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Autore: _Clare_    23/09/2016    2 recensioni
Felicity Grint è la classica diciottenne impacciata, insicura ed attraente quanto la suola di una vecchia pantofola. Ryan Baileys è il classico belloccio inconcludente e sfacciato, disposto a tutto pur di sperimentare un po' di brio. Aggiungete una migliore amica fuori di testa, due famiglie sconclusionate, le luci abbaglianti di San Francisco, l'aria pazza della California ed una scommessa. Mischiate bene, mettetevi comodi e godetevi lo spettacolo. Ne vedrete delle belle!
“-Non è difficile, amico- incalzò Adam accostandosi a lui e passandogli un braccio pompato come un pneumatico dietro al collo. -Vai lì, sfoderi il tuo miglior sorriso “accalappia-pollastrelle”, e te la porti a letto. Facile, no?-
Ryan gli lanciò un'occhiata eloquente e divertita al contempo. -Se vinco- iniziò -mi devi una macchina.-
-Ma se perdi,- replicò l'altro ridacchiando -la foto delle tue belle chiappette finirà dritta sul sito della scuola. Buona fortuna.-”
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 7


Le nuvole si ammassavano le une sulle altre nel cielo, come grigi batuffoli di cotone.

Ryan le aveva dato buca. Aveva detto di avere un impegno improrogabile e che non gli sarebbe stato possibile vederla quel pomeriggio.

Feli non poté fare a meno di domandarsi se non fosse una scusa. Dopotutto, chi mai avrebbe voluto spendere ogni singolo Sabato a fare ripetizioni di matematica?

Io. Pensò. Io vorrei.

Dopo tutto quello che era successo appena una settimana prima, Feli non riusciva a non pensare che le cose stessero inesorabilmente cambiando tra lei e Ryan, anche se ancora non aveva capito in che modo.

Tina le aveva domandato se per caso non avesse preso qualche strana malattia virale, dal momento che il ragazzo aveva iniziato a salutarla perfino nei corridoi della scuola.

-Ciao, Feli- le diceva.

E quella piccola premura bastava a farla sentire inesorabilmente parte del suo mondo.

Tina ed Adam, invece, non erano anime altrettanto affini. Era tutta la settimana che il ragazzo aveva iniziato ad organizzare scherzi di pessimo gusto per “darle una lezione” (come recitavano i bigliettini che venivano sempre rinvenuti sul luogo del delitto), e Tina, per contro, faceva lo stesso, cercando di rendere il proprio scherzo sempre mille volte peggiore di quello di Adam.

Proprio quella mattina, Tina aveva ritrovato il suo preziosissimo libro di biologia sopra al suo banco, sotto forma di origami.

Si era infuriata a tal punto che Feli aveva pensato che sarebbe esplosa come una bomba.

Poco dopo, aveva intravisto Adam camminare per l'atrio con i vestiti ridotti a brandelli.

Armata di forbici, Tina si era introdotta negli spogliatoi maschili durante l'ora di educazione fisica (che consisteva in una lezione di nuoto) ed aveva reso pan per focaccia al ragazzo.

Quello era un periodo fin troppo frenetico. Il Natale si stava avvicinando, e lei sentiva la testa piena di pensieri contrastanti: pensare allo shopping, alle decorazioni ed ai regali era snervante.

Erano quasi le sei del pomeriggio, e lei aveva passato praticamente tutta la giornata a fissare fuori dalla finestra, come un'ebete. Faceva troppo freddo per mettersi sulla veranda.

-Feli- la richiamò suo padre.

Lei si voltò, guardandolo interdetta. Stava cucinando un soufflé al cioccolato ed indossava un grembiulino rosa ricoperto di trine e merletti che aveva comprato al mercatino mensile dell'usato. Portava la scritta: “BEST DADDY EVER, MOTHERFUCKERS!”.

Per un attimo, Feli ringraziò che Ryan non fosse lì ad assistere a quello scempio.

-Come mai non è venuto, oggi?-

-Chi?- fece lei, fingendo di non aver capito la domanda.

-Quell'idiota che viene sempre di Sabato- rispose Gregory. -Quel Baileys.-

Si ricordava addirittura il suo nome? Doveva trattarsi di una cosa seria, allora.

-Ha detto che era impegnato- liquidò in fretta, sperando che suo padre non indagasse oltre.

-Capisco- si limitò a commentare l'uomo. -Lo uccido.-

Feli sospirò, ma non disse nulla.

Improvvisamente, il suo cellulare, appoggiato di fronte a lei sul tavolo, prese a squillare insistentemente.

Feli lo prese in mano, convinta che si trattasse di Tina, ma quando lesse il nome sul display il suo cuore perse un battito: “Ryan Baileys”.

Schizzò in piedi e corse di sopra, in camera sua, senza preoccuparsi minimamente della reazione di suo padre.

Chiuse la porta e rispose. Le tremavano le mani.

-Pronto?-

Perché mai Ryan avrebbe dovuto chiamarla? Le avrebbe spiegato il motivo per il quale non era venuto? Sarebbe venuto a quell'ora? Non sarebbe venuto più?

La sua testa era un turbinio incessante di domande.

Rivedeva la distesa di stelle brillanti sopra alla sua testa e le labbra di Ryan ad una distanza tanto breve da essere illegale.

-Ciao- disse lui, dall'altro capo del telefono. La sua voce, nella cornetta, suonava più metallica e cupa.

-Ciao- rispose lei. -Perché mi hai chiamata?-

Feli si morse la lingua per farsi stare zitta. Era stata troppo irruenta, come al solito. Perché diamine riusciva a rovinare sempre tutto?

-Mi sentivo in colpa- ammise subito lui. Sembrava imbarazzato da quella confessione. -Oggi non ci siamo visti.-

Feli lasciò andare un sospiro dalle labbra il più piano possibile, per fare in modo che lui non lo sentisse. Si abbandonò distesa sul letto, con gli occhi fissi sul soffitto bianco e spoglio della sua stanza.

-No- confermò, non sapendo cos'altro dire. Sperava solo che la conversazione non diventasse imbarazzante.

-Mia sorella è venuta a trovarmi- spiegò spontaneamente lui. -Abita in Kansas con suo marito, quindi non la vedo spesso.

Feli sentì un'improvvisa sensazione di calore che le si spandeva nel petto. Sentire Ryan che le rivelava dettagli così privati della sua vita, in qualche modo, la rendeva emozionata.

-Hai fatto bene a stare con lei- rispose, percependo la dolcezza nella propria voce.

Si domandò improvvisamente che tipo di famiglia fosse quella di Ryan.

Com'era la sua casa? Che tipo era suo padre? Ryan aveva lo stesso sorriso di sua madre? C'erano altri fratelli o sorelle, in famiglia?

E soprattutto, perché si interessava tanto a lui? Per quale motivo voleva scoprire tutte quelle cose sul suo conto?

-Ti va di vederci ora?- le chiese a bruciapelo, facendola sussultare.

Feli si schiarì la voce prima di parlare. -Vuoi fare ripetizioni adesso?-

Per una manciata di secondi, dall'altro capo del telefono non si udì neppure un fiato. Pensò che fosse cascata la linea, quando lui le rispose: -Voglio stare con te.- Altri secondi di silenzio. -Ti va?-

Feli si teneva una mano premuta contro le labbra per impedirsi di dire cose stupide.

Quella proposta la rendeva così felice che quasi aveva voglia di urlare.

-Sì- soffiò alla fine. -Sì, mi va.-

-Perfetto- rispose Ryan, e dal modo in cui suonò la sua voce, Feli intuì che stesse sorridendo.

Sorrise a sua volta.

Sei una stupida.”

-Vediamoci nel parchetto dietro casa tua, così non devi fare troppa strada da sola.-

-Ma io...- fece per interromperlo, ma lui aveva già riattaccato.

Feli allontanò lentamente il telefono dall'orecchio, sconvolta.

Che cosa c'era esattamente tra loro due? Ballare insieme, rotolarsi sull'erba, chiamarsi al telefono, farsi confidenze ed incontrarsi fuori da scuola.

Si erano quasi baciati.

Qual era la loro etichetta? Conoscenti? Amici? Qualcosa di più?

Qualunque categoria le sembrava così riduttiva da non poter essere assolutamente considerata.

E, soprattutto, che cos'era, per lei, Ryan Baileys?

 

***



Tina si domandò se i due lampioni che si stavano sovrapponendo davanti ai suoi occhi non fossero, effettivamente, uno solo.

Barcollò sul posto per un po', prima di decidersi a stringersi nella giacca ed avanzare.

Erano le sei della sera, l'inverno sopravanzava, ed a quell'ora il cielo iniziava già ad incupirsi.

Convenzionalmente, quello non era un buon orario per essere ubriachi, ma lei aveva appena rotto definitivamente con il suo ragazzo, quindi era legittimata ad essere ubriaca a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Dopo l'ultimo “incontro di chiarimento”, era ormai evidente che la sua strada e quella di Terence fossero due rette parallele destinate a non incontrarsi mai, ragion per cui, dall'alto dei suoi diciotto anni, era entrata in un bar, aveva finto come al solito di averne ventuno, e si era scolata quasi una bottiglia intera di grappa.

E, così brilla, Terence diventava solo l'ennesimo trentenne che poteva anche andare a farsi fottere.

Era stufa di tutta quella storia.

La strada che stava attraversando era l'ultima prima di casa sua.

Era stretta e non particolarmente illuminata, però il vicinato aveva pagato una ditta di giardinaggio perché disponesse delle belle aiuole curate sui due lati della carreggiata.

La zona era deserta quella sera. Passando, notò solo una figura alta e fin troppo pompata che avanzava verso di lei, ridacchiando sommessamente al telefono.

Quando gli fu più vicina, riconobbe immediatamente di chi si trattasse.

-Lo so, zuccherino- cinguettò il ragazzo nella cornetta. -Ma non dovrai aspettare molto. Tra poche ore sarò tutto tuo.-

Senza pensarci due volte, si fermò di fronte a lui, piantandosi le mani sui fianchi e allargando le gambe proprio come un lottatore di sumo. Aveva deciso di indossare un paio di stivaletti con i tacchi, quel pomeriggio, ma anche con quell'ausilio era comunque più bassa di lui.

-Tu!- sbraitò, puntandogli un dito contro. -Tu, lurido puttaniere! Sporco doppiogiochista, feccia della Terra!-

Adam Carter sgranò gli occhi, basito, guardandola come se si fosse trattato di una marziana.

Era ubriaca, che si aspettava?

-Sì, proprio tu, batterio uuunicellulare!-

Adam le lanciò uno sguardo assassino, ma non si mosse. Semplicemente, bofonchiò uno “Scusami piccola, devo attaccare” al telefono, per poi lasciar scivolare il cellulare nella tasca posteriore dei jeans.

-Tonia?- fece, squadrandola da capo a piedi. -Sei tu?-

-Tina!- ringhiò imbufalita lei. -T-I-N-A! Sei così stupido che non riesci a ri-ri-riiiiicordare nemmeno questo!-

Adam incrociò le braccia al petto, sinceramente spazientito. -Sei ubriaca? Wow, ed io che pensavo che quelle come te considerassero l'alcool l'ottavo peccato capitale.-

-Stai zitto- disse, agitando convulsamente un dito della mano. -Sei stupido.-

Detto questo, barcollò fino al muro e si accasciò a terra.

-Che stai facendo?- le domandò lui, seguendola. Aveva un sorrisetto idiota che le faceva venire voglia di vomitargli sulle scarpe, mentre la guardava dall'alto in basso.

-Aspetto la morte- ammise, socchiudendo gli occhi. -Stai pensando di farmi uno scherzo anche adesso, eh? Non è vero? Confessa!- gracchiò, lanciando acuti che sfioravano l'ultrasuono.

Adam fece spallucce, ridacchiando. -No, mi godo solo la scena. Ti stai già mettendo abbastanza in ridicolo da sola.

-Stupido Carter- sputò inviperita Tina, sull'orlo delle lacrime. -Stupido Terence. Stupidi penedotati!-

-Oh, sì- assentì Adam, cercando di reprimere una risata che minacciava di esplodergli in gola. -Stai messa decisamente peggio di me dopo dieci shottini di fila.-

-Fottiti- bisbigliò Tina, massaggiandosi le tempie.

Poi si sporse in avanti, strisciò gattoni fino ad una delle aiuole, e vomitò.

-Disgustoso...- biascicò ad operazione conclusa.

-Puoi dirlo forte!- ridacchiò Adam. Si stava sul serio impegnando per non prendere il telefono e farle un bel video, era evidente.

Tina apprezzò il gesto, anche se non lo diede a vedere.

Alla fine, semplicemente, si sedé per terra con le gambe incrociate. Vedeva alcune ciocche viola di capelli ondeggiarle scompostamente davanti agli occhi.

Era patetica.

-Sono stanca- disse all'improvviso, affondando il viso tra le mani. -Taaanto stanca.-

Adam non mosse neppure un muscolo, rimase solo fermo a fissarla.

-Portami a casa- bisbigliò lei. Avere la faccia coperta dalle mani non la rendeva una cosa così strana, giusto? Non era stupida e penosa. -Sono troppo ubriaca. Non credo di riuscire ad azzeccare il portone giusto da sola.-

Adam rimase in silenzio per qualche istante.

Tina non voleva guardare.

-Per favore- aggiunse, cercando di non iniziare a singhiozzare proprio lì, davanti a lui. -Portami a casa.-

Non aveva idea di che faccia stesse facendo lui. Non sapeva se la stesse guardando o meno, se fosse ancora lì o se se ne fosse andato lasciandola tutta sola.

All'improvviso, però, sentì che due mani forti e delicate le stavano stringendo le braccia, sollevandola e sorreggendola.

-Ah!- esclamò Adam, esasperato. -Ma tu guarda cosa cazzo mi tocca fare, di Sabato sera!-

Tina ridacchiò, poi sbirciò tra indice e medio premuti ancora contro la pelle bollente del viso.

Il profilo mascolino di Adam si stagliava contro un cielo rosso scuro e grigio cenere. Non sembrava arrabbiato. Sapeva di acqua di colonia e bagnoschiuma.

-Stupido Carter.-

 

***


Quella sera, le strade erano completamente deserte. San Francisco era una città strana: alle volte era così piena e brulicante di persone che sembrava esplodere di vita, brillante ed eccitante. Altre volte, invece, sembrava un fantasma di vento, cielo e palazzi alti ed ultramoderni.

Suo padre non le aveva fatto troppe storie quando era uscita di corsa di casa. Aveva detto che sarebbe andata da Thes, poiché c'era un amuleto che doveva assolutamente restituirle, eppure Gregory Grint non le era sembrato particolarmente convinto. Forse lui sapeva molto più di quanto non avrebbe voluto dare a vedere.

Quando giunse nel parco dell'appuntamento, si chiese se avrebbe dovuto aspettare a lungo: nella fretta aveva indossato solo una giacca leggera ed un paio di scarpe di tela, ma il freddo era pungente.

Si pentì di non aver indossato qualcosa di più carino della sua tuta sformata, di non essersi pettinata i capelli o di non aver messo nemmeno un velo di burro di cacao sulle labbra.

Si domandò per quale motivo stesse facendo attenzione a cose di cui non si era mai preoccupata. Desiderare di essere carina, o addirittura bella agli occhi di qualcuno era qualcosa che solo le ragazze innamorate facevano.

Ma lei non era innamorata di Ryan.

Forse aveva preso una cotta, forse era semplice attrazione, forse non lo sapeva bene nemmeno lei.

Eppure, nel momento esatto in cui intravide il ragazzo seduto su una delle altalene del parco, Feli sentì il cuore che le scivolava giù dal petto, sciolto i mille farfalle che le frullavano nello stomaco.

Brutto segno.

Allungò il passo e lo raggiunse.

Era troppo alto, e le sue gambe lunghe stavano stese lungo lo sterrato, strette in un paio di vecchi jeans sgualciti.

Anche lui sembrava essersi preparato in fretta e furia: aveva dimenticato la giacca, ed indossava solo una felpa blu.

Feli notò immediatamente che avesse le labbra pallide.

-Devi stare attento- esordì, ficcando le mani nelle tasche. -Rischi di prendere l'influenza, così.-

Ryan alzò gli occhi su di lei con una lentezza tale da farla sentire un'idiota. Quella sera, erano di un celeste ancora più intenso, un colore pastoso e brillante. Se avesse saputo dipingere, avrebbe usato quel colore per rappresentare oceani e cieli sterminati.

Feli notò che non avesse una bella espressione. Sembrava abbattuto.

Inclinò la testa di lato, lasciando che un paio di ciocche castane le scivolassero sulle spalle. -Che c'è?- domandò.

Ryan non aprì bocca. Si produsse in un sorrisetto a mezza bocca e tornò a guardarsi le ginocchia, amareggiato.

Feli ne approfittò per scivolare sull'altalena al suo fianco. Si diede una spinta ed iniziò a dondolare, avanti ed indietro, godendosi l'aria che le scompigliava i capelli e le schiaffeggiava il viso.

-Sai, tu mi fai un effetto strano, Felicity Grint- iniziò il ragazzo, dandosi a sua volta una spintarella.

Feli sperò di non essere arrossita.

-Perché?- chiese. -Che effetto ti faccio?-

Lui ridacchiò, divertito. Ci fu qualcosa, negli istanti di silenzio che precedettero la sua risposta, che le fece correre una serie di brividi su per la schiena. Forse era stata la sua risata. Suonava dolce e melodica, una serie di note pizzicate sull'arpa delle sue corde vocali.

-E' facile stare con te- rispose alla fine. -Posso smettere di essere me stesso.-

Questa volta fu il turno di Feli di ridere. -E chi vorresti essere?- domandò, curiosa. I suoi piedi strusciarono sulla sabbia, sollevando una nuvola di polvere mentre l'altalena si fermava.

Ryan fece lo stesso. -Tu non hai mai voluto essere qualcun altro?- domandò. Ancora non la stava guardando. Sembrava quasi che si vergognasse di quelle parole. -Qualcuno di migliore, qualcuno che non ha bisogno di mantenere uno status, o un nome, o un'identità. Qualcuno che può permettersi di essere triste, ed arrabbiato, e deluso.-

Per qualche istante, tutto si fermò. Solo le minuscole particelle di polvere danzavano, intorno a loro, mischiandosi nella notte. I loro respiri si condensavano in minuscole nuvolette di vapore. Feli iniziava a capire. Guardò il profilo tagliente di Ryan, una macchia oro ed azzurro, un delicato sovrapporsi di linee spigolose che lo rendevano semplicemente perfetto.

-Sei triste?- domandò, quasi sottovoce. -Sei arrabbiato e deluso?-

Ryan si voltò di scatto verso di lei. I suoi occhi erano lame blu e brillanti, le sue labbra petali di rosa sbiaditi dal freddo.

Non era solo carino o affascinante. Ryan era bello. C'era beltà nei suoi lineamenti, una precisione rara e marcata che Feli non aveva mai visto.

Si chiese ancora una volta come fossero i suoi genitori, come fosse possibile ereditare dei tratti tanto armoniosi.

Ryan si schiarì la voce, prima di parlare. -Ti do quest'impressione?- le chiese.

Feli non distolse lo sguardo dal suo nemmeno per un istante. Avrebbe voluto accarezzarlo, e per questo si ficcò le mani ancora più a fondo nelle tasche. -Un po'- confessò. -Mi sembri abbattuto.-

Ryan strinse tra loro le labbra, poi sospirò. -Hai ragione.-

Feli attese qualche secondo prima di parlare. Aveva paura che sentisse freddo e che si sentisse solo.

-Perché ti senti così?- chiese, quasi sottovoce.

Ryan si lasciò scappare una risatina divertita. -Hey, ti pago per darmi ripetizioni, non per farmi da psicologa! Ti ho fatta venire fino a qui a quest'ora della sera e...- si interruppe, cercando le parole giuste. -Io sono un idiota, Feli. E tu non devi per forza...-

-No- replicò asciutta lei. Si alzò in piedi e si piantò proprio davanti a lui. Le sue gambe slanciate, così piegate, facevano sembrare l'altalena ancora più stretta.

-Tu non sei un'idiota, ma fai finta di esserlo. E no, non sono la tua psicologa, ma voglio conoscerti. Fai sempre la parte qualcuno che non sei. Fingi che la tua vita ti vada bene com'è, piena di ragazze, voti orribili e libertà. Ma sai... io credo che non sia così.-

Ecco, l'aveva detto. Ora era nei guai. In grossi, giganteschi guai. Gli occhi di Ryan non accennavano a staccarsi da lei. La perforavano, fino a farla sentire piccola quanto un moscerino.

-Sei un bravo ragazzo- aggiunse, deglutendo. -E non c'è niente di vergognoso o imbarazzante in questo, Ryan.-

A quel punto, anche lui si alzò, trovandosi improvvisamente così vicino a lei che quasi le sembrò di perdere l'equilibrio. Era vertiginosamente alto, le sue spalle erano ampie, il suo collo perfettamente tornito e, per qualche strana ragione, Feli si ritrovò a desiderare le sue mani grandi su di lei, strette intorno alla sua vita.

Cercò di indietreggiare, ma non riuscì a muovere neppure un muscolo. Era incantata da Ryan Baileys, dai suoi occhi cristallini, dal modo che aveva di muoversi, di parlare, di vivere in prima linea, di prendere tutte le pallottole e nasconderle dietro strati di buonumore.

Da quando l'aveva conosciuto, non l'aveva mai visto triste. Neppure una volta. Nemmeno per sbaglio.

Eppure Ryan era così umano, così vero. C'era, da qualche parte, un universo in cui loro due erano più vicini? In cui i loro mondi non erano poi tanto differenti?

Feli aveva continuato a chiederselo incessantemente ogni giorno, ma forse la risposta sarebbe arrivata prima di quanto pensasse.

Lo sguardo di Ryan era rapace, selvaggio, su di lei.

Era calata la sera, ma Feli sentiva improvvisamente caldo. Lui era vicinissimo.

-Sono un bravo ragazzo, Feli?- domandò, accigliandosi. Prese un lungo respiro, come se ci fosse qualcosa di non detto, qualcosa che le avrebbe fatto del male.

Ma Ryan non poteva farle del male.

Sono solo ripetizioni.”

-Forse è vero- sibilò ancora, le ciglia trasparenti che sfioravano gli zigomi alti. -Forse io fingo. Forse mento. Forse non sono un bravo ragazzo e forse sto cercando di trarti in inganno. E forse tu sei troppo ingenua per accorgertene.-

Feli non riusciva più a sentire la punta delle dita, ma aveva caldo. Un caldo infernale. Sapeva di essere avvampata.

-Forse io voglio essere ingannata- sussurrò. -Forse mi va bene così.-

-Beh, non dovrebbe- tagliò corto lui.

Poi si allontanò di colpo, come se starle accanto un istante ancora avesse potuto distruggerlo.

Feli sentì di poter riprendere finalmente a respirare.

Che sta succedendo?!” gridò la sua testa. “Che cosa stai facendo?!”

Ma Feli non era in grado di rispondere a quella domanda.

Vide Ryan che chiudeva gli occhi e buttava indietro la testa. Era perfetto. Semplicemente perfetto.

-Andiamo- disse. -E' tardi. Ti accompagno a casa.-

 

***



Ed era così che finiva. Con la ragazza della porta accanto, Felicity Grint, che riusciva a leggerlo come un libro aperto. Con i suoi occhi verdi che scintillavano nella penombra di un parco tanto forte che rischiavano di accecarlo e le sue labbra screpolate che lo attiravano come il miele con le api.

Avrebbe potuto baciarla, lo sapeva. L'aveva scoperto dal modo adorabile che aveva di arrossire che lei non l'avrebbe respinto. Ma se l'avesse fatto, chi avrebbe perso davvero, tra i due?

Quella stupida scommessa lo stava affossando.

Feli lo capiva. Lo prendeva come nessun'altra aveva mai saputo prenderlo. Nemmeno Allison.

Ora che stavano percorrendo la strada fino a casa sua, in silenzio, l'uno al fianco dell'altra, Ryan sentiva solo i loro passi sull'asfalto ed il suo cuore forte contro le tempie.

Feli aveva il passo leggero, più corto del suo, anche se cercava di stargli dietro.

Tirava su con il naso ogni tanto e camminava a testa bassa, con la schiena ricurva.

Era esile, quasi si perdeva nella tuta che indossava. E Ryan moriva dalla voglia di vederla sorridere.

Non riusciva a spiegarsi il motivo per cui l'aveva chiamata, quella sera, continuava a domandarsi per quale assurda ragione, dopo aver parlato con sua sorella, la prima persona a cui aveva pensato era stata lei.

Sei triste, arrabbiato e deluso?”

Sì, lo era. Lo era perché la sua vita faceva schifo, perché la sua famiglia stava cadendo a pezzi e perché lui non aveva le palle di uscire da quella maledetta casa e raggiungere sua sorella in Kansas. Perché continuava a sperare.

La verità era che Ryan Baileys voleva di meglio, che le ragazze, l'alcool e le risate non riempivano le notti che passava sveglio ad ascoltare le grida nell'altra stanza. Era stanco di vivere così.

Ma Feli... oh, Feli! Feli che lo portava a vedere le stelle e lo ascoltava parlare come un idiota. Non che Adam non lo facesse, ma con lei era diverso. Ed era tentato di raccontarle tutto, ogni cosa, e mandare all'aria la scommessa. Feli era troppo pura per essere sporcata da un bastardo come lui.

Eppure non ci riusciva. Perché lui era Ryan Baileys, ed aveva una reputazione da mantenere.

E Feli sarebbe stata solo una delle tante.

La guardò di sottecchi, mentre imboccavano il vialetto di casa sua. Ormai erano arrivati sulla porta.

Si vedeva lontano un miglio che aveva paura di parlare, anche se c'erano miliardi di cose che avrebbe voluto dire.

Sospirò e si umettò le labbra. -Grazie per essere venuta, stasera- disse. -Lo apprezzo tanto.-

Lei annaspò. Era evidente che ci fosse qualcosa, ma lei non parlava.

Ryan sorrise. Avrebbe voluto abbracciarla, ma non si mosse.

-Buonanotte.-

-Anche io volevo vederti- sputò alla fine.

Ryan cercò di non mostrarsi sorpreso, ma sentì nel petto il cuore che iniziava ad accelerare i battiti. Lei prese a passarsi i capelli dietro alle orecchie quasi compulsivamente, agitatissima. -Passare del tempo con te mi fa stare bene- confessò.

Parlò senza pensare, senza riuscire a smettere di guardarla. -Che fai a Natale?- chiese.

-A-a Natale?- balbettò lei, confusa. -Lo trascorrerò con la mia famiglia, credo. Perché?-

Lui sentì la delusione abbattere le sue speranze con la forza di un uragano. -Oh- disse. -Capisco.-

-Tu che farai?- gli domandò di rimando lei. Inclinò di nuovo la testa di lato, rischiando di fargli venire un infarto. La bellezza di Felicity Grint era senza ombra di dubbio sottovalutata da tutta la scuola.

-Non lo so- ammise, stringendosi nelle spalle. -Credo che me ne andrò in giro a bighellonare oppure scroccherò a casa di Adam...-

Feli lo guardò interdetta per qualche istante, poi, alla fine, prese un respiro lunghissimo, come se stesse cercando di inspirare tutta l'aria del mondo.

-Se non hai nulla da fare,- azzardò -perché non vieni a stare con noi?-

Ryan sgranò gli occhi, basito. Non gli aveva appena proposto di passare il Natale con quegli svitati dei suoi parenti, giusto?

-Io non vorrei disturbare...- tentò, sfoderando un sorrisetto incerto, ma, all'improvviso, la porta alle sue spalle si spalancò, rivelando la figura imponente di Gregory Grint.

L'uomo era una visione rosa: indossava un grembiulino ambiguo, ricamato con una scritta ancora più ambigua. Ad ogni modo, Ryan cercò di non mostrarsi inquietato. -Buonasera, signor Grint.-

L'uomo lo fulminò con lo sguardo, prima di guardare sua figlia con cipiglio severo.

Feli era improvvisamente sbiancata.

-Mi avevi detto che saresti andata da Thes- tuonò.

Lei deglutì e poi boccheggiò, alla ricerca di una risposta sensata.

Ryan si sbrigò ad andare in suo soccorso. -Ci siamo incontrati per strada- mentì. -Io ero di ritorno dopo aver fatto visita ad un amico, e ho pensato che sarebbe stato di cattivo gusto non accompagnarla a casa.-

L'espressione di Feli sprizzava gratitudine da tutti i pori. Ryan stava immobile come una statua di marmo. Gli si era seccata la gola.

-Ma che cavaliere- commentò Gregory, incrociando le braccia al petto. Sembrava pronto a saltargli al collo da un momento all'altro. -Quindi il misterioso impegno che ti ha impedito di venire a casa nostra, quest'oggi, era l'incontro con questo tuo amico.-

Ryan annuì, ma non rispose. Il padre di Felicity era una delle poche persone al mondo che riuscva ad incutergli vero e proprio terrore.

Gregory si mordicchiò l'interno di una guancia, pensieroso, mentre continuava a squadrarlo da capo a piedi.

-E sia- acconsentì infine. -Baileys, sorridi! Sei invitato a casa nostra a cena il venticinque Dicembre. Vedi di trovarti qui alle otto, puntuale.-

Ryan tremò, ma non ebbe il coraggio di rispondere.

Feli rivolse a suo padre un'occhiata indignata. -Stavi origliando!-

-Ma figurati!- mentì palesemente l'altro, alzando le braccia sopra al capo.

Dall'interno della casa, una vocetta squillante rideva contenta. -Greg!- chiamò un'altra voce, questa volta femminile. Doveva trattarsi di Vanessa Grint. -Chi è alla porta?-

Gregory lanciò un ultimo sguardo truce al ragazzo, poi urlò: -Solo una mezzacalzetta, amore!-

Detto questo, rientrò in casa, lasciandosi dietro solo una scia al profumo di cioccolato.
Ryan pensò che gli sarebbe piaciuto avere una famiglia come quella, una casa piena di profumo e ridate e parole.

Feli sospirò. -Ovviamente ci farebbe molto piacere, ma non sei obbligato, se non vuoi...-

Ryan la guardò torturarsi le mani per qualche istante prima di rispondere. -Okay- disse. -Ci sarò.-

Lei alzò di scatto la testa, improvvisamente luminosa come il sole. -Sul serio?- Sorrise.

-Sul serio- replicò lui, portandosi una mano sul cuore. E poi, tutto sarebbe stato meglio che restare a casa.

Feli si morse un labbro, entusiasta. -Okay- disse, indietreggiando fino alla porta. -Okay, allora... ti aspetto il venticinque.-

Ryan non riuscì a trattenere una risatina. Era impacciata fino all'impossibile. -Puoi contarci- le rispose, poi le fece l'cchiolino.

Lei arrossì. -Buonanotte, Ryan.-

C'era speranza negli occhi di Feli. Non si trattava solo del loro colore. Si trattava di promesse e di possibilità. Un giorno o l'altro, sarebbe andata meglio.

E, in fondo, l'idea di trascorrere il Natale con i Grint non gli dispiaceva poi così tanto.

Si sorrisero, Ryan non avrebbe voluto andarsene.

-Buonanotte, Feli.-

   
 
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