Lost in Lotus
What if…? In
cui
Nico e Bianca rimangono all'Hotel Lotus fino alla fine della guerra.
Will è il
fortunato prescelto per recuperarli (con tutto ciò che ne
consegue).
Will
si china ad aiutare il bambino con le sue
carte. Quando gli porge un mazzo sottile, Nico gli rivolge uno stentato
“grazie” che quasi suona stonato, nella sua bocca,
perché l’ultima volta che ha
parlato è stato forse un anno prima,
un’imprecazione in italiano, quando quel
tizio vestito da pirata ha barato a Mitomagia. Per quanto gli piacciano
i
pirati, gli piace di più vincere (e anche imprecare senza
che sua madre lo
minacci di pulirgli la bocca con il sapone).
Alza
gli occhi verso il mazzo che il ragazzo gli
sta porgendo e si ritrova di fronte ad Apollo, miniaturizzato ad una
decina di
centimetri e inglobato nel bordo d’oro lucente della carta. E
poi c’è anche
Apollo, ma a grandezza naturale – e con una maglia arancione
stropicciata dove
la carta lo raffigura mezzo nudo.
«Tu…
tu sei…?» balbetta Nico mentre esamina
attentamente il giovane davanti a lui, con gli occhi sbarrati.
«Nico
di Angelo?» gli chiede il ragazzo. Nico
chiude la bocca – non si era nemmeno accorto di averla
lasciata aperta, e sente
sua madre che lo rimprovera con un “chiudi la bocca che
entrano le mosche”, anche
se sua madre non c’è.
Si
limita ad annuire, dopo un breve dubbio; sì,
lui è Nico.
«Ti
stavo cercando, sai?» chiede il ragazzo, e a
Nico sembra che la carta di Apollo continui a fissarlo, sul palmo del
ragazzo,
in mezzo a loro. Inspiegabilmente, avvampa al pensiero che Apollo possa
cercare
proprio lui.
«Ti
stiamo cercando tutti, da un bel pezzo. Sai
dov’è-»
«Tu
sei Apollo?» chiede Nico, senza riuscire a
trattenersi.
Questa
volta è il turno del ragazzo di rimanere
sorpreso, con tanto di bocca aperta. Lo scruta un attimo, prima di fare
un
cenno di diniego. «No, non sono Apollo».
Nico
contrae le labbra, deluso. «Però… ecco,
lui è
mio padre» si affretta a specificare il ragazzo. Ora che lo
guarda attentamente,
Nico può vedere che è più sottile di
Apollo, più giovane, e persino nel
minuscolo disegno il volto del Dio appare meno dolce. Decide che gli va
bene lo
stesso, anche se non è Apollo e non ha la mossa speciale.
«Tu
lo sai chi è tuo padre?»
Nico
aggrotta le sopracciglia, e per un secondo
può vedere il volto di un uomo, con i capelli scuri e
l’espressione seria, ma
sparisce subito dopo. Non ha una risposta, ma sa che dovrebbe sapere
chi è suo
padre. Il ragazzo lo sa.
«Non
dovrei parlare con gli sconosciuti» decide di
dirgli, e Apollo scompare nella metà del mazzo. Si allontana
di due passi prima
che il ragazzo lo fermi.
«Lasciami
stare, o chiamo la sicurezza»
«No,
Nico, aspetta» inizia Will, ma quando Nico
aspetta davvero, senza fare storie, non sa come finire la frase.
«Devi
venire via da qui».
Nico
inizia a scuotere la testa. Assolutamente no,
ha una partita di Mitomagia in sospeso con un pirata, e sua
sorella…
Il
tocco di Will è caldo, oltre il tessuto leggero
della camiciola in lino, e il suo sguardo sembra spaventato.
«Devi venire via
di qui. Tu e tua sorella, Bianca. Vostro padre vi sta cercando,
Nico».
Will
è consapevole di dire una bugia, sa che
probabilmente al padre di Nico non importerà davvero
granché di lui, e forse
non è nemmeno un lato negativo, ma deve portarlo fuori di
lì. L’importanza di
uscire si riaccende viva, dopo un giorno nel Lotus.
La
stessa scintilla sembra svegliarsi anche negli
occhi neri di Nico, che si ritrova ad annuire senza sapere bene il
perché.
«Comunque
io sono Will Solace. Piacere di
conoscerti, Nico di Angelo».
Non
c’è molto da fare, al Campo Mezzosangue, da
quando Bianca si è unita alle cacciatrici, ma Nico trova
piuttosto piacevole
guardare Will. Will che mangia con i suoi compagni, Will che medica
Clarisse,
Will che ride e che prova a parare un colpo con la spada (e fallisce,
ma Nico
non ci pensa mai davvero).
È
consapevole del fatto che Will non lo guarderà
come fa lui – e tu come lo guardi?
Gli chiede una vocina maligna nella sua testa, ma Nico preferisce non
rispondere – e sa che Will sorride a tutti, aiuta tutti, lui
non è affatto più
speciale di Sherman o di Lou Ellen. Lo stesso, però, non
riesce impedire al suo
cuore di battere un po’ più forte quando lo vede,
quando gli sorride e da
qualche parte sorge il sole – Will è il sole, Will
è luce e calore e tutto ciò
che Nico non è.
Will
lo sta medicando. “Niente più viaggi
nell’ombra,
per te”, borbotta. “Se continui così ti
farai male” e intanto gli passa una
briciola d’ambrosia e un cubetto di cioccolato, quanto gli
serve per rimettersi
in forze.
Nico
sa che è quello che fa, lavorare in
infermeria e occuparsi delle persone, ma si sente un pochino
importante, come
se Will si stesse davvero preoccupando per lui, come se gli importasse.
Will
è troppo grande, è troppo bello, è
troppo
buono. Nico non può guardarlo senza smettere di pensare che
vorrebbe fiondarsi
sulle sue labbra, e non può pensarci senza che si senta un
po’ male e un po’ in
colpa.
Le
parole di Eros lo stuzzicano di continuo,
sempre più fastidiose e vere.
Mentre
l’ambrosia si scioglie sul suo palato con
il sapore delle arance e dell’estate, Nico considera il
pensiero. Quello che
gli fa venire l’amaro in bocca e che lo pungola di notte,
quando cerca di
dormire. Ammissione di colpe, direbbe lui. Una figlia di Afrodite
preferirebbe
dichiarazione, probabilmente.
Dà
un’occhiata a Will che sta risistemando
l’ambrosia in un mobiletto, poi ingoia la cioccolata, per
prendere coraggio.
«Will»
dice, ma sembra più un pigolio.
Il
ragazzo si gira verso di lui, gli occhi azzurri
carichi di preoccupazione.
«Stai
bene?»
Nico
annuisce velocemente. Coraggio, su. Come gli
eroi.
«Non
è questo».
Will
non fa un cenno per dargli fretta, alza gli
occhi e aspetta. Nico ingoia il nulla. Coraggio.
«È
che mi piaci, Will».
Will
ci mette un paio di secondi prima di
metabolizzare le sue parole, e apre la bocca in
un’espressione stupita, come
quando Nico gli ha detto il suo nome per la prima volta, come ha fatto
Nico quando
l’ha visto per la prima volta. Chiudila,
o ci entreranno le mosche. Il pensiero di sua madre quasi lo
fa scoppiare a
ridere, quindi Nico si trattiene e prende un respiro profondo, per
continuare a
parlare.
«Non
è che significhi che tu debba sentirti in
qualche modo in dovere verso di me, lo so anche io che non va bene. Ma
mi
sembrava giusto che tu lo sapessi, ecco».
Nella
mente di Nico si forma l’immagine di Will,
una settimana prima, che si spoglia davanti a lui dopo un intenso
quanto
fallimentare tentativo di imparare a usare la spada. Avvampa.
Will
continua a guardarlo, stupito, e Nico sa che
probabilmente non gli parlerà mai più.
Si
alza dal lettino dell’infermeria e ondeggia
leggermente, prima di riuscire a stare in piedi senza svenire. Ottimo.
«Grazie
dell’aiuto, Will».
Non
riesce a guardarlo negli occhi. Si affretta
verso l’uscita, stringendosi nel tessuto sottile della
maglietta nera come a
cercarci un qualche conforto. Non lo trova.
La
pelle di Will è calda, quando lo afferra, come
una vita prima, e brucia attraverso il tessuto, in modo del tutto
differente.
«No,
Nico, aspetta».
E
Nico si ferma.
«Aspetta.
Non andartene. Va bene, ecco. Certo che
va bene. Benissimo. Ero solo sorpreso».
Allo
sguardo confuso di Nico continua. «Non
pensavo che saresti stato tu a dirlo. Be’, io muoio dalla
voglia di baciarti.
Ora. In realtà tutto il tempo. Perciò ora ti
bacio, e sarebbe meglio che tu non
te ne andassi».
E
lo bacia. Davvero.
L’ultimo
pensiero sensato di Nico è che, d’ora in
poi, la sua ambrosia avrà per sempre il sapore di Will
Solace.
NdA:
probabilmente Nico è OOC, lo so. Facciamo
finta che sia una qualche conseguenza della trama e vi regalo un
biscottino,
ok? Azzurro.