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Autore: Red_Coat    25/09/2016    3 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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<< Hey! >> esclamò Reno tutto d'un tratto, accorrendo a soccorrerlo << Hey, ragazzo! >>

Nel frattempo, Tseng aveva sfoderato la pistola e ora la puntava in direzione del proiettile, voltandosi con circospezione ad accertarsi che la zona fosse sicura.

<< Reno, il polso! >> ordinò
<< Eh? >> rispose quello, poi sembrò capire << Ah, si. >>

E chinatosi sul povero sfortunato gli afferrò il polso e glielo tastò con due dita, ascoltandone il battito. Totalmente assente.
Imprecò.

<< È morto, Tseng. >>

Lo informò. Ma nel farlo si voltò verso di lui e vide la sua espressione, mentre fissava un punto in alto tra i tetti delle case che circondavano la zona ad est, non tanto lontano da li. La pistola ora era ricaduta lungo il fianco assieme alla mano che la reggeva, e adesso ...
Non l'aveva mai visto così, pareva quasi terrorizzato.
Lo richiamò per nome, ma quello sembrò quasi non ascoltarlo.
E quando finalmente si decise ad avvicinarsi e guardare nella stessa direzione, capì il perché.
In cima a uno dei tetti più alti, avvolta dal buio e confusa dalle luci fioche e basse dei vecchi lampioni che ne offuscavano la sagoma, c'era un'ombra che li fissava.
Alta, longilinea e nera come quella notte, avvolta in una pesante mantella scura che la avvolgeva fino a ricoprirne quasi interamente le mani. Il viso era irriconoscibile, completamente nascosto dal cappuccio, ma sotto di esso brillavano minacciosi e seri verso di loro due occhi color mako vivo, che anche da quella distanza parevano incantare solo per la loro luce e la forma felina delle pupille.
Tseng non ne fu da subito sicuro ma ... quello sguardo. Lo fissò attentamente, e pensò che aveva qualcosa di strano ed inquietante, troppo diverso da quello degli altri SOLDIER.
Inoltre ... la postura eretta, elegante e autoritaria, gli anfibi che arrivavano ad avvolgergli le ginocchia, e la mano sinistra in cui reggeva l'arma con cui probabilmente aveva sparato.
Più lo guardava, più non poteva non pensare a quanto gli ricordasse qualcuno. Quel qualcuno.
E pensandoci gli si gelò il sangue nelle vene.
Lo sentì nuovamente sciogliersi solo quando Reno, come interpretando i suoi pensieri, mormorò

<< Non mi dire che ... Victor. >> dapprima sconvolto e poi rabbioso << Maledetto bastardo, è lui allora! >> piano, quasi avesse paura di farsi sentire

Voltò la faccia verso di lui per rispondere, ma proprio in quel momento una voce alle loro spalle esclamò esterrefatta il nome del defunto.
Si voltarono entrambi, e videro un ragazzetto che li guardava, occhi sgranati e bocca spalancata.
Le sue pupille si mossero agitate dal cadavere alla mano di Tseng, che reggeva ancora la pistola, e quest'ultimo ci mise poco a capire in che guaio quella situazione li avesse cacciati.
Anzi, forse non era stato neanche più di tanto casuale che il misterioso individuo avesse sparato in loro presenza, restando nascosto nell'ombra. Li aveva fregati.
Ma quando fecero per voltarsi di nuovo verso la figura, sperando magari che anche il nuovo arrivato la vedesse, questa non c'era già più.
"Maledizione!" pensò Reno con aria scioccata. Anche Tseng lo fece, ma entrambi non dissero nulla. Si limitarono ad osservare sbigottiti mentre il ragazzo sconvolto si rialzava e, dopo averli accusati con veemenza ringhiando

<< Maledetti turks! Non vi azzardate a farlo sparire! >>

Indicando il cadavere, voltava loro le spalle e correva in direzione opposta, probabilmente a cercare aiuto ed avvisare gli altri.
Quel luogo sarebbe diventato affollato tra qualche minuto. Affollato e pericoloso

<< Meglio andarcene. >> decise quindi il moro, secco, iniziando a camminare con la sua solita e fredda disinvoltura << Non dimenticare il telefonino, deve averlo in tasca. >>

Dopo aver recuperato l'oggetto come da ordine, Reno lo seguì lanciando un'ultima inquietata e innervosita occhiata al cadavere, immerso in una pozza di sangue.
Non poteva crederci! Quel maledetto SOLDIER li aveva fregati di nuovo! E questo non fece che aumentare la sua acredine.
Percorsero in silenzio le strade deserte fino alla stazione.
Ovviamente

<< Le indagini sul campo terminano qui, andare oltre sarebbe inutile. >> annunciò Tseng, mentre salivano in carrozza

Lui annuì cupo, assorto nei propri pensieri, poi però parve rendersi improvvisamente conto di ciò che aveva udito e rianimatosi protestò, sconvolto

<< Cosa? >>

L'altro continuò a camminare

<< Non puoi dire sul serio! >> ribadì allora, con sempre maggior veemenza << Vuoi fermarti dopo quello che abbiamo visto? È lui Tseng, ci siamo quasi! >>

Finalmente, il moro si bloccò nel mezzo del corridoio semi deserto del vagone. A parte gli addetti alla sicurezza e un impiegato statale seduto nell'angolo ad osservarli, c'erano solo loro a quell'ora della notte.
Gli rivolse perciò una lunga occhiata studiando la sua espressione accalorata, poi sorrise appena, e infine concluse

<< Non eri tu a dire che stavamo sprecando tempo e capacità? >>

Reno rimase di stucco a guardarlo, la bocca spalancata in una sillaba che non riuscì ad uscire.

<< I-io ... >> balbettò << Beh, si ero io ma ... >> poi esplose in una maniera esasperata di gesti, abbassando ancor di più la voce << Oh, andiamo! Possiamo incastrarlo e consegnarlo al Professore, se insistiamo ancora un altro po'. Solo un po', giusto il tempo di racimolare qualche altra prova seria. Anche se siamo turks non ci basterà raccontare di aver visto un'ombra che gli assomigliava! >>

Tseng continuò a sorridere, poi però si fece improvvisamente serio e rivolse il suo sguardo verso il finestrino, come se stesse guardando un punto lontano oltre esso

<< Ho detto che non sarà più necessario indagare sul campo, non che smetteremo di farlo. >> concluse

Di nuovo, Reno rimase a fissarlo senza capire

<< Eh? >> bofonchiò

L'altro sorrise di nuovo, piegando lievemente i margini delle labbra all'insù

<< Abbiamo visto abbastanza. >> si spiegò, le mani nelle tasche del pantalone e gli occhi sempre oltre il finestrino << Ora ci limiteremo a seguirlo, da molto lontano. Controlleremo i tabulati telefonici del ragazzo per prima cosa, magari così riusciremo a scoprire qualcosa in più. Nel frattempo io farò rapporto al professore e gli riferirò tutto ciò che abbiamo visto, né più e né meno. Vedremo come intenderà muoversi. >>

In sostanza, facciamo il nostro dovere senza remore e speriamo con tutto il cuore che il topo finisca nella trappola. Anche lui stava iniziando a desiderare di poter prendere quel "topo" il più rapidamente e presto possibile. L'unica cosa che ancora avrebbe potuto frenarlo era ... la promessa fatta a Cissnei.
Soddisfatto dalla risposta, il rosso tornò quindi a ghignare, dopo averci pensato un altro minuto su .

<< Aaah, ora ti capisco! >> osservò soddisfatto, annuendo e tornando ad appoggiare il manganello sulla spalla << Ma credi che abboccherà? >>

Tseng non mutò la sua espressione

<< Tutti prima o poi commettono degli errori. >> disse semplicemente

Forse quello di Victor Osaka era già stato invischiarsi in quella vita, o forse no.
Da come tutti, a cominciare dal locandiere e passando per i piccoli boss al soldo di don Corneo, fino ad arrivare a quel ragazzo morto pochi minuti fa, avevano difeso il famigerato "Combattente" c'era da dedurre che questi avesse avuto abbastanza tempo per farsi temere e rispettare dalla malavita dei bassifondi, che come oramai era noto non perdeva mai opportunità vantaggiose come avere la forza di un'ex SOLDIER dalla propria parte. Non aveva neanche la più pallida idea di come avesse fatto, ma era chiaro ormai che continuare a interrogare quella gente non avrebbe portato a nulla, perché in qualche modo Victor Osaka era riuscito a convincerli a non parlare.
Quindi l'unico modo per arrivare a lui era prendere una strada più larga, guardare con attenzione ed aspettare.
Solo che, anche se ancora loro non lo sapevano, stavolta il gioco sarebbe stato molto più duro del previsto.

***

Un'ora e trentacinque minuti più tardi ...

<< Arresto cardiaco??!! Sul serio?! >>

Il vecchio oste, esterrefatto, alzò il viso sgranando gli occhi, dopo aver dato un'occhiata al bigliettino che gli era stato consegnato e che ancora reggeva nelle sue grasse mani.
Il ragazzo davanti a lui parve cadere dalle nuvole, con non poco imbarazzo.
Castano scuro, basso e con un viso abbastanza infantile. Non dimostrava più di 17 anni

<< Non lo so. >> disse, alzando le spalle e allargando le braccia desolato << L'ho trovata davanti alla porta della locanda, appena sono arrivato. Non so s'è la verità. >>

A questo punto, il giovane dai capelli corvini che stava ascoltando la conversazione fissando l'oste col viso rosso dalle lacrime, esplose tutta la sua rabbia.

<< No che non lo è, vaffan**lo! >> proruppe, i pugni stretti talmente tanto da tremare e le vene sul collo muscoloso talmente gonfie da rischiare di esplodere << Non è vero un ca**o! Quel bastardo prima ci ha messo nei guai e ora ci vuole far credere che siano stati i turks ad ammazzare Kail! >>
<< Dom! >> lo riscosse Jack, un membro della stessa banda di cui il defunto Kail era stato capo, e che adesso stava ascoltando tutto stando dietro le sue spalle.

Con gli occhi iniettati di lacrime e odio precipitò il suo sguardo su di lui, scoprendosì improvvisamente incapace di trattenere le lacrime che avevano iniziato a sgorgare copiose dal suo volto.
Aveva voglia di piangere. Non poteva frenarsi.
Continuava a risentire le ultime, sprezzanti parole di Kail rivolte a lui solo, a rivedere il suo viso, e a sentire quel largo vuoto al centro del cuore allargarsi fino a divorarlo. Ricordava l'unico momento in cui si erano amati davvero. I loro sospiri, i loro baci, la loro voglia di sentirsi per sempre e sempre di più ancora vicini l'uno all'altro.
E poi, quelle lacrime che avevano solcato il viso di Kail quando gli aveva detto che sarebbe stato meglio non riparlarne mai più. "È stato uno sbaglio" erano state le sue parole "Scusami, io non sono gay. Ti ho preso in giro. È che ... ".
Non era mai stato in grado di finire la frase. Tanto sarebbe stata solo l'ennesimo bugia. E alla fine, volente o nolente, era stato proprio quel suo sbaglio a condurre Kail tra le braccia di chi prima lo aveva usato e poi ucciso.
Uno sbaglio atroce, e la sua mancanza di coraggio. Ecco di chi era la colpa.
Non aveva mai davvero voluto ammettere che invece lo amava davvero, e ora tutto si era ridotto al nulla, perché ... Kail ... lui ... era morto.
E per quanto ci provasse, proprio non riusciva a liberarsi dal senso di colpa e dal rimorso per essersene reso in qualche modo responsabile.
Non parlò. La mascella rigida e le lacrime a ostruirgli la gola.
Sentì solo la mano dell'amico che afferrava il suo braccio e le sue gambe si mossero da sole, obbedendo al tacito consiglio del suo sguardo di seguirlo, fuori dalla stanza al piano superiore della locanda, addobbata ad ufficio amministrativo.
Scesero in silenzio, senza guardarsi neanche negli occhi.
E quando finalmente furono in strada, la domanda di Jack arrivò ad infiammarlo di nuovo, gettando benzina sul fuoco già divampante

<< Ascolta, Dom. Io c'ero quando Kail è morto ... >> disse << Ero andato con lui all'arena per cercare quell'uomo e Kail mi ha spiegato tutto. Mi ha detto che forse era morto davvero stavolta, che pareva aver avuto un attacco di cuore o qualcosa di simile. Era grave, davvero grave. >>
<< NON È POSSIBILE! NON PUOI CREDERCI ANCHE TU! >> urlò lui, fuori di sé, agitandosi
<< DOM, ASCOLTAMI! >> lo riscosse l'altro, afferrandolo per le spalle, bloccandolo e guardandolo negli occhi << Ascoltami per favore! C'erano i turks. Due turks, lo avevano circondato. Credo volessero parlare ancora con lui del Combattente ... >>
<< Basta... >> sibilò quindi ancora lui, stringendo i denti

Ma quello continuò imperterrito

<< Uno di loro aveva una pistola, Kail non ha voluto parlare e lui gli ha sparato. Lo sai come sono i Turks, no? È stato lui a ucciderlo! >>
<< No... >>
<< E' stato quel turk a sparare! >>
<< No, cazzo! No! >>

Con uno strattone violento il moro si liberò dalla presa dell'amico, che arretrando bruscamente urtò la schiena contro la parete, senza per fortuna riportare danni.

<< NON CI CREDERO' MAI! >> urlò forsennato << MAI, CAPITO? >> quindi digrignò i denti, il respiro affannoso, e indicando con un dito verso una direzione casuale sibilò << Forse quel bastardo figlio di puttana può essere riuscito a farvi credere il contrario, sarà stato anche astuto e bravo, ma io non ci casco. No che non ci casco! Lo cercherò, lo troverò e lo spedirò all'inferno! >> concluse con un ringhio, iniziando a marciare verso la fine del vicolo buio.

Si trovavano proprio dietro al locale per incontri clandestini. Anche quella sera era aperto, ma l'affluenza era notevolmente diminuita adesso, da quando l'attrazione principale si era dileguata nel nulla.
Jack si affrettò a bloccargli la strada, aprendo appena le braccia

<< Fermo! Fermati! >> urlò, quasi disperato ma senza voler demordere

Dom gli rivolse una lunga e selvaggia occhiata, guardandolo dritto negli occhi.

<< Ma che ca**o vuoi fare? Che vuoi fare, eh? Sei impazzito forse? >> gli domandò quindi quello, dopo un breve, spazientito sospiro << Lo hai visto cosa sa fare quel demonio, no? Hai visto anche tu i suoi avversari in arena. Vuoi finire come loro? >>

Non rispose. Un'espressione di disprezzo e rabbia gli si dipinse in viso.

<< Spostati. >> gli ordinò guardando oltre, dietro le sue spalle
<< No! >> si oppose allora l'altro
<< HO DETTO SPOSTATI! >> urlò allora lui, e prendendolo dal colletto della camicia che indossava lo sollevò di peso e lo lanciò a terra, a qualche metro di distanza

Jack urtò dapprima il braccio con cui si era coperto il viso a terra, avvertendo da subito un forte dolore al gomito, e quindi ruzzolò per un paio di volte fino a fermarsi, ritrovandosi schiena a terra paralizzato, mentre spaventosi singhiozzi arrivavano da dove era rimasto l'amico.
Sembrava ... come se qualcuno lo stesse strozzando.
Ma quando alzò la testa per guardare, lo vide semplicemente cadere a terra in ginocchio, una mano sul cuore e l'altra sulla gola. Una inquietante luce turchese brillava intorno al suo collo, e lui trattene immediatamente il fiato battendo più volte le palpebre, sperando fosse solo un'illusione dei suoi occhi.

<< Dom ... >> mormorò angosciato, mentre quella luce continuava a brillare e quello, sempre più rosso in viso, cercava disperatamente di liberarsene senza successo portandosi le mani al collo.

"Ma cosa ..." pensò Jack, mentre lo vedeva divincolarsi. "Che ca**o è quella cosa, maledizione! "

<< Dom! Dom! >> urlò, mettendosi faticosamente a sedere

Ad ogni grido, sembrava che i polmoni gli si strappassero dal petto.
Quindi, barcollante e stringendo i denti per il dolore mentre si reggeva il gomito con l'altra mano, si alzò in piedi precipitandosi da lui, che nel frattempo però ricadde improvvisamente a terra, con la faccia al suolo. Lo voltò, prendendolo per le spalle.
Ma quando finalmente riuscì a vedergli la faccia, restò inorridito e trattenne il fiato nel vederla spaventosamente pallia, smunta e priva di vita. Come quella di un cadavere.
" No ...".
Sul collo, un vistoso segno nero indicava il punto in cui la misteriosa luce aveva agito per strangolarlo, e i suoi occhi, quegli occhi neri prima così ardenti e pieni di tristezza, ora lo fissavano ancora spalancati, terrorizzati e vitrei.
"Ca**o, no!"
Sotto le sue mani tremanti, Jack sentì il suo petto improvvisamente immobile, e osservò, senza più riuscire a trattenere la paura, quella bocca semiaperta in un ultimo gemito.
Per un'incalcolabile lasso di tempo restò lì, completamente terrorizzato, incapace di muoversi mentre ancora reggeva il corpo senza vita dell'amico tra le braccia. Infine, ad un tratto credette di udire un sibilo, e sobbalzando si voltò rizzandosi in piedi e allontanandosi dal corpo privo di vita, lasciandolo ricadere bruscamente al suolo.
Si guardò bene intorno.
Nulla. Anche se gli parve di vedere un altro leggero bagliore turchino a terra, dove si trovava prima lui, ma poi si convinse fosse stato uno scherzo dei suoi sensi ancora frastornati.
Tuttavia ... quella luce che aveva ucciso Dom non era stata un'illusione, pensò continuando ad osservare da lontano il cadavere.
"Quella era magia, per la dea! Era stregoneria! Allora è vero ch'è morto! Oppure ... è un dannato demone. Ecco come faceva a fare quelle cose in arena. "
Angoscia, ansia e paura.
Nel buio che lo circondava, all'improvviso lo assalirono alla gola facendo palpitare il suo cuore fin quasi dentro alla bocca. Prese a tremare, a sudare freddo mentre portate dall'onda giungevano appena percepite alle sue orecchie le urla sommesse della folla che incitava alla battaglia oltre le pareti dell'arena, a pochi metri di distanza da dove si trovava.
" Continuerà ad ucciderci tutti quanti se solo ne parliamo! "
Seguitò a guardare, inorridito da quegli occhi che lo fissavano senza espressione.

<< Merda! >> mormorò infine, riprendendo fiato e trattenendolo per non sentire il dolore alla schiena e al braccio

E senza più esitare si voltò e iniziò a correre, in direzione opposta al morto, scappando a gambe levate da quella orribile sensazione di sentirsi osservato, di sentire gli occhi della morte addosso al suo cuore.
Anche se ... non erano gli occhi del cadavere a restituirgli quella sensazione, bensì altri, glaciali e del colore del Mako, che se ne stavano nascosti nell'ombra ad osservare l'esito della loro ennesima missione. Positivo, a quanto pareva.
Sorrisero. Quindi, così come erano venuti, si dileguarono.
Anche quella morte fu attribuita ai turks, ma da quel giorno nessuno parlò più né di quegli occhi, né del Combattente.
Come se tutti avessero paura che la sua maledizione potesse abbattersi anche su di loro, soltanto menzionando quella sinistra faccenda.

***

Cammino, da solo per le strada di Midgar contro il vento caldo che viene dal deserto e che improvvisamente ha reso l'aria gelida della notte tiepida e confortante.
L'estate qui a Midgar è così, tagliente, soffocante, ma al contempo calda, e rincuorante.
Mutevole, come il lifestream di cui si nutre.
Le mani sprofondate nelle tasche dei jeans e la cintura con la pistola ben nascosta sotto i caldi lembi della mantella, mi guardo intorno e penso che finalmente è finita.
...
Definitivamente finita.
Perché qualsiasi altro tipo di ripercussione, di qualsiasi altro genere essa dovesse essere, sarà facilmente gestibile, ora che ho chiuso la bocca a quei vermiciattoli paurosi dei bassifondi.
Nessuno mi ha mai visto, nessuno conosce il mio nome. E se i turks dovessero comunque arrivare a me ... allora se la sarebbero cercata, perché so giocare alla guerra molto più bene di loro. E mi pare di averglielo dimostrato già molto efficacemente.
Ghigno, il mio passo si fa più deciso,incalzante mentre guardo le stelle, oltre il bagliore accecante dei lampioni notturni.
È ... strano. Veramente strano e bello il sentimento che mi riempie l'anima adesso, da quando mi sono svegliato.
Ho appena ucciso due persone, una delle quali ha fatto volente o nolente parte della mia vita in maniera importante. Eppure mi sento bene, sereno come se mi fossi appena liberato da un peso gravoso e inutile.
Erano un cancro che stava consumando la mia vita, andava rimosso.
Per questo non mi sento neanche per un solo attimo in colpa, anzi sono addirittura sollevato.
Ho fatto soltanto quello che era giusto per me.
Apro il portone di casa, lo richiudo alle mie spalle accostandolo appena e avanzo verso le scale. Le salgo quasi saltellando, poi estraggo dalla tasca destra del jeans le chiavi e inseritele nella serratura apro la porta, entrando e lasciandola rinchiudersi.
Sono le 22.47, nessuno è ancora andato a dormire.
Mia madre ha appena finito di lavare i piatti, quando si volta verso di me ha ancora lo strofinaccio tra le mani.
Mi sorride, viene ad abbracciarmi. Ricambio e la stringo affondando il naso nei suoi capelli. Ora siamo tutti al sicuro

<< Com'è andata la passeggiata?>> mi chiede poi, guardandomi negli occhi e stringendomi le spalle con le mani.

Sono talmente alto che ci arriva a malapena, mi sono dovuto inchinare per permetterle di stringermi, ma tra le sue braccia mi sento ancora un bambino.

<< Al solito. >> rispondo, raddrizzando la schiena e scuotendo tranquillo le spalle con aria allegra << Fa piuttosto caldo fuori. >> aggiungo quindi, e mi sarei aspettato che lei si offrisse di prendere la mia mantella, invece non lo fa.

Si limita a guardarmi con un mezzo sorriso, per poi offrirmi il solito caffè dopo pasto. Non so se abbia capito o no, spero davvero non lo abbia fatto, ma c'è qualcun altro che invece continua a fissarmi la vita, come se si aspettasse di vedere da un momento all'altro ciò che ormai sa già.
Mio padre. È seduto sulla poltrona, guarda l'ultimo notiziario della sera. Perché continua a farlo ogni volta, se è convinto che sia imbottito di bugie?
Quando dopo aver rifiutato l'invito di mamma faccio per avviarmi verso la camera di nonno, i nostri occhi s'incrociano per un momento anche se il suo è uno sguardo di sottecchi, e non ho bisogno di parole per sapere cosa sta pensando.
Non resisto più.
Senza preavviso afferro i lembi della mantella e la sollevo fin sopra le spalle, levandomela dalla testa.
Adesso la pistola nel suo fodero è inevitabilmente scoperta, e nessuno dei due può fare a meno di guardarla tranquillamente adagiata contro il mio fianco.
Mia madre riempe i suoi occhi di un sentimento che non è completamente stupore. Sembra quasi ... sia più preoccupata per ciò che sto per dire o fare, piuttosto che per qualsiasi altra cosa che io abbia avuto il tempo di fare prima con quell'arma. Invece mio padre ... è terrorizzato. L'unica cosa a cui i suoi occhi mi portano a pensare è: "Perché hai un'arma da fuoco legata alla vita? Chi hai ammazzato stavolta? ".
Decido di rispondergli

<< Domande? >> chiedo però prima a mia volta, senza sarcasmo, mentre lascio che il suo sguardo corra prima sulla pistola e poi sul mio, dritto nei suoi occhi
Sembra rianimarsi. Scuote la testa quasi disgustato, e sta per rispondere che non vuole saperlo ma io lo prevengo con la verità

<< Sono tornato al mercato. >> dico con semplicità << Avevo ancora un paio di cose da sistemare prima di chiudere con quella vita. >>

Ora lo vedo che il fiato gli si smorza in gola

<< E ... >> dice, riprendendosi e riassumendo un'aria severa << Le hai sistemate? >>

Penso abbia capito. Mia madre no, forse. Ma lui si. Perché rabbrividisce.
Sorrido appena, annuisco

<< Si. >> rispondo << Una volta per tutte. >>

Ora forse ha capito anche lei. Ma non importa, non voglio più dir loro alcuna bugia. Anche perché mio padre sembra non volermi perdonare nemmeno le precedenti, quindi non cambierebbe granché nascondergli la verità o dirgliela in faccia

<< Bene. >> conclude infatti, storcendo appena la labbra e tornando a fissare lo schermo

Non ho ancora finito. Sono stanco che mi rinfacci sempre di essere un bugiardo quando anche lui nel suo piccolo lo è. Siamo uguali, perciò non ha il diritto di colpevolizzarmi.
Ghigno appena, quindi, mentre la sua attenzione continua ad essere su di me ma senza che me lo dimostri, estraggo fuori dalla tasca del jeans il pacchetto ancora chiuso di sigari che Don Corneo mi ha fatto recapitare questa settimana e glielo pongo davanti al naso, il tutto mentre ancora mia madre ancora ci osserva dietro le mie spalle.
Lui sobbalza sorpreso, lo vedo fissare il pacchetto ad occhi sgranati per poi tornare a guardarmi.
Attendo.
Lo so che li vuole. Li ha sempre voluti. È uno dei suoi sogni nel cassetto fumare uno di quei bei sigari che col suo stipendio da fabbro non potrebbe mai permettersi.
Altro che le sigarette che è solito comprare adesso. Il profumo di questi sigari è così intenso da stordire quasi.
Mi guarda

<< Io non fumo. >>

Ghigno. Tse, si certo.

<< E allora come mai ogni volta che torni a casa da lavoro puzzi di tabacco scaduto? >> lo incalzo

Lo vedo sbiancare. Guarda mia madre, sento che sta sorridendo. Poi me, i sigari e di nuovo me.
Ma non fa nulla.
Sospiro, e glieli appoggio sulla tv per poi voltargli le spalle e iniziare a dirigermi con calma in camera

<< Cos'è? >> mi dice lui, quando sto per imboccare il corridoio << Un regalo per tentare di farmi dimenticare che mostro sei diventato? >>

Sospiro di nuovo, e non spengo il sorriso dalle mie labbra. Solo lo rendo più disinteressato, più serio. E riprendendo a camminare mi avvio verso la mia camera, lanciandogli la mia risposta conclusiva

<< È un regalo a mio padre. Pensala come vuoi, adesso. >>

Ma non dirmi che non hai scheletri nell'armadio anche tu, perché non ci crede nessuno.

\\\

Non è passato molto, da quando sono qui, disteso con la testa poggiata sul cuscino che sa di pulito e gli occhi chiusi, assaporando la sensazione di pace che avvolge i miei pensieri.
Solo un paio di minuti, o forse qualcuno di più.
La piccola abat jour sul comodino al mio fianco è l'unica fioca illuminazione che fende il buio, e il silenzio è totale.
Sospiro, e sorrido.
Ad un tratto, la porta si apre alle mie spalle, lentamente, e mentre in sottofondo molto basse le voci della tv sfiorano le mie orecchie, passi calmi e lenti si avvicinano a me portandosi dietro il loro inconfondibile profumo.
Sono volto su un fianco, di spalle, ma non mi serve vedere per capire che è lei.
Mia madre.
Ad occhi chiusi continuo a seguirla, la sento accomodarsi affianco a me sull'altro lato del letto, e quando la sua mano sfiora la mia guancia, solo allora li apro e la guardo, rivolgendole un sorriso.
Lei me lo restituisce, tenera

<< Ciao ... >> mormora, divertita
<< Ciao ... >> rispondo, a tono

Restiamo in silenzio a guardarci, per qualche altro istante ancora.
Poi, lei allunga di nuovo la sua mano verso il mio viso e lo sfiora piano con un dito. Tutto, disegnandone i contorni con gentilezza, come faceva quando ero bambino. Mi divertivo da matti. Mi sentivo ... amato. Come adesso.
Chiudo gli occhi, e glieli lascio fare. Poi si ferma, di colpo, e quando torno a guardarla lei sorride ancora e sfiora piano la ciocca bianca che scende lungo le spalle.
Rabbrividisco, e il mio cuore trema.
All'improvviso vorrei piangere, ma so.
Che non sono io ...

"Sii i miei occhi ..."

E allora, senza distogliere lo sguardo da lei, continuo ad ascoltare quelle sensazioni e inizio a muovere le labbra, senza dar loro voce.
Non c'è bisogno che lo faccia, perché la mia voce arrivi lì dov'è lui adesso.
Mi basta ... sentirlo, e volerlo. E in questo momento sto facendo entrambe le cose.
Mia madre intanto, mi guarda continuando a sorridere mi chiede, curiosa e dolce

<< Cosa fai, adesso? >>

Fermo le mie labbra, ma continuo a pregare. La guardo, serio e concentrato. Poi con la destra prendo la sua mano, quella che accarezza la mia ciocca, e me la porto piano alla bocca, stampando su di essa un delicato bacio per poi concludere

<< Sto parlando con Sephiroth ... o almeno ci provo. >>

Lei mi guarda per un attimo stupita. Poi però sorride di nuovo, e dolce mi chiede

<< E cosa gli stai dicendo? >>

Ed è solo allora, che lo sento. Quella forte scossa che dalla spina dorsale sale fino a illuminare i miei occhi per qualche secondo, spingendomi alle lacrime.
Singhiozzo, mia madre mi guarda preoccupata ma dura poco. Subito dopo, mentre le lacrime iniziano a solcare il mio viso e io capisco di essere riuscito a connettermi di nuovo col suo spirito, torno a sorriderle e sfiorandole la fronte con un dito rispondo, con voce tremula per l'emozione

<< Gli ho detto di guardarti ... e ricordarsi di te. >>

Silenzio. Uno carico di emozione, di commozione. Talmente zeppo da non riuscire quasi più a contenerla.
Sulla sua bocca e sui suoi occhi un'espressione stupita, poi rapido di nuovo quel sorriso intenerito mentre qualche lacrima annebbia i suoi occhi.
Sorrido anche io.
E, infine, i nostri corpi si stringono in un abbraccio intenso ed eterno, e le sue mani tornano ad accarezzare i miei capelli mentre quelle scosse si ripetono nella mia anima, e io la stringo forte immergendo il naso nei suoi capelli senza neanche più sapere chi di noi due lo stia facendo, se Sephiroth o Victor.
Non importa.
L'importante è riuscire a guarirci, e prenderci cura di noi  come non ha mai fatto nessuno, fino ad oggi. Sono più che felice di condividere questi momenti con lui, se questo è l'unico modo in cui posso farlo.

***

Due giorni dopo ...

In piedi di fronte al suo ennesimo esperimento, rinchiuso nella grande gabbia di vetro al centro del fornitissimo laboratorio, Hojo ascoltava a braccia conserte dietro la schiena, con aria assorta e un ghigno sulle labbra, il racconto ormai giunto alla fine, del turk che gli stava al fianco.

<< Questo è tutto, professore. >> concluse impettito quello << Ora stiamo lavorando sui tabulati telefonici, speriamo di poter almeno confermare i nostri sospetti e ... >>
<< Quindi è tornato. >> lo interruppe, gli occhi pieni di cupidigia, dopo aver smesso di ascoltarlo

Tseng smise di parlare e lo fissò corrucciandosi

<< Noi ... >> iniziò << Non lo sappiamo con certezza. Potrebbe non essere lui ... >>
<< Sapete già dove abita? >> continuò peròad incalzarlo lo scienziato

Per qualche attimo il turk si chiese se stesse veramente ascoltando ciò che aveva da dirgli, ma doveva averci pensato troppo, perché ad un tratto Hojo smise di guardare la sua cavia oltre il vetro e rivolse a lui uno sguardo truce

<< Allora? >> gracchiò, nervoso
<< No. >> rispose lui, mentendo

E immediatamente una fitta gravò sulla sua coscienza.
Hojo tornò a ghignare, determinato e impaziente

<< Scopritelo allora! >> ordinò << E portatemelo ... >>

Tseng si zittì di nuovo, fissandolo a lungo negli occhi mentre, all'improvviso, le parole di Victor Osaka tornavano a risuonargli nelle orecchie assieme all'immagine degli omicidi che era stato in grado di commettere

"Ricordalo al professore, se dovesse venirgli ancora in mente di cercarmi."

Come un tuono, anticipava una tempesta orribile e devastante.
Perciò stava per seguire il suggerimento, quando però, infastidito, il professore sbraitò ordinandogli

<< Bhe, cosa fai ancora qui impalato.? Aria! devo lavorare non posso star qui a perdere tempo con i cani! >>

E allora lui non ce la fece. Trattenne il fiato, quindi annui e seguendo il suggerimento se ne andò, voltandogli le spalle.
La missione prima di tutto, questo era l'unico obbligo di un turk. Se Hojo voleva mettersi nei guai quello non era affar suo. Anche se stavolta avrebbe di gran lunga preferito lasciar fare ai SOLDIER, come aveva giustamente suggerito Reno.

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Yoshi entrò spedito nella sua piccola officina, e come ogni giorno accese le luci e abbandonò distrattamente le chiavi sul primo bancone disordinato che gli capitò davanti.
Inevitabilmente, i suoi occhi si posarono sul pacchetto ancora sigillato di sigari che se ne stava tranquillo sullo stesso ripiano, a qualche centimetro dalle chiavi.
Si bloccò, lo fissò corrucciandosi e sospirò.
Impossibile non ripensare a Victor e alle sue parole quando gli aveva chiesto il perché glielo avesse regalato

" È un regalo a mio padre. Pensala come vuoi, ora. "

Ancora un altro sospiro, si morse la labbra mentre il loro profumo giungeva alle sue narici.
Era tabacco di prima qualità, senza ombra di dubbio.
Ah, quanto aveva desiderato fumarne anche solo uno, almeno una volta nella vita! Ed ora eccolo lì, un bel pacco da dodici pronto per soddisfare la sua voglia.
Ma ... chissà dove li aveva trovati, quel ragazzo! Magari erano appartenuti a qualche malavitoso o li aveva comprati coi soldi che aveva guadagnato ammazzando qualcuno in quegli orridi incontri di lotta.
Il terzo sospiro, ancora più pesante.
Ormai era da due giorni che quella scena si ripeteva con la stessa modalità, e lui non sapeva che pensare.
Non voleva cedere, perché altrimenti il suo orgoglio ne avrebbe risentito e anche perché non sapeva ancora se fidarsi di suo figlio.
Insomma, chi gli assicurava che quella vita era finita davvero e che non avrebbero più corso pericoli?
Eppure ... quei dannati sigari ... erano così invitanti, perdio!
Sbruffando e scuotendo la testa si voltò e fece per mettersi come sempre al lavoro, ma fatti un paio di passi e sistemata già tutta l'attrezzatura sul bancone sentì di non farcela più e, dopo due giorni di strenua resistenza, mormorando una bestemmia agguantò tremante il pacchetto e apertelo prese tra le dita un sigaro e se lo accese, tenendolo tra le labbra e cedendo così alla tentazione.
Chiuse gli occhi, ispirando la prima dose, e rilassò i muscoli sospirando profondamente.
Per la dea, che prelibatezza!
Dannato bastardo, aveva ragione Victor, altro che quel tabacco scaduto che rivendevano spacciandolo per sigarette!
Ghignò, in estasi, e scosse la testa.
"Maledetto!" pensò "Non pensare che mi sia arreso eh. Ah, no che non lo sono!
Però ... se ti comporti bene un'altra tregua potrei anche concedertela, mascalzone che non sei altro! Giusto perché non mi piace essere in debito per principio. "

   
 
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