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Autore: arsea    26/09/2016    3 recensioni
Lo vide sbiancare ancora di più se possibile, cereo: "Cosa vuoi fare?" domandò spaventato "Non è la prima volta, Charles. È sempre così: ci incontriamo, ci amiamo e io rovino tutto. Mi dispiace… mio Dio… mi dispiace" "Cosa stai dicendo?" gli prese la destra, così debole, oh, così morbida, e la incatenò alla sua "Fidati di me" disse "Ti troverò" lo baciò mentre teneva la sua mano, lo immobilizzò con quel bacio e prima che potesse fermarlo affondò il pugnale dritto nel suo cuore
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Emma Frost, Erik Lehnsherr/Magneto, Raven Darkholme/Mystica
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La prima cosa che Emma aveva fatto quando glielo aveva detto era stato scoppiare a ridere.
Poi si era sforzata di tornare seria, ma alla fine aveva riso di nuovo e anche adesso era difficile farla trattenere << Quindi hai già conosciuto tua suocera! >> lo canzonò continuando a ridacchiare mentre mangiavano al solito ristorante, ma lui non riusciva a mandar giù nemmeno un boccone << Non ho fatto caso al nome. È stato prima che lo conoscessi...hanno un dannatissimo stemma, riesci a crederci? Una X bianca su sfondo blu. È sulla carta intestata, è sul fascicolo e io non l’ho visto fino a questa mattina! >> << Beh, vorrà dire che passerai la Vigilia con Charles. Romantico >> lui la fulminò con lo sguardo, ma come al solito quello le scivolò addosso come acqua.
Aveva ricordato Iron non appena si era seduto sulla sua sedia ergonomica.
Il segretario della donna bionda che sembrava scolpita nel marmo, sì, ma aveva controllato comunque il fascicolo che non aveva aperto la sera prima, riconoscendo sconfortato la firma elegante di Sharon Xavier sul contratto di inizio lavori << Oh, andiamo, non farne un affare di stato: basta che lo avverti, no? >> << Non mi risponde al cellulare. C’è solo la segreteria telefonica >> << Lei non vi ha lasciato nessun recapito telefonico? >> << Sei impazzita per caso? Chiamarla per chiederle di passarmi il figlio? Sento la voce di Darkholme che mi licenzia solo a pensarlo. Io ho bisogno di un lavoro per vivere >> lei tagliò il suo filetto di pesce con un sorrisetto furbo << Immagino tu abbia provato anche con Raven >> Erik però non rispose, rabbuiandosi << Se le chiedo di passarmi Charles mi chiederà perché >> << Puoi dirglielo, che male c’è? >> lui strinse le labbra d’impazienza, fissando il proprio piatto come fosse la causa di tutti i mali << Ho conosciuto la loro madre prima di loro. Penserà che abbia saputo da Sharon di Charles. Dubiterà di tutto di nuovo >> << Ottima occasione per vuotare il sacco >> << Al telefono? Tu ti prendi gioco di me. Non so nemmeno perché te ne parli a questo punto >> lei lo guardò da sotto la frangia di capelli biondissimi, e non ci fu dubbio che avesse capito dove voleva andare a parare << Me ne parli perché io sono amica di Raven e potrei spiegarle senza che fraintenda perché un certo stalker si presenterà a casa loro per la Vigilia di Natale >> un altro avrebbe negato, ma Erik non aveva alcun motivo per farlo, tanto più a qualcuno che poteva vedere in lui << Lo farai? >> si limitò a chiedere e lei sbatté le lunghe ciglia perfettamente truccate mentre masticava il suo boccone di spigola, prendendosi tutto il tempo prima di rispondere << Ad una condizione >> << Adoro il tuo affetto disinteressato >> ribatté sarcastico, ma avrebbe mentito se avesse detto che gli dispiaceva quel fare calcolatore << Mi inviterai come accompagnatrice al gala di fine anno della Fondazione Darkholme >> << Starai scherzando! Non andrò a quel ritrovo per... >> << Non sono io che ho chiamato te, ricordi? >> lui prese un lungo respiro profondo, lo trattenne per un attimo trai denti e poi lo rilasciò lentamente, ingoiando così la prima risposta che gli venne da dare a quell’arpia dal sorriso bianco e il cuore freddo come il suo nome.
Giunse quindi alla seconda risposta, più diplomatica << Va bene, ma perché? >> << Si tiene a casa Darkholme, giusto? C’è qualcosa che voglio verificare in quel posto >> sapeva che non le avrebbe strappato di più, quindi assentì.
Lei diede in un altro sorriso, bella e pericolosa come una tigre siberiana, e tornò alla sua spigola.
Erik si sentiva un poco sollevato a dire il vero, abbastanza da riprendere a mangiare << Sta funzionando la cosa del migliore amico, vedo >> << Oh, chiudi il becco >> non aveva bisogno di guardarla per sapere che stava gongolando, quindi si concentrò molto sul proprio piatto << Come hai conosciuto Raven? >> ci fu un momento di silenzio dopo quella frase, strano per una come lei, quindi sollevò il capo per capire cosa non andasse, ma l’unica cosa che lo ricambiò fu un sorriso smagliante e una perfetta faccia da poker << È una cosa di voi psionici quel sorriso, vero? Charles ne ha uno proprio uguale >> << Non capisco di cosa tu stia parlando. Io e Raven ci siamo conosciute semplicemente ad una festa >> << E come è successo che la figlia di uno degli avvocati più famosi di New York finisse alla stessa festa di Raven-Sono-Un-Artista-Ribelle Xavier? >> << Mi piace l’arte, è così strano? Cafone >> lui sbuffò << Una bionda a cui piace l’arte, figuriamoci. Questa è l’America, Emma >> fece sarcastico, la fece ridere, ma era vero che non credeva all’incontro casuale.
Qualcosa gli diceva che niente nella vita di quella donna avveniva senza una ragione << È così fondamentale che io non sappia come vi siete conosciute? C’è qualcosa che vuoi dagli Xavier? Oppure... Emma, non ti perdonerei se intendessi far loro del male >> non era una minaccia, non ancora, ma vi era terribilmente vicino.
Lei lo ricambiò immobile per un momento, poi fece un gesto di noncuranza con la mano e prese un altro boccone << Sono amica di Raven da più di un anno ormai, le voglio bene, ma è vero che non sono diventata amica sua per caso. Te ne parlerei, ma sei troppo... coinvolto. Ci sono delle cose che devo verificare prima, e credimi se ti dico che è per il loro bene >> << Sai qualcosa che potrebbe danneggiarli? >> la vide stringersi nelle spalle << Forse. Probabilmente no. Ma ad ogni modo è da verificare >> gli parve sincera.
Aveva un radar particolarmente sensibile per le bugie, ma lei era così cauta nel cosa dire che lo tranquillizzò: stava omettendo qualcosa, ma non lo nascondeva, chiedendogli anzi di fidarsi di quanto non gli diceva << Va bene, come vuoi. Tu ti sei fidata del mio assurdo passato quindi io farò lo stesso. Ma non tradire la mia fiducia >> aggiunse vagamente.
Lei corrugò le sottili sopracciglia curate, scrutandolo, poi posò forchetta e coltello e prese un sorso di vino bianco << Non sai perché vi accade >> non era una domanda, ma Erik scosse il capo lo stesso << L’unica certezza che ho è che una volta morti torniamo in vita nello stesso luogo della nostra morte >> << Dovete morire insieme? >> lui si strinse nelle spalle, facendosi cupo << Ci sono state delle volte che non sono riuscito a trovarlo >> rivelò in un mormorio << Siamo morti in posti diversi allora, ma... credo in tempi vicini >> << Sempre morti violente >> Erik si immobilizzò a quelle parole.
Non ci aveva mai pensato, ma Emma aveva ragione. Non ricordava moltissime delle loro morti, non come le due che aveva sognato, eppure era certo che non fossero morti naturali, anzi, raramente aveva ricordi di un se stesso molto più vecchio di come si sentiva adesso.
Si sentì raggelare: aveva una data di scadenza?
Non sapeva che faccia avesse assunto in quel momento, ma spinse quel pezzo di ghiaccio di Emma a fare un’espressione preoccupata << Ehi... è solo una supposizione la mia. E la tua memoria non è così precisa >> << Ogni volta, Emma. Perché? Dio... non ci avevo pensato. Sono sempre morti violente >> << Questo non significa nulla >> << È una specie di punizione? Torno qui ogni volta per cercarlo, solo per morire con lui dopo poco tempo. Ha senso? Perché? Lui... lui non merita tutto questo >> << Perché tu pensi di meritarlo? >> Erik la guardò con uno sbuffo ironico, spingendo via il piatto e appoggiandosi con il gomito al tavolo per accostarsi a lei << Non c’è dubbio che sia causa mia in qualche modo >> mormorò << Sono l’unico che ricorda, l’unico che sa cosa fare. Per me è un dannato chiodo conficcato nel cervello, che mi ha fatto credere di essere pazzo ad un certo punto. Se c’è un perché dietro questa storia, e non sono sicuro che vi sia, allora sono io che ho causato tutto >> << Perché ne sei così sicuro? >> Erik scrollò le spalle << Potendo scegliere non avrei coinvolto Charles. Non potendo farlo avrei limitato i danni, condannando solo me alla memoria. Se c’è una cosa che ho capito è che nessuno dei due è cambiato granché con il passare del tempo >> lei si fece ancora più incerta, gli occhi azzurro chiaro si assottigliarono, come se potesse guardare attraverso di lui.
Gli fece venire la pelle d’oca, e l’istinto gli suggerì di allontanarsi, anche solo addossandosi allo schienale della sedia << Cosa vuoi fare? >> domandò lei infine, pulendosi la punta delle dita nel tovagliolo << Sto pensando al futuro. Mi chiedo quanto durerà questa storia. Se c’è una soluzione. Penso a Charles, e l’idea che possa morire a causa mia mi... ma lo amo. Non posso stare senza di lui, non dopo averlo trovato. È egoista, lo so, eppure... >> << Egoista? >> lo fermò lei incrociando le braccia al petto << E cosa si suppone che sia l’amore? È necessariamente egoista. Amiamo qualcuno che ci fa stare bene, giusto? Amiamo gli altri quanto amiamo noi stessi, non possiamo fare diversamente. Accettare che non puoi vivere senza di lui non è egoismo, è semplice amore. E se c’è davvero qualche maledizione, qualche ciclo cosmico che con voi due si è inceppato... direi proprio che è meglio affrontarlo insieme piuttosto che da soli >> scrollò poi il capo, portandosi indietro una ciocca di capelli perfetti con un gesto elegante e abitudinario << Quel ragazzino ha molte più chance di sfuggire alla morte con te piuttosto che senza >> indicò il ristorante con un dito sufficiente prima di puntarglielo contro con fare minaccioso << Chiunque di questi mediocri ipocriti ti direbbe che se lo ami devi lasciarlo andare. Proteggerlo magari, una di queste idiozie da romanzo rosa. Ma io so cosa provi, e se c’è qualcosa in cui credo è non tradire mai se stessi: se morirete di nuovo avrai un’intera vita per riprendertelo >> terminò infine con una scrollata di spalle, poi scostò la sedia e si alzò in piedi << Preferisco pentirmi per anni di aver agito che rimpiangere di non averlo fatto >> sentenziò infine.

*

La cena era stata per lo più indolore.
Esattamente come da copione, non differì molto con quello che aveva raccontato ad Erik, se non per il fatto che Cain si era rivelato ancora più insopportabile del solito, con battute divertenti solo per lui e altrettanto unilaterale conversazione durante il pasto.
Per lo più aveva parlato Sharon.
Oh, almeno in quel periodo dell’anno si impegnava a tenere “unita” la famiglia, con un sacco di “caro” e “tesoro” a condire il tutto, solo che Charles non riusciva a pensare a niente se non al mal di testa epocale che gli stava bombardando il cervello.
Quel poco che mangiò a cena lo vomitò non appena tornato nella sua stanza, e aveva avuto un aspetto tanto pessimo che Raven aveva preso il suo cuscino e aveva dormito al suo fianco.
Dormito, certo.
Aveva chiuso occhio solo all’alba, quel bastardo era rimasto fino a tardi a guardare la televisione del salotto, e Charles si chiedeva adesso che cazzo aveva da pensare di lui per tutto quel tempo.
Insomma, non è proprio umanamente possibile concentrarsi tanto su una persona così a lungo.
Cominciava a pensare di aver sottovalutato le capacità del fratellastro.
Tornare a Westchester non era spiacevole solo per lui naturalmente: Raven non avrebbe lasciato il suo fianco per i prossimi giorni, ne era sicuro, come quando erano bambini e Charles era l’unico scudo contro il resto degli abitanti della casa.
Aveva vent’anni certo (vent’anni e mezzo, avrebbe detto lei) ma era pur sempre una ragazzina e le occhiate di Cain avrebbero fatto rabbrividire chiunque, quindi lui fingeva semplicemente di non accorgersi del suo attaccamento, anzi, glielo giustificava il più delle volte, chiamandola lui o pregandola di sedersi vicino.
Lei sbuffava e alzava gli occhi al cielo, così il suo orgoglio restava intatto.
E d’altro canto anche Charles era tranquillizzato dalla presenza di lei.
Si alzò a sedere sul letto enorme, attento a non scoprire la sorella ancora addormentata, e trattenne uno sbadiglio prima di andare alla doccia.
Grazie al cielo il mostro dormiva ancora, quindi il mal di testa era solo un ronzio sopportabile, ma proprio per questo doveva approfittare di quella pace.
Si infilò sotto il getto caldo e si sentì rinascere, adesso che le tossine dell’alcol avevano completamente abbandonato il suo corpo, ma di contro aveva anche una certa fame << Charles? Sei sveglio? >> chiese la voce assonnata di Raven dall’altra parte, una di quelle domande assurde che sottintendono già la risposta, ma lui la assecondò comunque << Ho quasi finito. Mi vesto ed esco >> << Fai con comodo. Io ho lasciato il cambio di là... per colazione muffin? >> << Andrebbe bene qualsiasi cosa >> lei diede in un mugugno d’assenso, quindi lui sentì la porta chiudersi alle sue spalle.
Non tutte le camere avevano un bagno privato, ma ve n’erano comunque abbastanza perché ciascuno della famiglia avesse la sua, il che era un gran bel vantaggio visto che la sola idea di lavarsi dopo Cain gli faceva ritorcere le viscere.
A differenza di quanto avrebbe fatto se fosse stato al loft, non cambiò il pigiama semplicemente con un altro, indossò un paio di pantaloni e una camicia azzurra sotto ad un maglione quasi della stessa tonalità dei suoi capelli.
Riuscì a convincersi che le pantofole potevano andare per sua madre, e una volta pettinatosi velocemente allo specchio dell’armadio afferrò le sue pillole e uscì per prendere l’acqua visto che la sera prima non aveva portato con sé la brocca.
Cain attraversò il corridoio proprio in quel momento, grosso e imponente come solo lui sapeva essere, tanto che le cuciture della camicia color panna che indossava parevano sul punto di saltare sotto la pressione dei muscoli possenti delle braccia e del torace, eppure lo vestiva incredibilmente bene nonostante tutto, anche i pantaloni gessati color antracite cadevano dritti sulle sue gambe tornite.
I capelli castani, più scuri dei suoi, erano tagliati corti, quasi militareschi, e gli occhi color fango avevano sempre qualcosa di sgradevole ogni volta che Charles si ritrovava a fissarli.
Chiunque sarebbe parso minuscolo confrontato con lui, ma venir squadrato dall’alto della sua improponibile altezza lo fece sentire ancora più basso di quel che in realtà era << Buongiorno, fratellino >> oh, quel nomignolo era solo la più digeribile delle sue fastidiosissime abitudini << Salve, Cain >> anche se non avrebbe voluto, la sua voce rispecchiò esattamente il suo stato d’animo: detestava quell’uomo, sapeva di essere detestato a sua volta, perciò tutto ciò che poteva provare era il nulla assoluto, talmente profondo che il suono avrebbe potuto rimbombare dentro di lui.
Fece per proseguire per la sua strada, quando l’altro proseguì: << Tu e Raven non siete un po’ troppo grandi per dividere la stanza? >> l’insinuazione gli fece ritorcere le viscere prima ancora di voltarsi per fulminarlo con lo sguardo, ma dentro di sé non c’era che gelo, ghiaccio duro e solido che poteva ustionare.
Lasciò che Cain ne avesse un assaggio, solo una minuscola lingua del suo potere che circondò l’uomo in spire ghiacciate, e lo vide irrigidirsi con attenzione << Non ho ancora preso le pillole >> lo avvertì atono, quasi annoiato, gli occhi marroni si limitavano a scivolare sulla sua figura, come se Charles avesse appena fatto comparire un coniglio dal cilindro.
Si spinse un finto sorriso sulle labbra << Dividiamo un appartamento, Cain >> tornò quindi ad incamminarsi, scendendo le scale di legno scuro controllando la propria rabbia per non tradirla nei passi o nella postura.
Una fitta alla fronte mentre andava in cucina gli ricordò che quel sadico poteva facilmente riprendersi la rivincita, ma per il momento preferì crogiolarsi semplicemente nella paura che aveva visto in lui.
Ai fornelli c’era Janine, la stessa donna che aveva preparato i suoi pasti da piccolo e che probabilmente avrebbe continuato a farlo per sua madre ancora a lungo.
Era una creola di New Orleans e gli aveva insegnato a parlare francese quando era bambino, e oltre ad essere l’unica persona vagamente umana che avesse abitato la sua infanzia, per quanto sempre tenuta alla larga da Sharon, era anche l’unica a pronunciare il suo nome con una dolcezza che poteva somigliare a quella di una madre << Oh, Charlie sei venuto a trovarmi! >> era ancora bellissima, nonostante tutto il tempo passato: alta e snella, la divisa le cingeva i fianchi con un’eleganza che gli faceva desiderare vederla in abito da sera una volta tanto, con capelli biondi tagliati corti e riccissimi ad incorniciarle un volto tondo e luminoso, decorato da sottili rughe d’espressione che comunque nascondevano abbondantemente i suoi cinquantasei anni.
Ricambiò il suo abbraccio quando lo strinse, profumava di lavanda come al solito, e non si sottrasse nemmeno ai baci che gli diede sulle guance, per il semplice fatto che glieli avrebbe dati che lui lo volesse o meno.
Lo scostò quindi, gli aggiustò una ciocca di capelli che gli era ricaduta sulla fronte e i suoi occhi verde salvia si illuminarono << Sei diventato un ragazzo splendido. Farai impazzire tutte le ragazze! >> tornò alla padella sul fuoco, con abilità sfrattò un pancake per sostituirlo con altro impasto.
Non chiese alcunché, si limitò a posare il piatto con i dolci appena sformati sul tavolo davanti a lui, gli riempì una tazza di caffè e lo spinse sulla sedia << Mangia prima che tua madre si svegli >> lo avvertì facendolo ridacchiare.
Lo trattava come un ragazzino, probabilmente avrebbe continuato a farlo per sempre, ma in qualche modo non gli dispiaceva affatto.
La colazione era ottima come al solito, lo sciroppo di mirtilli magnifico, il caffè aveva un vago retrogusto di vaniglia che non trovava da nessun altra parte << La testa come va? >> chiese posandogli un bicchiere d’acqua accanto all’astuccio degli inibitori << Come al solito >> << Significa bene o male? Non ti vedo da tre anni, Charlie >> << Ma abbiamo parlato al telefono. E anche su skype un paio di volte >> << Sono troppo vecchia per quelle cose. Non posso sapere come sta il mio ragazzo attraverso uno schermo >> lui scrollò il capo e diede in un respiro profondo << Mi sei mancata anche tu, tante >> lei ridacchiò e gli scompigliò affettuosamente i capelli prima di tornare al suo lavoro.
Finì il suo piatto e continuò a sorseggiare il suo caffè con soddisfazione, per questo fu l’ultimo ad accorgersi dell’entrata di Raven << Mon petit corneille! >> esclamò Janine nel vederla, e la raggiunse sulla porta per abbracciarla con trasporto.
Raven non fu troppo diversa da lui, Janine non ammetteva molte proteste quando si trattava di abbracci, la ricoprì di baci e nel giro di qualche minuto erano immerse in un chiacchiericcio compatto e allegro che cinse Charles come una coperta calda, facendogli dimenticare per qualche momento dove si trovasse.
Un trillo soffocato avvertì che la torta era pronta, e subito dopo un suono più profondo segnalò invece che qualcuno aveva bussato alla porta.
Lui e Raven si immobilizzarono lanciandosi un’occhiata, chi poteva mai essere la mattina della Vigilia, mentre invece Janine si prese il tempo di sfornare la torta prima di andare all’interfono digitale che stava vicino alla porta: << Iron, l’ospite è arrivato >> << Abbiamo un ospite? >> chiese Raven prendendo posto anche lei al tavolo con una tazza di tè in mano << Madame mi ha avvertito ieri mattina che sarebbe arrivato un esperto >> << Esperto di cosa? >> Janine si strinse nelle spalle alla domanda di Charles << Sono alcune settimane che c’è un viavai continuo di persone. Credo che Madame stia pensando di ristrutturare qualcosa >> << Cosa? >> la creola indicò il pavimento con un dito, e di riflesso Charles si sollevò in piedi << I laboratori? >> << Non lo so, Charlie, non vale la pena fare quella faccia. Potrai chiedere a tua madre non appena si sveglierà. Finisci il tuo caffè >> lui ovviamente non ne aveva alcuna intenzione.
Anzi, si mosse verso la porta e affrettò il passo per intercettare questo fantomatico ospite nel salotto, facendo così appena in tempo a farlo perché subito dopo Iron varcò la porta insieme all’ultima persona che si aspettava di vedere.
Per un istante rimasero semplicemente a fissarsi, uno più sorpreso dell’altro, finché Iron non richiamò l’attenzione del nuovo arrivato con un sopracciglio inarcato << Mr Lehnsherr? >> << Erik >> disse Charles, mentre invece l’altro sibilò qualcosa che sembrava molto yiddish e molto poco consono al suo ruolo in quel momento, e infatti Iron si schiarì la gola rumorosamente, fingendo di non aver capito ciò che aveva capito perfettamente << Potevi avvertirmi >> riuscì a dire Charles infine << Ho provato >> e nel dirlo rovistò per qualche istante nella tasca della sua borsa di pelle, estraendo infine il suo cellulare << L’hai lasciato sul divano >> mormorò, con qualcosa di molto simile alla paura che gli aveva visto negli occhi la prima volta che si erano incontrati.
Charles lo prese, vide lampeggiare sul salvaschermo le chiamate perse –quattordici – e diede in un grosso respiro profondo << Potevi chiamare Raven >> con un altro sibilo, indecifrabile questa volta, Erik estrasse il proprio telefono e digitò un numero dalla rubrica prima di portarselo all’orecchio, l’espressione tanto tesa che le pupille erano piccole come spilli nel ghiaccio delle sue iridi << Emma >> azzannò, nello stesso momento in cui Raven faceva capolino sulla porta << Avevi detto che... maledettissima... >> un altro ehm-ehm di Iron lo fermò, e il silenzio fu così tangibile che Charles riuscì a sentire distintamente il << Passamela >> dall’altra parte della cornetta.
Erik obbedì, porgendo il cellulare a Raven, che lo guardò un po’ perplessa e stranita prima di accettare.
Ascoltò per qualche secondo, senza espressione, poi scoppiò a ridere sonoramente << Beh, su questo non c’è alcun dubbio! Sembra che abbia ingoiato un rospo >> Charles immaginò che la descrizione fosse riferita ad Erik, perché era l’unico presente che la rispecchiasse << Dice che mamma gli ha assegnato un lavoro senza che lui sapesse chi fosse. Non pensare male >> riferì, portandosi via infine il cellulare per finire la chiacchierata con l’amica, del tutto disinteressata al proprietario << Credo che Emma stia ridendo un po’ a tue spese >> mormorò Charles con una risatina, sollevato dopotutto di vederlo lì << Questa volta me la pagherà >> dichiarò Erik fieramente, e solo allora, solo nel vedere il rilassarsi della tensione in lui riuscì ad uscirsene con un sorriso nervoso << Possiamo proseguire? >> domandò Iron, ma era una di quelle domande retoriche che hanno una sola risposta.
Erik assentì, raccolse di nuovo la borsa e diede in un cenno del capo a Charles, seguendo infine Iron verso la biblioteca << Aspetta Iron, cosa... >> << Charles? >> la voce di sua madre lo fece immobilizzare prima che potesse finire la frase, anche gli altri due fecero lo stesso, quindi Erik si avvicinò educatamente e le strinse la mano, augurandole persino buon Natale << Iron mi ha detto che lei e Charles siete amici >> disse, con quella voce che, Erik non poteva saperlo, significava “hai l’onore di conoscere mio figlio ritieniti fortunato”.
Se lo sapeva avrebbe potuto quanto meno avvertirlo, e invece non si era degnata nemmeno di quello << Ho il privilegio della sua amicizia, esatto >> la risposta di Erik in qualche modo lo innervosì ancora di più << Sarebbe un piacere se restasse per il pranzo allora. Naturalmente dopo il suo lavoro. Iron la accompagnerà dove avrà bisogno. Charles, la colazione è pronta >> << Erik è qui per i laboratori? >> chiese Charles invece, ignorando la conversazione precedente, ma di contro lei si limitò a sbattere le palpebre con leggerezza e a sorridere << Possiamo parlarne dopo? Signor Lehnsherr, ci rivedremo più tardi >> e con questo troncò qualsiasi altra insistenza.
Beh, per lo meno Charles poteva davvero sperare in una spiegazione, se non da lei, e di questo era certo, almeno da parte dell’ingegnere.

*

Il sotterraneo di Casa Xavier sembrava direttamente uscito da un film di fantascienza, anche se uno di quelli girati negli anni settanta a giudicare dalla tecnologia, con lunghi corridoi rivestiti di asettici pannelli blu e strisce luminose a percorrerne la lunghezza sul soffitto, luminosi abbastanza da far male agli occhi se non fosse stato per qualche misericordioso guasto qua e là a gettare qualche ombra.
Erik seguiva l’uomo di colore che si era presentato semplicemente come Iron mentre scendevano prima delle scale, e il suo occhio attento e allenato registrò facilmente le modifiche necessarie, e poi gli illustrava l’utilizzo di ciascuna stanza.
C’erano diversi laboratori, come aveva visto già nelle planimetrie, un caveau, un bunker persino, a testimoniare il fatto che il padre di Charles avesse problemi più gravi di quelli che già gli aveva attribuito, ma fece il suo lavoro con la dovizia di sempre, prendendo appunti e fermandosi qua e là per controllare questo pannello elettrico o quel sistema di aerazione.
La padrona di casa aveva delle idee ben precise sulla destinazione dei vari ambienti, gli aveva ordinato di non risparmiarsi per quanto riguardava materiali e tecnologie, ma avrebbe dovuto consultarsi con gli architetti per alcune modifiche, anche se ovviamente la possibilità di un budget illimitato è il sogno di chiunque nel suo ambiente: se era venuto lì pensando più a Charles che al suo lavoro, adesso non poteva fare a meno di eccitarsi un poco alla prospettiva di realizzare un simile progetto.
Aveva giusto un contatto con un certo pazzo fissato di robotica che avrebbe fatto i salti di gioia all’idea di rendere quel posto “intelligente” in ogni senso, ma naturalmente non si prese la briga di spiegare niente dei suoi pensieri al suo cicerone, risparmiandosi per i progetti da esporre alla sua datrice di lavoro.
Esplorò ogni anfratto di quel posto, cosa che richiese almeno due ore, giungendo infine ad un’ultima stanza, la più lontana rispetto alla rampa di scale che lo aveva portato sin lì, e Iron si fermò a pochi passi di distanza dalla porta, sollevando un sopracciglio con sorpresa nell’accorgersi che era aperta << Aspetti qui un momento >> gli disse fermandolo prima di proseguire quindi da solo.
Superò lo stipite, Erik sentì la sua voce anche se non comprese le parole, quindi udì una risposta e si irrigidì un poco perché aveva pensato che fossero da soli in quel posto, infine un uomo sconosciuto uscì fuori per venirgli incontro.
Aveva capelli e occhi neri, i primi lunghi fino alle spalle e disordinati con una calvizie incipiente sulle tempie, i secondi piccoli e slavati oltre un naso adunco e sottile, e una sottile barbetta screziata di grigio che spuntava sul mento appuntito e nascondeva un poco delle labbra che sarebbero state belle su un altro volto.
Gli trasmise una sensazione sgradevole, ma non era certo l’unico con cui succedeva, quindi si forzò il suo sorriso professionale sul volto e tese una mano educata, ritrovandosi a stringere quella leggermente sudata dell’altro << Erik Lehnsherr, piacere di conoscerla. Sono l’ingegnere contattato dalla padrona di casa per la ristrutturazione del piano interrato >> un sorriso fuggevole e scaltro toccò la bocca dell’uomo, che si lisciò la cravatta nera con la mano libera << Kurt Marko, il piacere è mio. Sharon mi ha parlato di lei >> il patrigno.
Quando si lasciarono Kurt si chiuse la giacca del completo grigio che indossava, troppo bello per un uomo così sgraziato, e fece un passo indietro come a mettere distanza fra loro << Spero che sappia ridare a questo posto il suo giusto pregio >> << È il mio obiettivo, naturalmente >> << Naturalmente >> gli fece eco, quel sorriso irritante tornò per un attimo prima di sparire ancora.
Non si allontanò mentre Iron lo invitava a proseguire, Erik sentì un brivido lungo la schiena al pensiero di dare le spalle a quell’uomo, e infatti i suoi sensi rimasero sull’attenti mentre lo sentiva seguirlo con lo sguardo prima e con il corpo poi.
Dentro la stanza era persino più assurda delle precedenti.
Nelle altre aveva trovato già abbastanza stranezze, tra cui apparecchi mai visti e alambicchi che avrebbero fatto l’invidia di un alchimista del medioevo, ma questa lo lasciò ancora più spiazzato: era composta da due parti nettamente distinte, una arredata come un comune salotto, con due divani di velluto marrone, un tavolino di legno e una libreria ben fornita, un tappeto di pregio e persino una lampada in stile bau house in un angolo, mentre la seconda metà era asettica come tutto il resto, con pavimenti e pareti bianchi, un’enorme scrivania invasa da schermi e altri apparecchi troppo obsoleti per avere un significato per lui, nonché un archivio di quelle che sembravano registrazioni in VHS attentamente catalogate.
A dividere le due parti c’era una parete di plexiglass trasparente, adesso opaca di sporcizia.
Notò le telecamere prima di tutto.
Nessun angolo del “salotto” ne era risparmiato, nonostante fosse piuttosto grande, e ugualmente era per i microfoni.
C’erano dei giocattoli in un angolo vicino alla libreria, alcune macchinine e mattoni da costruzione, ma prima ancora di vederli Erik sapeva già che posto fosse quello.
Un fiotto di bile gli risalì le viscere, improvvisamente si rese conto che Charles doveva aver passato molte ore della sua vita in quel posto, messo in una teca per essere studiato come un animale in uno zoo, e la rabbia che provava era talmente intensa che non riuscì a far altro che restare immobile, fremente, costringendosi a non urlare come un ossesso e distruggere ogni singolo mattone di quel posto.
Il suo potere urlava nelle sue vene << Che idea si è fatto? >> chiese Marko, e il fatto che lo avesse avvicinato senza che se ne accorgesse la diceva lunga su come si sentisse << Iron dice che non ha fatto domande, non mostra neppure stupore. È qualcosa che ha già visto altrove? >> oh, Erik aveva piuttosto bene in mente quale sarebbe stata la risposta adatta ad una simile domanda.
Ne aveva almeno un paio di risposte adatte, ma nessuna di esse gli avrebbe permesso di evitare il carcere.
Nella migliore delle ipotesi.
Si chiese per un istante se non ne valesse la pena, poi diede in un respiro profondo, molto profondo, e si voltò a guardarlo con uno sguardo talmente gelido da strappargli un brivido e portarlo a fare un passo indietro << Non vengo pagato per fare domande >> rispose asciutto e incolore << Tuttavia mi ha sfiorato il dubbio che quel che ho visto oggi sia ben più che strano >> Marko ridacchiò nervosamente, guardandosi intorno << Sembrano i laboratori di uno scienziato pazzo, non è così? >> scrollò le spalle, avvicinandosi fino a toccare la parete di plexiglass << Può trasformare questo posto in un archivio se vuole. Non ha più alcuna utilità una stanza del genere >> ci puoi scommettere, maledetto.
Erik si morse la lingua per non dire quel che pensava, limitandosi ad assentire meccanicamente prima che Iron richiamasse la sua attenzione muovendo un passo verso la porta << Se ha finito il suo lavoro, signor Lehnsherr... >> colse l’allusione e andò alla scrivania per raccogliere la sua borsa prima di raggiungerlo.
Sentì un sospiro provenire da Marko mentre lo affiancava e si incamminava con lui dietro ad Iron << Mi dispiace che si sia disturbato persino oggi, signor Lehnesherr >> << Nessun disturbo, non si preoccupi. E vostra moglie è stata così gentile da invitarmi a pranzo qui con voi >> l’uomo diede in un sorriso più ampio dei precedenti, anche se non per questo più sincero, dandogli una pacca sulla spalla << Ha fatto benissimo, è un’idea splendida. Non siamo una famiglia molto numerosa, una persona in più ci farà guadagnare un po’ di convivialità. Ha già conosciuto i ragazzi? >> << Posso dirmi un amico di Charles e Raven in verità >> quello si fermò, perdendo un passo per lo stupore prima di proseguire << Interessante >> << Cosa lo è? >> << Non ho mai conosciuto nessuno dei loro amici, questo lo è. Sono molto... riservati >>Erik non seppe che pensare di quelle parole: forse poteva valere per Charles, ma anche se Raven poteva essere molte cose, per certo “riservata” non era fra queste.
Anche senza il suo biondissimo e patriottico fidanzato, di rado l’aveva vista da sola << A dire il vero ho creduto a lungo che Charles non potesse avere amici >> lo sentì mormorare pensoso, suscitandogli un fiotto di gelida rabbia alla base dello stomaco, ma si tenne per sé i suoi pensieri ancora una volta.
Raggiunsero la porta a scomparsa da cui erano scesi nel sotterraneo, sbucando così nel corridoio di fronte alla biblioteca proprio nello stesso momento in cui Charles ne stava uscendo con un libro tra le mani.
Non fu sorpreso di vederli, o almeno non si mostrò tale, proseguendo invece nella loro direzione e rivelando così Raven che gli trotterellava dietro con un sorriso tranquillo sulle belle labbra.
E che prontamente le scivolò via dal volto una volta posati gli occhi azzurri sull’uomo che lo affiancava << Salve Kurt >> disse il telepate con voce cordiale seppur incolore, lo stesso tono che aveva usato con lui alla tavola calda, la prima volta che gli aveva parlato.
Lo sorprese, ma non lo diede a vedere << Charles, Raven! Mi dispiace non essere venuto a fare colazione con voi... Spero che abbiate dormito bene >> << Magnificamente >> mormorò lei, ma Erik avrebbe giurato di aver sentito una piccola nota sarcastica.
Ripresero a camminare, Charles evitò attentamente il suo sguardo anche se invece lui lo aveva cercato, affiancando Kurt e prendendo la mano di Raven con fare protettivo.
A volte era geloso di come si comportava con sua sorella, non poteva farne a meno, ma non riusciva a biasimarlo con quello sgradevole personaggio a poca distanza.
E se pensava che Kurt lo fosse, quel che provò per l’uomo in fondo al corridoio superava di gran lunga il concetto di sgradevole: Cain, perché quello doveva essere Cain, e lo seppe anche prima di sentire l’ansito morsicato che spezzò le labbra di Charles, sembrava la versione addomesticata e moderna di un Ercole latino, sia per la stazza imponente che per l’espressione in qualche modo ferina, irritando in una volta sola tutti i suoi allarmi e le sue protezioni, tanto che il suo potere si espanse intorno a sé senza un vero e proprio comando, istintivamente alla ricerca di armi e cose che potevano diventarlo.
Era un mutante anche lui, ricordò, Charles aveva parlato almeno di forza sovrannaturale, ma Erik non si lasciò intimidire, limitandosi a pensare al modo più veloce per renderlo inoffensivo.
Non sapeva perché, ma qualcosa in lui lo classificò automaticamente come nemico, un pericolo fatale che andava tolto di mezzo.
Non aveva mai provato niente di simile. Non in questa vita almeno, ma stranamente quella sete di violenza non parve troppo estranea al suo corpo e alla sua mente, si unì agli altri frammenti che lo componevano con abbastanza naturalezza da lasciarlo sconcertato << Stavo venendo a chiamarvi per il pranzo >> anche la sua voce gli risultò spiacevole, greve, con un cupo rimbombo nell’ampio petto che gli irrigidì tutti i muscoli.
Ma fu il suo sguardo a fargli stringere ferocemente i pugni lungo il suo corpo fremente, quei luridi occhi melmosi si soffermarono su ciascuno di loro a malapena un istante, indulgendo invece su Charles con attenzione, con... con desiderio, sì, non c’era altro termine, squadrandolo dal basso verso l’alto fino a piazzarsi impunemente sul suo volto << Hai intenzione di rinchiuderti in biblioteca per il resto del tempo che io e Kurt saremo qui? >> domandò, ignorando Erik senza rivolgergli nemmeno uno sguardo, ma in qualche modo non gli sembrò solo maleducazione la sua, esattamente come non era solo familiarità quella che lo mosse di fianco al fratellastro, c’era un che di possessività, un fare che inequivocabilmente tracciava un confine tutt’intorno a Charles, che quest’ultimo ne fosse consapevole o meno.
Per certo Erik lo percepiva, eccome << Devo preparare una tesi, Cain. Sto studiando >> una piccola smorfia attraversò il volto del telepate, una ruga tagliò la sua fronte quando strizzò le palpebre e si portò una mano alla tempia << Tutto ok? >> domandò Kurt, non preoccupato, no, semplicemente... curioso.
Erik sentì un brivido risalirgli lungo la spina dorsale nel rendersi conto che quello sguardo somigliava terribilmente a quello di un bambino che con crudele indifferenza punzecchia il cadavere di un rospo o una lucertola con un rametto << Sto benissimo >> fu la risposta, si rimise dritto anche se impallidito, e fu il primo ad incamminarsi anche se la mano di Raven era ancor stretta nella sua.
Fece pochi passi ancora, Erik fece appena in tempo a vedere un ghigno sadico piegare i lineamenti del colosso rimasto a pochi passi di distanza, poi un sottile lamento spezzò l’aria lo vide crollare su un ginocchio << Charles! >> sentì Raven esclamare, poco prima di raggiungerlo e vederlo piegarsi in due con un’imprecazione.
Era paonazzo, i tendini tirati come corde mente si teneva il capo, le labbra tanto strette per non emettere suono che erano un segno bianco in mezzo al suo volto, e nonostante le palpebre disperatamente serrate Erik vide una grossa lacrima di dolore scivolare sulla sua guancia << Piantala! >> sibilò prima di riuscire a trattenersi, lanciando un’occhiata di fuoco a Cain << Non sto facendo nulla >> ribatté quello candidamente, facendogli ritorcere le viscere di rabbia << Sai benissimo che non è vero! Smettila! >> si rialzò in piedi per affrontarlo, ma Charles lo afferrò per una manica << N-no, Erik... >> ansimò, prima di estrarre un astuccio di pillole dalla tasca dei pantaloni.
Erik avrebbe voluto fermarlo. Avrebbe voluto urlare che quella situazione aveva dell’assurdo, che non aveva alcun senso possedere una capacità del genere e soffocarla con qualche veleno chimico, si sarebbe accontentato anche solo di metterlo in macchina e non fermarsi prima di essere abbastanza lontani da quel perfido mostro, e invece si limitò ad uno stringato << Scheisse >> prima di strappare la confezione degli inibitori dalle sue mani tremanti e porgergliene una pillola perché la mandasse giù senz’acqua.
Non si sentì meglio subito, per alcuni minuti ancora non riuscì a muoversi, le mani strette a pugno sulle tempie e il corpo rigido, poi però esalò un lungo sospiro di sollievo, ricadendo contro la spalla di Raven a peso morto.
Lei lo accolse stringendolo a sé con fare protettivo, affondando le mani nei suoi capelli e mormorando qualche parola tranquillizzante << Vado a dire a Sharon che state arrivando >> disse Cain solo allora, come se importasse ancora del pranzo a qualcuno di loro, mentre Kurt si limitò a guardare loro tre senza dire nulla, solo osservare con quegli occhi sinistri << Va meglio? >> domandò Raven infine, un sussurro in realtà, ma Charles assentì con un gesto languido e lo sguardo vagamente appannato.
Erik vide la disapprovazione in lei, ma nonostante lo conoscesse da più tempo e avesse più diritti di farlo, nemmeno lei gli disse nulla, limitandosi ad imitarlo quando si rialzò in piedi.
Con una naturalezza da pelle d’oca Erik lo vide asciugarsi il volto con le mani, avvicinò la sorella e le baciò la tempia con la cura amorevole di sempre, quindi si ravvivò i capelli distrattamente prima di voltarsi verso di lui << Non fissarmi con quella faccia >> gli disse, paradossalmente scherzoso, ma Erik non riuscì a dire nulla, solo guardarlo.
Una parte di lui voleva ancora portarlo più lontano possibile da quel posto, ma la più grande era concentrata solo ed unicamente nel non raggiungere Cain e strappargli i bulbi oculari.
In qualche modo si sentiva perfettamente capace di fare una cosa del genere << Raven, Kurt... vi dispiace se ci precedete? Io e Erik saremo a tavola tra pochi minuti >> << Naturalmente >> disse lui << Mi piacerebbe parlare però di queste crisi più tardi, figliolo >> << Certo >> acconsentì Charles con il suo sorriso incolore, infine fece un cenno rassicurante con il capo anche a sua sorella e li seguì con lo sguardo finché non furono al di là della sua visuale << Cosa avevi intenzione di fare prima, per l’Onnipotente? >> se ne uscì non appena furono soli, ma ancora Erik non seppe che dire.
O meglio, sapeva perfettamente cosa volesse dire, ma non sapeva quanto poteva.
Quindi tacque << Volevi aggredirlo per caso? Non hai visto il suo corpo? Cosa speravi di fare? >> si rendeva conto che per lui avrebbe fatto molto più che aggredire una montagna di muscoli?
Per lui Erik era morto. Decine di volte.
Non avrebbe esitato ad uccidere, non solo aggredire.
Ma non lo disse << È capace di piegare una trave d’acciaio a mani nude, riesci a comprenderlo? Non avresti avuto alcuna speranza! >> perché si soffermava su queste sciocchezze quando era un altro il problema principale?
Perché restava in quella casa?
Perché non schiacciava la mente di quel mostro rendendolo poltiglia sbavante ai suoi piedi?
C’era qualcosa che non andava in Charles, un modo di fare e pensare che lo avrebbe portato all’autodistruzione, ne era sicuro, e che anzi gli raggelò il petto al solo pensiero che fosse già accaduto in passato << Erik? Non hai niente da dire? >> << Succederà ancora? >> fu tutto ciò che riuscì a chiedere, giacché tutto il resto sarebbe stato troppo intimo o troppo ricolmo di urla << Cosa? >> indicò il pavimento, il punto in cui poco prima Charles era piegato in due, schiacciato dal proprio potere.
Silenzio per un istante, poi una mano nervosa andò all’attaccatura del suo naso, seguita da un sospiro profondo << Non per oggi, no >> assentì, non poteva fare altro anche se era una ben misera consolazione, quindi gli porse le pillole rimaste ancora nelle sue mani << Immagino tu abbia messo a tacere completamente il tuo potere >> << È la soluzione migliore finché sono qui. E non che ne avessi particolare bisogno a dire il vero >> sentirlo parlare così gli fece sentire il sapore della bile in bocca, abbastanza che non riuscì a trattenersi questa volta: << Perché non ti tagli anche un braccio allora? O una gamba. Potresti non aver bisogno nemmeno di quelli >> fece, e fu talmente strano da parte sua, talmente tagliente il suo tono rispetto al solito che Charles rimase a bocca aperta, stupefatto.
Rimasero a fissarsi ancora per un momento, Erik attese una risposta pur sapendo che non ci sarebbe stata, quindi si incamminò scuotendo il capo spazientito, sennonché Charles lo fermò prendendolo per un braccio << Che vuoi dire? >> la sua voce era a malapena un soffio, per poco Erik non riuscì a distinguere le parole << Sai cosa voglio dire. Sei un genio, giusto? Puoi capirlo anche da solo che questo tuo fingere che vada tutto bene, che tu sia una persona come le altre non porta da nessuna parte. Sei diverso Charles, sei superiore, me l’hai spiegato tu stesso: siamo il prossimo passo dell’evoluzione. Ma tu dici che non ne hai bisogno >> si liberò della sua stretta afferrandogli il polso, e con fin troppa facilità riuscì a spingerlo contro la parete alle sue spalle e immobilizzarlo con le braccia sopra il capo.
Lo guardò ad occhi sbarrati, incredulo, ma ancora senza nemmeno una traccia di paura, come se Charles Xavier non potesse provarne << Cosa farai se Cain decidesse di aggredire te? >> gli sibilò ad un centimetro dal volto << Se non si accontentasse più di vederti gemere di sofferenza ai suoi piedi? Cosa faresti se fosse qui ora al mio posto, una delle sue mani sulla tua gola e quella forza mutante che dovrei temere usata per ridurti all’impotenza? >> lo vide deglutire dolorosamente, più pallido adesso, ma non perse il suo incrollabile contegno: << Lasciami >> ordinò con voce limpida e chiara, non minacciosa, solo ferma, come se fosse certo che Erik avrebbe obbedito.
E lo fece, indietreggiando di un passo per permettergli di riconquistare il suo spazio.
Si schiarì la gola e si assestò i polsini della camicia << Non lo farebbe mai >> << Forse non sono un telepate, ma so comunque leggere uno sguardo quando ne vedo uno >> << Può essere un gran bastardo, ma non cercherebbe mai di... >> << Di fare cosa? >> lo interruppe in un sibilo irato << C’erano due paia di occhi che fissavano il tuo culo quando ti sei voltato e io ne posseggo solo uno >> aggiunse ruvido nell’incrociare le braccia al petto e per la seconda volta in pochi minuti lo lasciò a bocca aperta.
Gli occhi blu divennero enormi per la sorpresa, scioccati, ma invece di credergli si limitò a scuotere il capo e uscirsene con una risatina nervosa << Avevi detto che non avresti più tirato fuori la cosa >> << E non lo sto facendo. Sei abbastanza adulto da essere consapevole del tuo corpo, niente di quanto posso dirti ti dovrebbe stupire >> << Ti sorprenderà sapere invece che non ritengo affatto il mio corpo degno di tutta questa attenzione. Per questo mi sembra ancora più incredibile che quel concentrato di razzismo, misoginia e bigottismo guardi me allo stesso modo in cui lo fai tu >> << Io non ti guardo così >> << Oh, Erik... hai capito >> << No, sei tu che non hai capito >> fece un passo avanti, puntandogli contro un dito, anche se più per assicurarsi la sua attenzione che per minacciarlo << Lo chiarisco qui perché non voglio che vi siano fraintendimenti, a dispetto del giuramento che ho fatto: io ti amo, Charles, non sono semplicemente attratto da te, questa è la differenza sostanziale. Cain vuole fotterti. Io voglio fare l’amore con te >> ci fu un lungo momento di silenzio dopo queste parole, poi Charles spostò il peso da un piede all’altro, abbassò lo sguardo sul pavimento e si schiarì la gola << È meglio se andiamo a mangiare >> disse riappropriandosi del proprio contegno di sempre.
Erik si limitò a seguirlo senza emettere suono.

 

   
 
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