos - e pulire con esso la lama dell’arma. La stava preparando per il suo sangue, comprese Liam. «La mia spada avrebbe volentieri banchettato sulle loro tenere carni.»
 
Con un urlo furioso, il capitano Jones si scagliò verso di lei e combatté per qualcosa di ben più importante che il suo onore: lottò per la famiglia e i compagni che aveva perduto, per i figli che non aveva ancora avuto, per l’ideale di giustizia cui aveva votato la sua vita finché Emma non lo aveva deprivato perfino di quello. Ma, come Emma aveva previsto, quegli stessi sentimenti finirono per accecarlo, facendogli commettere errori che il grande combattente che era stato non si sarebbe mai permesso di fare in un’altra occasione. C’era troppa rovina attorno a lui, però, troppo sangue innocente e troppo grande era il senso di impotenza cui lei lo aveva costretto perché riuscisse a trovare la lucidità che lo aveva contraddistinto in passato. Alfine, compì lo stesso errore di Richard Anthony Lively: lasciare che lei e le sue parole gli entrassero sottopelle.
 
Emma parò i suoi colpi senza alcuna fatica, eppure indietreggiò per trarlo ancora di più nella sua rete di inganni. Quando i suoi passi la condussero alle scale tra il ponte e il cassero, finse di perdere l’equilibrio e, con espressione sgomenta, si appiattì contro i gradini, apparentemente sconfitta. L’inganno non durò più a lungo di così, però: nel momento in cui Liam fece per trafiggerla, Emma si scansò e, con la mano ben stretta all’elsa del pugnale che portava nello stivale, scattò in avanti per conficcare la lama nello stomaco del suo avversario.
 
«LIAM!!!»
 
L’urlo di Killian, all’altro capo della nave, fu talmente forte da rallentare per un breve istante la mattanza che si stava compiendo tutto intorno a loro, ma non lo fu abbastanza da impedire ad Emma di udire lo spasimo di Liam, la cui spada era rimasta incastrata tra le assi del pavimento quando aveva tentato di finirla. Ella lo strinse tra le braccia, mentre il sangue le imbrattava i vestiti, e per un brevissimo istante rivisse il momento in cui lo aveva preso sulla sua nave. Fu un momento poetico nel suo dramma: proprio lei, che gli aveva concesso un’altra opportunità, lo stava deprivando della vita.
 
«Salutami Stecco!»
 
Decisa, gli assestò un colpo secco sulla nuca per poi lasciarlo cadere lungo il pavimento. Scostandosi da lui, salì le scale giusto qualche istante prima che Killian lo raggiungesse.
 
«Liam, Liam,» lo chiamò, chinandosi sulla sagoma incosciente del fratello, «svegliati, ti prego!»
 
Lo voltò verso di sé e prese a scuoterlo per le spalle, le sue mani madide del sangue del fratello che usciva a fiotti dalla ferita. Con movimenti frenetici, si tolse la camicia e cominciò a tamponarla, sul viso l’espressione disperata di chi teme di non potere nulla contro le circostanze avverse. Killian, però, era un uomo fin troppo risoluto per lasciarsi soverchiare da un cumulo di meccanismi preordinati, che si chiamassero destino, fato o sorte. Aveva sperato di ritrovare Liam troppo a lungo e troppo strenuamente per lasciare che la morte se lo prendesse senza aver combattuto.
 
«Sta’ tranquillo, Liam,» fece a denti stretti, mentre con una mano tamponava la ferita e con l’altra si sfilava la cintura e gliela avvolgeva intorno ben stretta, nella speranza di limitare la fuoriuscita di sangue fintanto che non avesse avuto modo di trovare qualcosa per porvi rimedio. «Un giorno mi libererò di te, ma non sarà oggi.»
 
«RITIRAAAATAAAAA!!!»
 
La voce di Ulan squarciò l’atmosfera di disperazione che regnava su quel povero vascello. Gli uomini della Nostos dovettero arrestarsi e con lo sguardo cercarono, dapprima, chi li aveva richiamati all’ordine e, poco dopo, il loro capitano. Ella sostava in prossimità di uno dei ponti di collegamento tra le due imbarcazioni. Senza proferire parola, le chiesero cosa fare, come comportarsi, quasi lei fosse un magico pifferaio e loro tanti piccoli roditori storditi dalla brutalità del loro io. Con un secco movimento della mano, ella disse loro di porre fine alle barbarie e di tornare sulla nave cui appartenevano, l’espressione svuotata come di chi ha tirato fuori tutto e non ha più niente da donare.
 
«Cosa ne facciamo di questo?» le chiese uno dei suoi, con le mani strette attorno al corpo tremante di un uomo ancora illeso, mentre gli altri ponevano fine alle sofferenze dei moribondi con una pietà quasi ossimorica e i lamenti si spegnevano poco a poco. «L’abbiamo trovato nascosto nella stiva, dietro una cassa.»
 
«Sono-» balbettò l’uomo, la fronte madida di sudore e la gola secca di chi si trova in uno stato di terrore assoluto, «sono un medico,» disse, quasi fosse un’esimente alla codardia dimostrata.
 
Quelle parole, però, per quanto sdegno suscitarono nella ciurma, costituirono per chi le aveva pronunciate un’ancora di salvezza. Emma parve ponderare a lungo la sua decisione, ma in realtà non impiegò che una manciata di secondi, quelli necessari ad incrociare lo sguardo di Ulan perché comprendesse le sue intenzioni.
 
«È il vostro giorno fortunato, doc,» sentenziò con voce funerea, mentre si arrampicava sull’asse posizionata a mo’ di ponte con l’intenzione di attraversarla. L’espressione di sollievo che passò sul viso del medico non avrebbe potuto essere più timida, poiché temeva di essere ingannato dalle parole della donna. «Sarete colui che darà testimonianza della grandezza di Capitan Swan e della sua ciurma.»
 
I suoi uomini esplosero in un boato di approvazione, mentre Emma sorrideva al loro indirizzo e si preparava a tornare sulla Nostos. Il fragore di un’esplosione e il lancinante dolore che la giovane provò subito dopo, tuttavia, smorzarono ben presto l’entusiasmo. All’altro capo della nave, in cima alle scalette ove il capitano della Nostos aveva dato il benservito a un vecchio amico, stava Killian Jones in tutta la sua imponente figura, la canna della pistola che tenea tra le mani fumante del colpo che aveva inferto ad Emma.
 
Non poté più nulla, ovviamente. In men che non si dica, quattro degli uomini di Emma gli furono addosso, lo disarmarono e spinsero contro il pavimento finché non fu in ginocchio. I suoi occhi blu, però, freddi come l’oceano in un giorno d’inverno, non si mossero dalla presa in cui avevano avviluppato quelli di lei; e rimase impassibile perfino quando uno dei pirati premette la lama di un pugnale contro la sua gola. Poche gocce di sangue stillarono dalla ferita che quel contatto violento fece sorgere, mentre tutti attendevano che Capitan Swan decidesse a quale sorte dovesse andare incontro.
 
Toccandosi la spalla con una smorfia di dolore malcelata, Emma assaporò il momento in cui avrebbe messo fine all’esistenza del tenente Jones, come non aveva saputo fare la sera del loro secondo incontro nelle segrete di un castello che, a distanza di così tanto tempo, pareva quasi frutto della sua immaginazione. Che differenza avrebbe fatto, del resto, una vita spezzata in più o in meno dopo quello che si era compiuto sul ponte della nave ospitante?
 
«Lasciatelo vivere,» disse nel silenzio tombale che aleggiava sulla nave-cimitero che si apprestavano ad abbandonare, «perché veda suo fratello morire e viva il resto della sua vita nella consapevolezza che Capitan Swan lo ha risparmiato.»
 
Con un colpo ben assestato sulla nuca, Killian chiuse gli occhi al mondo, sapendo che al suo risveglio la ciurma con la quale aveva convissuto negli ultimi anni sarebbe stata solo un ricordo. Un doloroso ricordo.
 
*
 
Furono i lamenti sconsolati di un uomo in preda alla disperazione a ridestare Killian, diverse ore dopo. La testa gli doleva per il colpo ricevuto e, mentre si apprestava a risalire definitivamente dagli abissi dell’incoscienza, in un primo momento faticò ad individuare la ragione del suo stordimento. La verità lo colpì con l’irruenza di un pugno ben assestato, quando il nome di suo fratello divenne un grido prepotente e disperato nel suo animo. Balzando su quattro zampe, si guardò intorno alla ricerca di Liam e si scoprì ancora in cima alle scale dalle quali aveva sparato ad Emma. Il pensiero di lei, pur per un frangente talmente breve da sembrare irreale, lo colse impreparato, provocandogli un impercettibile spasimo. Infine, i suoi occhi si posarono dove ricordava di aver lasciato Liam. Non era lì.
 
Si alzò con un sentimento di disperazione misto a speranza e aprì la bocca per chiamarlo, ma le parole gli morirono in gola quando vide lo spettacolo tutto intorno a lui: un tappeto di cadaveri, sangue ed armi si stagliava dinanzi ai suoi occhi, presentandogli il conto degli errori che avevano portato a quella sciagura. L’orrore di quella vista e il puzzo che esalava dai cadaveri lo nausearono a tal punto che fece appena in tempo a raggiungere il parapetto della nave. Diede di stomaco violentemente e il suo corpo rimase scosso dagli spasimi e dai conati per un interminabile lasso di tempo; e, per quanto tentasse di darsi un contegno, l’odore ferroso dell’aria impregnata di sangue mise a dura prova la sua capacità di resistenza. Proprio lui, che di guerre ne aveva viste a dozzine negli anni a servizio della Corona, non si era trovato pronto all’efferatezza che si era consumata quella sera!
 
«Anche voi siete vivo,» esclamò una voce alle sue spalle, costringendolo a voltarsi di scatto e ad afferrare il malcapitato per il bavero della giacca insudiciata. L’inorridimento dei momenti successivi al suo risveglio aveva cancellato il ricordo di quei lamenti che, da principio, lo avevano riportato alla coscienza. L’uomo lo guardò terrorizzato, poi parlò ancora: «S-sono il medico di bordo,» fece, prima che la realizzazione di ciò che era accaduto lo colpisse, costringendolo a correggersi. «Ero il medico di bordo di quest’equipaggio.»
 
Killian lo lasciò andare, la bocca impastata. «Aiutatemi a trovare mio fratello!»
 
«Voi-» si approcciò timidamente, fermando Killian sul posto, «voi eravate parte di quella ciurma di mostri.» Era sospettoso e indietreggiava, e il tenente non si sentì di criticarlo, in cuor suo. «Quella donna non vi ha ucciso per riservarvi una fine ancora peggiore della morte,» disse, «ma il fato l’ha beffata.»
 
Killian era sicuro che l’uomo volesse approfittarsi di lui per uscire vivo da quella situazione: un medico non poteva saperne poi molto di come governare una nave e doveva aver temuto di morire di stenti, prima che Killian rinvenisse.
 
«Non ho tempo da perdere con le vostre congetture,» fece, scendendo le scale e mettendosi alla ricerca di suo fratello. I suoi occhi quasi stentarono a fare il loro lavoro quando incrociarono la sagoma di Liam, seduta sul pavimento, nell’atto di tenersi il ventre in segno di protezione. «Liam…»
 
Quel nome uscì quasi sussurrato dalle sue labbra, mentre si faceva rapidamente spazio sul tappeto di cadaveri e lo raggiungeva, gettandosi in ginocchio accanto a lui per stringerlo in un abbraccio. Non era possibile che fosse ancora vivo dopo tutto quello che avevano affrontato! Il fratello ricambiò la sua stretta e Killian si rallegrò nel sentirla salda: il timore che, pur essendo ancora in vita, fosse troppo malridotto per sopravvivere alle condizioni in cui si trovavano aveva stretto il suo cuore in una morsa così dolorosa che, adesso, quasi faticava a lasciarsi andare all’evidenza di una buona notizia. Aveva temuto che si fosse battuto solo per potergli dire addio e fargli promettere di andare avanti.
 
«Com’è possibile?» gli chiese, facendosi indietro per osservare la fasciatura che aveva attorno al ventre.
 
Con un sorriso grato, Liam alzò il braccio per indicare un punto imprecisato dietro la spalla di Killian. «Quell’uomo mi ha salvato!» Il tenente si voltò per vedere il dottore che avanzava nella loro direzione. «Non so quale magia abbia fatto, ma è riuscito a mettermi in sesto prima che fosse troppo tardi.»
 
«Oh, via! Avevo ancora tutte le mie cose e la vostra ferita era più superficiale di quanto non sembrasse,» fece, sistemandosi gli occhialetti sul naso. «Quando quella donna ha detto che sareste morto, ho immaginato che vi avesse scavato un buco così nello stomaco e, invece, non ha preso alcun organo vitale.»
 
Liam e Killian si guardarono profondamente e in silenzio, mentre il medico li rendeva partecipi del suo intervento con solerzia di dettagli. Tra di loro passò una conversazione che nessuno dei due avrebbe avuto il coraggio di affrontare a voce, non per il momento: erano troppo storditi, stanchi e in balia degli eventi per potersi permettere il lusso di qualsiasi considerazione. Avrebbero finito per sprecare energie che non avevano e il benestare che la sorte aveva concesso loro.
 
Liam fu il primo a parlare e gli sorrise con quella gentilezza d’animo che solo Emma era stata in grado di intaccare, pur brevemente. «Sono felice che ce l’abbiamo fatta entrambi.»
 
Prendendogli il viso tra le mani, Killian sorrise a sua volta. «Non ti avrei mai perdonato, se fossi morto.» Liam rise, ma lo sforzo che gli costò quell’attimo di sollievo e spensieratezza lo costrinse ad un’espressione di dolore. La ferita pulsava ancora. «Le ho sparato, Liam,» sbottò Killian prima che la conversazione potesse dirsi chiusa. «Ho sparato ad Emma!»
 
Il più grande dei due si prese un attimo per assorbire la notizia, incapace di dare una collocazione alle sue emozioni e di discernere se prevalesse tra di esse il piacere della vendetta, l’amarezza di sapere che, infine, fosse riuscita a cambiare sia lui che Killian o la delusione di non avere ancora smesso di provare qualcosa per lei e di soffrire all’idea che fosse ferita.
 
Alfine, si scrollò di dosso quel turbine di sensazioni ché era troppo debole per provare e si rivolse a suo fratello. «Non pensiamoci più, Killian. Abbiamo altre cose di cui occuparci al momento.»
 
Killian annuì e gli sorrise. «Hai ragione. Dobbiamo tornare a casa!»
 
 
 

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Spazio dell'autrice:


Oramai, è un appuntamento fisso quello con i miei ritardi e le mie giustificazioni, ma stavolta è ancora più assurdo, visto che il capitolo era pronto per metà da un bel pezzo come vi avevo accennato. La verità è che sono quasi alla fine del mio percorso universitario, la stanchezza si fa sentire e non riesco più ad essere brillante come all'inizio, quando preparavo un esame nella metà del tempo e facevo altre mille cose nel frattempo. A volte, quando finisco di studiare, sono così stanca che non riesco nemmeno a formulare un pensiero di senso compiuto, figurarsi scrivere un capitolo come si deve a questa storia. Ecco perché mi vedo costretta a rimandare: se così non facessi, probabilmente aggiornerei più di frequente, ma non riuscirei a mantenere la qualità che mi sono imposta e non credo di poterlo fare davvero. Anche perché vi confesso di avere un progetto in cantiere per questa storia!
In ogni caso, eccomi tornata con questo aggiornamento. Suppongo sia molto diverso da ciò che vi aspettavate e, se da una parte spero di avervi sorpresi, dall'altra so di aver destato qualche perplessità e forse perfino delusione. Separare i Jones da Emma non penso sia quello che avreste voluto, soprattutto sapendo che siamo a ridosso della conclusione, ma vi assicuro che è un passaggio obbligato, almeno per il mio modo di concepire la storia. Mi auguro solo che, quando vi darò la spiegazione nei capitoli a venire, possiate condividere la mia posizione e godervi il viaggio. 

Come avrete notato, il capitolo è molto oscuro, ma apre una finestra su una parte di Emma che abbiamo avuto l'occasione di vedere a sprazzi, mai in tutta la sua schiettezza. Mi riferisco alla scena con Harold o a quella con il signor Lively: abbiamo avuto un assaggio della sua crudeltà, ma non vi ho mai introdotti davvero alle contraddizioni di Capitan Swan. Adesso, sapete di cosa è davvero capace, quanto possano essere deprecabili le sue azioni, forse adesso perfino più che in passato, visto che ha un figlio cui badare. C'era una cosa che mi premeva capiste, però, con questo capitolo: Emma non è soltanto una madre, la madre di Henry. Emma è una donna, un pirata, una combattente, un'anima dannata e, sì, anche una madre, ma non solo quello. Il fatto di aver ritrovato Henry, dopo tanti anni di sacrifici, non cancella improvvisamente la persona che è stata, non la annulla. Il pirata è sempre lì, perché, in fondo, il pirata è Emma, una delle sue tante sfaccettature. 
Questo è un punto estremamente importante per me, il fatto di non credere che una donna, dopo aver avuto un figlio, smetta di essere se stessa e sia solo ed esclusivamente votata a chi ha generato. Ed ho usato appositamente un capitolo così duro per farvelo capire, a dimostrazione di quanto sia determinante per me questo aspetto e, soprattutto, di quanto importante sia per Emma riuscire a conciliare le due cose senza annullarle. Come potrebbe essere una buona madre e insegnare a Henry come diventare un uomo, con tutte le sue aspirazioni e contraddizioni, senza accettare prima se stessa e darsi la possibilità di continuare a crescere? 
Prima di lanciarmi nei ringraziamenti, aggiungo che, secondo i miei calcoli, dovrebbero mancare non più di due capitoli alla fine, salvo cambio di rotta per idee improvvise. Scoprirete di più sui fratelli Jones, per vostra gioia, e vedrete come finiranno le cose sia per loro che per Emma, Henry e gli uomini della Nostos. Prometto di spiegarvi tutto!

Detto questo, faccio un salto indietro e, come promesso, dedico la mia attenzione a chi non avevo avuto modo di ringraziare a dovere per le recensioni a "Il canto della balena". Ogni promessa è debito! :P


ALYEN, voglio solo dirti che, rileggendo la tua recensione, ho avuto i brividi per tutto il tempo, perfino quando ti scusavi del fatto che ti stessi dilungando. Sei un pugno in pieno stomaco, di quelli che ti mozzano il fiato ma sono in grado di fermare il tempo e farti pensare a cose cui non avevi avuto modo di pensare! Hai scritto tante cose bellissime, davvero, così belle che elencarle sarebbe impossibile senza finire domattina, ma, se c’è una cosa che ancora mi fa rabbrividire, è l’idea di aver impattato la tua vita con la mia storia. Quando hai scritto che ho risvegliato in te sentimenti da tempo sopiti, avrei potuto piangere, saltellare e urlare insieme. Per me, scrivere è molto più che mettere delle parole su carta con un linguaggio più o meno forbito. Per me, scrivere è emozione allo stato puro: se dovessi contare tutte le volte in cui ho riso pensando a una battuta di Stecco, o le volte in cui, lavando i piatti, mi trovavo coi lucciconi a pensare all’incontro Emma-Henry, penso che perderei il conto. Io, questa storia, non la sto solo mettendo giù su carta e condividendo con voi, no. Io la sto vivendo con un’intensità che non so nemmeno spiegare; e ne sono così innamorata che il timore di non essere abbastanza mi toglie il fiato. Ho sempre paura di non essere chiara ma, soprattutto, di non trasmettere nulla e lasciarvi a una lettura sterile e vuota che, spesso, devo farmi violenza per pubblicare ogni capitolo. Quello che tu hai detto è la realizzazione di un piccolo grande sogno, che non ho nemmeno il coraggio di vivere: quello, cioè, di darvi accesso al mondo che ho creato e trascinarvi in questo vortice di emozioni per un’oretta o due. Rubarvi alla vostra vita e tenervi con me per un po’, anche se non vi ho mai visti, perché vi ho cari come se l’avessi fatto.
Quindi, grazie, grazie infinitamente per essere stata con me, con Emma, con Killian e con tutti i protagonisti di questa storia. E’ un onore e un privilegio e, ti prego, non scusarti mai più per la lunghezza dei commenti. Se solo sapessi quanto sono importanti per me, non lo penseresti nemmeno. Senza di voi, senza le vostre parole, senza il vostro apprezzamento, Nostos sarebbe rimasta ai primi capitoli e io mi sarei persa un viaggio che non sono mai pronta a lasciare andare. Grazie, grazie ancora! <3
 
LELY_1234, che gioia vedere sempre una tua recensione! E’ come sentirsi a casa, quando organizzi una cena e vedi quelle facce amiche che tanto adori e che hai proprio necessità fisica di vedere ogni tanto, altrimenti impazzisci. “Il canto della balena” è stato un capitolo bellissimo e duro da scrivere, perché c’era così tanto da dire e da provare che ho rischiato di sentirmi consumata: consumata dall’intensità di ciò che dovevo dire, consumata dalla paura di non essere in grado o all’altezza, consumata dal dubbio di non aver fatto bene. Se ti dicessi quante volte ho riletto il capitolo prima di consegnarvelo, mi prenderesti per pazza, ma ne sarebbe comunque valsa la pena, se fosse servito a donarti tutto questo scrigno di emozioni.
Ti ringrazio per i complimenti che hai fatto al mio stile. Io non mi apprezzo mai abbastanza, piena delle mie incertezze, e, sebbene sia lontana anni luce dal vedermi nel modo in cui tu mi hai descritto, è uno sprone ad andare avanti anche quando le insicurezze minacciano di bloccare il prosieguo di questa storia. Hai un posto speciale in questa ciurma e spero di averti con me fino alla fine del viaggio. Sono io che ti devo dei ringraziamenti, non il contrario. <3


PANDINA, oramai di te so più del tuo nickname e della tua squisita capacità di lasciare recensioni che stendono. A volte, quando ti leggo sotto un capitolo, sento quasi la tua voce accompagnata dal frangersi delle onde e sento di imparare qualcosa su questa storia che non avevo carpito io stessa, che ne sono l’autrice. Ma, se c’è una cosa che non cambierei con niente al mondo, è il tuo rapporto con la mia Emma di parole: la ami e la odi come una madre con un figlio un po’ bischero, che vorresti sempre indirizzare sulla retta via ma sai di doverlo lasciar vivere, spesso anche sbagliare. Come hai detto tu, Emma è tante cose insieme e, sì, conoscerne il passato apre una finestra su una versione di lei del tutto inedita ma sempreverde: quella di una persona che ha sofferto, profondamente e ingiustamente, e di quel dolore si è consumata fino a morirne e rinascere. Ci vuole forza per farlo, ma non una forza qualsiasi: è quella tenacia che nasce proprio dalla disfatta, dalla debolezza e che è ancora più intensa perché ha conosciuto e toccato il fondo più volte.
Grazie ora come sempre per essere sempre presente, qualsiasi siano le condizioni atmosferiche, e per fidarti di me come tuo capitano in questo viaggio che sa di vita.
 
SIMOGI, è un piacere saperti dei nostri sempre e comunque. Ti confesso di aver sorriso, pensando all’espressione che avresti fatto nel leggere quest’ultimo capitolo, tu che avevi sperato che Killian rimanesse consapevole dei suoi sentimenti. Quello che hai detto, però, non significa che non sia vero, attenzione: semplicemente, è tutto tanto, tanto complicato, più per loro due che non per noi, mi sa. Da quando è iniziato questo percorso, se c’è una cosa che ho faticato a definire è il loro rapporto. Sono così diversi e simili allo stesso tempo, ma in maniera diametralmente opposta: hanno la caparbietà, la schiettezza, la forza e il coraggio ad accomunarli, ma la relazione tra luci ed ombre influenza il modo in cui ciascuno di questi aspetti caratteriali si incastona all’altro. Non vedo l’ora di sapere come hai reagito a questo capitolo. In realtà, succede sempre così, finché non mi godo le tue reazioni scritte sotto al capitolo. Grazie infinite per la tua promessa di fedeltà alla storia, perché è una delle cose più belle che potessi aspettarmi, pur non avendo il coraggio di pensarlo. <3
 
K_GIO, amo la devozione con cui ti prendi l’impegno di recensire la mia storia, quasi sapessi oramai quanto sia importante – che dico, fondamentale – per me sapere cosa ne pensate. Sì, Killian è sulla Nostos dalla bellezza di due anni e mi commuovo anch’io solo a pensarci. Ne è passato di tempo da quel primo incontro nella taverna di Thrain, quando pensava di avere dinanzi uno scagnozzo di poco conto dell’omone che pensava essere Capitan Swan.  E, sì, ho pensato anch’io alla possibilità che Emma rivelasse la verità alla madre di lei, ma alla fine ho preferito risparmiarle questo dolore: ci pensi quanto sarebbe stato grande il senso di colpa della madre, se avesse saputo che era morta perché non aveva saputo tenerla al suo fianco con sufficiente attenzione? Meglio credere nella crudeltà di un pirata senza cuore! In fondo, anche in questo, Emma è stata misericordiosa, forse proprio perché è una madre e sa cosa voglia dire addossarsi le colpe di errori non sempre evitabili altrimenti.
Grazie mille di tutto, mia cara: grazie mille di aver recensito con la tua immancabile solerzia, grazie mille di averci messi (me e la Nostos) tra le tue priorità mattutine, grazie per averci consentito di emozionarti! <3
 
LADY LARA, sono lieta di darti il benvenuto nella mia sgangherata ma irresistibile ciurma e lo faccio con i più sentiti ringraziamenti. Quando leggo l’espressione ‘opera letteraria’ accostata a qualcosa scritta di mio pugno, sorrido sempre con una grande incredulità: non solo rimango sempre delusa dall’ultima lettura del mio capitolo prima di pubblicarlo, ma mi sembra quasi offensivo avere la pretesa di creare un intreccio, come se offendessi chi di capolavori ne ha scritti parecchi o anche solo uno, lasciando però il segno. Grazie per avermi concesso di emozionarti e di entrare un po’ nella tua vita e grazie per avermi lasciato la tua impressione. Sentiti libera di tornare quando vuoi! <3


Buona lettura!  
  
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