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Autore: localcyrus    22/09/2016    0 recensioni
||ziam mayne||
«Il dolore lo aveva svuotato delle cose importanti e adesso non rimaneva altro che inutile cenere.»
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Liam Payne, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Se avesse potuto descriversi al mondo per ciò che era realmente, non avrebbe dato credito a troppi convenevoli, anche perché non amava le parole, per quanto convincenti e sconfinate queste potessero essere. 
Era così naturale per lui, vivere la vita così come sentiva di fare, nel modo in cui voleva, ma la realtà era ben distante da ciò che la sua mente avrebbe voluto rendere reale, e la realtà non era altro, se non un astratto e prominente muro di insensate bugie.
Il mondo lo aveva in pugno, su quel palmo troppo grande per poter semplicemente fuggire via, perché era un circolo vizioso senza fine, una stanza fatta di specchi, che dava l'impressione di essere così sconfinatamente vasta ed infinita, ma la sua illusione si riduceva a solo un paio di metri quadri, laddove il mondo diventava una prigione per lui, quel burattino giostrato alla perfezione da mani più abili, ma pur sempre sconosciute.
Non sentiva di appartenere realmente alla sua stessa vita, perché c'erano milioni di cose frivole ed insignificanti che avrebbe voluto fare: correre sotto la pioggia in piena Manhattan, prendere un treno qualunque e perdersi tra i paesaggi della campagna inglese, ma che poteva unicamente immaginare e guardar scorrere via dalla finestra sul mondo che lui stesso si era ritagliato, e che gli faceva sperare, ormai troppo spesso, di risvegliarsi nel corpo di un ragazzo normale.
Spesso riusciva a sentirsi potente, uscire di casa ed essere riconosciuto da davvero molte persone, gli eventi pubblici, i concerti in giro per il mondo lo facevano sentire come se la sua vita avesse un suo reale ed evidente motivo per essere ricordata, ma non poteva fare a meno di sentirsi a disagio, al contempo, per tutte le attenzioni opprimenti a cui doveva rispondere, alla pressione mediatica, al fatto che ci fossero milioni di persone pronte a dire di conoscerlo davvero, di sapere persino il colore della maglietta che stava indossando in quel momento esatto, da solo nel suo appartamento così grande e freddo, ma che in realtà non conoscevano altro, se non qualche connotato appreso da internet, oltre che ai contenuti delle numerose interviste che continuamente era costretto a rilasciare, e le cui risposte venivano scritte e pilotare da persone che lui non aveva neppure mai visto, come se tutti avessero bisogno di un promemoria costante per ricordare la sua esistenza. 
Gli sembrava di recitare, di non essere più padrone di nessuna piccola o grande azione, perché ogni sua mossa era già terribilmente e maniacalmente prescritta ed organizzata, da non lasciargli altro da fare, se non mettere in scena lo spettacolo mediatico che era la sua stessa esistenza.
Gli avevano imposto qualunque cosa, uomini di mezza età, compiaciuti nel loro completo da cinquemila sterline, seduti intorno ad un tavolo, laptop sintonizzati su tutte le piattaforme sociali, a discutere su cosa, quel ragazzo giovane e promettente, avrebbe messo in rete, tramite una breve frase o una fotografa, e cosa era meglio rimanesse per sempre privato. 
Non aveva voce in capitolo su niente, ed era buffo perché quello era la sua vita e non avrebbe voluto che fosse qualcun altro a decidere per lui, ma non poteva opporsi, mostrarsi contrariato, perché ogni suo lamento, verso qualunque cosa, si sarebbe rivelato del tutto inutile. 
Quella carriera, ora così formata e definita, era iniziata quasi come un gioco, un provino ad un programma televisivo solo per provare a far sentire la sua voce a qualcuno, invece che starsene da solo, barricato nel piccolo spazio della sua camera da bambino, ad intonare qualche canzone che passava in radio, con la voce volutamente troppo bassa perché qualcuno potesse sentirla.
Non avrebbe pensato che tutto si sarebbe ridotto proprio a quello, che lui si sarebbe ridotto all'ombra di ciò che era stato, e che forse non sarebbe mai più ritornato indietro, con un bicchiere di liquore tra le dita ossute e tatuate, a desiderare solo di poter rivivere gli anni felici, le prime esibizioni davanti ad un pubblico vero, gli abbracci lunghissimi nel backstage, con quei ragazzi che neppure conosceva così tanto da definirli amici, ma che qualcuno, al posto loro, aveva messo insieme con lo scopo che inventassero il loro successo insieme.
Un sorriso gli si dipinse in volto a quei ricordi, erano tutti così spauriti e bisognosi di sentirsi liberi nel loro sogno sconfinato, e per un attimo, come spesso gli capitava, desiderò forse di ritornare al passato e rifiutare di salire sul palco, quella prima volta, al suo primo provino, perché lì era nato quel seguito della sua vita, in quel luogo, in quell'istante, qualcuno gli stava mettendo in mano un'arma pesante con chi avrebbe scritto il suo destino, e lui desiderava che non fosse andata a finire così.
Era finito tutto, e a lui piaceva dedicarsi completamente al canto, ma c'erano sacrifici e rinunce che aveva fatto per rimanere lì, chi giurava di conoscerlo non sapeva neppure questo, ma aveva sofferto nel vedere i suoi compagni di scuola diventare adulti a modo loro, preoccuparsi del diploma e di trovare un lavoro, anche se l'intero mondo stava iniziando a conoscerlo e lui non poteva essere più felice per quello.
Ma anche a lui sarebbe piaciuto, d'altronde, risvegliarsi in una situazione quotidiana comune, perché odiava che la mondanità lo rendesse così apatico e distante dal suo vero essere, oltre che dalle persone a cui voleva bene.
Si odiava per ciò che gli era stato imposto di dire o fare, per rendere il mondo più felice e fiero di lui, per creare audience e mandare i fan in delirio, accalcati sotto casa sua per chiedergli come si fa, dopo anni e centinaia di ricordi condivisi, a lasciare quel compatto gruppo di persone con cui aveva vissuto tante prime volte, con cui era emerso il suo nome, che, da quel momento, non sarebbe mai più stato lo stesso.
 
Non era stata colpa sua, i suoi manager, tutti quei bastardi che pensavano solo ai soldi e alla fama, avevano deciso di inventarsi qualcosa di davvero forte, per ricevere più attenzione e smuovere anche i più scettici ad esprimere la loro opinione, e, quella volta, lo avevano spodestato, senza neanche troppi convenevoli, dalla sua posizione di membro, all'interno di un gruppo forte ed unito, a quella del singolo individuo, senza che lui potesse oggettivamente esprimersi al riguardo.
Non voleva che la sua carriera continuasse, almeno non a quelle condizioni, perché certe cose nascono e muoiono insieme, non c'è modo di affrontare la tempesta da solo, di ricominciare e darsi un nuovo nome, una nuova identità mediatica e l'etichetta da cattivo ragazzo, che era pressoché la cosa più lontana dal suo reale essere.
Quelle quattro persone, negli anni, erano diventate parte attiva della sua vita, al pari della sua famiglia quasi, perché loro capivano che il mondo non girava come decidevano loro, anche se era ciò che dovevano lasciare credere, e non lo avrebbero giudicato per il suo sentirsi debole, per il suo avere paura di dire qualcosa di sbagliato o di sentirsi semplicemente impotente.
Si odiava per ciò che gli avevano imposto di fare, sentiva che quell'amicizia si stava incrinando, perché loro non erano con lui gli stessi di prima, anche perché continuavano la loro farsa da band perfetta in giro per il mondo, blindati da quelle bugie efferate che la gente amava credere, distanti anni luce dalla sua stanza, in quel momento.
 
Quell'appartamento, persino, non gli avevano permesso di sceglierlo da solo. 
Avevano studiato l'area circostante, verificato che ci fosse abbastanza spazio intorno per far accampare i paparazzi, per poi giudicare tutte le immagini private che si permettevano di sbattere sui giornali solo come un incidente, perché, anche se qualcuno si fosse messo con un telescopio professionale a spiare fin dentro casa sua, si sarebbe soltanto beato dell'immagine di un corpo perfetto ed angelico, che passeggia in boxer tra le stanze fredde, magari con una chitarra in mano o seduto in maniera composta sul divano, perché erano questi i termini che gli erano stati imposti, e anche in casa sua era prigioniero di quel fenomeno mediatico senza inizio né fine. Avrebbe voluto prendersi la libertà di girare nudo in camera sua,  prendere un caffè al bar all'angolo o flirtare con qualche ragazzo carino, ma tutto ciò non gli era permesso, e poteva solo osservare la realtà scorrergli attraverso la finestra, al ventesimo piano di un palazzo sfarzoso e costosissimo, in un mondo che ormai non gli apparteneva più.
 
Quel giorno avrebbe incontrato la sua nuova ragazza. 
Ed era strano perché non conosceva neppure il suo nome, né sapeva di lei nessun'altra cosa, oltre al fatto che, nei termini di una relazione, non avrebbe mai toccato una ragazza, né l'avrebbe portata a letto o resa madre, perché ancora voleva essere padrone del suo corpo e decidere a chi concederlo, mentre il pubblico femminile desiderava di trovarselo addormentato tra le lenzuola, con quell'inchiostro marchiato sul corpo ed i capelli sparsi sul cuscino.
Non sarebbe mai successo.
Quella donna lo avrebbe accompagnato agli eventi, dichiarando indirettamente il loro amore in maniera così schifosamente platonica da risultare stucchevole, ma pur sempre credibile, perché una figura così di rilievo e desiderabile non sarebbe mai potuta cadere, sotto gli occhi di tutti, nel baratro oscuro dell'omosessualità, da dove nessun artista, cantante o personaggio pubblico ne esce mai vivo, o indenne da insulti, congiure ed odio smisurato.
Come se amare qualcuno fosse una condanna.
 
A volte si odiava per essere gay, quando il suo migliore amico era ancora Louis, e i loro manager volevano ancora che cantassero nella stessa band, ridevano sempre su cose come queste, ma lui in fondo poteva capirlo che ci sono cose che, semplicemente, non sono fatte per stare sulla bocca di tutti, sopratutto quando si è così esposti, perché la fama è un rischio immenso, e a lui non andava di sentirsi rivoltato e preso di mira per quello, che la gente lo odiasse, che si sentisse sbagliato.
Perché, in fin dei conti, sapeva di non esserlo. 
 
La sua famiglia riusciva ad apprezzarlo per ciò che era, senza problemi, nessun pregiudizio sociale o religioso li aveva ostacolati nel dargli amore, quel ragazzo così dolce e sensibile che, suo malgrado, era costretto a dimostrarsi per l'esatto opposto di ciò che sentiva di essere, ma lui non riusciva a smettere di provare pietà per sé stesso, e per un mondo così evoluto ma pur sempre restio su determinati argomenti.
 
E provò pena, tristezza quasi, perché la sua porta blindata si spalancò improvvisamente, non gli era neanche concesso il privilegio di rispondere al citofono, o di tenersi solo per sé le chiavi di casa sua, ed un gruppo di cinque persone si fece largo nel suo salotto, ovattato nella penombra del tardo pomeriggio, oltre che nell'odore troppo forte di fumo.
Un uomo che lui conosceva solo per cognome lo rimproverò, senza rivolgergli neppure un saluto, perché qualcuno avrebbe potuto fotografarlo in quell'istante, postare le foto ovunque, e sapeva che c'era chi avrebbe fatto carte false per acquattarsi alla finestra di fronte e giocarsi quella possibilità, dare al mondo quell'immagine di lui così scialba e superficiale, ma decise anche, in quel momento, che non gli importava più di niente.
 
Quella ragazza, come lui, non sembrava sentirsi a suo agio in quel posto, circondata da sconosciuti, a chiedersi perché, per fare successo, avrebbe dovuto arrampicarsi ad un personaggio già formato, ed essere ricordata solo come la ragazza di Zayn Malik, piuttosto che per la scrittrice promettente che sapeva di essere. Si sentivano entrambi fuori posto, in quella realtà troppo composta per chi, a vent'anni, vorrebbe unicamente vivere ogni istante a modo proprio.
Si compativano, silenziosamente a vicenda, perché la guardia del corpo di quella ragazza che, lui ne era del tutto convinto, non poteva di certo avere più di vent'anni, la presentò a lui come Kyra Gregor, e lei gli riservò un solo minuscolo sorriso di circostanza, invece che prendere posto sul divano accanto a lui, tentando di risultare credibile, o di trasformare quella relazione montata in qualcosa di vero, sin da subito. 
Lui vedeva il suo disagio nello starsene lì, in quel vestito da cocktail troppo corto perché se lo fosse scelto da sola, a guardarsi intorno per cercare un posto sicuro in cui nascondere lo sguardo.
Gli dissero che aveva appena pubblicato un libro, lui forse avrebbe già dovuto conoscere qualcosa al riguardo, ed aveva bisogno di emergere più di quando riuscisse a fare da sola, perché affiancarsi ad un ragazzo così popolare e desiderabile le avrebbe reso sicuramente un successo maggiore, e a lui sarebbe servito a mantenere la reputazione da imperterrito cattivo ragazzo. 
I termini del contratto, tutti i presenti in quella stanza vi apposero la propria firma, prevedeva che tutto sarebbe nato e morto in sei mesi, tuttavia la scadenza finale sarebbe rimasta aperta, e rivista in seguito, basandosi sull'approvazione che i due avrebbero ricevuto in pubblico, come coppia, ed altri fattori che a nessuno interessavano per davvero.
Furono obbligati anche ad essere parte di un articolo di riservatezza lungo quasi dieci pagine, un uomo sui quaranta, barba curata e una cravatta di Armani che era probabilmente un ostentazione alla miseria, ne lesse i contenuti ad alta voce, fino all'ultima parola, ma tutti distolsero l'attenzione dopo il primo paragrafo, iniziando a fissarsi le unghie, distrattamente, o a digitare qualcosa sul cellulare: tutto quello era solo una scena già vista.
Sarebbero usciti in pubblico la sera successiva, ad una sfilata organizzata da gente che, con il proprio patrimonio, potrebbe decidere di far girare il mondo nel verso contrario, solo per gusto personale, se volesse.
 
Lui era sollevato che avessero almeno ventiquattr'ore per conoscersi meglio, forse lei poteva rivelarsi una buona amica. 
Avrebbe dovuto ricordarsi di tenerle la mano, di guardarla come se l'orbita terrestre fosse concentrata nel suo sguardo magnetico, legato al suo in un amore senza precedenti, di comportarsi come se fossero la coppia nascente più felice mai esistita, e soprattutto come se non la conoscesse da appena un giorno.
 
Un unico scatto sordo della porta, lo stesso che l'aveva portata lì da lui, decretò che erano finalmente soli in quell'appartamento freddo. Lei si cingeva il corpo con le braccia lunghe, instabile sulle scarpe col tacco che la rendevano meno donna di quanto si sentisse in realtà, perché cadevano nel volgare e quella davvero non era l'immagine che avrebbe voluto dare di sé.
"Mi dispiace" fu ciò che lui le disse, perché quando prese posto sul divano, poco distante dal suo corpo, riusciva a percepire il suo disagio nel trovarsi lì con lui, ad inventarsi i passi di quella relazione infondata, per convincere il mondo che l'amore li avrebbe resi indivisibili.
Ma anche lei stava vivendo circostanze che non aveva avuto il permesso di scegliere in prima persona, anche se era alle sue prime armi e, forse, avvertiva ancora quella sensazione di amaro in bocca nel non poter agire secondo le sue condizioni, per rispettare il suo mondo, e la realtà circostante.
"Non è colpa tua" mormorò, aveva le gambe allineate e continuava a sentirsi fiori posto.
"Mi dispiace lo stesso" ammise, scivolò sul cuscino che divideva i loro corpi, per poi trovarsi al suo fianco e cingerle una mano, fredda ed ossuta, prima che lei si decidesse a mostrargli completamente quello sguardo triste e spaurito.
Gli sorrise, si accorse solo in quel momento che anche lui, se avesse potuto, sarebbe uscito là fuori ad urlare che a quell'età avrebbe voluto avere la libertà di essere sé stesso, solo che lui riusciva a mascherare il suo malessere, ma non per questo era in grado di essere invisibile. "Sei molto carina." proseguì, le dita ancora intrecciate a quelle della sconosciuta accanto a sé "Sono sicuro che tutti saranno contenti della mia scelta, anche se non è una mia scelta. Spero di trovarmi bene con te, onestamente la mia ultima relazione è stata un incubo."
Lei annuì, tentando di scacciare quella sensazione opprimente che le circondava la gola. 
Ricordava vagamente la modella, bellissima e promettente, con cui lo aveva visto, neanche troppo tempo fa sui giornali, ed era buffo perché con la sua migliore amica commentava quella scena come patetica, in fin dei conti è impossibile cambiare così tante fidanzate, e aveva giurato a sé stessa di non svendersi mai per qualcosa di così stupido.
Ma il suo libro era stato stampato da almeno quattro settimane ed il suo manager aveva deciso che era quello il momento per passare al livello successivo, quindi eccola lì, seduta timidamente in una realtà costruita e bugiarda, perché il successo ha il suo prezzo e forse qualcuno avrebbe pagato per essere al suo posto, ma niente di forzato ha mai un esito positivo. 
Lo aveva imparato da sola, perché nella vita le avevano sempre permesso di vivere secondo le sue regole.
"Mi dispiace." lo compatì, non le interessavano i dettagli delle sue passate relazioni "Non finirò con l'innamorarmi di te veramente" aggiunse, perché intuiva che potesse essere quello il motivo per cui liquidava tutte quelle ragazze in tempi sfacciatamente brevi. 
Perché amare per finta va bene, almeno in quelle circostante, poi uno dei due inizia a volere di più e alla fine finisce alla porta, con un assegno consistente tra le mani e qualche altra frivola nozione da aggiungere alla propria biografia di Wikipedia, ma con il cuore spezzato perché Zayn Malik non ama davvero, o almeno sa di non poter amare una ragazza.
"Ti hanno detto.." Tentò di chiederle, sperando che lei capisse senza che lui dovesse pronunciare quelle parole che lo identificavano, è vero, ma che erano la causa di tutta quella situazione assurda.
"Sì." Affermò lei, la mano ancora nella sua mentre diventava, magicamente, quella più forte tra i due "Mi dispiace che tu non possa essere chi vuoi. Un po' ti capisco, è difficile. Io voglio scrivere libri, non farmi fotografare ad eventi mondani, mano nella mano con un perfetto sconosciuto."
Zayn annuì, era tutto vero ciò che veniva fuori dalle sue parole, e sapeva che non erano poi così tanto diversi, perché quel mondo potente li aveva risucchiati entrambi, senza che avessero possibilità di tirarsi indietro, e sapevano, o meglio lui sapeva, che non avrebbe mai passeggiato per strada, stringendo la mano del suo ragazzo, perché le regole non lo permettevano, e lui era troppo stanco per replicare.
 
 
"Ti rendi conto? Vogliono che giri un film. Qualcosa di forte, tipo Cinquanta sfumature di grigio. Stanno pensando a soluzioni assurde pur di arricchirsi con la mia fama, è ridicolo. Sono una dannata scrittrice, non mostrerò il mio culo per vendere qualche libro di più"
Zayn rise insieme a lei, ma l'amarezza celata dietro quei sorrisi stucchevoli era visibile, nonostante lui fosse contento di aver trovato in lei, poche ore dopo averla conosciuta, qualcuno che riuscisse a comprendere senza perdersi in giudizi inutili.
Sembravano quasi una coppia normale, lei aveva sostituito il suo abitino pruriginoso e scomodo con una maglietta di almeno due taglie più grande ed un paio di pantaloncini, e finalmente riusciva a sentirsi sé stesse almeno un po'.
"È assurdo." ridacchiò lui, celando il suo sorriso dietro la mano "Al mio ex migliore amico hanno imposto la paternità, non oso immaginare se dovessi farlo anche io. Non sono capace di mentire fino a quel punto."
"Perché ex migliore amico?" Gli domando lei, senza un qualche secondo fine, ma solo perché aveva notato il suo sguardo farsi più cupo mentre pronunciava quelle parole.
"Perché io credo che lui mi odi adesso." Sentenziò Zayn. 
Si fece più piccolo su quel divano in pelle, raccogliendo le ginocchia al petto mentre proprio davanti agli occhi il passato si ripeteva come una giostra impazzita, ad una velocità che gli impediva persino di focalizzarsi su un singolo momento, ma forse era grato per quello: non avrebbe sopportato di rivivere quei momenti felici insieme a Louis. 
Aveva imparato a non ricordare, a non lasciare che la sua mente vagasse senza freni quando, stanco dopo un concerto, si rilassava nel letto enorme nel suo appartamento, perché sapeva che il suo pensiero sarebbe ritornato sempre nello stesso posto, quel posto, lì accanto agli amici che aveva dovuto lasciare, ma non per colpa sua.
"Non penso che si possa passare dall'essere migliori amici all'odio" puntualizzò Kyra, lui sembrò soffermarsi ad osservare le sue parole, perché voleva che qualcuno gli desse una giustificazione plausibile per tutto quello, perché se avesse saputo che il successo si paga così caro, che implica trovarsi a piangere da soli in un bagno a milioni di chilometri da casa, sarebbe rimasto nella sua camera da bambino, a far scorrere le dita sulle corde allentare della sua chitarra, perché lui quella vita, a quelle condizioni, non la voleva più.
"Si può." Contestò lui, il suo tono duro non lasciava spazio a repliche, forse non avrebbe dovuto raccontarle proprio quello. Ma certe volte parlava senza avere coscienza delle sue parole, perché, se fosse dipeso da lui, li avrebbe fatti a piedi quei chilometri, a nuoto forse, non gli importava, perché ogni giorno era uguale all'altro, grigio e già previsto, senza i suoi migliori amici che gli facevano scherzi stupidi, dietro le quinte di una città che non avrebbero mai visitato per davvero.
 
Anche a loro la vita era stata imposta.
Louis ed Harry non avrebbero mai potuto vivere il loro amore come due persone normali, passeggiare sulla spiaggia mano nella mano o perdersi tra gallerie d'arte infinite, a guardarsi negli occhi per ritrovarci dentro il proprio riflesso, e sentirsi parte l'uno dell'altro. Avrebbero dovuto amarsi per sempre sottovoce, come se l'amore fosse un crimine, perché i loro manager non ammettevano il coming out per due cantanti di quel calibro, perché il mondo intero avrebbe potuto deriderli o, peggio ancora, denigrare la loro band fino al declino. 
E questo non potevano permetterselo. 
Ma, ancora, se fosse stato per loro, se avessero saputo che quella vita si paga con il prezzo più alto che possa esistere, forse non sarebbe andata così, perché quell'amore era consumato e fragile adesso, non era più quello di prima, e forse non sarebbe mai ritornato indietro allo stesso modo.
Era felice per loro, in un certo senso, perché almeno avevano avuto la possibilità di rimanere uniti, ricordava le volte in cui si rinchiudevano nello stesso camerino, a poche ore da un'esibizione, e lui rimaneva lì, con i suoi amici, a ripassare la scaletta esatta delle canzoni e ad innamorarsi di quegli occhi che lo avevano reso schiavo e debole di un amore impossibile.
Lo avrebbe portato dentro per sempre, la prima volta che fecero l'amore, in una camera da bambino che non era la sua, ma che odorava comunque di sogni appena nati e di sentimenti puri, gli stessi che lui provava a contatto con quella pelle pura e soffice.
"Ti amo, Liam" gli aveva detto, e quella era la prima volta che amava qualcuno, che il suo corpo si lasciava trascinare da tutte quelle emozioni stupide e bellissime, che lo rendevano vulnerabile e vivo, accanto a lui.
Quel ragazzo gli aveva sorriso, aveva sempre riservato le attenzioni più dolci e profonde solo per lui, e sapeva che, se non fossero stati entrambi schiavi di quella vita, sarebbero potuti essere felici ed unici al mondo.
"Ti amo, Zayn" gli aveva risposto, perché l'amore non merita di essere semplicemente ripetuto, ha bisogno di venire fuori, con le parole che entrambi pronunciarono solo verso l'altro, anche se non lo seppero mai.
Ricordava il suo sapore, le sue mani mentre queste affondavano nei suoi fianchi, i tatuaggi che si era fatto imprimere sulle dita: erano le lettere del suo nome. Camuffate in disegni impenetrabili, ma pur sempre il suo nome. Era capitato che qualche fan se ne accorgesse, davvero lui non riusciva a capire come si faccia ad avere un'immaginazione così arguta da arrivare ad indovinare persino la realtà, ma lo avevano scovato, perciò lui aveva dovuto inventarsi l'ennesima scusa, o fingere che non fosse vero, anche se avrebbe voluto dirlo, che era Liam l'uomo che amava, l'unico con cui aveva mai fatto l'amore in tutta la sua vita, e che non ci sarebbe stata nessuna donna giovane e bellissima ad aspettarlo all'altare, presto o tardi, nessuna modella anoressica da rendere madre solo per gettare il bambino in pasto ai media, non lo avrebbe fatto mai.
Non avrebbe mai svenduto la sua vita, ed era buffo perché era ciò che era costretto a fare, a fingere che non gli importasse di niente, di aver abbandonato i suoi amici, del fatto che Liam rifiutasse persino le sue chiamate ultimamente, di dover stringere la mano di quella ragazza in pubblico, anche se entrambi non conoscevano quasi nulla dell'altro.
 
E non sapeva se quello era un sogno, se stava vivendo un ricordo al contrario, con tutte le parole incomprensibili, o se era semplicemente pazzo, ma si ritrovò a piangere, seduto nel mezzo di quel letto grande fin troppo persino per due persone, e forse aveva gridato, perché Kyra seguì il suono della sua voce roca, la stanza dove dormiva non era poi così distante dalla sua, per poi trovarlo lì, col cervello paralizzato ed il corpo che sussultava singhiozzi profondi ed involontari.
Piangeva sulla sua spalla, anche se lei non sapeva neppure quale fosse il motivo di tanta tristezza improvvisa, e lui si ritrovò a stringere il suo corpo, desiderando che fosse quello di Liam, perché da quando la sua band era in pausa si era sentito in diritto di potersi dimenticare temporaneamente anche di lui, anche se l'amore non viene e va come nulla fosse.
Mimava parole confuse, e sapeva che a quel ragazzo non sarebbe mai più importato come prima, perché lo aveva accusato di essere un vigliacco, ed uno stupido che riesce a farsi comandare pesino sul colore dei calzini da indossare, come se non fosse già abbastanza la pressione che riceveva continuamente. 
Lui voleva solo che Liam stesse dalla sua parte, che non ci fosse una ragazza sconosciuta bloccata in questo limbo insieme a lui, perché per quanto lei potesse dirgli 'Va tutto bene, smetti di piangere' c'era comunque quella sensazione opprimente sul suo petto che gli occludeva il respiro mentre inalava il odore femminile poco familiare, e così distante da quello che aveva amato di lui.
 
E, sì, si sentiva un vigliacco, come aveva detto lui. 
Avrebbe voluto che ci fosse lui nei suoi video musicali, a baciarlo sulle labbra, al posto di modelle bellissime di chi non riusciva neppure a ricordare il nome, che i loro manager li lasciassero fare foto liberamente, mano nella mano come fossero persone normali, perché, in fondo, era quello che sentivano di essere.
Non era stato lui a decidere di andarsene, ma non si era neppure minimamente opposto quando gli avevano messo davanti la notizia, e, successivamente, lui provò a giustificarsi, perché sapeva che Harry o Louis o Niall non avrebbero mai firmato quel contratto d'addio così facilmente. Ma lui non sopportava più di vedere quel ragazzo, che insieme a lui era diventato un uomo, scivolargli tra le dita come se il loro amore non valesse nulla, perché Harry e Louis erano finiti col consumarsi da soli, la pura dolcezza che avevano all'inizio, l'uno nei confronti dell'altro, era stata mutilata fino a diventare quasi odio, perché non sopportavano di vedere l'altro baciare una donna, o averci un figlio, anche se era solo una montatura mediatica e nessuno dei due avrebbe mai tradito volontariamente. 
Zayn poteva comprendere la loro crepa, ma il fatto che ce ne fossero due nello stesso gruppo, marcate e profonde, non era sostenibile, e lui sapeva che qualcuno avrebbe dovuto andarsene, ma non immaginava che sarebbe finita così.
 
Perché ora fissava il vuoto, in prima fila, ad una sfilata di moda che non gli sarebbe interessata in nessun caso, con accanto quella piccola donna che sentiva il suo stesso disagio a vedersi gli occhi di tutti addosso, oltre che alle fotocamere col flash.
Lei gli stringeva la mano un po' più forte quando lo sentiva sussultare, quasi impercettibilmente, per ricordargli che erano in vetrina e non potevano permettersi passi falsi.
In poche ora anche il punto più remoto del mondo avrebbe preso nota della loro relazione, dovevano risultare credibili, a tutti importava solo questo.
Ma nessuno si curava di sapere se fossero realmente felici.
 
 
Zayn sapeva che Liam, in qualche modo, aveva visto quelle fotografie, ormai lui e Kyra erano una coppia pubblica da quasi un mese, e trasudavano quel falso amore platonico con cui i media li dipingevano, anche se entrambi si lasciavano andare quando erano da soli, nella penombra di una camera da letto troppo grande per una persona sola. 
Lo immaginava mentre aggrottava la fronte, magari bevendo uno scotch nel salotto del suo appartamento, con quel sapore acido che gli scivolava in gola, mescolandosi all'amarezza che provava, e la sua voce nel telefono, in contatto con il suo manager, per chiedergli di avere anche lui una fidanzata, al più presto.
Perché Zayn sapeva come erano fatti entrambi, troppo orgogliosi per trovarsi faccia a faccia, a parlare di quanto il mondo non vada proprio come si riesca a programmare, né a sperare, e non si sentì neppure troppo stupito quando, non molto tempo dopo, anche Liam aveva una ragazza.
Aveva posato una semplice fotografia su Instagram, due volti vicini e sorridenti, senza uno sfondo specifico che ne descriveva uno spazio o un tempo in particolare, né un nome, un indizio. Solo un modo per sbattergli in faccia che anche lui aveva il potere di fare quei giochi, anche se non avrebbero condotto mai da nessuna parte.
Ma non poteva finire così, Zayn aveva rinunciato alle ultime due tappe del suo tour perché non riusciva neppure ad avere pace con sé stesso, odiava fare questo ai suoi fan ma non avrebbe sopportato l'idea di sentirsi male proprio sul palco.
Alla fine aveva agito per preservare il suo sogno, il suo talento, e si erano rivelate entrambe cose effimere, in confronto all'amore sconfinato che avrebbe nutrito per sempre, solo per lui.
 
Compose il suo numero: non poteva finire così.
Non gli importava dei fusi orari, dei suoi impegni, o di qualunque altra stronzata lui si sarebbe inventato pur di evitare di rispondere, voleva solo sentire la sua voce, sentirgli dire a chiare lettere che tutto quello era davvero finito, perché non avrebbe potuto convivere con quell'apatica tristezza un secondo di più.
Sospirò quando sentì suoni sconnessi dall'altra parte del telefono: qualcuno aveva accettato la chiamata, ma continuava a rimanere in silenzio.
"Liam" si limitò a dire, gli tremavano le mani, e anche la voce si era fatta più piccola. Non sapeva neppure in quale continente fosse, eppure neanche troppo tempo prima si dicevano veramente tutto. 
"Liam" continuò lui, perché quella volta non poteva arrendersi così.
"Si" disse una voce minuscola, sembrava quella di un bambino, ma sapeva che era la sua, non aveva dubbi su questo.
"Ti amo" mormorò, non si accorse di aver trattenuto il fiato fino a quando una stretta sul petto lo costrinse ad incanalare una quantità notevole d'aria per sentirsi un po' meglio. Ma non servì a niente.
"Sono a New York" tergiversò l'altro, perché non aveva la minima intenzione di soffermarsi sulle sue parole, anche se probabilmente queste avrebbero vagato nella sua mente durante le notti insonni, o nei momenti in cui si sentiva solo e perso.
"Anche io"
"Lo so, per questo sono qui. Ho sentito che hai annullato alcuni concerti, stai bene?" Sembrò riuscire ad acquistare il coraggio per parlare, lentamente, anche se erano passati mesi dall'ultima volta in cui si erano visti e, se lui non avesse chiamato, sarebbe rimasto a fissare il soffitto nella sua costosa camera d'albergo prima di ripartire con la stessa ansia che lo aveva portato fino a lì.
"Sì" mentì Zayn, perché non voleva parlare di tutto quello per telefono, e principalmente perché ora si sentiva nudo e vulnerabile di fronte a lui, anche se quel ragazzo lo aveva spogliato delle sue paure, prima di farle anche un po' sue.
"No" replicò Liam. Aveva imparato a conoscerlo più di chiunque altro.
"Tu stai bene?" Mormorò Zayn, sperando che almeno per lui la vita avesse preso un senso diverso.
"No"
"Vieni qui, non m'importa se non potemmo mai dichiararci. Non fa niente, ma vieni qui." Confessò tutto d'un fiato, il dolore lo aveva svuotato delle cose importanti e adesso non rimaneva altro che inutile cenere.
"Non voglio rivivere tutto di nuovo, Zayn" sillabò, e il suo nome, finalmente pronunciato da quella voce piccola e dolce, lo fece sentire come se ci fosse almeno una ragione per non dichiararsi morto, non ancora.
 
E Liam davvero si stava interrogando, chiedeva a sé stesso se ciò che stava facendo fosse giusto o sbagliato, ma quella volta non ci sarebbero stati uomini in giacca e cravatta a decidere della sua vita, del suo amore. Perché, nel dire quelle parole, si era già buttato giù dal letto di quella stanza fredda, e vi girovagava alla ricerca delle scarpe, che rinvenne distrattamente nell'armadio.
"Ti amo" 
E gli bastò sentire questo, ancora, dopo un mutismo bipolare, per trovarsi seduto nell'auto che aveva affittato poche ore prima, finestrini oscurati per ovattarsi nella sua privacy ed una felpa leggera addosso, nonostante facesse decisamente troppo freddo fuori.
Si definì stupido, perché sapeva dove si trovava l'appartamento di Zayn, lo aveva letto sui giornali, ma non ci aveva mai messo piede. E in quell'attimo desiderò che quella fosse anche un po' casa sua, che potessero arredarla con poster di band che ormai non ascolta più nessuno, desiderando anche loro di diventare una di quelle un giorno, perché la maturità negli anni porta a sperare anche quello: di diventare invisibili, almeno per un po'.
Ma lui quella notte lo era, o almeno si sentiva tale, e per il momento poteva andare bene così. 
Guidò per mezz'ora, l'auto scivolava sulla strada velocemente, e sperò che New York dormisse tutta in quel frangente, perché non avrebbe mai potuto giustificarsi, se fossero state scattate foto di lui in quel momento.
Ma non gli importava, parcheggiò nei sotterranei, l'ascensore sembrava prenderlo in giro, ma quella lentezza inaudita gli servì a ravvivarsi i capelli e a sperare che tutto potesse ritornare uguale a prima, perché nessuno aveva mai smesso di crederci davvero.
 
Non sapeva neppure quanto tempo era passato dal loro ultimo incontro, nascosti come ladri in alberghi fuori città per ritagliarsi scorci di tempo prezioso, ma pur sempre insieme.
E quando lo vide, scalzo, a coprirsi il corpo quasi nudo dietro la porta blindata, con lo sguardo già perso nel suo, il mondo intero si spense e nulla ebbe più la stessa importanza di prima. Non servirono parole, le loro labbra si scontrarono prima ancora che entrambi fossero al sicuro dietro la porta chiusa, ma davvero non importava a nessuno.
Perché si amavano e, quella notte, mentre facevano l'amore, Liam stringeva quell'uomo a sé voracemente, prima di impadronirsi di ogni cellula del suo corpo fino a renderla sua, perché le cose non sarebbero mai potute andare diversamente.
"Ti amo" riuscì a dirgli, finalmente.
Sembravano passati secoli dall'ultima volta che lo aveva fatto, forse era realmente così "Non importa se dobbiamo nasconderci, non voglio che tu te ne vada. Va bene così, Zayn, io ti amo. Non posso vivere senza sentirti parte di me."
"Liam" mormorò lui, e non nascose quelle lacrime che ormai gli solcavano il viso "Io non me ne sono mai andato veramente. So che voi quattro mi odiate, so che tu mi odi."
"Non è così" lo interruppe Liam, accarezzandogli i capelli, nudo insieme a lui nella penombra di quella stanza riscaldata dai loro respiri pesanti. "Noi non ti odiamo. Io sono stato arrabbiato con te, ma nessuno può odiarti. Ti capisco, siamo una band piena di problemi di cui il mondo non saprà mai nulla, ma io ti amo, questo non potrà cambiarlo mai nessuno."
"Ti amo" ripeté Zayn, perché aveva un disperato bisogno che lui sapesse quelle parole, che riuscisse a cucirsele sul cuore per non dimenticarsele mai. "Ci nasconderemo per sempre, ma io ti amo."
Liam non rispose, per lui un bacio fu più che sufficiente per sentirsi di nuovo in vita.
 
La loro vita sarebbe stata quella, forse non per sempre, ma neppure per un breve periodo, non avrebbero mai potuto cambiarne il circolo, in nessun modo.
E oggi, mentre Zayn canta quelle note che ha scritto per l'uomo che ama, camuffate come fossero parole dedicate a Kyra, lei lo osserva dalla prima fila e lo sostiene in ogni caso, anche se odia essere così facilmente riconoscibile adesso, e gli capita persino di sorridere, guardando la folla che acclama il suo nome, perché conosce il valore di quell'amore così segreto e puro, e vorrebbe che tutti riuscissero ad amarlo anche per quello.
Liam è più riflessivo, nelle canzoni non dice mai niente, non scrive molto di suo pugno, ma in ogni parola che viene fuori dalla sua bocca c'è una parte anche di lui, insieme a quei quattro ragazzi che si stringono in un abbraccio forte prima di cantare, perché in fondo non si può essere padroni proprio di tutto, anche se la vita normale non andrebbe vissuta così. 
Guarda i suoi amici con ammirazione: non sarebbe chi è se non avesse avuto tutti loro al suo fianco, a sostenersi a vicenda come in una barca che fatica a stare dritta, ma non per questo è destinata ad affondare.
Ed entrambi si ritrovano a sorridere, forse da due parti opposte del globo, e non importa se non passeggeranno mai insieme, se forse non intoneranno mai più tutti la stessa canzone, perché quando le telecamere di quella vita si spengono, loro iniziano a vivere per davvero, ritrovandosi a sentirsi di nuovo ventenni normali, tutti e cinque finalmente riuniti nell'appartamento dell'uno o dell'altro, ad immaginare come sarebbero se fossero da soli, senza trovare una risposta.
 
Perché se nessuno li vedrà mai più uniti, sullo stesso palco ad emozionarsi insieme, non dipende da loro, il loro cuore è così grande che potrebbe racchiudere tutte le persone che vogliono loro bene, per stringerle come se non esistessero confini.
Magari invecchieranno insieme, Liam ne è convinto, Zayn ha paura del futuro, perché non vuole rimanere da solo, anche se fondamentalmente sa che non sarà mai così.
 
È un amore invisibile, ma molte altre cose lo sono.
Eppure sono reali.
   
 
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