Serie TV > The Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: asia_mia    25/09/2016    3 recensioni
Sullo sfondo di una New York ai giorni d'oggi, un amore, lo stesso da sempre, che non muta, non finisce, tiene legati Damon ed Elena in un rapporto viscerale, disperato, malsano a volte, ma mai, mai sbagliato.
Dal prologo:
«Dove sei?»
«No, non farlo…»
«Sono già in moto.»
«Non va bene Damon, non possiamo vivere così, io…»
«L’idea di vivere senza di te non è contemplata in questa vita, quindi, per favore, dimmi dove sei.»
Non le lascia spazio, è una corda che non si allunga, un fiato che si spezza ma non si spegne mai, una strada senza uscita, un legame che scorre dentro, nella pelle, nelle vene, fino alle viscere.
Dannazione, farebbe l’amore con lui in questo momento se potesse, anche in mezzo alla strada, anche incazzata com’è, non riesce a fermarsi, a fermarlo.
Perché lui torna sempre, se la va a riprendere dappertutto, in qualunque posto sbagliato, con qualsiasi stato d’animo, non può fare altro che piegarsi a lei.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



 
Capitolo 1°

E’ appena l’alba, quando le prime luci del mattino si intrufolano tra le tende del loro appartamento, una delle suite presidenziali del Gansevoort Park Avenue, tra i grattaceli più maestosi di tutta Manhattan, di cui lui è il proprietario.
I vestiti sono sparsi per terra, tra i cuscini e le pieghe del lenzuolo.
C’è ancora l’odore di lacrime e sudore, il profumo di vaniglia di lei misto a quello forte e pungente di lui, c’è un casco, gettato sul tavolino dell’ingresso, un paio di tacchi incastrato tra le trame del tappeto, il rossetto rosso sbaffato sul bianco del cuscino.
C’è un uomo, che tiene stretta a sé una donna, nudi entrambi, intrappolati l’uno nell’altro, come a non poter respirare senza dar ossigeno anche all’altro.
La luce che penetra appena illumina solo lei, il suo viso, i suoi occhi serrati, la bocca socchiusa, i suoi capelli scuri e scompigliati che invece nascondono e danno riparo al volto di lui.
Il lenzuolo, aggrovigliato tra i loro corpi, lascia scoperta la schiena e i piedi di lui e copre appena il seno nudo di lei, un braccio che la tiene stretta per la vita e la schiena che aderisce completamente al torace di lui. Lo sente muoversi impercettibilmente, respira insieme al suo respiro, sente ancora pulsare il suo basso ventre e la sua pancia contrarsi appena, per la notte passata, ha il suo profumo addosso e lui, dopo il sesso, ha un odore che le fa girare la testa.
Non sa quanto ancora durerà, il mattino l’ha già svegliata e ha gli occhi già ben aperti, sotto quelle palpebre chiuse.
Prende un respiro più lungo degli altri prima di aprirle del tutto, infastidita più da quello che sente dentro che da ciò che c’è fuori.
Osserva immobile quella stanza, ormai conosciuta a memoria, quella foto sul comodino, sul ponte di Brooklyn, abbracciati ed euforici come due turisti in vacanza, con il bisogno di immortalare ogni angolo di quella immensa città. In realtà, per loro, fu il giorno in cui lui le chiese di trasferirsi lì, erano mesi ormai che lei soprattutto, per il suo lavoro ma anche per vedersi, faceva avanti e indietro da Atlanta, era l’ultima sera quella, l’indomani sarebbe partita di nuovo, era stata più un’affermazione casuale, quella di lui, buttata lì per carpire la sua reazione, che una proposta vera e propria, del genere ‘beh dopotutto sono il proprietario di un grattacielo, una stanza per trasferirti definitivamente qui potrei anche concedertela.’
Lei, invece, aveva colto la sua di intenzione e il viaggio successivo fu quello definitivo, lasciò la sua città, i suoi genitori a cui era affezionatissima, suo fratello, i suoi amici e iniziò una nuova avventura, assieme all’uomo della sua vita.
Questo era lui per lei, da sette anni ormai, eppure l’aveva capito subito, la prima volta che l’aveva visto, era una stagista e le era stato chiesto di affiancare un fotografo e scattare delle foto al nuovo proprietario di un famoso hotel newyorkese subentrato al padre, si era ritrovata davanti l’uomo più affascinante ed ammaliante che avesse mai visto.
 Aveva dovuto impiegare tutte le sue arti amatoriali però, lui, e tutta la sua pazienza per farsi concedere anche solo un appuntamento in quei giorni.
Sentiva di non potersi fidare, di non dover mollare il controllo, sapeva di dover stare attenta, perché lui la invadeva, le faceva perdere ogni riferimento, la mandava in estasi solo pronunciando il suo nome, in quel modo basso e sexy da toglierle il fiato.
Poi, l’ultima sera, le aveva offerto una cena nella terrazza privata all’ultimo piano del suo grattacelo, in cui lei alloggiava, le aveva acceso candele e regalato la vista di una New York mozzafiato, le aveva raccontato di suo padre, di come quel grattacelo era finito per ereditarlo lui, di suo fratello, sposato con quella che poi sarebbe diventata una delle migliori amiche di lei, perfino di sua madre, morta quando lui aveva solamente dieci anni.
Lei si era lasciata cullare dalle sue confessioni, aveva visto l’uomo che era davvero, non quello che fingeva di apparire, aveva solo vent’anni all’epoca eppure, in quegli occhi che la fissavano spudoratamente e profondamente, in quel sorriso storto ma pulito, nel modo in cui la sfiorava e leggeva, sapeva di non avere scampo.
Le aveva rubato un bacio prima di andare via e un appuntamento in un caffè di Atlanta, sarebbe arrivato in capo al mondo per quella ragazzina e lei gli aveva concesso entrambi.
C’era qualcosa nei loro occhi, che li avrebbe incastrati per sempre.
Si chiede ora cosa ne sia di quelle due persone, travolte dalla passione e da promesse d’amore così facili e possibili, a cinque anni dal suo trasferimento in quella città e in quella casa, ripercorre i loro alti e bassi in un modo cosciente e stanco, si domanda dove sia finito tutto questo e perché abbiano così bisogno di ferirsi e farsi male per dimostrarsi di amarsi così tanto.
 
«Elena…»
 
Fa ancora lo stesso effetto alle sue orecchie, il modo in cui lui pronuncia il suo nome, il tono che usa, la definizione e completezza che le dà.
Aveva sentito il suo respiro farsi più corto ed irregolare, aveva capito fosse sveglio ma col timore di destarlo completamente era rimasta immobile, con il corpo incollato al suo.
Ha bisogno di socchiudere gli occhi per poter prendere fiato e rivelargli l’unica cosa che sente premergli in gola.
 
«Non sto bene Damon, non va bene così.»
 
Lui fa pressione sulle sue costole, con la mano poggiata sotto il suo seno, per farla voltare lentamente, incastra le sue gambe tra le sue e i suoi occhi dentro i suoi.
Le accarezza piano la schiena, scivola sulla sua pelle di seta, inebriato da come lei odori di lui dopo aver fatto l’amore, da quanto lei gli appartenga e vorrebbe liberarla da tutta la sofferenza che prova, vorrebbe essere l’uomo che si aspettava e per cui ha lottato.
Farebbe di tutto, tranne lasciarla andare.
 
«E’ presto, restiamo ancora un po’ così.»
 
Sa, Damon, di non poter chiedere ancora il suo perdono, di non avere più possibilità se non arrendersi a lei, ma ci prova lo stesso a trattenerla lì, ad accendere qualche bagliore ancora nascosto. Le delinea i contorni del viso con il palmo della mano, le accarezza la fronte, l’occhio sinistro che lei socchiude al suo passaggio, la guancia arrossata, il naso, le labbra socchiuse, le sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio e si sofferma tanto, troppo a lungo, sul suo collo e poi con un cenno del pollice le alza il mento e lei si ritrova a sfiorare le sue labbra, con un’intimità e una complicità soltanto loro. Si sporge un altro po’ Elena, fino ad approfondire ancora quel contatto, a riprendersi ciò che è suo da sempre, incastra le sue mani tra i capelli corvini di lui e lo attira a sé fino a sentire di nuovo il peso del suo corpo sopra di lei e le sue mani su tutto il corpo. Se ne accorge di nuovo Damon quanto lei sia pronta per lui, sempre, in qualsiasi circostanza, e la guarda stupito e lusingato, ancora una volta, prima di entrare in lei e amarla nel solo modo che conoscono per non farsi del male.
 
 
Abbottona l’ultimo bottone in basso della camicia bianca, appena indossata dopo una doccia frettolosa, se la sistema dentro i jeans e dà un’ultima occhiata al suo aspetto nello specchio del bagno. Ha il volto stanco, le occhiaie appena pronunciate, la barba di qualche giorno e i capelli ancora un po’ bagnati che gli gocciolano appena sulla camicia, se li tampona un’ultima volta con l’asciugamano e torna in camera, in cerca del telefono e del portafoglio finiti chissà dove la notte prima.
Lo rintraccia sotto il vestito nero ed elegante di Elena, ancora a terra, grazie alla vibrazione e alla chiamata in arrivo in quel momento.
Lo afferra e se lo porta all’orecchio appena un attimo prima che la persona dall’altra parte attacchi.
 
«Non ti dirò che sei un incosciente perché te ne sei andato ieri sera e mi hai lasciato da solo a parlare con i tuoi acquirenti, ne conosco il motivo e sono riuscito a tenerli buoni, ma ti verrò a prendere dovunque e in qualunque condizioni fisiche tu sia, se non ti presenti immediatamente in ufficio entro quindici minuti
«Tranquillo, sto arrivando.»
 
Lo rassicura ancora un po’ impastato dal sonno e non troppo convincente.
Poi si blocca un momento, sembra tornare ad avere le sembianze di un essere umano capace di provare sentimenti e gratitudine.
 
«Eh, io, beh… grazie fratello, ti devo un favore.»
 
Lo liquida così, attaccando in gran fretta e infilando tutto nella sua ventiquattro ore.
Impiega ancora cinque minuti per finire di prepararsi, girando come una trottola tra la camera, il suo studio e il bagno. E’ enorme quell’appartamento, curato e arredato con una raffinatezza maniacale, nella sala tra i due divani color petrolio vi era perfino un caminetto a bioetanolo e, da qualsiasi finestra si guardasse, la vista della città da quell’altezza era incommensurabile, non a caso lui l’aveva scelto per viverci.
Di certo, non era un tipo a cui piaceva stare con i piedi per terra.
 
«Problemi?»
 
La voce titubante di lei lo blocca poco prima di abbassare la maniglia della porta ed uscire dall’appartamento.
Si volta piano, trovandosela davanti, con i capelli raccolti in una coda alta e con addosso una sua camicia di seta blu che le arriva sotto il sedere, lasciando scoperto il decolté e le lunghe gambe fino ai piedi scalzi.
E’ bella da togliere il fiato e se non fosse così in ritardo non ci penserebbe due volte a trascinarla in camera o sotto la doccia o sopra il tavolo della cucina, o in qualsiasi altro posto della casa.
Fa un passo indietro per mettere una distanza inutile.
 
«Solamente Stefan e le sue ansie mattutine.»
«Damon.»
 
Lo ammonisce lei, costringendolo a dirle la verità.
 
«E’ tutto ok, Stefan ha mantenuto il controllo della situazione e nessuno si è lamentato per la mia assenza di ieri sera.»
«Era una serata importante… non avresti dovuto…»
 
Adesso sì, ora è costretto a mangiarsela quella distanza, a riempire i timori di lei che si sente perfino in colpa per qualcosa di cui è lui l’unico responsabile. Le bacia le labbra e le blocca le parole nella gola, per non farle uscire, per non fargliele sentire.
 
«Anche la tua. Va tutto bene, ok?»
 
Elena annuisce solamente e si allontana di un passo per farlo andare.
 
«Lavori oggi?»
 
Glielo chiede per perdere tempo, per non lasciarla ancora, per sentire che tutto ancora di lei gli appartiene.
 
«Devo finire di montare un video per la presentazione di quel profumo di cui ho scattato le foto la settimana scorsa, poi sono libera, penso me ne andrò un po’ a trovare Caroline e la piccolina.»
«Ok, dalle un bacio da parte mia. Ci vediamo stasera.»
 
Non è una richiesta, né un ordine. E’ semplice routine, consuetudine, sicurezza.
Galleggiano sulla superficie di un Oceano in cui non ha il coraggio di buttarsi, perché affogherebbero entrambi.
Le sfiora le labbra con un ennesimo bacio e finalmente esce per dirigersi al ventesimo livello dell’hotel e chiudersi nell’ufficio assieme a suo fratello.
Lo attendeva da più di un’ora, Stefan, con gli occhi fissi sugli ultimi documenti da visionare e la schiena poggiata sulla poltrona di pelle accanto la grande finestra.
Avevano entrambi una scrivania e delle poltrone, in quell’ufficio, condividevano invece una libreria in mogano, un mini bar e il grande biliardo al centro della stanza, dove si concedevano momenti di svago soprattutto a fine giornata, sorseggiando un bourbon con ghiaccio, eppure, la poltrona di Damon accanto la finestra era il posto preferito di Stefan per riflettere e revisionare scocciature.
 
«Dalla tua faccia mi sembra non abbia dormito granché neanche tu, fratello.»
 
Neanche il rumore della porta e la ventiquattrore gettata sulla scrivania, avevano destato Stefan dalla sua lettura, solo la voce del fratello gli aveva fatto alzare gli occhi e accennare un sorriso ironico.
 
«Beh sai, se tuo fratello ti molla durante una cena d’affari finita all’una di notte e poi torni a casa, pensando di dormire almeno qualche ora, invece tua figlia di nove mesi decide di avere mal di pancia e piangere tutta la notte… sì, penso proprio sia esattamente questa la faccia che uno dovrebbe avere!»
«Non fare la vittima, lo stress ti fa male alla cute! E non prendertela con mia nipote, già ha una madre pazza e un padre pappamolla come te!»
 
Lo rimbecca sarcasticamente, sapendo benissimo qual è la verità e la capacità di suo fratello di leggerla tra le righe.
‘Grazie per avermi coperto, per avermi lasciato andare a riprendere una donna che mi fa impazzire, ah sì e grazie anche per essere il fratello che sei, nonostante me.’
Questo vorrebbe dirgli e purtroppo o per sua fortuna, lo sanno entrambi.
 
«Allora, cosa mi sono perso?»
 
Damon si siede sul divano antracite ad angolo, difronte suo fratello, accavalla le gambe ed entra in modalità imprenditore milionario.
 
«Mikaelson ha proposto un accordo, che mi sembra abbastanza fattibile per tutti.»
 
Anche Stefan si alza dalla poltrona e raggiunge suo Damon sul divano, gli porge i documenti che inizia a sfogliare attentamente.
 
«Vorrebbe una porzione dell’hotel, precisamente tutto il settimo e ottavo livello, che noi non utilizziamo, per avviare il suo progetto del Casinò. Gestirebbe tutto in completa autonomia e a noi pagherebbe spese e quota di affitto, siamo arrivati anche ad un semi accordo riguardo il prezzo.»
«Non mi piace per niente quel Klaus.»
«Neanche a me Dam, ma abbiamo bisogno di sfruttare quella parte di albergo, ci costa troppo in questo modo. E loro sono disposti a pagare, anche bene.»
«Il marchio e la catena di Casinò sarebbe nuova o importerebbero quella che già hanno?»
«Importerebbero la loro, già conosciuta e consolidata qui a New York.»
 
Damon sospira, analizza quei fogli come ne andasse della sua stessa vita, perché in fondo è così.
Suo fratello aveva rinunciato ad essere il proprietario di quell’impero, non sarebbe mai stato in grado di gestire il peso di un’impresa del genere, anche il loro padre ne era consapevole quando decise di mollare l’imprenditoria e viaggiare per il mondo sul loro yatch con la fidanzata di turno. L’egoismo, la furbizia e il fiuto per gli affari di Damon aveva spinto Giuseppe Salvatore a lasciare tutto nelle sue mani, a patto che suo fratello ne curasse ogni parte burocratica e legislativa, da avvocato quale era.
Andare a fondo per Damon, quindi, avrebbe significato portare con sé anche suo fratello e questo fardello era ciò che serviva per renderlo responsabile e non fare sciocchezze.
Sapeva suo padre, di dover esporre Stefan per tenere buono Damon.
Questo equilibrio funzionava bene da dieci anni ormai.
Ora però, sentiva puzza di bruciato il maggiore dei fratelli, era con le spalle al muro, doveva assolutamente trovare una soluzione per ricavare un guadagno da quella porzione di albergo inutilizzata e l’unica offerta davvero appetibile era stata presentata dall’unica famiglia, in tutta New York, da cui era meglio tenersi a distanza, soprattutto nei rapporti d’affari.
 
«Voglio essere coperto da ogni tipo di responsabilità Stef, non voglio essere messo in mezzo neanche se un loro dipendente si rompe un’unghia mentre serve un cocktail. E voglio di più di quanto offrono.»
«Vedrò cosa possiamo ottenere.»
«Ovviamente, niente traffici loschi, questo va messo nel contratto. Controllerò di persona chi entra e chi esce da quel posto e non ammetto confusione per tutta la notte, devo tutelare i miei clienti. Ci dobbiamo accordare sugli orari e sulle percentuali di guadagno.»
«Fisseremo un ultimo incontro con Klaus e il suo avvocato per queste cose, glielo avevo già accennato.»
 
Damon lo guarda con orgoglio, poggiandogli una mano sulla spalla per complimentarsi.
 
«Hai pensato già a tutto! Non hai più bisogno di portarti dietro me allora!»
«Ho bisogno di una baby sitter infatti, non di te!»
«So che Elena voleva andare a trovare le tue donne oggi pomeriggio.»
«Bene, le portasse qualche dose di morfina.»
«Addirittura così male vanno le cose?»
 
Stefan sprofonda sempre di più tra i cuscini del divano, calibra bene le parole prima di dargli voce, e poi si lascia andare come non aspettasse altro.
 
«No Dam, è fantastica la vita da padre, da marito, Care è una mamma meravigliosa e Florence è… lo sai, sono perdutamente innamorato di lei. Eppure, sono mesi che non riusciamo a dormire cinque ore di fila, sua madre è sempre a casa nostra, non abbiamo più un’intimità, lei ancora la allatta di notte. L’appartamento è un disastro e…»
«Stai parlando come una casalinga disperata Stef, lo sai questo vero?»
 
Prova ad alleggerire un po’ la situazione mentre lo osserva con tenerezza e fierezza allo stesso tempo. Ha sempre ammirato la capacità e il coraggio dimostrato decidendo di sposare la donna amata da una vita, costruirci una famiglia e buttarsi a capofitto nei problemi della vita quotidiana.
 
«E’ che… sono solo un po’ stanco e in tensione per questo accordo con i Mikaelson.»
«Di questo ora me ne occuperò io, tu accertati che sia solo tutto in regola. E poi, vai a dormire un paio d’ore, sei inguardabile!»
«Beh neanche tu sei messo benissimo se proprio vuoi saperlo!»
«Almeno io ho ancora un’intimità!»
 
Si scansa appena in tempo per evitare un cuscino del divano prontamente lanciatogli contro da suo fratello, scoppiano a ridere insieme e un attimo dopo, sono di nuovo pronti per discutere di lavoro.
 
 
Quando Elena scende dalla macchina, ha tra le mani più buste di quante le sue dita e la sua forza possano contenere.
Con un piede chiude lo sportello e si dirige verso il portone di una deliziosa villetta a schiera, in una strada periferica dell’Upper East Side, circondata da piante rampicanti e glicine.
C’è uno strano e inaspettato silenzio in casa, la porta socchiusa la invita ad entrare, poggia le buste a terra e se la chiude alle spalle. Nella sala non scorge nessuno, se non un gran disordine, tra giochi a terra e la tavola del pranzo ancora apparecchiata, sbircia alla sua destra, in cucina, con lo stesso risultato, nessuna presenza e piatti da lavare.
Sale lentamente le scale difronte a lei, dirigendosi alle camere da letto, un po’ inquieta a dire la verità, nella cameretta della piccola Florence il lettino è vuoto e disfatto, in bagno non c’è nessuno, nella camera degli ospiti nemmeno, è solo quando arriva sulla soia della camera da letto che il sorriso le nasce dolce sulle labbra.
Caroline tiene sua figlia stretta tra le braccia, addormentate entrambe nel grande lettone, la camicia da notte ancora addosso e i cuscini a fare da sponda per impedire a Florence di girarsi e scivolare a terra.
Si ferma a godersi quella tenera vista, Elena, sono le quattro del pomeriggio, non è proprio dalla sua amica dormire a quest’ora, sapendo che lei stava arrivando, lasciare la casa in quelle condizioni non era poi una cosa neanche lontanamente contemplata un tempo, adesso invece, qualcosa è riuscita a scalfire e limare i contorni anche della sua incrollabile e perfetta amica, ed è ciò che tiene gelosamente tra le braccia e che ha appena perso il suo ciuccio.
Elena si avvicina pianissimo per prenderlo prima che inizi a piangere e finisca quel momento di quiete, lo avvicina alle labbra della piccolina e lei lo afferra istintivamente ricominciando a ciucciare poi, sistema il lenzuolo stropicciato a coprire entrambe e, con la stessa lentezza, torna indietro, chiude la porta e scende di nuovo al piano inferiore.
Caroline sente le manine di sua figlia muoversi e toccarle viso e capelli, più che altro tirarli, sì sente tirarsi i capelli, tanto che, prima ancora di aprire gli occhi, è costretta ad allungare una mano e afferrare quella minuscola della piccola per farle aprire piano le dita e mollare la presa.
 
«Vuoi proprio farla fuori la tua mamma, è?»
 
Glielo sussurra vicino quelle orecchie minuscole, mentre finalmente i loro occhi azzurro mare si aprono e si fondono gli uni negli altri. Florence le regala uno dei suoi migliori sorrisi e Caroline le mordicchia le fossette per riflesso.
E’ la cosa migliore che le sia capitata in tutta la sua vita, la cosa che ama di più al mondo, un pezzo di cuore che vive, respira e cammina al di fuori di lei, più di suo marito, più di chiunque altro.
E non l’ha capito subito Caroline come la sua vita potesse cambiare e quanto un amore potesse essere così potente, era intenta a comprare vestitini, organizzare la nascita, dipingere di rosa cipria le pareti, arredare la cameretta… e’ stato quando, dopo un dolore lancinante, l’ostetrica gliel’ha poggiata sul seno e lei ha iniziato con le sue piccole labbra ancora livide, a cercare il suo capezzolo per succhiare, come fosse già programmata per farlo e invece ha trovato i suoi occhi ed è rimasta incantata a fissarli, quello, quello è stato il momento in cui Caroline è diventata di colpo mamma.
E ci si sente ancora e sempre di più, nonostante le notte in bianco, il rapporto con Stefan che vacilla, le lavatrici da fare, la casa in disordine e i piatti da lavare.
Ed è proprio questo che le ricorda di aver mandato via sua madre, per avere un po’ di spazio con la piccola e soprattutto con il suo papà, e la spinge a sospirare mentre si obbliga ad alzarsi dal letto, prendere tra le braccia sua figlia e scendere al piano di sotto.
Scende appena l’ultimo gradino delle scale quando le viene in mente un altro particolare, o meglio quella che è la sua migliore amica, che sarebbe dovuta passare quel pomeriggio.
Si maledice per essersi addormentata e aver staccato il telefono, cerca di andare a recuperarlo in salotto e dapprincipio non si accorge di essere arrivata al camino, sopra il quale lo aveva lasciato, senza incappare in nessun gioco.
Si guarda attorno non trovando nulla fuori posto, il box di Florence è pieno dei giochi che fino qualche ora fa erano sparsi per il pavimento, la tavola è sparecchiata e al centro è tornato il vaso di fiori scomparso da giorni, non ricorda di aver chiesto a sua madre di mettere in ordine, anzi, glielo aveva vietato tassativamente, per questo non capisce.
Avanza piano, attraversa il corridoio fino ad arrivare in cucina, da dove proviene una luce tenue, scosta appena la porta ed è lì che la vede.
La trova di spalle, davanti al lavandino, intenta ad asciugare gli ultimi piatti prima di riporli.
Le formicola il cuore e quasi allenta la presa su Florence, ancora stretta tra le sue braccia, per l’emozione.
 
«Elena Gilbert, tu… tu sei l’amica migliore del mondo!»
 
Elena sorride per la voce che le arriva commossa alle spalle, si volta e si ferma ad osservarla prima di parlare.
Scalza, con i boccoli appena scompigliati, il viso stanco ma gli occhi accesi e la piccolina che sorride di riflesso e tende le braccia verso lei.
 
«E tu sei la peggior casalinga che esista!»
 
Ma glielo dice mentre già Caroline la stringe a sé con il braccio libero e si commuove quasi.
 
«Sarei potuta essere un ladro, avrei agito indisturbata con te che dormivi! Sei pazza a lasciare la porta aperta!»
«Mia madre! E’ stata lei! Flo dormiva e le ho chiesto di non fare rumore mentre usciva... deve aver interpretato male la richiesta! Mi sei mancata tantissimo!»
«Ci siamo viste questo fine settimana!»
«Sì ma oggi è giovedì e ieri era una serata importante per te, sarei voluta venire!»
 
Elena allenta l’abbraccio, colpita dalle parole dell’amica, perché tutto avrebbe voluto, tranne ciò che era successo.
 
«Non preoccuparti, so che Flo non è stata bene, non è colpa tua.»
 
Le stampa un sonoro bacio sulla guancia e poi rivolge finalmente la sua attenzione a quella meravigliosa creatura che non smette di fissarla e sorriderle.
 
«Adesso basta, fammi coccolare un po’ la mia nipotina!»
 
Non fa in tempo ad allungare le mani per prenderla, che lei si lancia sul suo petto ed Elena non resiste alla tentazione di riempirla di baci, solletico e abbracci.
E’ la bambina più bella che abbia mai visto, e forse è ciò che dicono tutti se che i bambini in questione hanno un qualche legame affettivo con loro, eppure Florence lo è davvero bella, ha preso il meglio di Caroline, gli occhi limpidi e azzurri, i capelli chiari e quelle fossette che spuntano ogni volta che sorride, e presumibilmente il carattere buono e dolce del papà.
Elena l’ha fotografata in ogni sfaccettatura, ha un intero servizio fotografico del pancione di Caroline dell’ultimo mese, della nascita e poi a pochi giorni di vita, insieme alla mamma e al papà. La sala da pranzo è cosparsa di foto scattate da lei, di Florence, di Caroline e Stefan con lei e di tutti e tre insieme, ci sono solo alcune foto del matrimonio, il resto è tutto dedicato alla loro bambina.
Non se la ricordano quasi una vita precedente senza di lei, il modo in cui si sentono completi nonostante tutto, è qualcosa che Elena ammira e a cui aspira nel profondo di se stessa.
 
«Allora, come stai?»
 
Sono ormai sedute sul divano, davanti al camino, con Florence che gattona sul tappetone ai loro piedi e gioca con i suoi giochini, e in mano una tazza di caffè preparato da Elena poco prima.
 
«Sono stanchissima Elena! Ho un bisogno di dormire che mi divora! Quest’ultime settimane poi sono state infernali… con Stefan che lavora tutto il giorno, mia madre in casa che amo tano e vorrebbe aiutarmi ma crea ovviamente un po’ di scompiglio, Flo che non è stata bene e non è andata al nido… insomma sto alla grande!»
 
Ridono entrambe, soprattutto della capacità di Caroline di non perdersi mai d’animo, è l’unica persona che conosca a non aver mai visto crollare e disperarsi tanto da lasciarsi andare nel fondo del baratro. In un modo o nell’altro, anche nelle peggiori situazioni, è sempre riuscita a rialzarsi, a mantenere quel minimo di amore per sé che le ha consentito di sopravvivere.
Si conoscono da sette anni ormai, Elena ha conosciuto prima lei di Stefan, l’ha chiamata una mattina, mentre era ancora a letto nell’appartamento di Damon, in una delle sue innumerevoli trasferte, chiedendole di accompagnarla in alcuni negozi del centro, visto che entrambi i fratelli avrebbero lavorato tutto il giorno e loro sarebbero state da sole. Lei aveva accettato immediatamente, c’era qualcosa di brioso e leggero nella sua voce da portarla a fidarsi e a volerla conoscere.
Era stata amicizia a prima vista la loro, opposte quasi in tutto, si completavano a vicenda e sapevano leggersi senza neanche parlare.
 
«Dimmi di te ti prego, non faccio altro che parlare di pappe, bambini e pannolini, ricordami come si vive fuori da qui!»
 
Ed eccolo lì, appunto, il velo di tristezza che cala nello sguardo di Elena e non passa di certo inosservato dalla sua amica.
Sta per parlare ma lei fa cenno di no, alza la mano davanti la sua bocca come a fermarla, non vuole sentire Elena, ha parlato e sentito fin troppo, non ne può più, vorrebbe solo che le cose tornassero come un tempo.
 
«Non capisco cosa ti infastidisca così tanto di lui, cosa ti manchi, posso capire prima, ma ora ci sei solo tu Elena, sei sempre stata solo tu.»
 
Non c’è modo di fermare il suo fiume in piena quando vuole scoprire qualcosa, anche questo lo sa Elena e sa anche che, nonostante Caroline non straveda per Damon, l’amore che lui prova per lei è l’unica cosa mai stata messa in discussione da parte di nessuno.
 
«Care lo so, lo so a pelle, lo sento. Sento lui come sento me, so che si sta allontanando, che è cambiato qualcosa.»
«Pensi troppo mon ami! Vivi di più, non stare sempre nella sofferenza o a cercare qualcosa che non va’, non essere così insicura, vai avanti…»
 
Caroline ha affrontato l’argomento Damon con Elena almeno un milione di volte, non si è mai negata, né le ha mai risparmiato il suo parere, anche spiacevole o in disaccordo, ne hanno sempre parlato molto liberamente, solamente Caroline aveva un modo di vivere le cose in generale con più leggerezza, che non era superficialità, Elena no.
 
«Non sono come te, vorrei tanto credimi, ma le cose che sento mi toccano troppo e non riesco a passarci sopra. Continuiamo a parlarne, lo sa che non sto bene, però non riusciamo a lasciarci andare o ad andare oltre. Non so quanto reggerò ancora Care…»
 
Lo confessa sinceramente, in tono consapevole ma ancora pieno di amore, come se questo fosse in una botte di ferro incastrata e nascosta da qualche parte nel cuore e qualunque cosa accada fuori, non potesse essere assolutamente scalfita.
 
«Dai raccontami della serata di ieri sera! Prima di scappare a piedi nudi da Brooklyn e camminare come una barbona sul ponte!»
 
Le è grata Elena per aver spostato l’argomento su altro e per lo spirito positivo che emana in ogni circostanza. E allora inizia a raccontare, sicura di poter correre dalla sua migliore amica in caso di bisogno, sicura come la mano di Caroline che sente stringere il suo polso e che la tiene salda, impedendole di precipitare nei suoi pensieri e nelle sue paure.
Non vorrebbe più andarsene Elena e anche la piccola Florence, che l’ha costretta a giocare con lei per tutto il resto del pomeriggio, non vorrebbe lasciarla, solamente che è tardi, è passata da un pezzo l’ora di cena e Stefan sta per arrivare.
Hanno cenato con farro, orzo, legumi e spropositate verdure miste, prendendo la propria porzione da una ciotola di cibo vegetariano con cui Caroline si è fissata ultimamente, solo la piccola Florence ha ricevuto l’onore di un pasto caldo cucinato, che ha decisamente apprezzato molto di più.
Si promettono di rivedersi al più presto, di organizzare una giornata al lago nella casa della famiglia Salvatore, per dar modo anche ai due fratelli di staccare dal lavoro e vedersi al di fuori, in abiti come dire ‘civili’.
Dà un ultimo bacio Elena alle donne di casa e si avvia per la via di ritorno.
Le fa sempre bene al cuore vederle e passare del tempo con Caroline, la fa sentire a casa, anche lontana chilometri e chilometri, sente quella familiarità che si acquisisce solo con persone conosciute da anni e anni, quando un gesto condiviso o un’azione come pulire la casa e fare i piatti, o togliersi le scarpe sul divano, rientrano nella normalità, nella complicità, nell’essere a casa, senza bisogno di dover apparire o la paura di essere fraintesi.
 
E’ già a letto Damon quando Elena rientra nell’appartamento, eppure è ancora sveglio perché la stava aspettando.
Lo fa sempre, non riesce ad addormentarsi se lei non è nel loro letto e lei lo stesso, ha bisogno di sapere che lui è lì, anche dopo la peggiore delle giornate, che è tornato comunque da lei.
Si chiude in bagno per qualche minuto, il tempo di struccarsi, infilarsi una canottiera e dei pantaloncini che usa come pigiama, e sdraiarsi accanto a lui.
Lui lo sente dall’avvicinarsi dei rumori e dal livello del materasso che si abbassa, che lei ha preso posto lì accanto, si volta nella sua direzione e apre gli occhi per guardarla, nonostante il buio pesto.
Non la vede ma la sente respirare.
 
«Ehi…»
«Ehi.»
«Com’è andata la giornata?»
«Non mi hai chiamata, per niente.»
«Tu non avresti voluto sentirmi.»
 
E’ la verità, lo sanno entrambi, solo che lei non può fare a meno di chiedere conferme e lui di leggerla come un libro aperto.
 
«Sono una da portare alle cene per fare bella figura e con cui scopare durante la notte, e basta? Siamo davvero diventati solo questo Damon? Perché è questo che siamo ora.»
 
Lo provoca, sono mesi che lo fa, solo per avere una verità da poter usare contro di lui.
 
«Perché non possiamo andare avanti e basta?»
«Perché siamo io e te. E noi non andiamo avanti e basta.»
 
Lui la disinnesca, sempre, le toglie le armi da sotto le dita senza che lei se ne accorga o possa usarle davvero. Eppure lei è tenace, testarda, innamorata e non ci riesce a lasciar andare.
Ed è un gioco di lame non di testa, non cercano spiegazioni, ma un modo per sopravvivere.
 
«Mi dispiace Elena di non essere venuto alla tua premiazione. Lo sai che avrei fatto di tutto per arrivare, anche solo un attimo prima della mia cena. Non ho potuto, non…»
«Non dire, non è dipeso da me. Perché tutto ultimamente non dipende da te. Non hai mai responsabilità tu. Mi hai lasciato da sola, a ricevere il secondo premio per un concorso nazionale in cui ho vinto un assegno di quasi duemila dollari e non ho potuto neanche voltarmi ed essere felice con te. Non c’eri Damon, non avevo il tuo sguardo addosso e ce lo avevo sempre prima, dovunque andassi, qualsiasi cosa facessi tu eri lì, anche da lontano, io ti cercavo e tu eri già lì a chiamarmi. Non ci sei più, e non ti sei neanche degnato di chiamarmi o congratularti con me, sei così impegnato ad essere te che…»
«Ti ho chiamata. E sono stato il primo a congratularmi con te, nel momento in cui hai saputo di questo premio. Ce l’hai sempre addosso il mio sguardo, sempre Elena. Ho mollato una cena di lavoro per venire da te, proprio perché non mi rispondevi.»
 
Inizia ad alterarsi Damon, a cambiare il tono della voce per mettersi sulla difensiva, perché quando lei lo attacca in questo modo, quando lo mette in discussione così, lui ha solo il suo amore per ribattere. E lei non risponde ma si lascia guardare.
Ed è insopportabile per lui averla lì, respirare il suo odore se non può toccarla, per questo le sfiora il viso, in un gesto istintivo, familiare, passa le mani sulla sua pelle e non esiste più nulla per lei, il mondo si placa di colpo quando lui la tocca così.
Eppure, nessuno dei due lo dice, ma entrambi lo sentono e quando qualcosa si insinua sotto la pelle è quasi impossibile lavarlo via.
 
«Non avresti avuto bisogno di farlo prima Damon, mi avresti assillato con la tua presenza, chiamata, saresti stato con me mentre mi premiavano e poi te ne saresti andato alla tua stupida cena, non avresti avuto bisogno poi di venire a riprendermi.»
«Mi dispiace.»
«Dov’eri… dov’eri Damon?»
 
E adesso è lei a modulare la sua voce, glielo chiede come fosse una bambina ferita, con gli occhi lucidi, fissi in quelle pozze così azzurre anche nell’oscurità della loro camera.
 
«Mi hanno trattenuto, ed ero così incazzato e nervoso che…»
«Eri così incazzato con me da non poter tornare un po’ prima e accertarti di riuscire ad arrivare in tempo?»
«Ero incazzato con me, non con te. Non avremmo mai dovuto discutere ieri mattina, io non me ne sarei mai dovuto andare in quel modo.»
«Non lo avresti fatto prima Damon, lo sai anche tu.»
«Ma prima di cosa Elena?»
 
Ed è un respiro lo spazio che li divide dalla verità e, una volta colmato, sa Elena di non poter più tornare indietro.
 
«Prima che lei tornasse.»














*****************

E niente... è andata così!
Questa parte di storia si sta scrivendo da sola e freme.
Io ho solo assecondato questo bisogno!
Arriverà, arriverà anche l'altra!

Un bacio a tutte!
Ale_

 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: asia_mia