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Autore: imperfectjosie    21/09/2016    2 recensioni
«Come va con Matt?» si stava innervosendo, perché Mark non faceva altro che divagare con lo sguardo, mordendosi le labbra?
«Matt è un grande, va tutto bene Tom. I blink sono in buone mani»
lo disse apposta, godendo pienamente del brivido di fastidio che osservò compiaciuto scuotere il corpo di Tom. Il minore sbuffò, volgendo lo sguardo alla parete accompagnato dal ridacchiare dell'Hoppus.

| Mark/Tom - bromance. Post-break up |
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mark Hoppus, Tom DeLonge
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: blink-182
Pairing: Mark/Tom - as bromance
Rating: Giallo (linguaggio)
Note: Mark si aggira tra i corridoi di un Hotel, alla ricerca della stanza 365.
(Ispirata al pezzo di Fred De Palma, un pochetto)
Josie's corner:


Senza pretese, però mi andava. Perché odio e amo Tom così tanto che davvero, mi sale il crimine.
 
Room 365

( Ora la festa finisce
e resto solo dietro le quinte
ora la distanza l'avverto
che ironia la mia stanza d'albergo!
È un anno che sorrido fissando nel vuoto, ma non sanno che
ho davanti una foto in cui guardo te
non so per quanto ti ricorderò
mentre affogo dentro a questi shots
e perdo i sensi di colpo
ma i sensi di colpa no )


 
 

Mark non sapeva come era finito lì.
Seguiva solo le sue gambe per il corridoio di quel terzo piano, assecondando la proprie Vans che strusciavano lente sul tappeto rosso appena pulito.
Una ragazza sulla ventina, addetta alle pulizie, lo riconobbe subito, regalandogli un caldo sorriso in lontananza che ricambiò immediatamente. Mark Hoppus adorava essere sé stesso. E adorava l'affetto dei fans, li metteva al di sopra di qualsiasi cosa, appena sotto la sua famiglia.
Lasciò vagare lo sguardo lungo tutta la parete giallo ocra, stringendo una lettera stropicciata nella mano destra e tremando appena, quando i suoi piedi si fermarono di colpo davanti ad una porta bianco perla, resa ruvida dalla vernice. Poteva essere fresca, ma Mark non ci badò, picchiando tre volte le nocche sulla superficie.
«Chi è?»
L'istinto di rispondere con un vigoroso “'Sto cazzo” - dolce concessione dell'ultima tappa italiana del tour – spingeva prepotente sulla lingua, ma si trattenne. Assaporò appena quel tono graffiante, stirando le labbra in un sorriso amaro.
«Sono io, aprimi. Sembro un coglione qui impalato» rispose a tono.
Fu lì che la porta si spalancò, rivelando il corpo imponente di Tom DeLonge.
Rimase a fissarlo, aspettando un cenno, un sorriso, qualsiasi cosa gli ricordasse di non doversi sentire imbarazzato, perché lo conosceva. Lo conosceva meglio di chiunque altro.
Mark avrebbe potuto disegnare una mappa dettagliata e perfetta del chitarrista, mancando forse qualche aspetto che aveva acquisito con il tempo. Perché quello non lo conosceva affatto.
Il corpo di Tom si spostò appena, permettendo al bassista di entrare con studiata lentezza nella camera.
Si guardò intorno, notando un vero e proprio manicomio di oggetti sparsi sul letto, due o tre fogli appallottolati per terra, svariate cuffie e un portatile sul comò. Non se ne stupì. L'ordine era una cosa che Tom non concepiva. Da sempre. E Mark si sentì a casa.
Con la mente tornò a Poway, in quella calda estate del 1992, dove la vita di Thomas DeLonge invadeva la sua, insieme a tutti i suoi oggetti.
Sospirò appena, finché la voce del chitarrista non lo riportò alla realtà. Nel 2016, dove Mark non aveva più nulla di suo ad affollargli l'esistenza.
Niente più chitarre lanciate per terra, niente più vestiti accatastati sulle sedie dei vari alberghi, niente più cavi dell'amplificatore appesi a mò di cravatte sopra a qualsiasi superficie potesse ospitarli. Niente più Tom.
Ma si era ripromesso di restare calmo, di non fargli capire quanto gli stava mancando la sua presenza, quanto si sentisse vuoto. Quanto aveva maledetto sua sorella, per averglielo presentato quel giorno.
«Mark?» azzardò appena, moderando il tono quando il bassista si voltò di scatto.
Non aveva neppure voglia di litigare.
«Perché hai voluto che venissi qui?»
Il minore distolse lo sguardo, allargando le braccia per poi farle ricadere pesantemente sui fianchi e si morse il labbro, storcendo il naso. Gesto che Mark trovò parecchio divertente.
Il grande Thomas DeLonge non aveva una risposta logica da dargli, niente che potesse avere un senso e assolutamente nulla a renderlo meno patetico.
Non poteva mascherare quell'alone scuro nelle iridi nocciola e anche se ci avesse provato, Mark se ne sarebbe accorto subito.
«Mark senti-»
«No. No, non puoi» lo anticipò, ruotando il corpo e raggiungendolo con poche falcate, fino a sfiorargli il petto con il proprio. Un intenso odore di cannella misto a sudore gli invase le narici «Tu non puoi fare così ogni volta, Tom. Non puoi, Cristo santo... non puoi mandare a puttane ciò per cui abbiamo lavorato fin da quando ci scambiavamo i porno sottobanco e poi venirmi a cercare perché ti manca la mia presenza nella tua vita» snocciolò velocemente, ansimando in cerca di ossigeno e osservando dal basso di quei pochi centimetri che li separavano il volto del chitarrista.
Se l'amore poteva avere un'altra forma oltre a quella di Skye, Mark era convinto che avrebbe assunto le sembianze di un coglione alto un metro e 93, con gli occhi nocciola, lo sguardo intenso, la testa piena di assurde stronzate e un sorriso meraviglioso.
«Sono sempre convinto della mia decisione, non è così importante... ma tu... cazzo, Mark. Tu sì. E lo sai. Vaffanculo, Hoppus! Lo hai sempre saputo. Sai che è così» ringhiò, gli occhi lucidi e lo sguardo concentrato sulle pozze azzure del maggiore.
Mark sussultò, annaspando alla ricerca d'aria per poco, fino a che non notò – studiandolo attentamente – il cambiamento di suo fratello.
Tom si sentiva in colpa per tutto il dolore che gli aveva offerto. Tom aveva paura. Tom era ancora un ragazzino dai capelli biondi che con un mezzo sorriso pieno d'aspettative scrutava il cielo dalla veranda di casa Hoppus. Una birra sotto-marca in una mano e il disegno stropicciato di un UFO nell'altra.
Tom, in effetti, non era cambiato di una sola virgola. Voleva solo giocare all'uomo maturo, al business-man... a qualsiasi cosa lo facesse sentire meno emarginato.
Meno stupido.
Voleva rendere la sua ossessione importante, darle un senso, così facendo sarebbe risultata meno ridicola.
Ma Mark si sentiva stanco delle sue bugie.
“Convinto della mia decisione. Non è così importante” un corno. Aveva visto quel bagliore attraversare le iridi nocciola.
«Tom-» cominciò cauto, notando un accenno di barbetta mezza bianca sul viso dell'ex compagno. Sorrise involontariamente.
«Mark, ti prego... per favore, sono sempre io. Guardami, cazzo! Tira su quella faccia da culo e fissami. Studiami se ti fa sentire più a tuo agio, ma non comportarti come se fossi un fottutissimo pazzo sconosciuto che ti sta parlando!» quasi lo urlò, respirando velocemente in attesa, quando Mark finalmente sollevò lo sguardo e lo fissò attentamente.
Percorse ogni centrimetro di quel corpo, dalla punta delle scarpe fino ai capelli. I piedi storti, le gambe sempre magre – nonostante i chili in più – le braccia lunghe e forti, un tatuaggio a ricoprire l'intera superficie sinistra... spalle ampie, viso squadrato, un naso a patata abbastanza discutibile, occhi piccoli, vicini... sempre vivi e sognatori. Sopracciglia assurde, fronte spaziosa, capelli un po' più corti del solito, ma sempre sottili e castani. Li fisso a lungo, ricordandoli prima biondi, poi blu... e poi ritornò sul viso, per osservare un mezzo sorriso appena abbozzato.
«Mi sento in vetrina» commentò ironico. Mark inarcò velocemente un sopracciglio, incrociando le braccia al petto con finta noncuranza.
«Hey tu mi hai chiesto di fissarti, DeLonge. Pazzo, visionario e adesso pure gay. Fantastico» rimbeccò sarcastico, ascoltandolo ridere.
La risata di Tom era qualcosa di indescrivibile. Non seguiva una logica – come qualsiasi cosa facesse il propietario, d'altronde – ma ti faceva venire voglia di ridere non appena la sentivi riempire l'aria.
E Mark rise insieme a lui. Come molti anni prima, quasi in un'altra vita, nel furgoncino bianco che puzzava di pizza stantia e sudore.
«Non ti manco nemmeno un po'?» azzardò, tornando serio e fissandolo intensamente prima di avvicinarsi appena.
Il maggiore si morse la lingua per non rispondere immediatamente, ma annuì, regalando a Tom la voglia di tornare a sorridere.
«Come va con Matt?» si stava innervosendo, perché Mark non faceva altro che divagare con lo sguardo, mordendosi le labbra?
«Matt è un grande, va tutto bene Tom. I blink sono in buone mani»
lo disse apposta, godendo pienamente del brivido di fastidio che osservò compiaciuto scuotere il corpo di Tom. Il minore sbuffò, volgendo lo sguardo alla parete accompagnato dal ridacchiare dell'Hoppus.
«Sei davvero incredibile, DeLonge» commentò serafico, prima che la testa castana di Tom tornasse dritta a fissarlo con stizza.
«Chiudi il becco, stronzo» ringhiò punto sul vivo, abbassando il tono di voce e assottigliando lo sguardo.
«Ah, io?» rimbeccò indicandosi ad occhi sgranati, sempre più divertito dalle assurde reazioni che stava osservando.
Quanto gli era mancato tutto quello.
Avrebbe stretto in un pugno tutti i momenti passati con lui, serrandolo forte per paura di poterli perdere un giorno. Ma Mark cominciava a dubitare che sarebbe servito a qualcosa.
Dipendeva da Tom. Era sempre stato così, fin dall'inizio.
«Tom, se mi vuoi nella tua vita come dici, devi accettare tutto ciò che sono»
Lo disse con cautela, sperando di non spaventarlo o, nel peggiore dei casi, irritarlo. Assurdo. Se c'era uno dei due ad avere tutti i diritti di essere incazzato quello era lui!
Tom mosse velocemente la gamba con fare nervoso, passandosi una mano dietro la nuca e mordendosi il buco del piercing. Lo faceva spesso, vecchie abitudini. Quel gesto scaldò appena il cuore di Mark.
«Travis mi odia?»
«A Travis manchi. A me... a me, manchi» ribattè immediatamente, abbassando lo sguardo quando percepì la testa di Tom spostarsi lenta nella sua direzione e un'espressione di sorpresa illuminargli il viso.
Maledizione. Mai che tenesse la bocca chiusa! Si maledì da solo, almeno finché un calore non lo avvolse completamente. Spostando gli occhi azzurri alla sua destra, la prima cosa che vide fu la scritta 182 in fiamme e si rilassò, lasciandosi andare con un sospiro.
«Sai cos'è davvero incredibile?»
«Il mio sex appeal?» azzardò Mark ironico, provando a spezzare l'imbarazzo con un mezzo sorriso premuto sulla stoffa della maglia degli AVA. 
«No, idiota. Il numero della stanza che mi hanno dato»
«365?» domandò ancora, inarcando un sopracciglio quando sentì le dita di Tom stringersi dietro alla schiena.
«I giorni trascorsi senza parlarci»
«Tom?» lo chiamò, quando quella presa mista al tono di voce cominciarono a preoccuparlo.
DeLonge si limitò a sospirare pesantemente. Mark giurò addirittura di avere la maglia zuppa all'altezza della spalla, ma non lo disse mai ad alta voce.
«Senti Mark» cominciò finalmente, proprio nel momento in cui il bassista si stava arrendendo. La voce usciva con fatica, ma andava bene così, l'importante era sentirla «Io lo so che sono un casino vivente, che deludo chiunque provi il minimo affetto per me... e ho anche dei problemi a gestire la rabbia... sono pigro, indolente, probabilmente megalomane ed egoista... ma tu non importa cosa faccio, quello che dico, come lo dico... tu devi sapere che sei la persona più importante della mia vita insieme ai miei figli»
Non se lo stava immaginando. Piangeva.
Mark sgranò gli occhi, per poi sciogliersi in un sorriso carico d'affetto.
«Room 365. Potrebbe essere l'idea per un nuovo pezzo, che ne dici?» soffiò ironico.
Non era in grado di dire altro. E a Tom andava bene così. Annuì sulla spalla del maggiore. Nella testa, insieme a Poet Anderson, ai libri sugli alieni, alle ultime bozze per le canzoni degli AVA e a tutta la catasta di roba colma della fantasia di un ragazzino, qualche nuova strofa stava già prendendo forma.
Erano le nove di sera quando Mark – per la prima volta in vita sua – stava ignorando una chiamata da Travis Barker.
Lo avrebbe ammazzato, aveva saltato le prove, ma la sua spiegazione e il sorriso un po' nervoso del batterista ne sarebbero valsi la pena.




FIN

  
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